ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto  a  seguito
della sentenza del Consiglio di Stato, sezione  V,  n.  4502  del  27
luglio 2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo
regionale per la Campania, sezione I, n.  1985  del  7  aprile  2011,
promosso  dalla  Regione  Campania  con  ricorso  notificato  il   26
settembre 2011, depositato presso la cancelleria il 7 ottobre 2011 ed
iscritto al n. 11 del registro conflitti tra enti 2011. 
    Visti l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' l'atto di intervento, fuori termine,  dell'avvocato
Annarita Petrone; 
    udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 2012 il Giudice relatore
Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato Beniamino Caravita di  Toritto  per  la  Regione
Campania e l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso depositato presso la cancelleria della Corte  il
7 ottobre 2011 ed iscritto al n. 11 del registro conflitti del  2011,
regolarmente notificato al Presidente del Consiglio dei ministri,  in
data 26 settembre 2011  e  al  Consiglio  di  Stato  e  al  Tribunale
amministrativo regionale della Campania, in data 3 e 4 ottobre  2011,
la  Regione  Campania  ha  proposto  conflitto  di  attribuzione  nei
confronti del Presidente del Consiglio dei ministri,  per  violazione
dell'art. 122, quinto comma, della Costituzione,  in  relazione  alla
sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n.  4502  del  27  luglio
2011,  confermativa  della  sentenza  del  Tribunale   amministrativo
regionale per la Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011,  con
cui e'  stato  annullato  il  decreto  del  Presidente  della  Giunta
regionale di nomina di un assessore,  per  violazione  dell'art.  46,
comma 3, dello statuto della Regione Campania. 
    2. - Il giudice  amministrativo  era  stato  adito  dall'avvocato
Annarita Petrone, a tutela del proprio interesse  a  concorrere  alla
nomina ad assessore regionale in quota femminile,  la  quale  percio'
aveva impugnato il decreto presidenziale  di  nomina  dei  componenti
della Giunta regionale campana (decreto del Presidente  della  Giunta
della Regione Campania,  n.  106  del  19  maggio  2010),  nonche'  i
successivi decreti di rettifica, compreso  quello  con  il  quale  un
assessore dimissionario e' stato sostituito con la nomina di un nuovo
assessore di sesso maschile  (decreto  del  Presidente  della  Giunta
della Regione Campania, n. 136 del 16 luglio  2010,  Affari  generali
della Presidenza e collegamenti con  gli  assessori  -  Presa  d'atto
dimissioni Assessore Ernesto Sica - Nomina Dr. Vito  Amendolara).  La
ricorrente lamentava la violazione del  principio  della  parita'  di
genere  e  della  equilibrata  presenza  di  uomini  e  donne   nella
formazione degli organi e degli uffici regionali, di cui  agli  artt.
1, 5, 22, 35, 46 e  47  dello  statuto  della  Regione  Campania,  in
ragione della presenza di una sola  componente  di  sesso  femminile,
tanto  nella  composizione  originaria  dell'organo  esecutivo  della
Regione, quanto in quella  risultante  dopo  la  sostituzione  di  un
assessore dimissionario. 
    Il TAR Campania, sez. I, con sentenza del 7 aprile 2011, n. 1985,
ha accolto il ricorso, annullando solo il citato d. Pres. Giunta reg.
n. 136 del 2010, con cui il Presidente della Giunta aveva  sostituito
l'assessore dimissionario dott.  Ernesto  Sica,  con  il  dott.  Vito
Amendolara.  Tale  decreto,  secondo  il   TAR,   ha   reiterato   il
disequilibrio, gia' determinatosi in occasione della prima tornata di
investiture, tra componenti di sesso femminile e componenti di  sesso
maschile, in violazione del dettato  dell'art.  46,  comma  3,  dello
statuto  della  Regione  Campania,  che  richiede  invece  il  «pieno
rispetto del  principio  di  una  equilibrata  presenza  di  donne  e
uomini». 
    3. - La decisione  del  TAR  e'  stata  impugnata  dalla  Regione
Campania davanti al Consiglio di Stato, che  con  la  sentenza  della
sezione V, n.  4502  del  27  luglio  2011,  ha  respinto  l'appello,
confermando la decisione del giudice di primo grado. 
