ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli  1,
comma  2,  del  decreto  legislativo  15  dicembre   1997,   n.   446
(Istituzione  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'   produttive,
revisione  degli  scaglioni,  delle  aliquote  e   delle   detrazioni
dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonche'  riordino  della  disciplina  dei  tributi  locali),  6   del
decreto-legge 29  novembre  2008,  n.  185  (Misure  urgenti  per  il
sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per  ridisegnare
in funzione anti-crisi il quadro strategico  nazionale),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e 99 del d.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle  imposte
sui redditi), promossi dalla Commissione  tributaria  provinciale  di
Bologna con ordinanza del 3 aprile 2009, dalla Commissione tributaria
regionale di Bari con due ordinanze del 24 settembre  2010  e  del  5
novembre 2010, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma  con
ordinanza del 28 aprile 2010, dalla Commissione tributaria  regionale
della Lombardia del 18 maggio 2011  e  dalla  Commissione  tributaria
provinciale di Foggia con ordinanza  dell'8  aprile  2011,  ordinanze
rispettivamente iscritte al n. 190 del registro ordinanze 2009  e  ai
nn. 63, 64, 68, 195 e 262 del registro ordinanze  2011  e  pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  27,  prima   serie
speciale, dell'anno 2009 e 16, 17, 41 e  53,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2011. 
    Visti gli atti di costituzione di Bartolini Spa ed  altre,  della
Fida  Spa  (fuori  termine),  nonche'  gli  atti  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 18 settembre 2012 e nella  camera
di consiglio  del  19  settembre  2012  il  Giudice  relatore  Sabino
Cassese; 
    uditi l'avvocato Andrea Bodrito per la Bartolini Spa ed  altre  e
l'avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto   che,   con   sei    distinte    ordinanze,    iscritte
rispettivamente nel reg. ord. n. 190 del 2009 e nn. 63, 64, 68, 195 e
262 del 2011, cinque  Commissioni  tributarie  hanno  sollevato,  con
riferimento  ad  anni  d'imposta  dal  2001  al  2007,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  2,  del   decreto
legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446  (Istituzione  dell'imposta
regionale sulle  attivita'  produttive,  revisione  degli  scaglioni,
delle aliquote e delle detrazioni dell'IRPEF  e  istituzione  di  una
addizionale  regionale  a  tale  imposta,  nonche'   riordino   della
disciplina dei tributi locali), in relazione agli artt. 3,  35  e  53
della Costituzione; 
    che, inoltre, la  Commissione  tributaria  provinciale  di  Parma
(reg.  ord.  n.  68  del  2011)  ha  censurato  anche  l'art.  6  del
decreto-legge 29  novembre  2008,  n.  185  (Misure  urgenti  per  il
sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per  ridisegnare
in funzione anti-crisi il quadro strategico  nazionale),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e l'art. 99 del
d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo  unico  delle
imposte sui redditi), invocando altresi' gli artt. 2, 4 e  41,  primo
comma, Cost.; 
    che l'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n.  446  del  1997
stabilisce che l'imposta regionale sulle attivita' produttive  (IRAP)
«ha carattere reale e non e' deducibile ai  fini  delle  imposte  sui
redditi»,  mentre  l'art.  6  del  decreto-legge  n.  185  del  2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2,  ha
dettato norme sulla deduzione dall'IRES e dall'IRPEF della  quota  di
IRAP relativa al costo del lavoro e degli interessi, prevedendo  che:
«1. A decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31  dicembre  2008,
e' ammesso in deduzione ai sensi dell'articolo 99, comma 1, del testo
unico delle imposte sui redditi, approvato con il d.P.R. 22  dicembre
1986, n. 917 e successive modificazioni, un importo pari  al  10  per
cento dell'imposta regionale sulle attivita'  produttive  determinata
ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 15
dicembre 1997, n. 446, forfetariamente  riferita  all'imposta  dovuta
sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati  al
netto degli interessi attivi e proventi assimilati. 2.  In  relazione
ai periodi d'imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2008,
per i quali e' stata comunque presentata, entro  il  termine  di  cui
all'articolo 38  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973, n. 602, istanza per il  rimborso  della  quota  delle
imposte sui redditi corrispondente alla quota dell'IRAP riferita agli
interessi passivi ed  oneri  assimilati  ovvero  alle  spese  per  il
personale dipendente e assimilato, i contribuenti hanno diritto,  con
le modalita' e nei limiti stabiliti al comma 4, al rimborso  per  una
somma fino ad un massimo del 10  per  cento  dell'IRAP  dell'anno  di
