ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
19 febbraio 2009 (Doc. IV-ter, n. 7), relativa  all'insindacabilita',
ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione,  delle
opinioni espresse dal senatore Raffaele Lino Iannuzzi  nei  confronti
del dott. Antonio Ingroia, promosso dal Tribunale ordinario di Monza,
sezione distaccata di Desio, con  ricorso  notificato  il  30  giugno
2010, depositato in cancelleria il  2  agosto  2010  ed  iscritto  al
registro conflitti tra poteri dello Stato n. 13  del  2009,  fase  di
merito. 
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 2012 il Giudice relatore
Giorgio Lattanzi; 
    udito l'avvocato Francesco Saverio Bertolini per il Senato  della
Repubblica. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso depositato in cancelleria  il  16  dicembre  2009
(confl. pot. amm. n. 13 del 2009)  il  Tribunale  di  Monza,  sezione
distaccata  di  Desio,  in  composizione  monocratica,  ha   proposto
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e  ha  chiesto  alla
Corte costituzionale di dichiarare che non spettava al  Senato  della
Repubblica affermare  che  i  fatti  per  i  quali  e'  in  corso  un
procedimento penale a  carico  di  Raffaele  Lino  Iannuzzi,  per  il
delitto di cui agli articoli 595 del codice penale e 13 della legge 8
febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla  stampa)  nei  confronti  di
Antonio Ingroia, concernono  opinioni  espresse  da  un  parlamentare
nell'esercizio delle sue funzioni in  quanto  tali  insindacabili  ai
sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, e  di  annullare
conseguentemente la deliberazione che il Senato aveva adottato il  19
febbraio 2009, recependo la proposta della Giunta  delle  elezioni  e
delle immunita' parlamentari. 
    Il  ricorrente  rileva  che  la  condotta  ascritta  al  senatore
Iannuzzi consiste nell'aver pubblicato il giorno 8 ottobre 2006,  sul
quotidiano "Il Giornale", un articolo  dal  titolo  «Covo  Riina,  il
processo a Mori risorge da Santoro», in cui aveva offeso l'onore e la
reputazione del dott. Ingroia, rappresentante del pubblico  ministero
nel processo a carico dei R.O.S. dei Carabinieri. Secondo il capo  di
imputazione il  parlamentare  nell'articolo  aveva  scritto  «che  il
procedimento penale nei confronti degli imputati Mori e De Caprio  e'
stato   condotto   dal   Pubblico   Ministero   con   l'intento    di
"chiacchierare",  "insozzare",   "sputtanare",   "perseguitare"   gli
imputati mediante  "indagini  a  vuoto,  basate  sul  nulla  e  finte
richieste di archiviazione fatte apposta per riaprire le indagini  il
giorno dopo. All'infinito"; che con il medesimo intento, l'iscrizione
dei nominativi degli imputati nel registro delle notizie di reato  fu
eseguita "solo per farne parlare i  giornali,  per  insozzare  e  per
sputtanare, per "mascariare", tingere di carbone Mori e  De  Caprio";
che dopo l'assoluzione degli indagati il  PM  Ingroia  e'  andato  di
persona  ad  accusarli  di  nuovo  e  ad  infamarli   dinnanzi   alla
"Cassazione di Michele Santoro", dove, partecipando in prima  persona
alla trasmissione di quest'ultimo,  "ha  discettato  sul  suo  stesso
processo", spiegando che "in  sostanza  Mori  e  De  Caprio,  benche'
assolti, sono sempre colpevoli"». 
    Secondo il tribunale le dichiarazioni  oggetto  del  procedimento
penale  non  sarebbero  riferibili  alla  funzione  parlamentare  del
senatore  Iannuzzi,  perche'  dalla  relazione  della  Giunta   delle
elezioni e delle immunita' parlamentari  e  dalla  deliberazione  del
Senato della Repubblica  non  emergerebbe  alcun  atto  tipico  della
funzione  parlamentare  cui  ricondurre  l'articolo  che  si   assume
diffamatorio. 
    Il ricorrente osserva che per  giustificare  la  guarentigia  non
sarebbero sufficienti le argomentazioni svolte dal senatore  Iannuzzi
nell'intervento effettuato dinanzi all'Assemblea il 16 dicembre 2008,
secondo le quali il contenuto dell'articolo in questione  sarebbe  da
considerare  necessariamente  connesso  all'attivita'   parlamentare,
«atteso che la ragione stessa della sua elezione a senatore  riposava
esclusivamente nella  sua  attivita'  giornalistica».  Parimenti  non
condivisibile sarebbe l'affermazione della relazione di  maggioranza,
secondo cui non sarebbe possibile scindere l'attivita' di giornalista
da quella di senatore, «stante l'intervenuto mutamento  della  figura
del giornalista politico», che renderebbe impossibile la  distinzione
fra l'attivita' svolta  in  questa  qualita'  e  quella  strettamente
politica, coperta dall'immunita' prevista dall'art. 68 Cost. 