    Il Consiglio di Stato non ha accolto i motivi di appello proposti
dalla  Regione  Campania,  affermando  tra  l'altro  che   non   puo'
riconoscersi natura di "atto politico" ai  decreti  di  nomina  degli
assessori, nella misura in cui tali atti siano soggetti  al  rispetto
di criteri giuridici come quello relativo al «pieno rispetto  di  una
equilibrata presenza di donne e uomini», sancito dall'art. 46,  comma
3, dello  statuto  Campania.  Pertanto,  il  Consiglio  di  Stato  ha
ritenuto che gli atti di nomina  degli  assessori  siano  impugnabili
davanti al giudice amministrativo e che  non  sia  applicabile  nella
fattispecie l'art. 7 del decreto legislativo 2 luglio  2010,  n.  104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo), c.d. codice del processo amministrativo, in base  al
quale il ricorso  giurisdizionale  non  e'  ammesso  se  trattasi  di
provvedimenti  adottati  dal  Governo   nell'esercizio   del   potere
politico.  Ne'  il  giudice  amministrativo  ha  ritenuto  di   poter
accogliere la deduzione, avanzata dalla  Regione  Campania,  in  base
alla  quale  l'art.  46,  comma  3,  dello   statuto   regionale   ha
esclusivamente  valenza  programmatica  e  come  tale  e'  privo   di
efficacia vincolante. Nel merito, prosegue il Consiglio di Stato,  il
canone «dell'equilibrata presenza di donne ed uomini», che fungerebbe
da  limite  alla  pur  ampia  discrezionalita'  presidenziale   nelle
designazioni assessorili, non puo' dirsi soddisfatto con la nomina di
un unico componente di sesso femminile. 
    4. -  Nel  ricorso  per  conflitto  di  attribuzioni,  presentato
all'esame di questa Corte, la Regione contesta  l'assunto  alla  base
delle  decisioni  del   giudice   amministrativo,   con   particolare
riferimento a quella del Consiglio di Stato, che non  riconoscono  la
natura di "atto politico" ai decreti di nomina degli assessori. 
    La Regione, dopo aver rilevato che non puo' esserci alcun  dubbio
sull'ammissibilita' di un conflitto di attribuzione tra enti  avverso
un atto giurisdizionale, incentra i motivi di  ricorso  sulla  natura
politica dell'atto con cui il Presidente della Giunta  regionale,  in
forza dell'art. 122, quinto comma, Cost.  nomina  gli  assessori.  La
ricorrente  osserva  che  la  scelta   degli   assessori   si   fonda
sull'intuitus personae e non necessita di essere sorretta  da  alcuna
ulteriore motivazione. Di  conseguenza  la  Regione  ritiene  che  la
pronuncia di un organo  giurisdizionale,  che  abbia  ad  oggetto  la
validita' di un decreto di nomina della Giunta regionale o di  alcuni
dei suoi componenti, menomi i poteri assegnati dalla Costituzione  al
Presidente della Giunta regionale e sia pertanto lesiva delle proprie
attribuzioni. 
    Non inciderebbe sulla natura  politica  dell'atto  in  questione,
secondo  la  difesa  regionale,  neppure  la  presenza  di  norme  di
carattere promozionale, come l'art. 51 Cost., o  programmatico,  come
l'art. 117, settimo comma, Cost., o di principio, come appunto  viene
definito  l'art.  46,  comma  3,  dello   statuto   regionale.   Tali
disposizioni  non  avrebbero  la  necessaria  forza   giuridica   per
degradare l'atto politico in atto di alta  amministrazione.  Di  tali
disposizioni, ed in particolare, di quelle di principio, come  l'art.
46, comma 3, dello statuto - da cui non sarebbe possibile  trarre  un
contenuto  precettivo  di  carattere  vincolato,  secondo  la  difesa
regionale - possono farsi interpreti solo gli organi di governo della
Regione, senza andar soggetti a giudizio in sede giurisdizionale. 
    Infine, osserva la difesa della Regione, l'atto di  nomina  della
Giunta, sottratto ad ogni forma  di  sindacato  giurisdizionale,  non
sarebbe  comunque  indenne  da  forme   di   controllo   politico   e
istituzionale, dovendo il  Presidente  della  Giunta  rispondere  del
proprio operato davanti al Consiglio regionale e al corpo elettorale,
considerato  inoltre  che,  in  casi  estremi,  si  potrebbe  persino
giungere alla  rimozione  del  Presidente  che  abbia  compiuto  atti
contrari alla Costituzione o gravi  violazioni  di  legge,  ai  sensi
dell'art. 126, primo comma, della Costituzione. 