competenza, riferita forfetariamente ai suddetti  interessi  e  spese
per il personale, come determinata ai sensi del comma 1»; 
    che l'art. 99 del d.P.R. n. 917 del 1986 stabilisce, al comma  1,
che: «Le imposte sui redditi e quelle per le  quali  e'  prevista  la
rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione.  Le  altre
imposte sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento»; 
    che, con la prima delle  sei  ordinanze  indicate  in  epigrafie,
emanata il 3 aprile 2009 (reg. ord. n. 190 del 2009), la  Commissione
tributaria  provinciale  di  Bologna,  ha  sollevato   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  2,  del   decreto
legislativo n. 446 del 1997, nella  parte  in  cui  non  consente  ai
soggetti passivi dell'IRAP di dedurre tale imposta dall'imponibile ai
fini dell'imposta sul reddito  delle  persone  giuridiche  (IRPEG)  e
dell'Imposta sul reddito delle societa' (IRES), con riferimento  agli
articoli 3, 35 e 53 Cost.; 
    che il giudice rimettente riferisce che il giudizio principale ha
ad oggetto un ricorso presentato avverso il silenzio-rifiuto  opposto
dall'ufficio  all'istanza  per  l'ottenimento  del  rimborso,   oltre
interessi, delle maggiori imposte IRPEG-IRES pagate negli anni  2003,
2004  e  2005,  a  motivo  della  mancata  possibilita'  di   dedurre
dall'imponibile IRPEG-IRES la quota di IRAP corrispondente  al  costo
del lavoro e agli oneri finanziari; 
    che, quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  la  Commissione
tributaria provinciale di Bologna osserva che  l'indeducibilita'  del
4,25 per cento dei costi di lavoro e di capitale dal reddito soggetto
all'imposta personale, prevista dall'art. 1,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 446 del 1997, anche dopo l'entrata in vigore dell'art.
6  del  decreto-legge  n.  185  del   2008   sia   costituzionalmente
illegittima in quanto sarebbe violato: l'art. 3 Cost.,  con  riguardo
al principio di uguaglianza, perche'  «viene  sottoposto  a  maggiore
tassazione chi faccia ricorso alla forza  lavoro  e  al  capitale  di
prestito, rispetto a chi invece non ne faccia uso»; l'art. 35,  primo
comma, Cost., in quanto  la  norma  violerebbe  «il  principio  della
tutela del lavoro, in relazione alla penalizzazione  del  ricorso  al
fattore della produzione "lavoro", aggravato e quindi  "scoraggiato",
da una maggiore tassazione»; l'art. 53, primo comma,  Cost.,  perche'
l'indeducibilita' dell'IRAP dall'imposta personale comporterebbe  che
due imprese, una con costi di lavoro e/o interessi  passivi,  l'altra
priva, si troverebbero a corrispondere imposte  personali  in  misura
diversa, in quanto sulla prima inciderebbero in piu' sull'imponibile,
nella misura del 4,25  per  cento  i  costi  di  lavoro  e  di  oneri
finanziari non deducibili dall'IRAP, sulla seconda no; 
    che, quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria provinciale
di Bologna  osserva  che  il  giudizio  principale  non  puo'  essere
definito in assenza della risoluzione della questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo  n.  446
del  1997,  anche  dopo  l'entrata  in   vigore   dell'art.   6   del
decreto-legge n. 185 del 2008; 
    che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte il
28 luglio 2009, si  e'  costituito  in  giudizio  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, sostenendo l'inammissibilita' e,  comunque,  la
non fondatezza della questione; 
    che, quanto all'ammissibilita', la difesa dello Stato osserva che
il giudice rimettente si limiterebbe  a  trascrivere  l'eccezione  di
illegittimita'  costituzionale  cosi'  come  sollevata  dalla   parte
ricorrente, senza  fornire  quindi  alcuna  autonoma  motivazione  in
merito alla non manifesta infondatezza; 
    che, nel merito, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  rileva  la
manifesta infondatezza della  questione,  sia  perche'  la  legge  ha
sempre «tendenzialmente escluso la deducibilita'  dall'imponibile  di
oneri  di  natura  fiscale»,  sia   in   base   alla   giurisprudenza
costituzionale, che lascerebbe  alla  valutazione  discrezionale  del
legislatore il compito di  individuare  gli  oneri  deducibili  dalle
imposte; 
    che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte il
28 luglio 2009, si e' costituita in  giudizio  la  Bartolini  s.p.a.,
ricorrente nel giudizio principale, sottolineando  la  illegittimita'
costituzionale,  in  relazione  agli  articoli  3,  35  e  53  Cost.,
dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997,  nella
parte in cui sancisce che l'IRAP, anche afferente il costo del lavoro
e gli  interessi  passivi,  «non  e'  deducibile  dalle  imposte  sui
redditi»; 
    che la Commissione tributaria regionale di Bari, con la seconda e
la terza delle ordinanze indicate in epigrafe, una del  24  settembre
2010 (reg. ord. n. 63 del 2011) e l'altra del 5 novembre  2010  (reg.
