IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  1579  del  2010,  proposto   da:   LAV   -   Lega
Antivivisezione, Onlus  Ente  Morale,  Lega  per  l'abolizione  della
caccia - L.A.C. Onlus, Ente Nazionale Protezioni Animali - E.N.  P.A.
- Onlus, Associazione Italiana World Wide Fund For Nature - WWF Onlus
Ong, Lega Italiana Protezione degli uccelli - LIPU Onlus, Legambiente
Onlus,  Animalisti  Italiani  Onlus,  in   persona   dei   rispettivi
rappresentanti  legali  p.t.,  rappresentate   e   difese   dall'avv.
Valentina Stefutti, con domicilio eletto presso Barbara  Vannucci  in
Firenze, via Scialoia 67; 
 
                               contro 
 
    Provincia  di  Firenze,   in   persona   del   Presidente   p.t.,
rappresentata e difeso  dagli  avv.  Francesca  De  Santis,  Stefania
Gualtieri,  Elena  Possenti,  domiciliata  elettivamente,  presso  le
medesime, in Firenze, via de'Ginori 10; 
    Regione Toscana, in persona del Presidente p.t., rappresentata  e
difesa dall'avv. Silvia Fantappie', con domicilio  eletto  presso  la
medesima, in Firenze, piazza dell'Unita' Italiana 1; 
    nei confronti  di  EPS  -  Ente  Produttori  Selvaggina,  Azienda
Faunistico  Venatoria  Galiga  s.n.c.,  in  persona  dei   rispettivi
rappresentanti legali p.t., rappresentati e difesi dall'avv. Vittorio
Chierroni, con domicilio eletto presso lo studio legale  Lessona,  in
Firenze, via dei Rondinelli 2; 
    e con l'intervento di ad  opponendum:  Unione  Provinciale  degli
Agricoltori di Firenze, in persona del  legale  rappresentante  p.t.,
rappresentata e difesa dall'avv. Vittorio  Chierroni,  con  domicilio
eletto presso lo studio del medesimo, in Firenze, via dei  Rondinelli
2; 
    per l'annullamento, previa sospensione, della DGP 13 luglio  2010
n. 125, avente ad oggetto "Approvazione del calendario venatorio  per
la stagione venatoria 2010-11" (doc. 1) nonche' di  ogni  altro  atto
presupposto,  conseguente  o   comunque   connesso,   ancorche'   non
conosciuto, e con espressa riserva  di  formulare  sin  d'ora  motivi
aggiunti. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in  giudizio  della  Provincia  di
Firenze, della Regione Toscana e dell'Ente  Produttori  Selvaggina  e
dell'Azienda  Faunistico  Venatoria   Galiga,   nonche'   l'atto   di
intervento ad opponendum dell'Unione Provinciale degli Agricoltori di
Firenze; 
    Relatore all'udienza pubblica del 3 maggio 2011 il dott. Bernardo
Massari e uditi  per  le  parti  i  difensori  come  specificato  nel
verbale; 
    In attuazione della legge n. 157/1992 (ora  modificata  dall'art.
42 della 1. 4 giugno 2010, n. 96), la Regione Toscana emanava  la  l.
reg. 10 gennaio 1994, n. 3 recante «Norme  per  la  protezione  della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio», il cui art. 4
attribuisce alla regione stessa funzioni di indirizzo, coordinamento,
controllo e programmazione, mentre il successivo art. 5 riserva  alle
Province, le funzioni amministrative diverse  da  quelle  di  cui  al
precedente articolo, ivi compresa la vigilanza e il  controllo  delle
relative   attivita',   nonche'   l'applicazione    delle    sanzioni
amministrative e la realizzazione del piano provinciale. 
    In particolare, l'art. 30 della predetta legge  regionale  affida
al Consiglio regionale la competenza all'approvazione del  calendario
venatorio regionale, sentito l'I.N.F.S. -  Istituto  nazionale  della
fauna selvatica - (ora ISPRA - Istituto superiore per la protezione e
ricerca ambientale). 