    Per le ragioni sopra richiamate, la Regione Campania  ha  chiesto
che venga dichiarato che non spettava allo Stato - per il tramite  di
un organo giurisdizionale - sindacare la  legittimita'  dell'atto  di
nomina di un assessore regionale da parte del Presidente della Giunta
della Regione Campania e di conseguenza che sia annullata la sentenza
del Consiglio di Stato, sezione  V,  n.  4502  del  27  luglio  2011.
Contestualmente  la  Regione  ricorrente  ha  depositato  istanza  di
sospensione cautelare dell'atto impugnato, poiche' l'esecuzione medio
tempore della decisione  del  Consiglio  di  Stato  concreterebbe  un
gravissimo  vulnus  alla  continuita'  dell'azione  amministrativa  e
istituzionale  della  Regione,  esponendola   a   gravi   rischi   di
interruzioni. 
    5. - Con atto depositato il 3 novembre 2011, si e' costituito  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che venga  dichiarata
l'inammissibilita' o, comunque, rigettato  il  ricorso,  e  frattanto
respinta l'istanza cautelare, presentata dalla Regione Campania. 
    L'inammissibilita' discenderebbe dal fatto che il ricorso lamenta
un difetto di interpretazione dell'art. 46, comma 3,  dello  statuto,
dal quale i giudici amministrativi hanno tratto un vincolo  giuridico
al potere di nomina degli assessori da  parte  del  Presidente  della
Giunta regionale. L'asserita  insindacabilita'  dell'atto  di  nomina
avrebbe dovuto essere fatta valere da parte della Regione in sede  di
ricorso per motivi di giurisdizione alle sezioni unite della Corte di
cassazione, organo al quale spetta sindacare il difetto  assoluto  di
giurisdizione. Il conflitto proposto dalla Regione davanti alla Corte
costituzionale costituirebbe percio' un mezzo  improprio  di  censura
del modo di esercizio della funzione  giurisdizionale,  inammissibile
per costante giurisprudenza della Corte costituzionale. 
    Il ricorso risulterebbe  inoltre  infondato  perche'  l'art.  46,
comma 3, dello statuto regionale non  si  limiterebbe  ad  affiancare
alle norme contenute negli artt. 51,  primo  comma,  e  117,  settimo
comma, della Costituzione un'altra e del  tutto  superflua  norma  di
principio ripetitiva delle prime, ma costituirebbe  attuazione  delle
richiamate norme costituzionali, vincolando le scelte del  Presidente
della Giunta regionale al "pieno rispetto" del principio  delle  pari
opportunita'   e   consentendone   di   conseguenza   il    sindacato
giurisdizionale  che  ne   verifichi   l'eventuale   violazione.   Ne
conseguirebbe che il rispetto della  norma  statutaria  debba  essere
ritenuta sindacabile in giudizio, senza in alcun modo impingere nella
fiduciarieta' che caratterizza la scelta degli assessori regionali. 
    In merito all'istanza di sospensione, l'Avvocatura generale dello
Stato sostiene che  essa  non  e'  assistita  da  imperiose  esigenze
cautelari, dal momento  che  i  pregiudizi  paventati  dalla  Regione
possono essere superati  ricorrendo  a  «meccanismi  di  sostituzione
interinale  ovvero  attraverso  l'esecuzione   della   sentenza   del
Consiglio di Stato, che non produrrebbe effetti irreversibili, tenuto
conto del potere di revoca  attribuito  al  Presidente  della  Giunta
dall'art. 122 Costituzione». 
    6. - In prossimita' della camera  di  consiglio  fissata  per  la
trattazione dell'istanza di sospensione ai sensi dell'art.  40  della
legge 11 marzo 1953, n. 87 e dell'art 26 delle norme integrative  per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la Regione  Campania  ha
depositato una memoria che ribadisce le ragioni  gia'  sostenute  nel
ricorso, insistendo per l'accoglimento dell'istanza  cautelare  e  la
sospensione dell'efficacia della sentenza del Consiglio di Stato. Per
quanto riguarda il periculum in mora la memoria  ribadisce  l'urgenza
che si riprenda  la  normale  attivita'  di  governo  della  Regione,
attivita' pregiudicata dalla sentenza del Consiglio di Stato. 
    7.  -  L'avvocato  Annarita  Petrone,  in  qualita'  di   diretta
interessata  alla  decisione  che  ha  provocato  il  conflitto,   ha
depositato fuori termine, il 7 novembre 2011, atto di intervento,  al
fine di resistere al ricorso presentato dalla Regione Campania  e  di
chiederne il rigetto. 