ord.  n.  64  del  2011),  di  identico  tenore,  ha  sollevato,   in
riferimento agli articoli 3, 35 e 53 Cost., questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo  n.  446
del 1997; 
    che il giudice rimettente riporta che due  imprese  di  Bari,  la
Ionica Trasporti s.r.l. (reg. ord. n.  63  del  2011)  e  l'Abruzzese
Trasporti s.r.l. (reg. ord.  n.  64  del  2011),  avevano  presentato
ricorso dinanzi  alla  Commissione  tributaria  provinciale  di  Bari
avverso il silenzio-rifiuto alla restituzione d'imposta  dell'Agenzia
delle  entrate,  domandando  il  rimborso  dell'indebito   versamento
dell'imposta IRES, per gli anni 2003, 2004, 2005  e  2006,  e  che  i
ricorsi erano stati rigettati; 
    che entrambe le  ricorrenti  hanno  proposto  appello,  eccependo
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 446 del 1997, contestando l'interpretazione  data  dai
giudici di prime cure all'ordinanza  n.  258  del  2009  della  Corte
costituzionale; 
    che il  giudice  rimettente  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo  n.  446
del 1997, perche' l'indeducibilita' del 4,25 per cento dei  costi  di
lavoro e di  capitale  dal  reddito  soggetto  all'imposta  personale
sarebbe in contrasto con i seguenti articoli  della  Costituzione:  3
(principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge violato,
laddove viene sottoposto a maggiore  tassazione  chi  faccia  ricorso
alla forza lavoro e al capitale di prestito, rispetto  a  chi  invece
non ne faccia uso), 35 (principio della tutela del lavoro aggravato e
quindi scoraggiato, da una maggiore tassazione) e 53 (principio della
capacita'   produttiva,   in   quanto   l'indeducibilita'   dell'IRAP
dall'imposta personale comporta che il 4,25 per cento del  costo  del
lavoro e degli interessi passivi  aumenti  l'imponibile  soggetto  al
reddito d'impresa, per cui i predetti costi, deducibili  al  100  per
cento, ai fini dell'imposta stessa, dopo tale variazione, conseguente
all'indeducibilita' IRAP, diventano, di fatto, deducibili dal tributo
personale solo nella misura del 95,75 per cento); 
    che, con atti depositati presso la cancelleria di questa Corte in
data 3 maggio 2011,  si  e'  costituito  in  entrambi  i  giudizi  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  sostenendo  l'inammissibilita'
e, comunque, la non fondatezza delle questioni; 
    che con atti depositati presso la cancelleria di questa Corte  il
14 aprile 2011, si sono costituite in giudizio  la  Ionica  Trasporti
s.r.l., ricorrente nel giudizio principale di cui alla reg.  ord.  n.
63 del 2011, e la Abruzzese Trasporti s.r.l., ricorrente nel giudizio
principale di cui alla reg.  ord.  n.  64  del  2011,  rimarcando  la
illegittimita' costituzionale, in relazione agli articoli 3, 35 e  53
Cost., dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997,
nella parte in cui sancisce che l'IRAP, anche afferente il costo  del
lavoro e gli interessi passivi, «non e' deducibile dalle imposte  sui
redditi»; 
    che la Commissione tributaria provinciale di Parma, con la quarta
delle ordinanze indicate in epigrafe, emanata il 28 aprile 2010 (reg.
ord. n. 68 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli  articoli  2,
3, 4, 35, 41, primo comma, e  53  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo  n.  446
del 1997, dell'art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008  e  dell'art.
99 del d.P.R. n. 917 del 1986; 
    che il giudice rimettente riporta che la Borsea  3000  s.r.l.  ha
presentato in data 17 gennaio 2005 una istanza di restituzione  della
maggiore IRPEG pagata relativamente agli anni  dal  2001  al  2003  a
causa  dell'indeducibilita'  dell'imposta  IRAP,  e  che,  contro  il
silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza, la  societa'  ricorrente  ha
presentato il ricorso n. 598/05, depositato in data 26  aprile  2005,
lamentando, in particolare,  che  l'indeducibilita'  dell'IRAP  nella
determinazione del reddito imponibile IRPEG, stabilita  dall'art.  1,
comma 2, del decreto legislativo n. 446 del  1997,  comporterebbe  un
versamento di imposte IRPEG  su  redditi  inesistenti  in  violazione
dell'art. 53 Cost. per  mancanza  del  necessario  presupposto  della
capacita' contributiva; 
    che  il  giudice  riemettente  ritiene  dunque  rilevante  e  non
manifestamente  infondata  la  questione  sollevata  dalla   societa'
ricorrente; 
    che,  quanto  alla  rilevanza,  in  caso  di  caducazione   della
normativa che consente  la  deduzione,  ai  fini  delle  imposte  sui
redditi, del solo 10 per cento  dell'imposta  IRAP,  tornerebbero  in
vigore i principi generali della deducibilita'  integrale  dei  costi
inerenti  alla  produzione  del  reddito,  con  conseguente   diritto
all'accoglimento della domanda di rimborso; 
    che, in ordine alla  non  manifesta  infondatezza,  il  combinato
disposto dell'art. 1, comma 2, del decreto  legislativo  n.  446  del
1997 e dell'art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008,  contrasterebbe
con: i principi di razionalita', di ragionevolezza, di  certezza  del
diritto e di affidamento, garantiti dall'art. 2 Cost. sotto forma  di
diritti inviolabili (dell'uomo ma anche  delle  persone  giuridiche),
perche' l'indeducibilita' dell'IRAP al 90 per cento sarebbe priva  di
qualsiasi  giustificazione  sistematica  in  relazione  ai   principi
generali enunciati dall'art. 64 previgente e dall'art. 99,  comma  1,
del d.P.R. n. 917 del 1986 (come modificato dal  decreto  legislativo
12 dicembre 2003, n. 344 «Riforma dell'imposizione sul reddito  delle
societa', a norma dell'articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80»),
non potendosi qualificare l'IRAP ne' come una  imposta  sui  redditi,
ne' come una imposta senza rivalsa per il 10 per cento ed  a  rivalsa
per il 90 per cento; il principio di effettivita' dell'uguaglianza  e
rimozione degli ostacoli all'organizzazione economica del Paese (art.