    Peraltro, con la 1. reg. n. 20 del  10  giugno  2002  la  Regione
stabiliva di formare il calendario venatorio non con un provvedimento
amministrativo, ma attraverso un atto avente forza di legge sganciato
dal riferimento  ad  un  arco  temporale  proprio  del  provvedimento
amministrativo annuale, lasciando alle province  la  possibilita'  di
definire,  entro  i  limiti  stabiliti  dalla   regione,   variazioni
concernenti  soprattutto  l'intervallo  temporale  entro   il   quale
ciascuna specie puo' essere cacciata. 
    Con deliberazione  di  Giunta  n.  125  del  13  luglio  2010  la
Provincia  di  Firenze  ha  approvato,  in  ambito  provinciale,   il
calendario per la stagione venatoria 2010-11. 
    Le   associazioni   in   intestazione   hanno   impugnato    tale
provvedimento  chiedendone  l'annullamento,  previa  sospensione,   e
deducendo, tra  l'altro,  la  plurima  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 7 della 1. reg. n. 20 del 2002, come  modificato  dalla  l.
reg. 3 febbraio 2010, n. 3. 
    Con sentenza  parziale,  su  decisione  contestuale  emessa  alla
medesima Camera di consiglio, sono state  respinte  le  eccezioni  di
improcedibilita'  e  inammissibilita'  del  gravame  avanzate   dalla
Provincia di Firenze ed e'  stato  sospeso  il  giudizio  dovendo  il
Collegio sollevare a  questione  di  costituzionalita'  di  cui  alla
presente ordinanza. 
    In particolare, con riferimento all'asserita carenza di interesse
argomentata con riferimento al fatto che,  in  caso  di  annullamento
dell'atto  impugnato,  l'attivita'  venatoria  verrebbe   ad   essere
regolata direttamente dalla legge provvedimento con cui la Regione ha
disciplinato  normativamente  il  calendario  della  caccia  e   cio'
avverrebbe i termini derogatori e certamente piu' ampi rispetto  alla
deliberazione   impugnata,    percio'    incidendo    sfavorevolmente
sull'interesse  che  le  associazioni  ricorrenti  si  propongono  di
tutelare, il Collegio ha osservato che,  volendo  aderire  alla  tesi
proposta, si finirebbe con l'impedire agli  interessati  ogni  tutela
giurisdizionale posto che ogni atto amministrativo emanato in materia
dalle  province  sconterebbe  il  medesimo  limite   rilevato   nella
circostanza  dall'Amministrazione  in  ragione  dall'esistenza  della
legge regionale che, approntando ogni anno il  calendario  venatorio,
diverrebbe cosi' il vero atto idoneo ad incidere sul bene della  vita
che i ricorrenti assumono leso. 
    Tale argomentazione, peraltro, apre la via all'affermazione della
rilevanza della proposta questione di legittimita' costituzionale sia
perche', in definitiva, e' la legge regionale contestata  che  incide
direttamente sull'interesse dedotto in causa, sia perche' l'eventuale
pronuncia favorevole eliderebbe in radice i presupposti normativi del
potere esercitato dalle Amministrazioni intimate. 
    In  ordine  alla  possibilita'  di  sollevare   direttamente   la
questione di legittimita' costituzionale di una  legge  provvedimento
il Collegio osserva che lo strumento della legge provvedimento non e'
considerato di per se' illegittimo dalla giurisprudenza della  Corte,
salvo nei casi in cui incida sull'eventuale giudicato formatosi sulla
questione (ex multis, sent. 15 dicembre 2010  n.  254),  e  cio'  sul
presupposto dell'insussistenza di una riserva  di  amministrazione  e
dell'inconfigurabilita', per il Legislatore,  di  limiti  diversi  da
quelli formali dell'osservanza del procedimento di  formazione  delle
leggi (Cons. Stato, sez. IV, 19 ottobre 2004, n. 6729). 