    8. - Con ordinanza n. 302 del 2011, pronunciata  all'esito  della
camera di consiglio del 9  novembre  2011,  nella  quale  sono  stati
sentiti i difensori delle  parti,  e  fatta  salva  ogni  valutazione
sull'ammissibilita' e sul  merito  del  conflitto,  questa  Corte  ha
rigettato l'istanza cautelare proposta  dalla  Regione  Campania,  in
quanto ha giudicato non sussistenti le «gravi  ragioni»  in  presenza
delle quali soltanto, ai sensi dell'art.  40  della  legge  11  marzo
1953, n. 87, possono essere sospesi gli effetti degli atti che  hanno
dato origine al conflitto, considerato che,  in  specie,  l'attivita'
della Giunta non risulta in alcun  modo  esposta  a  pregiudizio  per
effetto della sentenza del Consiglio di Stato. 
    9. - In prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha depositato una memoria in gran  parte  riassuntiva  delle
deduzioni gia' svolte  in  fase  cautelare,  nella  quale  si  rileva
altresi'  la  mancanza  del  necessario   tono   costituzionale   del
conflitto.  La  memoria  ribadisce  l'inammissibilita'  del  ricorso,
perche' la  questione  introdotta  si  risolverebbe  in  un  problema
puramente  interpretativo   della   norma   statutaria,   che   esula
manifestamente dalle  competenze  della  Corte.  Il  ricorso  sarebbe
comunque infondato, perche'  allo  statuto  regionale  e'  consentito
vincolare  la  scelta  degli  assessori   al   rispetto   di   canoni
predeterminati  dal  legislatore  regionale,  ivi   compreso   quello
dell'equilibrata presenza di donne e uomini. 
    10. - In occasione dell'udienza pubblica, la Regione Campania  ha
depositato un'ulteriore memoria, insistendo  per  l'accoglimento  del
ricorso, ulteriormente sviluppando gli argomenti gia' introdotti  con
gli interventi precedenti. In particolare la ricorrente, nel ribadire
integralmente le  ragioni  esposte  nell'atto  introduttivo  e  nella
memoria  depositata  in  occasione  della  discussione   sull'istanza
cautelare, ritiene che nel nuovo assetto regionale l'atto  di  nomina
di un assessore della Giunta regionale si configura  quale  autentico
esempio di atto politico. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Regione Campania ha proposto  conflitto  di  attribuzione
nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione
alla sentenza del Consiglio di Stato,  sezione  V,  n.  4502  del  27
luglio 2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo
regionale per la Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011,  con
cui e' stato annullato l'atto del Presidente della  Giunta  regionale
di nomina di un  assessore,  per  violazione  dell'art.  122,  quinto
comma, della Costituzione. 
    2.  -  L'intervento  dell'avvocato  Annarita  Petrone  -  diretta
interessata  alla  decisione  del  giudice  amministrativo   che   e'
all'origine del presente conflitto - e'  stato  depositato  oltre  il
termine stabilito dalle norme che disciplinano  il  giudizio  dinanzi
alla Corte costituzionale (artt. 25, secondo comma, e 41 della  legge
11 marzo 1953, n. 87, nonche' artt. 4, comma 4, e 25, comma 4,  delle
norme integrative per i giudizi davanti alla  Corte  costituzionale).
Tale  termine  e',  per  costante  orientamento  di   questa   Corte,
perentorio (ex plurimis sentenze n. 257 del 2007 e n. 190 del  2006).
Pertanto,  indipendentemente  da  ogni  altra  considerazione   sulla
partecipazione di soggetti diversi da quelli  espressamente  previsti
nel giudizio per conflitto  di  attribuzione  tra  Stato  e  Regioni,
l'intervento deve essere dichiarato  inammissibile  per  inosservanza
del termine. 
    3.  -  Il  conflitto  proposto  dalla   Regione   ricorrente   e'
inammissibile. 