3 Cost.) in quanto «i cittadini  percettori  di  redditi  diversi  da
quelli derivanti dall'esercizio di imprese o  professioni  pagano  le
imposte su redditi netti da spese, mentre gli operatori economici non
possono dedurre il 90 per cento della spesa relativa all'IRAP e sono,
oltre che discriminati, anche disincentivati dal lavoro autonomo»,  e
in quanto fra  gli  operatori  economici,  tutti  parimenti  soggetti
all'IRAP, si avrebbe «una disparita'  di  trattamento  indotta  dalla
diversa incidenza del costo dei fattori della produzione sul  reddito
d'impresa, giacche' la deduzione del 10  per  cento  viene  applicata
forfetariamente a coloro che hanno zero costi di personale e di costo
del danaro, come alle imprese molto indebitate (e al limite, fallite)
e alle imprese manifatturiere»; la tutela del lavoro in tutte le  sue
forme (artt. 4 e 35 Cost.), perche' l'IRAP, per la  parte  che  rende
indeducibili i costi di manodopera superiori al forfait  legislativo,
scoraggerebbe l'impiego di lavoratori subordinati e  parasubordinati,
in violazione della incentivazione al lavoro (art. 4 Cost.)  e  della
tutela del lavoro, imposta dall'art. 35 Cost.; 
    che, inoltre, l'obbligo di pagare le imposte  sui  redditi  senza
poter dedurre il costo dell'IRAP costituirebbe «un disincentivo  alla
intrapresa del lavoro professionale e di quello imprenditizio  ed  un
vincolo alla liberta' dell'iniziativa economica (art. 41  Cost.)»,  e
la normativa censurata contrasterebbe anche con l'art. 53  Cost.,  in
quanto   determinerebbe   «in   modo   fittizio   il   reddito    dei
professionisti,  degli  imprenditori  individuali  e  delle  societa'
(nonche' dei soci per le ricadute degli utili societari  sul  reddito
personale), che e' invece ridotto dalla incidenza del  90  per  cento
dell'imposta regionale»; 
    che il giudice  rimettente  censura,  dunque,  tre  disposizioni:
l'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n.  446  del  1997,  nella
parte in cui dispone che l' IRAP «non e'  deducibile  ai  fini  delle
imposte sui redditi»; l'art. 6 del decreto-legge  n.  185  del  2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nella parte
in cui limita la deducibilita' dell'IRAP al 10 per cento,  disponendo
che «E' ammesso in deduzione ai sensi dell'articolo 99, comma 1,  del
testo unico delle imposte sui redditi, approvato  con  il  D.P.R.  22
dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, un importo pari  al
10  per  cento  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive
determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e  8  del  decreto
legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446,  forfetariamente  riferita
all'imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi  passivi  e
oneri  assimilati  al  netto  degli  interessi  attivi   e   proventi
assimilati  ovvero  delle  spese  per  il  personale   dipendente   e
assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi  dell'articolo
11, commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del  medesimo  decreto
legislativo n. 446 del 1997»; l'art. 99 del testo unico approvato con
d.P.R. n. 917 del 1986, come modificato dal  decreto  legislativo  n.