    2.- Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con  l'ordinanza
n. 191 del 2010. In seguito ad essa il Tribunale  di  Monza,  sezione
distaccata di Desio, ha notificato il ricorso e l'ordinanza al Senato
della  Repubblica  il  30  giugno  2010,  poi,  con  plico  trasmesso
avvalendosi del servizio postale il 30 luglio 2010 e  pervenuto  alla
Corte il 2 agosto  2010,  ha  depositato  tali  atti,  con  la  prova
dell'avvenuta notificazione. 
    3.- Il Senato della Repubblica si e' costituito in  giudizio  con
memoria depositata il 4 agosto 2010 e ha chiesto che  sia  dichiarata
l'infondatezza del conflitto. 
    Il   Senato,   richiamata   la   giurisprudenza    della    Corte
costituzionale  in  ordine  alle  prerogative   di   insindacabilita'
parlamentare,  ha  sostenuto  che  non  sarebbe   piu'   attuale   la
«definizione del nesso funzionale agli atti tipici della funzione  di
parlamentare, auspicando l'adozione di  nuovi  e  concreti  parametri
quali chiavi ermeneutiche utili  alla  ricostruzione  della  suddetta
funzione». 
    Il Senato ha concluso chiedendo che  il  ricorso  sia  dichiarato
infondato, in quanto sarebbe sussistente il suo potere di  dichiarare
insindacabili le opinioni espresse dal  senatore  Iannuzzi  ai  sensi
dell'art. 68, primo comma, Cost. 
    4.- Con memoria depositata il  15  maggio  2012,  la  difesa  del
Senato della Repubblica ha segnalato che la notificazione del ricorso
al Senato e' stata eseguita il 30 giugno  2010,  mentre  il  relativo
deposito nella cancelleria della Corte risulta avvenuto il  2  agosto
2010, sicche' il conflitto sarebbe improcedibile  per  l'inosservanza
del termine previsto dall'art. 24, comma 3, delle  Norme  integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    Il  ricorso,  inoltre,  sarebbe  inammissibile,  in  quanto,  non
riportando il contenuto testuale  della  dichiarazione  del  senatore
Iannuzzi, si limiterebbe a «riprodurre il capo  di  imputazione,  nel
quale peraltro  sono  riportate,  virgolettate,  soltanto  pochissime
parole che la pubblica accusa individua come diffamatorie». 
    Ad avviso della difesa del Senato, un ricorso per menomazione non
potrebbe essere accolto qualora il ricorrente non fornisca tutti  gli
elementi  (in  primo  luogo,  il  testo   integrale   oggetto   della
controversia) necessari per dimostrare  la  fondatezza  dell'asserita
menomazione; nel caso di specie, il ricorrente avrebbe riassunto  «in
poco piu' di dieci righe il testo di un articolo su un quotidiano  ed
il contenuto di un'intervista televisiva». 
    La memoria segnala che gran  parte  dell'attivita'  del  senatore
Iannuzzi ha riguardato questioni inerenti a condotte  giudiziarie  di
alcuni magistrati: al riguardo vengono richiamate tre  interrogazioni
parlamentari relative, rispettivamente, a un magistrato della Procura
della Repubblica  di  Agrigento,  all'azione  della  magistratura  di
Reggio Calabria e a un processo nei  confronti  di  un  imputato  per
reato ministeriale.  Gli  atti  funzionali  evocati,  anteriori  alle
dichiarazioni "incriminate" nel presente giudizio, presenterebbero un
collegamento tematico con il contenuto  di  queste,  anche  se  forse
manca «una sostanziale corrispondenza di significato,  ancorche'  non
testuale»,  ma  sarebbe  «tuttavia  da  chiedersi  se   sia   proprio
ragionevole che sia la carenza di questo dato cognitivo a privare del
carattere divulgativo le dichiarazioni medesime». 
    Conclude, quindi, la difesa del Senato osservando che sarebbe del
tutto logico estendere l'area dell'insindacabilita' anche a forme  di
divulgazione di una pluralita' di atti parlamentari,  che  presentino
coincidenza tematica o  argomentativa  con  le  opinioni  rese  extra
moenia. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale  di  Monza,  sezione  distaccata  di  Desio,  in
composizione monocratica, ha promosso conflitto di  attribuzione  tra
poteri dello Stato e ha chiesto a questa Corte di dichiarare che  non
spettava al Senato della Repubblica di affermare che i  fatti  per  i
quali e' in corso un procedimento penale a carico  di  Raffaele  Lino
Iannuzzi, per il delitto di cui agli artt. 595 del codice penale e 13
della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni  sulla  stampa)  nei
confronti di Antonio Ingroia,  concernono  opinioni  espresse  da  un
parlamentare  nell'esercizio  delle  sue  funzioni  in  quanto   tali
insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione,
e di annullare conseguentemente la deliberazione che il Senato  aveva
adottato il 19 febbraio 2009,  recependo  la  proposta  della  Giunta
delle elezioni e delle immunita' parlamentari. 
