ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 6 della
legge  della  Regione  Toscana  28  novembre  2011,  n.  63,  recante
«Disposizioni  in  materia  di  outlet  ed  obbligo  di   regolarita'
contributiva  nel  settore  del  commercio  sulle   aree   pubbliche.
Modifiche alla legge regionale 7 febbraio 2005,  n.  28  (Codice  del
Commercio. Testo unico in materia di commercio in sede fissa, su aree
pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di  stampa
quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti)», promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  30
gennaio-1° febbraio 2012, depositato in  cancelleria  il  2  febbraio
2012 ed iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana; 
    udito nell'udienza pubblica  del  20  novembre  2012  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi l'avvocato dello Stato Enrico Arena per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Marcello Cecchetti per la Regione
Toscana. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notifica  il  30  gennaio  2012  e
depositato nella cancelleria della Corte il successivo 2 febbraio, il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  impugnato,  in  riferimento
all'articolo  117,  primo  e  secondo  comma,   lettera   e),   della
Costituzione, l'articolo 6  della  legge  della  Regione  Toscana  28
novembre 2011, n. 63, recante «Disposizioni in materia di  outlet  ed
obbligo di regolarita' contributiva nel settore del  commercio  sulle
aree pubbliche. Modifiche alla legge regionale 7 febbraio 2005, n. 28
(Codice del Commercio. Testo unico in materia di  commercio  in  sede
fissa, su aree pubbliche, somministrazione  di  alimenti  e  bevande,
vendita  di  stampa  quotidiana  e  periodica  e   distribuzione   di
carburanti)», nella parte in cui inserisce l'art. 29-bis nella  legge
della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice  del  commercio.
Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche,
somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa  quotidiana
e periodica e distribuzione di carburanti.), il quale prevede che per
il commercio su aree pubbliche non trovi applicazione  l'articolo  16
del decreto legislativo  26  marzo  2010,  n.  59  (Attuazione  della
direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno). 
    1.2.- L'art. 29-bis - prosegue il ricorrente  -  stabilisce  che:
«Ai fini del presente capo  non  trova  applicazione  l'articolo  16,
decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della  direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi  nel  mercato  interno),  per  motivi
imperativi di interesse generale ascrivibili, ai sensi  dell'articolo
8, comma 1, lettera h), del medesimo decreto legislativo,  all'ordine
pubblico,  alla  sicurezza  pubblica,  all'incolumita'  pubblica,  al
mantenimento dell'equilibrio finanziario  del  sistema  di  sicurezza
sociale, alla tutela dei consumatori». 
    L'Avvocatura dello Stato, dopo aver ricordato che il d.lgs. n. 59
del 2010 da' attuazione alla direttiva CE del 12  dicembre  2006,  n.
123 (Direttiva del Parlamento europeo e  del  Consiglio  relativa  al
servizio nel mercato interno), riporta anche il  testo  dell'art.  16
del medesimo decreto legislativo, che, in sostanza, riproduce  l'art.
12 della citata direttiva, disponendo che: 
    «1. Nelle ipotesi  in  cui  il  numero  di  titoli  autorizzatori
disponibili per una determinata attivita' di servizi sia limitato per
ragioni correlate alla  scarsita'  delle  risorse  naturali  o  delle
capacita' tecniche disponibili, le autorita' competenti applicano una
procedura di selezione tra i candidati potenziali  ed  assicurano  la
predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri
ordinamenti, dei criteri e delle  modalita'  atti  ad  assicurarne  l
'imparzialita', cui le stesse devono attenersi. 
    2.  Nel  fissare  le  regole  della  procedura  di  selezione  le
autorita' competenti possono tenere conto di considerazioni di salute
pubblica, di obiettivi di politica  sociale,  della  salute  e  della
sicurezza dei lavoratori dipendenti  ed  autonomi,  della  protezione
dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri
motivi  imperativi   d'interesse   generale   conformi   al   diritto
comunitario. 