    In proposito la Corte costituzionale ha avuto modo  di  affermare
che i diritti di difesa del cittadino, in caso  di  approvazione  con
legge di un  atto  amministrativo  lesivo  dei  suoi  interessi,  non
vengono sacrificati,  ma  si  trasferiscono,  secondo  il  regime  di
controllo  proprio  del   provvedimento   normativo   medio   tempore
intervenuto,  dalla  giurisdizione  amministrativa   alla   giustizia
costituzionale (Corte cost. 16 febbraio 1993, n. 62). 
    Nondimeno, in una fattispecie riconducibile  a  quella  in  esame
perche'  sostanzialmente  elusiva   della   necessita'   che   l'atto
amministrativo sia preceduto da una adeguata valutazione  istruttoria
che, evidentemente, la legge  provvedimento  da'  per  acquisita  una
volta  per  tutte,  si  e'  ritenuto  illegittimo  l'utilizzo   dello
strumento della legge provvedimento (Corte cost., 26  febbraio  2010,
n. 67). 
    Nello stesso senso,  valorizzando  la  contraddizione  tra  l'uso
della legge provvedimento e la necessita' della  verifica,  anno  per
anno, della sussistenza di una effettiva lesione  alla  tutela  della
fauna selvatica, la Corte cost., con sentenza 4 luglio 2008,  n.  250
ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  di  alcuni  articoli
della legge reg. della Lombardia. 5 febbraio 2007 n. 2. 
    E cio', anche in relazione all'esistenza di un ulteriore  profilo
di illegittimita' consistente nel  fatto  che  "l'autorizzazione  del
prelievo in deroga con  legge  preclude  l'esercizio  del  potere  di
annullamento da parte del Presidente del Consiglio dei  ministri  dei
provvedimenti derogatori adottati  dalle  Regioni  che  risultino  in
contrasto con la direttiva comunitaria 79/409/ CEE e con la legge  n.
157 del 1992; potere di  annullamento  finalizzato  a  garantire  una
uniforme ed adeguata protezione della fauna  selvatica  su  tutto  il
territorio nazionale". 
    Tanto premesso, il Collegio e' dell'avviso che, ritenuta  per  le
ragioni esposte la rilevanza della questione,  stante  la  perduranza
degli effetti della legge  regionale  in  materia  istruttoria  e  di
regime delle specie cacciabili e dei tempi di caccia in Toscana,  non
necessitante   per   la   sua    applicazione    dell'intermediazione
dell'annuale  provvedimento  provinciale,  non   sia   manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  delle  norme
della 1. reg. Toscana impugnate per i motivi di seguito esposti. 
    Occorre premettere che, secondo l'art. 1 della  1.  n.  157/1992,
"La fauna selvatica e' patrimonio indisponibile  dello  Stato  ed  e'
tutelata nell'interesse della comunita' nazionale ed internazionale".
Le regioni a statuto ordinario, soggiunge il comma 3, "provvedono  ad
emanare norme relative alla gestione  ed  alla  tutela  di  tutte  le
specie della fauna selvatica in conformita' alla presente legge, alle
convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie". 
    Come  condivisibilmente  osservato  daile  parti  ricorrenti,  il
Legislatore  nazionale  ha  cosi'  inteso  individuare  un  punto  di
equilibrio tra il primario obiettivo di salvaguardare  il  patrimonio
faunistico nazionale e l'esercizio dell'attivita' venatoria (definita
in termini di concessione dall'art. 10  della  legge  citata),  anche
attraverso adeguati standard di programmazione di' quest'ultima. 
    Ne segue che spetta alla normativa statale la  fissazione  di  un
livello minimo di  tutela  della  fauna  il  cui  soddisfacimento  e'
riservato dall'art. 117 comma  2  lett.  s),  cost.  alla  competenza
esclusiva dello  Stato,  di  talche'  l'autorizzazione  all'esercizio
dell'attivita'  venatoria  in  periodi  diversi  da  quelli  previsti
dall'art. 18 comma 1 1. n. 157  del  1992,  deve  comunque  ritenersi
subordinata alla integrale applicazione della disciplina dettata  dal
secondo comma del medesimo articolo (Corte cost., 21 ottobre 2005, n.