    2.-  Preliminarmente,   deve   rilevarsi   l'infondatezza   delle
eccezioni proposte dalla difesa del Senato della  Repubblica  e  deve
essere confermata l'ammissibilita'  del  conflitto,  sussistendone  i
presupposti soggettivi ed oggettivi, come  gia'  ritenuto  da  questa
Corte con l'ordinanza n. 191 del 2010. 
    2.1.-  Con   la   prima   eccezione   il   Senato   ha   eccepito
l'improcedibilita' del conflitto  perche'  il  deposito  del  ricorso
dichiarato ammissibile, con la prova delle notificazioni  eseguite  a
norma dell'art. 37, comma quarto, della legge 11 marzo 1953,  n.  87,
sarebbe avvenuto  oltre  «il  termine  perentorio  di  trenta  giorni
dall'ultima notificazione», fissato  dall'art.  24,  comma  3,  delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    L'eccezione e' priva di fondamento. 
    E' vero che la notificazione del ricorso e' avvenuta il 30 giugno
2010 e che il plico con il ricorso e la prova della notificazione  e'
pervenuto alla cancelleria della Corte, a mezzo posta, il  successivo
2 agosto, ma e' anche vero  che  la  spedizione  e'  avvenuta  il  30
luglio, nell'osservanza del termine perentorio di  trenta  giorni,  e
che cio' basta per  far  escludere  l'improcedibilita'.  Infatti,  ai
sensi dell'art. 28, comma 2, delle norme  integrative,  nel  caso  di
deposito  effettuato  avvalendosi  del  servizio  postale,  ai   fini
dell'osservanza  dei  termini  per  il  deposito  vale  la  data   di
spedizione postale. 
    2.2.- Anche l'eccezione di inammissibilita' proposta dalla difesa
del Senato non e' fondata. 
    Secondo la giurisprudenza di questa  Corte,  affinche'  si  possa
verificare «la sostanziale identita'» tra le dichiarazioni rese extra
moenia da un parlamentare e gli atti di funzione dallo  stesso  posti
in  essere,  «il  ricorrente  ha  l'onere  di   riportare   nell'atto
introduttivo  del  giudizio  le   espressioni   ritenute   offensive»
(sentenza n. 52 del 2007; nello stesso senso, ex  plurimis,  sentenza
n. 291 del 2007).  Con  specifico  riguardo  alla  descrizione  delle
condotte  extra  moenia  del  parlamentare  operata  dal   ricorrente
attraverso il riferimento ai capi di imputazione  formulati  in  sede
penale, questa Corte ha ritenuto l'inammissibilita' del ricorso in un
caso in cui - a  fronte  di  un'imputazione  nei  confronti  di  vari
soggetti a titolo di concorso nel reato  -  non  risultava  possibile
stabilire se quella ascrivibile ai parlamentari incriminati fosse  la
realizzazione  di  un  comportamento  di  carattere  materiale  o  la
manifestazione di una opinione (sentenza n. 267  del  2005);  analoga
decisione e' stata adottata per un  ricorso  che  rinviava,  ai  fini
della  descrizione  dei  fatti,   a   dichiarazioni   da   intendersi
«integralmente riportate», ma non risultanti dagli atti (sentenza  n.
307 del 2008).  In  altra  occasione,  invece,  la  riproduzione  nel
ricorso dell'imputazione  formulata  dal  pubblico  ministero,  nella
quale  erano  state  riportate  le   affermazioni   offensive   della
reputazione delle persone coinvolte nella vicenda, e' stata  ritenuta
idonea a  far  conoscere  le  dichiarazioni  rese  extra  moenia  dal
parlamentare, come esige il principio  di  autosufficienza  dell'atto
introduttivo del giudizio (sentenza n. 330 del 2008). 
    Cio' che viene in rilievo ai fini dell'ammissibilita' del ricorso
e' l'attitudine del riferimento al capo di imputazione  formulato  in
sede penale a «consentire alla Corte di raffrontare le  dichiarazioni
extra  moenia  con  il  contenuto  di  atti  tipici  della   funzione
parlamentare» (sentenza n. 271 del 2007), e tale attitudine nel  caso
in  esame  non  e'  contestabile,  tenuto   conto   dell'analiticita'
dell'imputazione ascritta al parlamentare e riportata nel ricorso. 
    3.- Nel merito, il ricorso e' fondato. 