    3. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalita' di cui al
comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi al rilascio
del titolo autorizzatorio. 
    4. Nei casi di cui al comma 1 il titolo  e'  rilasciato  per  una
durata limitata e non  puo'  essere  rinnovato  automaticamente,  ne'
possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente  o  ad  altre
persone, ancorche' giustificati da particolari legami con il primo». 
    2.- Il ricorrente ritiene che la disposizione regionale censurata
sia illegittima e si ponga in  contrasto  con  l'art.  117,  primo  e
secondo comma, lettera e), della Costituzione. 
    2.1.- Relativamente alla violazione del  secondo  comma,  lettera
e), dell'art. 117 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato rileva
che il legislatore regionale, con la norma impugnata, stabilendo  che
per il commercio su aree pubbliche non trovi applicazione  l'art.  16
del d.lgs. n. 59 del 2010 ed  incidendo,  quindi,  sulla  concorrenza
degli operatori commerciali, verrebbe a  legiferare  illegittimamente
in  tema  di  «tutela  della  concorrenza»,  materia  riservata  alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato. 
    2.2.- Per il ricorrente, poi, la norma violerebbe  anche,  l'art.
117, primo comma, della  Costituzione,  che  obbliga  il  legislatore
regionale  al  rispetto  dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario. 
    Infatti, secondo quanto previsto dall'art. 16 del  d.lgs.  n.  59
del 2010, le autorita' competenti, nel caso in cui  il  numero  delle
autorizzazioni disponibili per una determinata attivita'  di  servizi
risulti limitato,  hanno  l'obbligo  di  esperire  una  procedura  di
selezione tra i candidati, procedura ispirata ad una rigorosa  tutela
dell'imparzialita' e stabilita proprio allo scopo  «di  garantire  la
parita' di trattamento, impedire la  discriminazione  e  tutelare  la
liberta' di stabilimento  -  attraverso  la  predeterminazione  e  la
pubblicazione dei criteri e  della  modalita'  di  svolgimento  della
medesima selezione, secondo quanto previsto dalla  direttiva  europea
2006/l1/23l/». 
    Allo Stato - aggiunge il Presidente del Consiglio dei ministri  -
e' riservata in via esclusiva tale competenza, poiche' e' ad esso che
e'  attribuita  la  funzione  di  assicurare  che  il  mercato  possa
funzionare correttamente e che possano sussistere condizioni uniformi
di  accessibilita'  ai  servizi  sul   territorio   nazionale,   come
sostanzialmente indicato dall'art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010. 
    Inoltre, sottolinea l'Avvocatura dello Stato, la motivazione  che
la  disapplicazione  dell'art.  16  del  citato  decreto  legislativo
avvenga per «i motivi imperativi di interesse generale»,  cosi'  come
previsto dall'art. 29-bis della legge reg. n. 28 del 2005, non  rende
legittima la norma regionale censurata, in quanto sia nella normativa
statale che in quella  europea  «i  motivi  imperativi  di  interesse
generale» rilevano solo ai fini  della  determinazione  delle  regole
procedurali relative alla selezione dei candidati, ma  non  inficiano
la  necessita'  di  assicurare  l'imparzialita'  e   la   trasparenza
riguardanti le autorizzazioni da rilasciare. Queste, infatti,  devono
essere date secondo criteri e modi che non consentano alcuna  maniera
alle autorita'  competenti  di  favorire,  anche  indirettamente,  il
prestatore uscente,  con  conseguente  violazione  del  principio  di
parita' di trattamento tra i medesimi  candidati  al  rilascio  delle
autorizzazioni. 
    Ne' si potrebbe  giustificare  -  aggiunge  il  ricorrente  -  la
legittimita' della norma impugnata  sulla  base  di  quanto  disposto
dalla legge reg. n. 28 del 2005,  in  quanto  l'assetto  previsto  da
questa ultima appare ormai  superato  dalle  norme  della  "direttiva
servizi" e, pertanto, si rivela inapplicabile. 