    Occorre anzitutto osservare  che  gia'  nei  giudizi  davanti  al
giudice amministrativo la Regione aveva eccepito la natura  di  "atto
politico" che, in tesi, dovrebbe essere riconosciuta al  decreto  con
cui il Presidente della Regione  nomina  i  componenti  della  Giunta
regionale. La ricorrente  richiama  la  lunga  tradizione  giuridica,
risalente nel tempo - di cui  l'art.  7  del  decreto  legislativo  2
luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo  44  della  legge  18
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo  per  il  riordino  del
processo amministrativo), che riproduce l'art. 31 del  regio  decreto
26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul
Consiglio di Stato), costituirebbe solo la piu' recente espressione -
in virtu' della quale gli  atti  emanati  nell'esercizio  del  potere
politico sarebbero istituzionalmente e per natura sottratti  ad  ogni
sindacato giurisdizionale. Tale sarebbe anche il  caso  della  nomina
degli assessori da  parte  del  Presidente  della  Giunta  regionale,
specie  in  considerazione   del   peculiare   ruolo   attribuito   a
quest'ultimo nella forma di governo regionale, dopo la riforma  degli
statuti regionali attuata con la  legge  costituzionale  22  novembre
1999,  n.  1  (Disposizioni  concernenti   l'elezione   diretta   del
Presidente della Giunta  regionale  e  l'autonomia  statutaria  delle
Regioni). 
    In proposito,  occorre  osservare  che,  per  quanto  l'argomento
relativo alla  "natura  politica"  dell'atto  impugnato  fosse  stato
dedotto sin dal giudizio di fronte al TAR, la ricorrente non ha fatto
ricorso ai rimedi predisposti dall'ordinamento nel caso  di  indebito
sindacato del giudice amministrativo sui cosiddetti "atti  politici",
rimedi che avrebbero consentito di verificare che l'atto oggetto  del
giudizio fosse effettivamente sindacabile in sede  giurisdizionale  e
non rientrasse tra gli atti non impugnabili ai sensi dell'art. 7  del
citato d.lgs. n. 104 del 2010. Non risulta che  la  ricorrente  abbia
impugnato per presunto difetto assoluto di giurisdizione la  sentenza
del Consiglio di Stato, cosi' come  previsto  dall'art.  111,  ottavo
comma, della Costituzione, con ricorso ai sensi dell'art. 362,  primo
comma, del codice di procedura civile. 
    4. - In ogni caso, in questa sede deve essere accolta l'eccezione
di  inammissibilita'  sollevata  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, dato che la Regione Campania  ha  denunciato,  in  effetti,
semplici errores in iudicando riguardanti l'interpretazione dell'art.
46 dello statuto regionale, e ha dunque portato all'esame della Corte
un conflitto di attribuzioni che, ad un attento esame, si risolve  in
un improprio  mezzo  di  gravame  avverso  le  sentenze  del  giudice
amministrativo. 
    4.1. - A tal riguardo, occorre  ricordare  che  questa  Corte  e'
sempre chiamata a verificare se il ricorso per conflitto, al  di  la'
delle formali asserzioni a sostegno della prospettazione, si  traduca
in uno strumento atipico di impugnazione e come tale  risulti  quindi
inammissibile.  Non  vi  e'  dubbio,  infatti,   che   il   conflitto
intersoggettivo   possa   riguardare    anche    atti    di    natura
giurisdizionale; condizione pero' di ammissibilita' di tale  tipo  di
conflitto e' che esso non si risolva in un mezzo improprio di censura
del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo, contro
gli errori in iudicando, di  diritto  sostanziale  o  processuale,  i
consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle  diverse
giurisdizioni (tra le altre, le sentenze n. 72 del 2012, nn. 150 e  2
del 2007, n. 326 e n. 276  del  2003).  E'  chiaro,  quindi,  che  il
conflitto non puo'  surrettiziamente  trasformarsi  in  un  ulteriore
grado di giudizio avente portata generale. 
    Nella specie, la Regione Campania, benche' asserisca di non voler
portare all'esame della Corte costituzionale  il  modo  di  esercizio
della funzione giurisdizionale da parte del  giudice  amministrativo,
prospetta proprio un conflitto di tale contenuto, essendo il  ricorso
incentrato su un problema di interpretazione del diritto  vigente,  e
in particolare dell'art. 46, comma 3,  dello  statuto  della  Regione
Campania, in relazione al quale la ricorrente  contesta  il  percorso
ermeneutico seguito nella decisione del Consiglio di Stato. 