393). 
    In termini generali, percio', il comma 4 del citato art. 1, 1. n.
157/1992 dispone che "le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la
fauna selvatica, pubblicano, entro e  non  oltre  il  15  giugno,  il
calendario regionale e  il  regolamento  relativi  all'intera  annata
venatoria, nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e  con
l'indicazione del numero massimo di capi  da  abbattere  in  ciascuna
giornata di attivita' venatoria". 
    L'affermazione e' ribadita e specificata  dall'art.  19,  co.  1,
della 1. n. 157 secondo cui "le regioni possono vietare o ridurre per
periodi  prestabiliti  la  caccia  a  determinate  specie  di   fauna
selvatica di cui all'articolo 18, per importanti e  motivate  ragioni
connesse alla consistenza faunistica o per  sopravvenute  particolari
condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre
calamita'". 
    Ne risulta, inequivocabilmente, che alle regioni e' attribuito il
potere di modificare, in  meglio,  il  contenuto  delle  disposizioni
recate dalla normativa statale  nei  limiti  temporali  e  giuntativi
fissati da quest'ultima, ovvero assicurando un livello di tutela piu'
elevato. 
    Non solo, ma per quanto attiene  ai  termini  entro  i  quali  e'
autorizzabile l'esercizio dell'attivita' venatoria, le  deroghe  sono
consentite,  ex  art.  18,  co.  3,  1.  n.  157/1992,  solo   previa
acquisizione del  parere  dell'ISPRA  -  Istituto  superiore  per  la
protezione la ricerca ambientale - (in luogo del  soppresso  Istituto
nazionale per la fauna selvatica) al quale le regioni sono tenute  ad
uniformarsi. 
    Dalle suddette considerazioni  scaturisce  un  primo  profilo  di
illegittimita' relativa all'art. 7 della 1. reg. toscana  n.  20/2002
per violazione dell'art. 117, 2° co., lett. s) Cost., nella parte  in
cui, in difformita' da quanto stabilito dall'art. 18, co. 4, della 1.
n. 157/1992, non prevede che la redazione  del  calendario  venatorio
regionale (e provinciale), sia per quanto attiene ai periodi che alle
specie  cacciabili,  sia  preceduta  dall'acquisizione   del   parere
dell'ISPRA. 
    Ne', al fine di elidere la  suddetta  censura,  puo'  opporsi  la
considerazione difensiva svolta dalla Regione Toscana secondo cui  il
parere dell'ISPRA sarebbe stato acquisto prima della  emanazione  del
calendario venatorio in forza di quanto disposto dall'art. 30, co. 1,
della 1. reg. n. 3/1994 secondo cui' "La  Giunta  regionale,  sentito
l'INFS, propone al Consiglio regionale l'approvazione del  Calendario
venatorio". 
    In primo  luogo  potrebbe  dubitarsi  della  stessa  legittimita'
dell'utilizzo, nella  circostanza,  da  parte  della  Regione,  dello
strumento della legge provvedimento, tenuto conto che l'art. 10 della
1. n. 157/92 pare attribuire alla  regioni  esclusivamente  "funzioni
amministrative di programmazione e di  coordinamento  ai  fini  della
pianificazione faunistico-venatoria". 
    Tuttavia, anche a prescindere da tale questione, ed anche  a  non
voler  considerare  che  la  norma  invocata  appare   riferirsi   ad
un'attivita' programmatoria amministrativa e  non  legislativa  della
regione, non vi e' chi non veda  che  il  parere  in  questione  puo'
essere  stato  acquisito,   una   volta   per   tutte,   solo   prima
dell'approvazione della legge, nel mentre la  norma  statale  prevede
che esso sia sollecitato  e  preventivamente  ottenuto  in  relazione
all'annuale redazione del calendario venatorio. 