    2.3.- Infine, e' da ricordare - a detta del ricorrente - che, per
effetto della clausola di cedevolezza, prevista  dall'art.  84  dello
stesso d.lgs.  n.  59  del  2010,  le  disposizioni  in  quest'ultimo
riportate «si applicano fino alla data di  entrata  in  vigore  della
normativa di attuazione della  direttiva  2006/11/23lCE  adottata  da
ciascuna regione», la quale, di  conseguenza,  deve  disapplicare  le
proprie norme che siano in contrasto con quelle  stabilite  dal  piu'
volte citato decreto n. 59 del 2010. 
    2.4.-  Alla  luce  delle  considerazioni  fin  qui  esposte,   il
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   chiede   alla   Corte
costituzionale  una  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 6 della legge della Regione Toscana n.  63  del  2011,  per
violazione dell'articolo 117, primo  e  secondo  comma,  lettera  e),
della Costituzione. 
    3.- Si e' costituita in giudizio la Regione  Toscana  contestando
sia l'ammissibilita' che la fondatezza del ricorso statale. 
    3.1.- La difesa regionale, dopo aver riportato anch'essa il testo
dell'articolo 29-bis, come introdotto nella legge reg. n. 28 del 2005
dall'art. 6 della legge reg. n. 63 del  2011,  sottolinea  come  tale
disposizione si limiti a definire l'ambito di applicazione  dell'art.
16 del d.lgs. n.  59  del  2010,  escludendovi  la  disciplina  delle
autorizzazioni al  commercio  su  aree  pubbliche  e  delle  connesse
concessioni di posteggio, non invadendo in alcun modo  la  competenza
esclusiva dello Stato in materia  di  tutela  della  concorrenza,  ma
legiferando nell'ambito della propria competenza esclusiva in materia
di commercio. 
    Del resto, sottolinea la resistente, il dettato dell'art. 16  del
d.lgs. n. 59 del 2010 non potrebbe operare nel  senso  di  un  totale
esautoramento delle competenze regionali  in  materia  di  commercio,
cosa che avverrebbe nel caso in cui esso si interpretasse come  volto
a precludere qualsiasi intervento legislativo regionale in materia di
disciplina del commercio su aree pubbliche. 
    3.1.2.- La  stessa  giurisprudenza  costituzionale  al  riguardo,
peraltro, ha affermato che l'intervento del legislatore statale nella
materia «tutela della concorrenza» possa  essere  ritenuto  legittimo
qualora lo stesso operi entro i limiti dei canoni  di  adeguatezza  e
proporzionalita',  nella  considerazione  che  tale  materia  sia  da
ritenersi materia trasversale, incidente sia su ambiti regionali  che
statali, dichiarando, pertanto,  l'illegittimita'  costituzionale  di
norme statali che prevedevano una  disciplina  cosi'  dettagliata  da
costituire   una   compressione    dell'autonomia    regionale    non
proporzionata rispetto all'obiettivo della tutela  della  concorrenza
(sono citate le sentenze n. 345 e n. 272 del 2004). 
    Ricorda ancora la difesa  della  Toscana  che,  sempre  la  Corte
costituzionale, con la recente sentenza n. 247 del 2010,  ha  escluso
l'illegittimita' di una norma regionale che fissava in  maniera  piu'
restrittiva di quella statale gli ambiti nei quali poter svolgere  il
commercio itinerante su aree pubbliche, ritenendo che la disposizione
non ledesse le regole a  tutela  della  concorrenza,  in  quanto  non
introduceva «"discriminazioni fra differenti categorie  di  operatori
economici  che  esercitano  l'attivita'  in  posizione   identica   o
analoga", limitandosi invece a inserirsi  "nel  diverso  solco  della
semplice regolamentazione territoriale del commercio" ambulante». 