344 del 2003 e  dall'art.  6  del  decreto-legge  n.  185  del  2008,
convertito dalla legge n. 2 del 2009, nella parte in cui dispone  che
«Le imposte sui redditi e quelle per le quali e' prevista la rivalsa,
anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione.  Le  altre  imposte
sono  deducibili  nell'esercizio  in  cui  avviene  il  pagamento.  A
decorrere dal periodo d'imposta in corso  al  31  dicembre  2008,  e'
ammesso in deduzione un importo pari al  10  per  cento  dell'imposta
regionale sulle attivita' produttive determinata»; 
    che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in
data 10 maggio 2011, si e' costituito in giudizio il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, sostenendo l'inammissibilita' e,  comunque,  la
non fondatezza della questione, con argomenti analoghi a quelli  gia'
rilevati con riferimento al giudizio di cui alle ordinanze reg.  ord.
n. 190 del 2009 e nn. 63 e 64 del 2011; 
    che,  quanto  all'ammissibilita',  la  questione   sollevata   in
relazione all'art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 185 del 2008, che
si riferisce al periodo d'imposta  in  corso  al  31  dicembre  2008,
difetterebbe di rilevanza, in quanto il giudizio principale,  secondo
quanto riferito dal giudice rimettente, ha ad oggetto  una  richiesta
di rimborso per gli anni 2001, 2002 e 2003 e  che,  quindi,  potrebbe
essere rilevante solo una questione riferita all'art. 6, comma 2, del
medesimo decreto-legge n. 185 del 2008, che disciplina  le  richieste
di rimborso per periodi di imposta anteriori al 2008, ma tale ipotesi
neanche ricorrerebbe nel caso in questione, perche' l'istanza sarebbe
stata  presentata  dalla  ricorrente  nel  2005,  e  dunque  non   in
applicazione dell'art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008; 
    che,  inoltre,  sarebbero  inammissibili  per   genericita'   del
parametro le censure riferite agli artt. 2, 3, 4, 35 e 41  Cost.,  e,
per insufficiente motivazione, quelle riferite all'art. 53 Cost.; 
    che, in data 29 agosto 2012,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato una memoria,  rilevando  che,  successivamente
alla proposizione della questione, e' entrato in vigore l'art. 2  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha dettato norme
in materia di «Agevolazioni fiscali  riferite  al  costo  del  lavoro
nonche' per donne e giovani», poi integrato dall'art.  4,  comma  12,
del decreto-legge 2  marzo  2012,  n.  16  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di  semplificazioni   tributarie,   di   efficientamento   e
potenziamento delle procedure di accertamento); 
    che, secondo la difesa dello Stato, tali modifiche,  intervenendo
in materia di deducibilita'  dell'IRAP  dall'imponibile  del  reddito
IRES-IRPEG, avrebbero determinato un «definitivo e radicale mutamento
del quadro normativo», talche' la questione sarebbe divenuta priva di
rilevanza o comunque andrebbe «rimessa al giudice  a  quo  per  nuovo
esame della rilevanza»; 
    che la Commissione tributaria regionale Lombardia, con la  quinta
ordinanza delle sei indicate in epigrafe, emanata il 18  maggio  2011
(reg. ord. n. 195  del  2011),  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 3, 35 e 53 Cost., questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997; 
    che il giudice  rimettente  riporta  che  la  Fida  s.p.a.  aveva
presentato alla Commissione tributaria provinciale di Milano  ricorso
contro  il  silenzio-rifiuto  opposto  dall'Ufficio  all'istanza   di
rimborso delle maggiori imposte IRPEG-IRES pagate  negli  anni  2003,
2004,  2005,  2006,  oltre  interessi,   a   motivo   della   mancata
possibilita' di dedurre dall'imponibile IRPEG-IRES la quota  di  IRAP
corrispondente al costo del lavoro e agli oneri finanziari, e che  la
Commissione  tributaria  provinciale,  con  sentenza   n.   93/5/2010
depositata il 23 marzo 2010, aveva respinto il ricorso,  ragione  per
la quale la Fida s.p.a. ha appellato la sentenza dinanzi  al  giudice
rimettente,  sollevando  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997; 
    che la Commissione tributaria regionale ritiene la questione  non
manifestamente infondata,  perche'  l'indeducibilita'  del  4,25  per
cento dei costi di lavoro e  di  capitale  dal  reddito  soggetto  ad
imposta personale sarebbe in contrasto con: l'art. 3, comma 1, Cost.,
quanto al principio di uguaglianza, perche' e' sottoposto a  maggiore
tassazione chi faccia ricorso alla forza  lavoro  e  al  capitale  di
prestito, rispetto a chi invece non ne faccia uso; l'art.  35,  comma
1, Cost., in relazione alla penalizzazione  del  ricorso  al  fattore
della produzione «lavoro», aggravato e quindi «scoraggiato»,  da  una
maggiore tassazione; l'art. 53  Cost.,  in  quanto  l'indeducibilita'
dell'IRAP dall'imposta personale comporterebbe che il 4,25 per  cento
del costo del lavoro e degli interessi passivi  aumenti  l'imponibile
soggetto al reddito d'impresa; 
    che  la  questione  sarebbe  rilevante  in  quanto  il   giudizio
principale non puo' essere  definito  in  assenza  della  risoluzione
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  2,
del decreto legislativo n. 446 del  1997,  anche  dopo  l'entrata  in
vigore dell'art. 6 del decreto-legge 185 del 2008,  convertito  dalla
legge n. 2 del 2009; 
    che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in
data 18 ottobre 2011, si e' costituito in giudizio il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, sostenendo l'inammissibilita' e,  comunque,  la
non fondatezza della questione, con argomenti analoghi a quelli  gia'
rilevati con riferimento al giudizio di cui alle ordinanze reg.  ord.