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte, per ravvisare un nesso
funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un  parlamentare
e l'espletamento delle sue funzioni -  al  quale  e'  subordinata  la
prerogativa dell'insindacabilita' di cui all'art.  68,  primo  comma,
Cost. - e' necessario che le stesse possano essere riconosciute  come
espressione dell'esercizio  di  attivita'  parlamentare  (ex  multis,
sentenze n. 98 e n. 96 del 2011, n. 330 e n. 135 del 2008). 
    Nel conflitto in esame,  ne'  la  relazione  della  Giunta  delle
elezioni e delle immunita' parlamentari,  ne'  la  deliberazione  del
Senato  della  Repubblica  indicano  atti  parlamentari  tipici   del
senatore Iannuzzi, anteriori o contestuali alle dichiarazioni oggetto
dell'imputazione, ai quali, per il loro contenuto, le stesse  possano
essere riferite, ed  e'  per  questa  ragione  che  la  Giunta  delle
elezioni e delle immunita' parlamentari si e' limitata  ad  auspicare
un «salto interpretativo della giurisprudenza costituzionale, volto a
ritenere sussistente il nesso funzionale in tutte le occasioni in cui
il  parlamentare  raggiunga  il  cittadino,  illustrando  la  propria
posizione». Cio' soprattutto nelle ipotesi, quale quella in esame, in
cui il parlamentare svolge o abbia svolto attivita'  di  giornalista,
la quale andrebbe considerata «come parte della piu' ampia  attivita'
di politico ed espressamente, per quanto atipica, del relativo  ruolo
istituzionale». 
    La circostanza,  invocata  dalla  relazione  della  Giunta  delle
elezioni e delle immunita' parlamentari, che il senatore, prima della
sua elezione, svolgesse attivita' di  giornalista  e  che,  per  tale
ragione, sia stato scelto dagli elettori non vale a estendere, a  suo
favore, l'ambito di operativita' della garanzia  di  insindacabilita'
sancita dall'art. 68 Cost. Anche con riferimento al parlamentare  che
svolge  o  abbia  svolto   attivita'   giornalistica,   infatti,   la
divulgazione  di  idee,  prive  del   requisito   della   sostanziale
corrispondenza di significato con le opinioni espresse nell'esercizio
di funzioni parlamentari, puo' inquadrarsi «nella  normale  attivita'
di critica politica che il parlamentare e' libero di svolgere al pari
di  qualunque  cittadino,  senza  fruire,  peraltro,  di   specifiche
clausole di immunita' che finirebbero per coinvolgere e compromettere
- senza una specifica relazione con la  logica  di  garanzia  sottesa
all'art. 68, primo comma,  Cost.  -  i  diritti  dei  terzi  a  veder
tutelata in sede giurisdizionale la propria  immagine  e  la  propria
onorabilita'» (sentenza n. 82 del 2011). 
    Nel caso di specie, difetta dunque il  nesso  funzionale  tra  le
affermazioni  oggetto  del  procedimento  penale  ed  eventuali  atti
compiuti in sede parlamentare. 
    In senso contrario non  puo'  farsi  utilmente  riferimento  alle
interrogazioni parlamentari richiamate dalla difesa del Senato  nella
memoria depositata in prossimita' dell'udienza. Si tratta infatti  di
interrogazioni che riguardano vicende o magistrati diversi da  quello
cui si riferiscono le espressioni per le quali procede  il  Tribunale
di Monza e non  e'  individuabile,  rispetto  ad  esse,  alcun  nesso
funzionale con le dichiarazioni relative al dott. Ingroia, rese extra
moenia. Inoltre, come questa Corte ha affermato in  altra  occasione,
«il mero "contesto politico" o comunque l'inerenza a temi di  rilievo
generale dibattuti in Parlamento, entro cui le dichiarazioni  oggetto
del presente conflitto si possano collocare, non connota di  per  se'
tali dichiarazioni  quali  espressive  della  funzione  parlamentare.
Infatti, ove esse non costituiscano la sostanziale riproduzione delle
specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle
proprie attribuzioni e quindi non siano  il  riflesso  del  peculiare
contributo che ciascun deputato o ciascun senatore apporta alla  vita
parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come  tale
coperto,    a    garanzia    delle    prerogative    delle    Camere,
dall'insindacabilita'),  esse  devono  essere  considerate  come   un
diverso contributo al  dibattito  politico,  riferito  alla  pubblica
opinione  usufruendo  della  libera   manifestazione   del   pensiero
assicurata a tutti dall'art. 21 della Costituzione (sentenze  n.  302
del 2007 e n. 260 del 2006)» (sentenza n. 134 del 2008). 
    Pertanto, si deve concludere  che  la  deliberazione  del  Senato
della Repubblica impugnata ha  leso  le  attribuzioni  dell'autorita'
giudiziaria ricorrente e deve essere annullata.