    Ne consegue che le Regioni possono, al  fine  di  tutelare  altri
diritti costituzionali, adottare norme particolari in alcuni  settori
del commercio, cosi' come operato dalla legge reg. n. 63 del 2011  in
materia di commercio sulle aree pubbliche. 
    La legittimita' di  tale  disciplina  deriverebbe,  altresi',  da
alcune  considerazioni  relative  alla  necessita'  di  garantire  la
professionalita', la sicurezza pubblica e i diritti del  consumatore,
diversamente da come avverrebbe nel caso in cui venissero bandite  le
concessioni di posteggio. 
    3.2.-  Conclusivamente,  la  difesa  regionale  chiede   che   la
questione di legittimita' costituzionale della norma impugnata  venga
dichiarata inammissibile ed infondata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
consegnato per la notifica il 30  gennaio  2012  e  depositato  nella
cancelleria  della  Corte  il  successivo  2  febbraio,  ha  promosso
questione   di   legittimita'   costituzionale   -   in   riferimento
all'articolo  117,  primo  e  secondo  comma,   lettera   e),   della
Costituzione - dell'articolo 6 della legge della Regione  Toscana  28
novembre 2011, n. 63, recante «Disposizioni in materia di  outlet  ed
obbligo di regolarita' contributiva nel settore del  commercio  sulle
aree pubbliche. Modifiche alla legge regionale 7 febbraio 2005 n.  28
(Codice del Commercio. Testo unico in materia di  commercio  in  sede
fissa, su aree pubbliche, somministrazione  di  alimenti  e  bevande,
vendita  di  stampa  quotidiana  e  periodica  e   distribuzione   di
carburanti)», nella parte in cui inserisce  l'articolo  29-bis  nella
legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28, il quale  prevede
che per  il  commercio  su  aree  pubbliche  non  trovi  applicazione
l'articolo  16  del  decreto  legislativo  26  marzo  2010,   n.   59
(Attuazione della  direttiva  2006/123/CE  relativa  ai  servizi  nel
mercato interno). 
    1.1.- Il ricorrente ritiene che la norma impugnata  -  escludendo
l'applicabilita',  sul  territorio  della  Regione   Toscana,   della
disciplina delle autorizzazioni al  commercio  su  aree  pubbliche  e
delle connesse concessioni di posteggio, come previste  dall'art.  16
del d.lgs. n. 59 del 2010, sostanzialmente riproduttivo dell'art.  12
della direttiva CE 12 dicembre 2006, n. 123 (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio relativa al servizio nel mercato  interno)  -
violerebbe il  primo  comma  dell'art.  117  della  Costituzione,  in
relazione  alla  sopra  ricordata  direttiva,  per  inosservanza  dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Violerebbe, altresi',
il secondo comma, lettera e), del citato art. 117 della Costituzione,
poiche',  incidendo  sull'assetto  concorrenziale   degli   operatori
commerciali in modo  difforme  da  quanto  previsto  dalla  normativa
statale (attuativa di quella comunitaria), verrebbe  ad  invadere  la
potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato  nella  materia  della
«tutela della concorrenza». 
    2.- La questione  e'  fondata  con  riferimento  ad  entrambe  le
censure. 
    2.1.- Riguardo alla prima  di  esse,  e'  da  premettere  che  la
direttiva 2006/123/CE relativa  ai  servizi  nel  mercato  interno  -
seppure  si  ponga,  in  via  prioritaria,   finalita'   di   massima
liberalizzazione delle attivita' economiche (tra queste  la  liberta'
di stabilimento di cui all'art. 49 [ex  art.  43]  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea)  e  preveda,  quindi,  soprattutto
disposizioni tese  alla  realizzazione  di  tale  scopo  -  consente,
comunque, la possibilita' di porre  dei  limiti  all'esercizio  della
tutela di tali attivita' nel caso che questi  siano  giustificati  da
«motivi imperativi di interesse generale». 