    E' cio'  per  l'evidente  ragione  che  la  funzione  svolta  dal
preventivo parere dell'ISPRA e' proprio  quella  di  aggiornare,  sul
piano istruttorio, le conoscenze in merito alla concreta situazione e
consistenza di ciascuna specie  cacciabile  nell'ambito  territoriale
considerato, in difetto di  che  si  tramuterebbe  in  un  inefficace
adempimento di natura meramente formale. 
    D'altro canto gia'  la  Corte  ha  avuto  modo  di  affermare  in
proposito l'illegittimita' costituzionale di norme regionali che  non
prevedevano  l'obbligatorieta'  del  parere  dell'INFS  (ora  ISPRA),
preliminare all'adozione di  provvedimenti  sulla  regolazione  della
caccia,  ritenendo  che  tale  previsione  (codificata  dal  comma  4
dell'art. 18 1. n. 157 del 1992) integri "una prescrizione di  grande
riforma economico-sociale" la cui acquisizione "appare indispensabile
per la formazione di un atto  nel  quale  deve  essere  garantito  il
rispetto  di  standards  di  tutela  uniforme   che   devono   valere
nell'intero territorio nazionale" (Corte cost.,  4  luglio  2003,  n.
227; id., 12 gennaio 2000, n. 4). 
    Un ulteriore profilo di illegittimita' si rileva con  riferimento
all'art. 7,  co.  5,  della  1.  reg.  n.  20/2002  (come  sostituito
dall'art. 7 della 1. reg. 3 febbraio 2010, n. 3), secondo cui  "Dalla
terza domenica di settembre al 31 gennaio e' consentita la caccia  al
cinghiale, anche in caso di  terreno  coperto  da  neve,  secondo  le
modalita'  stabilite   dal   regolamento   regionale.   Le   province
definiscono le zone, i  periodi  ed  i  giorni  di  caccia".  Analoga
disposizione, relativamente  alle  popolazioni  di  capriolo,  daino,
muflone e cervo (ossia agli altri ungulati  presenti  nel  territorio
regionale), in ordine alla possibilita' di prelievo anche nel caso di
terreno innevato. 
    La norma si pone in contrasto  con  la  legge  n.  157  del  1992
incidendo, come si e' detto,  sulla  potesta'  legislativa  esclusiva
riservata in materia allo Stato dall'art. 117,  2°  comma,  lett.  s)
della Costituzione, atteso che l'art. 21, co. 1, lett. m)  impone  il
divieto di caccia "su terreni coperti in tutto o nella maggior  parte
di  neve,  salvo  che   nella   zona   faunistica   delle   Alpi...",
evidentemente al fine di innalzare il livello  di  tutela  di  quella
specie animale e percio' escludendo che la caccia possa svolgersi  in
periodi in cui le condizioni del terreno la rendono piu'  vulnerabile
ed esposta. 
    Invero, e'  stato  rilevato  dal  Giudice  delle  leggi,  che  la
disciplina statale che delimita il periodo venatorio si inserisce  in
un contesto  normativo  comunitario  e  internazionale  rivolto  alla
tutela della fauna che intende garantire il sistema ecologico nel suo
complesso, proponendosi come "standard di tutela  uniforme  che  deve
essere rispettato  nell'intera  territorio  nazionale,  ivi  compreso
quello delle Regioni a statuto speciale" (sentenza 20 dicembre  2002,
n. 536) con la conseguenza che la normativa regionale che si discosti
da quella nazionale introducendo, anche nelle modalita' di  prelievo,
criteri derogativi difformi in senso  ampliativo  e  riduttivo  della
protezione della fauna selvatica, si pone in contrasto con il dettato
costituzionale nei sensi gia' evidenziati. 
    Ancora, il Collegio rileva la non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi  5  e  6,
della 1. reg. n. 20/2002, come modificato dall'art. 7 della 1. reg. 3
febbraio 2010, n. 3  nella  parte  in  cui  autorizza  la  caccia  al
cinghiale e agli altri ungulati  oltre  i  limiti  temporali  fissati
dall'art. 18 della 1. n. 157/1992. 