    4.2.  -  La  ricorrente  muove,  infatti,  dall'affermazione  che
nell'ordinamento    esistono    aree    sottratte    al     sindacato
giurisdizionale, in quanto espressive  di  attivita'  politica,  come
tali insindacabili da parte del giudice. Ne sarebbe  una  riprova  la
permanenza nell'ordinamento  dell'art.  7  del  codice  del  processo
amministrativo, nel quale, come ricordato poco sopra, si afferma  che
«non sono impugnabili gli atti o provvedimenti  emanati  dal  Governo
nell'esercizio  del  potere  politico».  A  conferma,  la  ricorrente
richiama la giurisprudenza dei  giudici  ordinari  e  amministrativi,
applicativa della norma menzionata,  la  quale,  peraltro,  e'  stata
particolarmente rigorosa nel delimitare  i  confini  della  categoria
degli atti non impugnabili davanti al giudice amministrativo (criteri
che in altra occasione anche questa Corte ha condiviso,  sentenza  n.
103 del 1993). 
    L'affermazione della ricorrente, quanto  all'esistenza  di  spazi
riservati alla scelta politica,  e'  condivisibile  e  suffragata  da
elementi  di  diritto  positivo.  Cio'  nondimeno,  gli  spazi  della
discrezionalita' politica trovano i  loro  confini  nei  principi  di
natura   giuridica   posti   dall'ordinamento,   tanto   a    livello
costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il  legislatore
predetermina canoni di legalita', ad essi la politica deve attenersi,
in ossequio ai fondamentali principi dello Stato  di  diritto.  Nella
misura in cui l'ambito di estensione del potere discrezionale,  anche
quello amplissimo che connota un'azione di governo,  e'  circoscritto
da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i  confini  o  ne
indirizzano l'esercizio, il rispetto di tali vincoli  costituisce  un
requisito di legittimita' e di validita' dell'atto, sindacabile nelle
sedi appropriate. 
    4.3. - Nel caso portato all'esame  della  Corte,  il  legislatore
regionale della Campania, nell'esercizio dell'autonomia  politica  ad
esso accordata dall'art. 123 della Costituzione, ha ritenuto di dover
delimitare  il  libero  apprezzamento  del  Presidente  della  Giunta
regionale nella scelta degli assessori, stabilendo alcuni vincoli  di
carattere  generale,  in  sede  di  elaborazione  dello  statuto.  Ad
esempio, con una previsione che contraddistingue lo  statuto  campano
da quello di  altre  regioni,  il  legislatore  regionale  ha  voluto
predeterminare il  numero  dei  componenti  della  Giunta  regionale,
prevedendo esplicitamente che essa sia «composta dal Presidente e  da
dodici assessori, compreso il  vicepresidente»  (art.  50,  comma  2,
statuto Campania). Parimenti, per  quanto  riguarda  l'individuazione
dei componenti dell'esecutivo regionale, lo statuto, pur  preservando
in  capo  al  Presidente  il  piu'  ampio  margine  di   scelta   per
permettergli di comporre la Giunta secondo le proprie valutazioni  di
natura politica e  fiduciaria,  prescrive  che  gli  assessori  siano
nominati «nel pieno rispetto del principio di un'equilibrata presenza
di donne e uomini» (art. 46, comma 3), di talche' la discrezionalita'
spettante al Presidente risulta arginata dal rispetto di tale canone,
stabilito dallo statuto, in armonia con l'articolo 51, primo comma, e
117, settimo comma, della Costituzione. 
    La circostanza che il  Presidente  della  Giunta  sia  un  organo
politico ed eserciti un potere politico,  che  si  concretizza  anche
nella nomina degli assessori, non comporta  che  i  suoi  atti  siano
tutti e sotto ogni profilo  insindacabili.  Ne',  d'altra  parte,  la
presenza di alcuni vincoli altera, di per se', la natura politica del
potere  esercitato  dal  Presidente  con  l'atto  di   nomina   degli
assessori, ma piuttosto ne delimita lo spazio di azione. 
    L'atto di nomina degli assessori risultera', dunque,  sindacabile
in sede giurisdizionale, se e  in  quanto  abbia  violato  una  norma
giuridica. 
    4.4. - Cosi' inteso, il conflitto proposto dalla Regione Campania
si risolve in un problema di corretta individuazione della  natura  e
della portata dei  vincoli  stabiliti  dall'art.  46  dello  statuto,
problema che - come tutte le questioni di interpretazione  -  rientra
nelle funzioni dell'autorita' giudiziaria, e che questa Corte non  e'
chiamata a sindacare in sede di conflitto di attribuzioni. Per queste
ragioni si deve concludere che il conflitto di attribuzione  promosso
dalla Regione Campania e' inammissibile.