    2.1.1.-  Il  d.lgs.  n.  59  del  2010  (attuativo  della  citata
direttiva), pertanto, ha previsto, all'art. 14,  la  possibilita'  di
introdurre   limitazioni   all'esercizio   dell'attivita'   economica
istituendo o mantenendo regimi autorizzatori «solo se giustificati da
motivi di interesse  generale,  nel  rispetto  dei  principi  di  non
discriminazione, di proporzionalita', nonche' delle  disposizioni  di
cui al presente titolo». La stessa disposizione,  tuttavia,  fissa  i
requisiti a cui subordinare la sussistenza di tali motivi  imperativi
(definiti, peraltro, come «ragioni di pubblico interesse»). 
    Il legislatore nazionale, all'art.16 del d.lgs. n. 59 del 2010  -
in conseguenza di quanto previsto dal sopra ricordato art.  14  -  e'
venuto a regolare la disciplina delle autorizzazioni al commercio  su
aree pubbliche e delle connesse concessioni di posteggio. 
    2.1.2.- Il citato art. 16 ha previsto che le autorita' competenti
- nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per  una
determinata attivita' di servizi sia limitato «per ragioni  correlate
alla scarsita' delle risorse  naturali  o  delle  capacita'  tecniche
disponibili» - debbano attuare  una  procedura  di  selezione  tra  i
potenziali  candidati,  garantendo   «la   predeterminazione   e   la
pubblicazione, nelle  forme  previste  dai  propri  ordinamenti,  dei
criteri e delle modalita' atti ad assicurarne l'imparzialita', cui le
stesse devono attenersi». 
    Tutto cio', allo scopo di garantire sia la parita' di trattamento
tra i richiedenti, impedendo qualsiasi forma di  discriminazione  tra
gli stessi, sia  la  liberta'  di  stabilimento,  conformemente  alla
citata direttiva 2006/123/CE. 
    2.1.3.- La  disposizione  della  Regione  Toscana  censurata  dal
ricorrente, eliminando, nel proprio ambito regionale, i vincoli  e  i
limiti posti dalla disciplina  statale  relativamente  ai  regimi  di
rilascio di autorizzazioni  per  avere  accesso  ad  un'attivita'  di
servizi, si pone in evidente contrasto con la normativa comunitaria e
con quella nazionale attuativa della stessa. 
    2.2.- L'art. 6 della legge della Regione Toscana n. 63 del  2011,
difatti, non introduce una  disciplina  concorsuale  alternativa,  ma
esclude espressamente proprio l'applicabilita' della sopra richiamata
normativa  comunitaria  e  nazionale  in  forza  di  un  generico  ed
indeterminato richiamo a «motivi imperativi di interesse generale». 
    Per  altro  verso,  poi,  il  generico  richiamo  operato   dalla
disposizione regionale censurata all'esistenza di  non  ulteriormente
individuati «motivi imperativi», priva  la  fattispecie  astratta  di
qualsiasi elemento idoneo alla  sua  specificazione,  sostanzialmente
lasciando al potere discrezionale  della  Regione  la  determinazione
delle  fattispecie  concrete  nelle  quali   gli   stessi   sarebbero
rinvenibili.  La  Regione  ritiene,  in  sostanza,  che   i   «motivi
imperativi di interesse generale» non costituiscano  una  fattispecie
concreta i cui contenuti debbano essere  sottoposti  ad  un  rigoroso
vaglio di effettivita' e di proporzionalita', ma siano una  sorta  di
salvacondotto astratto, la cui sola invocazione autorizza  l'adozione
di normative contrastanti con il disegno  di  liberalizzazione  della
direttiva. 