    Quest'ultima norma al comma 1, lett. c) e d) stabilisce,  infatti
che le specie cacciabili dal 1° ottobre  al  30  novembre  sono,  tra
l'altro: "...camoscio alpino; capriolo; cervo; daino;  muflone..."  e
dal 1° ottobre al 31 dicembre, o dal 1° novembre al  31  gennaio,  il
cinghiale. 
    Il comma 2 dello stesso articolo precisa, poi, che "I termini  di
cui al comma 1 possono essere modificati per  determinate  specie  in
relazione  alle   situazioni   ambientali   delle   diverse   realta'
territoriali. Le  regioni  autorizzano  le  modifiche  previo  parere
dell'Istituto nazionale per la  fauna  selvatica.  I  termini  devono
essere comunque contenuti tra  il  1°  settembre  ed  il  31  gennaio
dell'anno nel rispetto dell'arco temporale massimo indicato al  comma
1....La stessa disciplina si applica anche per la caccia di selezione
degli  ungulati,  sulla  base  di  piani  di  abbattimento  selettivi
approvati dalle regioni; la caccia di  selezione  agli  ungulati puo'
essere autorizzata a far tempo dal 1° agosto nel  rispetto  dell'arco
temporale di cui al comma 1". 
    Una piana  lettura  delle  norme  appena  riportate  consente  di
pervenire alla conclusione che,  mentre  e'  facolta'  delle  regioni
differenziare il termine di inizio e conclusione  della  caccia  alle
specie sopra richiamate, non e' ad esse  consentito  di  ampliare  in
nessun modo l'intervallo  temporale  -  tre  mesi -  nel  quale  tale
attivita' e' permessa. 
    In proposito e' sufficiente richiamare quanto gia'  affermato  da
codesta Corte secondo cui la  delimitazione  temporale  del  prelievo
venatorio disposta dall'art. 18 della legge n. 157  del  1992  e'  da
considerare  come  rivolta  ad  assicurare  la  sopravvivenza  e   la
riproduzione delle specie cacciabili,  corrispondendo  quindi,  sotto
questo   aspetto,   all'esigenza   di    tutela    dell'ambiente    e
dell'ecosistema il cui soddisfacimento  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), della Costituzione attribuisce alla competenza  esclusiva
dello Stato, in particolare mediante la predisposizione  di  standard
minimi di tutela della fauna. 
    "In questo quadro prorogare la stagione venatoria oltre i termini
previsti dalla legge statale equivale ad incidere sul nucleo minimo -
comprensivo anche delle modalita' di caccia - di  salvaguardia  della
fauna selvatica, violando  cosi'  uno  standard  di  tutela  uniforme
valido per l'intero territorio nazionale e  pertanto  riservato  alla
competenza esclusiva dello Stato" (Corte cost., 15 ottobre  2003,  n.
311; nello stesso senso 21 ottobre 2005, n. 391). 
    Per contro la legge regionale toscana dispone (art.  7,  co.  5),
per quanto attiene al cinghiale, che la caccia e'  consentita  "dalla
terza domenica di settembre al 31 gennaio", "anche in caso di terreno
coperto da neve,  secondo  le  modalita'  stabilite  dal  regolamento
regionale". 
    Si soggiunge, al comma 6, che "Nel rispetto delle indicazioni dei
piani di cui all'articolo 30, comma 6, della lr. 3 /1994, le province
predispongono, a partire dal 1° agosto fino al 15 marzo di ogni anno,
forme  di  prelievo  sulla  base  di  piani  di  assestamento   delle
popolazioni di capriolo, daino, muflone e cervo.... Il prelievo  puo'
avvenire anche nel caso di terreno coperto da neve.  Nei  periodi  l°
agosto - terza domenica di settembre e  1°  febbraio -  15  marzo  il
prelievo e' consentito per cinque giorni la settimana...". 
    Dal che si ricava l'inosservanza dei termini fissati dalla  legge
dello Stato e la violazione della generale preclusione a  dilatare  i
periodi in cui e' ammesso l'esercizio dell'attivita' venatoria (Corte
cost. 4 luglio 2003, n. 227) e, per  conseguenza,  la  non  manifesta
infondatezza della proposta dalle parti ricorrenti. 