n. 190 del 2009 e nn. 63, 64 e 68 del 2011; 
    che, in data 5 luglio 2012, la Fida s.p.a. ha  depositato,  fuori
termine, atto di costituzione in giudizio; 
    che, in data 29 agosto 2012,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha  depositato  una  memoria,  osservando  che,  in  seguito
all'entrata in vigore dell'art. 2 del decreto-legge n. 201 del  2011,
convertito dalla legge  22  dicembre  2011,  n.  214,  poi  integrato
dall'art. 4, comma 12, del decreto-legge n. 16 del 2012,  vi  sarebbe
stato un «definitivo e  radicale  mutamento  del  quadro  normativo»,
talche' la questione sarebbe divenuta priva di rilevanza  o  comunque
andrebbe «rimessa al giudice a quo per nuovo esame della rilevanza»; 
    che la Commissione tributaria provinciale di Foggia, con la sesta
ordinanza delle sei indicate in epigrafe,  emanata  l'8  aprile  2011
(reg. ord. n. 262  del  2011),  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 3 e  53  Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997; 
    che il giudice rimettente riporta che la Cave  Foglia  s.r.l.  ha
presentato ricorso contro il rifiuto  dell'Agenzia  delle  Entrate  -
ufficio di Manfredonia - di rimborso dell'IRES relativa agli anni dal
2004  al  2007,  per  mancata  deducibilita'  dell'IRAP,   sollevando
altresi' questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma
2, del decreto legislativo n. 446 del 1997 in riferimento all'art. 53
Cost.; 
    che la questione sarebbe rilevante in quanto essa condizionerebbe
direttamente  ed  inequivocabilmente  la  domanda   di   restituzione
dell'IRES formulata dalla societa'  ricorrente,  perche'  l'eventuale
venir  meno  della  norma  censurata  determinerebbe  il   favorevole
scrutinio della domanda di rimborso IRES; 
    che la questione sarebbe, altresi', non manifestamente  infondata
in quanto, con riferimento al reddito di impresa, l'esclusione  della
deducibilita'  dell'IRAP  (che  per  l'imprenditore  rappresenta   un
fattore economico di spesa) dal reddito assoggettato alle imposte sui
redditi determinerebbe l'imposizione non su un reddito netto,  ma  su
un reddito lordo, con la possibilita' che imprese la cui gestione sia
in perdita paghino ugualmente l'IRES come  se  avessero  prodotto  un
reddito,  mentre  altre  imprese  con  gestione  in   utile   vengano
assoggettate ad imposta  con  prelievo  pari  o  superiore  all'utile
stesso, con conseguente violazione dell'art. 53 Cost.; 
    che la  norma  contestata  lederebbe  anche  il  principio  della
effettivita' dell'uguaglianza garantito dall'art. 3,  secondo  comma,
Cost., in quanto comporterebbe un'ingiustificata  discriminazione  di
trattamento tra l'IRAP (indeducibile)  e  le  altre  imposte  diverse
dalle imposte sui redditi e da quelle per  le  quali  e'  ammessa  la
rivalsa che sono integralmente deducibili ai sensi dell'art.  99  del
d.P.R. n. 917 del 1986; 
    che,  infine,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,   la   norma
introdotta dall'art.  6  del  decreto  legge  n.  185  del  2008  non
eliminerebbe il dubbio di  costituzionalita'  sollevato,  perche'  si
tratterebbe di un rimborso minimale e incerto, in quanto condizionato
alla disponibilita' dei fondi sulla base dei rimborsi richiesti. 