    2.2.1.- Cosi' operando,  la  norma  impugnata  contrasta  con  la
normativa statale e,  ancor  prima  con  quella  comunitaria  cui  il
legislatore nazionale ha dato attuazione, non  solo  perche'  esclude
l'applicazione  di  una  disposizione  statale  attuativa  di  quella
comunitaria  e,   pertanto,   non   osserva   i   vincoli   derivanti
dall'ordinamento  dell'Unione  europea  in  materia  di  accesso   ed
esercizio dell'attivita' dei servizi  (in  particolare  in  tema  dei
residuali regimi autorizzatori), ma  anche  perche'  essa  non  viene
neanche a prevedere forme di «bilanciamento  tra  liberalizzazione  e
[...] i motivi  imperativi  di  interesse  generale»,  come,  invece,
richiesto dalla normativa comunitaria (Corte di giustizia dell'Unione
europea,  sentenza  20  giugno  1996,  in  cause  riunite   C-418/93,
C-419/93, C-420/93, C-421/93, C-460/93, C-461/93, C-462/93, C-464/93,
C-9/94,  C-10/94,  C-11/94,  C-14/94,  C-15/94,  C-23/94,  C-24/94  e
C-332/94). 
    2.2.2.- La giurisprudenza costituzionale ha  da  sempre  ritenuto
illegittime, per violazione dei vincoli comunitari,  norme  regionali
che si ponevano in contrasto, in generale, con la «normativa  statale
e, ancor prima, [con] la normativa comunitaria, cui il legislatore ha
dato attuazione» (vedi sentenza n. 310 del 2011; nonche', da  ultimo,
sentenze n. 217, n. 86 e n. 85 del 2012), ed in particolare,  con  le
normative comunitarie (ex multis, sentenze n. 85 del 2012, n. 190 del
2011 e  n.  266  del  2010),  le  quali  «fungono  infatti  da  norme
interposte atte ad integrare  il  parametro  per  la  valutazione  di
conformita' della normativa  regionale  all'art.  117,  primo  comma,
Cost., o,  piu'  precisamente,  rendono  concretamente  operativo  il
parametro  costituito  dall'art.  117,  primo   comma,   Cost.,   con
conseguente declaratoria di illegittimita' costituzionale delle norme
regionali  che  siano  giudicate   incompatibili   con   il   diritto
comunitario» (sentenze n. 102 del 2008 e n. 269 del 2007). 
    Dalle considerazioni che precedono discende che la previsione  di
inapplicabilita', contenuta  nella  norma  regionale  censurata,  sul
territorio della Regione Toscana, di quanto previsto dall'art. 16 del
d.lgs. n. 59 del 2010 (attuativo dell'art. 12 della direttiva  CE  n.
123  del  2006),  determina  l'illegittimita'  costituzionale   della
stessa. 
    3.-  Parimenti  fondata   e'   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma denunciata in riferimento alla  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. 
    3.1.- In  proposito,  il  ricorrente  dubita  della  legittimita'
costituzionale della norma impugnata, perche'  la  stessa,  incidendo
sulla  concorrenza  degli  operatori  commerciali,  difformemente  da
quanto previsto dal d.lgs. n. 59 del 2010  e  dalla  sopra  ricordata
direttiva CE, sarebbe venuta  ad  invadere  la  potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato nella materia della tutela della concorrenza. 
    3.2.- E' da premettere che questa Corte ha piu'  volte  precisato
che la nozione di concorrenza di cui al secondo  comma,  lettera  e),
dell'art. 117 della Costituzione  «non  puo'  che  riflettere  quella
operante in ambito comunitario» (sentenze n. 270 e n. 45 del 2010, n.