    Non puo'  valere,  ad  elidere  la  rilevata  illegittimita',  la
considerazione svolta dalla Provincia secondo cui nessun vulnus  alla
disciplina statuale deriverebbe dalla suddetta disposizione di  legge
attesa la piu' favorevole regolamentazione fissata dal  provvedimento
provinciale impugnato. 
    Invero, deve  al  contrario  osservarsi,  da  un  lato  che  tale
affermazione confligge con la sopra rammentata eccezione  di  difetto
interesse  delle  parti  ricorrenti  motivata   in   relazione   alla
circostanza che la deliberazione provinciale introduce una disciplina
di maggior rigore che verrebbe meno espandendosi  gli  effetti  della
legge regionale, dall'altro il potere esercitato dalla  Provincia  e'
meramente attuativo di una disciplina  regionale  di  riferimento  la
quale e' di per se' efficace e non abbisogna  necessariamente  di  un
atto applicativo. 
    L'eventuale  riduzione  dei  tempi  accordati  per  il   prelievo
venatorio dalla deliberazione provinciale si atteggia, pertanto, come
un evento contingente che non elimina  il  rilevato  vizio  di  fondo
della legge regionale. 
    Da  ultimo,  il  Collegio,  condividendo   l'assunto   di   parte
ricorrente, ritiene non manifestamente infondata la q.l.c.  dell'art.
28, co. 12, della l. reg. 12  gennaio  1994,  n.  3,  recepita  dalla
deliberazione di Giunta provinciale impugnata,  il  quale  stabilisce
che "Nelle aziende  agrituristico  venatorie  non  e'  necessario  il
possesso del tesserino per l'esercizio dell'attivita' venatoria...". 
    Tale disposizione si pone in evidente contrasto  con  l'art.  12,
co. 12, della 1. n. 157/1992  secondo  cui  "Ai  fini  dell'esercizio
dell'attivita' venatoria e' altresi' necessario  il  possesso  di  un
apposito tesserino rilasciato dalla regione di  residenza,  ove  sono
indicate  le  specifiche  norme  inerenti  il  calendario  regionale,
nonche' le forme di cui al comma  5  e  gli  ambiti  territoriali  di
caccia ove e' consentita l'attivita' venatoria.". 
    E'  opinione  del  Collegio,  infatti  che  tale   obbligo   vada
raccordato e trovi la sua ratio nel comma 1 dello stesso art. 12  per
il quale "L'attivita' venatoria si svolge per una concessione che  lo
Stato rilascia ai cittadini che la  richiedano  e  che  posseggano  i
requisiti previsti dalla presente legge". 
    Ne  segue  che  una  norma   regionale   che,   escludendo   tale
adempimento, consenta l'esercizio della caccia, sia  pure  in  ambiti
limitati, anche in  assenza  del  tesserino  venatorio,  finisca  con
l'attuare una sorta di liberalizzazione di tale  attivita'  ponendosi
in contrasto con le finalita' di  generale  protezione  delle  specie
animali non  domestiche  che  devono  valere  nell'intero  territorio
nazionale  costituendo  elemento  essenziale  della   stessa   tutela
dell'ambiente, riservata, come  piu'  volte  si  e'  osservato,  alla
potesta' legislativa dello Stato, ex art. 117, co. 2°, lett. s) della
Costituzione. 
    In conclusione, appare rilevante e non  manifestamente  infondata
la questione di  legittimita'  costituzionale  della  1.  reg.  della
Toscana n. 20 del 10 giugno 2002, con particolare  riguardo  all'art.
7, commi 5 e 6, e dell'art. 28, co. 12,  1.  reg.  della  Toscana  12
gennaio 1994, n. 3, per violazione dell'art. 117, comma 2°, lett. s),
della Costituzione. 
    Gli  atti  devono,  pertanto,   essere   trasmessi   alla   Corte
costituzionale, con ogni conseguente statuizione.