    Considerato   che   con   sei   distinte   ordinanze,    iscritte
rispettivamente nel reg. ord. n. 190 del 2009 e nn. 63, 64, 68, 195 e
262 del 2011, cinque  Commissioni  tributarie  hanno  sollevato,  con
riferimento agli anni di imposta  dal  2001  al  2007,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  2,  del   decreto
legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446  (Istituzione  dell'imposta
regionale sulle  attivita'  produttive,  revisione  degli  scaglioni,
delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef  e  istituzione  di  una
addizionale  regionale  a  tale  imposta,  nonche'   riordino   della
disciplina dei tributi locali), nella parte in cui prevede che l'IRAP
non sia deducibile ai fini delle  imposte  sui  redditi,  anche  dopo
l'entrata in vigore dell'art. 6 del decreto-legge 29  novembre  2008,
n.  185  (Misure  urgenti  per  il  sostegno  a   famiglie,   lavoro,
occupazione e impresa e per ridisegnare  in  funzione  anti-crisi  il
quadro strategico nazionale), convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 28 gennaio 2009, n. 2, in relazione agli articoli 3,  35  e  53
della Costituzione; 
    che,  ad  avviso  dei  giudici  rimettenti,  la  norma  censurata
violerebbe, in primo luogo, l'art. 3 Cost., con riguardo al principio
di uguaglianza, in quanto sarebbe sottoposto  a  maggiore  tassazione
chi faccia ricorso alla forza  lavoro  e  al  capitale  di  prestito,
rispetto a chi invece non ne faccia uso; 
    che, in secondo luogo, sarebbe leso l'art. 35 Cost., con riguardo
al  principio  della  tutela   del   lavoro,   «in   relazione   alla
penalizzazione del ricorso  al  fattore  della  produzione  "lavoro",
aggravato e quindi "scoraggiato", da una maggiore tassazione»; 
    che, in terzo luogo, sarebbe violato l'art. 53 Cost.,  in  quanto
l'indeducibilita' dell'IRAP dall'imposta personale comporterebbe  che
due imprese, una con costi di lavoro e/o interessi  passivi,  l'altra
priva, si troverebbero a corrispondere imposte  personali  in  misura
diversa, in quanto sulla prima inciderebbero in piu' sull'imponibile,
nella misura del 4,25 per  cento,  i  costi  di  lavoro  e  di  oneri
finanziari non deducibili dall'IRAP, sulla seconda no; 
    che la sola Commissione tributaria provinciale  di  Foggia  (reg.
ord. n. 262 del 2011) - la quale non invoca l'art. 35 Cost. - ritiene
violato  l'art.   53   Cost.   anche   perche'   l'esclusione   della
deducibilita' dell'IRAP dal reddito  assoggettato  alle  imposte  sui
redditi determinerebbe l'imposizione non  su  un  reddito  netto,  il
quale  dovrebbe  essere  l'indice  di  capacita'   contributiva   che
giustifica l'imposizione erariale, ma su un reddito lordo e,  quindi,
potrebbe verificarsi che imprese  la  cui  gestione  sia  in  perdita
paghino ugualmente l'IRES  come  se  avessero  prodotto  un  reddito,
mentre altre imprese con gestione in utile  vengano  assoggettate  ad
imposta con prelievo pari o superiore all'utile stesso; 
    che la sola Commissione tributaria  provinciale  di  Parma  (reg.
ord. n. 68 del 2011), invocando anche gli artt.  2,  4  e  41,  primo
comma, Cost., ha censurato altresi' l'art. 6 del decreto-legge n. 185
del 2008, convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2,  nella  parte
in cui limita la deducibilita' dell'IRAP al  10  per  cento,  nonche'
l'art. 99 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo
unico delle imposte sui redditi), modificato dal decreto  legislativo
12 dicembre 2003, n. 344 e ulteriormente modificato dall'art.  6  del
decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del  2009,
nella parte in cui disporrebbe che: «Le imposte sui redditi e  quelle
per le quali e' prevista la  rivalsa,  anche  facoltativa,  non  sono
ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell'esercizio
in cui avviene il pagamento. A decorrere  dal  periodo  d'imposta  in
corso al 31 dicembre 2008, e' ammesso in deduzione un importo pari al
10  per  cento  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive
determinata»; 
    che, ad avviso della Commissione tributaria provinciale di Parma,
le tre norme censurate - l'art. 1, comma 2, del  decreto  legislativo
n. 446 del  1997,  l'art.  6  del  decreto-legge  n.  185  del  2008,
convertito dalla legge n. 2 del 2009, e l'art. 99 del d.P.R.  n.  917
del 1986 - lederebbero innanzitutto l'art. 3 Cost., con  riguardo  al
principio di uguaglianza, sia in quanto «i  cittadini  percettori  di
redditi diversi da  quelli  derivanti  dall'esercizio  di  imprese  o
professioni pagano le imposte su redditi netti da spese,  mentre  gli
operatori economici non possono dedurre il 90 per cento  della  spesa
relativa   all'IRAP   e   sono,   oltre   che   discriminati,   anche
disincentivati dal lavoro autonomo», sia perche', fra  gli  operatori
economici,  tutti  parimenti  soggetti  all'IRAP,  si  avrebbe   «una
disparita' di trattamento indotta dalla diversa incidenza  del  costo
dei fattori della  produzione  sul  reddito  d'impresa,  giacche'  la
deduzione del 10 per cento viene applicata forfetariamente  a  coloro
che hanno zero costi di personale e di costo del  danaro,  come  alle