401 del 2007), oltre ad aver sottolineato come la  stessa  abbia  «un
contenuto complesso in quanto ricomprende non  solo  l'insieme  delle
misure antitrust, ma anche azioni di liberalizzazione, che mirano  ad
assicurare e a promuovere la concorrenza  "nel  mercato"  e  "per  il
mercato", secondo gli  sviluppi  ormai  consolidati  nell'ordinamento
europeo e internazionale e piu' volte ribaditi  dalla  giurisprudenza
di questa  Corte»  (sentenza  n.  200  del  2012).  A  questa  ultima
tipologia di  disposizioni  -  precisamente  quelle  che  tendono  ad
assicurare  procedure  concorsuali  di  garanzia  mediante  la   loro
strutturazione in modo da consentire  «la  piu'  ampia  apertura  del
mercato a tutti gli operatori economici» (sentenza n. 401 del 2007) -
e' da ascrivere, date le sue finalita', l'art. 16 del  d.lgs.  n.  59
del 2010, la cui applicazione viene, appunto, esclusa per la  Regione
Toscana dal legislatore regionale con la norma oggi al  vaglio  della
Corte. 
    3.3.- La giurisprudenza costituzionale che si e'  occupata  della
legittimita' di disposizioni  regionali  in  tema  di  «tutela  della
concorrenza» ha costantemente  sottolineato  -  stante  il  carattere
«finalistico» della stessa -  la  «trasversalita'»  che  caratterizza
tale  materia,  con  conseguente  possibilita'  per  quest'ultima  di
influire su altre  materie  attribuite  alla  competenza  legislativa
concorrente  o  residuale  delle  Regioni,  ed,  in  particolare,  il
possibile  intreccio  ed  interferenza  con  la  materia  «commercio»
(sentenze n. 18 del 2012; n. 150 del 2011; n. 288 del 2010;  n.  431,
n. 430, n. 401, n. 67 del 2007 e n. 80 del 2006). 
    Infatti, la materia «tutela della concorrenza»  non  ha  solo  un
ambito  oggettivamente  individuabile   che   attiene   alle   misure
legislative di tutela in senso proprio, quali ad esempio  quelle  che
hanno ad oggetto  gli  atti  e  i  comportamenti  delle  imprese  che
incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati  e  ne
disciplinano le modalita' di controllo, ma,  dato  il  suo  carattere
«finalistico», anche una portata piu'  generale  e  trasversale,  non
preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al
momento dell'esercizio della potesta' legislativa sia dello Stato che
delle Regioni nelle materie di loro rispettiva competenza. 
    Risulta evidente, in proposito, che gli ostacoli alla concorrenza
possono derivare sia dalla previsione di  nuovi  o  ulteriori  limiti
all'accesso al mercato, sia dalla eliminazione di qualsiasi  criterio
selettivo, la' dove l'esercizio dell'attivita' imprenditoriale  resti
condizionato da elementi oggettivi che ne delimitino le  possibilita'
di accesso come, ad esempio, gli spazi espositivi e/o di  svolgimento
dell'attivita' stessa. 
    In coerenza con questa affermazione va  letta  la  giurisprudenza
costituzionale sopra  richiamata,  e  piu'  in  generale  quella  che
interviene  sulla  disciplina   regionale   che,   dettando   vincoli
all'entrata, altera  il  corretto  svolgersi  della  concorrenza  con
specifico riguardo al settore  del  commercio  (sentenza  n.  18  del
2012). 
    La norma  impugnata,  prevedendo  la  possibilita'  di  escludere
meccanismi  e  procedure  di  selezione  in  forza   dell'invocazione
astratta  di  «motivi  imperativi  d'interesse  generale»,  la'  dove
situazioni oggettive non modificabili determinino l'impossibilita' di
un'apertura a tutti nel mercato, viene sostanzialmente ad operare  in
termini  anti-concorrenziali  perche'  non  consente  lo  svolgimento
dell'attivita' commerciale in  spazi  adeguati  agli  operatori  piu'
qualificati, selezionati attraverso  procedure  che  garantiscano  la
parita' di trattamento, evitino qualsiasi tipo di  discriminazione  e
tutelino la liberta' di stabilimento.