imprese molto indebitate  (e  al  limite,  fallite)  e  alle  imprese
manifatturiere»; 
    che, inoltre, secondo tale giudice rimettente, le norme censurate
violerebbero l'art. 53 Cost., in  quanto  determinerebbero  «in  modo
fittizio  il   reddito   dei   professionisti,   degli   imprenditori
individuali e delle societa' (nonche' dei soci per le ricadute  degli
utili societari sul reddito personale), che e' invece  ridotto  dalla
incidenza del 90 per cento dell'imposta regionale»; l'art.  2  Cost.,
che garantisce i principi  di  razionalita',  di  ragionevolezza,  di
certezza  del  diritto  e  di  affidamento  sotto  forma  di  diritti
inviolabili (dell'uomo ma anche delle persone giuridiche), in  quanto
l'indeducibilita'  dell'IRAP  al  90  per  cento  sarebbe  priva   di
qualsiasi  giustificazione  sistematica  in  relazione  ai   principi
generali enunciati dall'art. 64 previgente e dall'art. 99,  comma  1,
del d.P.R. n. 917 del 1986 (come modificato dal  decreto  legislativo
n. 344 del 2003), non  potendosi  qualificare  l'IRAP  ne'  come  una
imposta sui redditi, ne' come una imposta senza rivalsa per il 10 per
cento ed a rivalsa per il 90 per cento; gli artt. 4 e  35  Cost.,  in
quanto l'IRAP, per  la  parte  che  rende  indeducibili  i  costi  di
manodopera superiori al forfait legislativo, scoraggerebbe  l'impiego
di lavoratori subordinati  e  parasubordinati,  in  violazione  della
incentivazione al lavoro (art. 4 Cost.) e della  tutela  del  lavoro,
imposta dall'art. 35 Cost.; l'art. 41 Cost., in quanto  l'obbligo  di
pagare le imposte sui redditi senza poter dedurre il costo  dell'IRAP
costituisce «un disincentivo alla intrapresa del lavoro professionale
e di quello imprenditizio ed un vincolo alla liberta' dell'iniziativa
economica»; 
    che le questioni sollevate dalle sei ordinanze di rimessione sono
in gran parte coincidenti e, pertanto, i  relativi  giudizi,  per  la
loro connessione oggettiva, devono essere riuniti per  essere  decisi
con un'unica pronuncia; 
    che,  successivamente  alla  proposizione  delle  questioni,   e'
entrato in vigore l'art. 2 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214,
che ha dettato norme in materia di «Agevolazioni fiscali riferite  al
costo del lavoro nonche' per donne e giovani»; 
    che, in particolare il comma 1 di tale articolo ha previsto  che:
«A decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31  dicembre  2012  e'
ammesso in deduzione ai sensi dell'articolo 99, comma  1,  del  testo
unico delle  imposte  sui  redditi,  approvato  con  il  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e  successive
modificazioni, un importo pari all'imposta regionale sulle  attivita'
produttive determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446,  relativa  alla  quota
imponibile delle spese per il personale dipendente  e  assimilato  al
netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell'articolo 11,  commi  1,
lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del medesimo decreto legislativo n.
446 del 1997»; 
    che l'art. 4, comma 12, del decreto-legge 2  marzo  2012,  n.  16
(Disposizioni urgenti in materia di  semplificazioni  tributarie,  di
efficientamento e potenziamento delle procedure di  accertamento)  ha
poi inserito il comma 1-quater nell'art. 2 del decreto-legge  n.  201
del 2011, prevedendo che: «In relazione a quanto disposto dal comma 1
e tenuto conto di quanto previsto dai commi da 2 a 4 dell'articolo  6
del citato decreto-legge 29 novembre 2008, n.  185,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2,  con  provvedimento
del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabilite le  modalita'
di presentazione delle istanze di rimborso  relative  ai  periodi  di
imposta precedenti a quello in corso  al  31  dicembre  2012,  per  i
quali, alla data di entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  sia
ancora pendente il termine di cui all'articolo  38  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602,  nonche'  ogni
altra disposizione di attuazione del presente articolo»; 
    che tale ius superveniens e' intervenuto, anche retroattivamente,
in materia di deducibilita' dell'IRAP, con espresso riferimento  alle
disposizioni censurate dalle sei ordinanze di remissione; 
    che questa  modifica,  quindi,  riguarda  direttamente  le  norme
oggetto delle questioni sollevate dalle Commissioni  rimettenti  e  a
queste ultime spetta valutare la misura e gli esatti termini di  tale
effetto normativo; 
    che, pertanto, la  modifica  del  combinato  disposto  delle  tre
disposizioni censurate impone la restituzione degli atti  ai  giudici
rimettenti perche' operino una  nuova  valutazione  della  perdurante
rilevanza e della non  manifesta  infondatezza  della  questione  (ex
multis, ordinanze nn. 190, 182  e  180  del  2012),  con  l'occasione
colmando ogni eventuale lacuna delle singole ordinanze di  rimessione
in ordine alla descrizione delle fattispecie oggetto  dei  giudizi  a
quibus, alla  motivazione  sulla  rilevanza  e  sulla  non  manifesta
infondatezza  delle  questioni  e  alla  ricostruzione   del   quadro
normativo.