ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 9, commi
2, 21, primo periodo, e 22 del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78
(Misure urgenti  in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dalla legge
30  luglio  2010,  n.  122  promossi  dal  Tribunale   amministrativo
regionale per l'Abruzzo con  ordinanza  del  14  febbraio  2012,  dal
Tribunale regionale di  giustizia  amministrativa  del  Trentino-Alto
Adige, sede di Trento con ordinanza del 10 maggio 2012, dal Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia, sezione  staccata  di  Lecce,
con ordinanza del  5  aprile  2012  e  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  per  il  Piemonte  con  ordinanza  del  3   aprile   2012,
rispettivamente iscritte ai nn. 114, 139,  140  e  146  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 24, 28 e 33, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di costituzione  di  Pace  Augusto  ed  altri,  di
Agnoli Carlo Alberto  ed  altri,  di  Barbero  Elisabetta  ed  altri,
nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
    Ritenuto che il Tribunale regionale di  giustizia  amministrativa
di Trento e il Tribunale amministrativo regionale del  Piemonte,  con
ordinanze del 10 maggio 2012 e del  3  aprile  2012,  rispettivamente
iscritte al reg. ord. nn. 139 e 146 del  2012,  hanno  sollevato,  in
riferimento agli articoli 2, 3, 36, 53, 97,  101,  104  e  108  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78  (Misure  urgenti
in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122; 
    che i rimettenti sono investiti di ricorsi da parte di magistrati
e  censurano  l'art.  9,   comma   2,   il   quale,   piuttosto   che
caratterizzarsi come una  riduzione  stipendiale  (melius,  come  una
riduzione dei  trattamenti  economici),  avrebbe  natura  tributaria,
ricorrendone i  due  elementi  fondamentali  dell'imposizione  di  un
sacrificio  economico  individuale  realizzata  attraverso  un   atto
autoritativo di carattere ablatorio, nonche' della  destinazione  del
gettito scaturente da tale ablazione al fine di integrare la  finanza
pubblica; 
    che a loro giudizio tale misura violerebbe  in  primo  luogo  gli
artt. 3 e 53 della Costituzione, trattandosi di  prelievo  di  natura
tributaria,  peraltro  significativamente  operato  con   progressivo
raggiungimento di due differenti scaglioni (90.000 e  150.000  euro),
cui si  applicano  aliquote  crescenti,  e  colpirebbe  solamente  la
categoria  dei  dipendenti  pubblici  (nel  cui  novero  rientrano  i
magistrati), in contrasto con il principio della "universalita' della
imposizione"; l'imposta sarebbe,  inoltre,  discriminatoria,  sia  in
relazione all'amplissima categoria  dei  "cittadini",  rispetto  alla
quale i dipendenti pubblici sarebbero discriminati ratione  status  a
parita' di capacita' economica, sia in relazione alla categoria  piu'
ristretta  dei  "lavoratori",  risultando   i   dipendenti   pubblici
discriminati rispetto ai dipendenti privati, come pure ai  lavoratori
autonomi, i  quali,  a  parita'  di  reddito,  non  subiscono  alcuna
incisione patrimoniale; 
    che, inoltre, a giudizio  del  TAR  trentino,  la  norma  sarebbe
irragionevole e  in  contrasto  con  i  principi  di  buon  andamento
dell'amministrazione   e   di   autonomia   ed   indipendenza   della
magistratura; 
    che il Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo,  sezione
I, con ordinanza del 14 febbraio 2012, iscritta al reg. ord.  n.  114
del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 36,  53,  97,
101, 104, 108 e 111 Cost., questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 9, commi 21 e 22, del d.l. n. 78 del 2010; 
    che, secondo il rimettente l'art. 9, commi 21, primo  periodo,  e
22, relativamente al mancato adeguamento, violerebbe gli  artt.  101,
comma 2, 104,  comma  1,  e  108  Cost.,  in  quanto  il  trattamento
economico dei magistrati, assistito da "certezza" e da  "continuita'"
a   garanzia   dell'autonomia   e    dell'indipendenza    dell'ordine
giudiziario, non  sarebbe  nella  libera  disponibilita'  del  potere
legislativo o del potere esecutivo e non potrebbe essere  soggetto  a
decurtazioni, le quali, in quanto tali, si  presenterebbero  comunque
"distoniche alla luce  dei  menzionati  principi,  che  costituiscono
presupposto e requisito essenziale di ogni giusto  processo"  di  cui
agli artt. 24, 101 e 111 Cost.; 
    che, a giudizio del rimettente, le  decurtazioni  in  parola  non
avrebbero tenuto conto della giurisprudenza della Corte, in relazione
alla necessita' che simili interventi  debbano  essere  "eccezionali,
transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo  prefisso"  (cfr.,
sentenza n. 245 del 1997 e ordinanza n. 299 del 1999); 
    che, inoltre, le norme in questione  contrasterebbero  anche  con
l'art. 36 Cost., in quanto la retribuzione dei magistrati,  stabilita
con  legge  formale  ed  aggiornata,  solo  per  relationem,  sarebbe
correlata non solo alla generica quantita' e qualita' delle  funzioni
ma anche al ruolo  istituzionale  e  costituzionale  svolto,  sicche'
colpendo  i  meccanismi  automatici  di  adeguamento  si  inciderebbe
sull'adeguatezza e la proporzionalita' della  retribuzione,  rispetto
alle specifiche funzioni di rilievo costituzionale,  delle  quali  il
legislatore ha tenuto conto nel delineare i corrispondenti meccanismi
retributivi; 
    che,   con   riferimento   alla   decurtazione    dell'indennita'
giudiziaria, il rimettente censura l'apparato  normativo  utilizzando
le medesime argomentazioni e censure  spese  per  l'adeguamento,  che
ricalcano peraltro in larga misura le motivazioni  sottese  ad  altre
ordinanze con riguardo agli artt. 101, 104 e 108; 
    che, inoltre, viene prospettata un'ulteriore violazione dell'art.
36 Cost., che impone sia l'obbligo di rispettare la  proporzionalita'
tra la  retribuzione  e  il  livello  quali-quantitativo  del  lavoro
prestato, che il correlato divieto di diminuire lo stipendio  se  non
in conseguenza della diminuzione delle prestazioni richieste; 
    che, il TAR  per  l'Abruzzo  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale anche con riferimento  alla  violazione  dell'art.  53
Cost., in quanto si tratterebbe di un vero e proprio prelievo forzoso
di somme  stipendiali  ed  indennitarie  a  copertura  di  fabbisogni
finanziari indifferenziati dello Stato  apparato,  non  correlato  ad
alcuna "capacita' contributiva"; 
    che, infine, le norme,  vengono  complessivamente  censurate  con
riferimento alla violazione dell'art. 97, primo comma, Cost., poiche'
la manovra in questione avrebbe  avuto  riflessi  negativi  sul  buon
andamento  degli  uffici  dell'amministrazione  della  giustizia,   e
dell'art. 3 Cost., per disparita' di trattamento fra la categoria dei
ricorrenti e quella del  pubblico  impiego  contrattualizzato  e  per
violazione del canone di ragionevolezza intrinseca; 
    che, con analoghe motivazioni, il  TAR  per  la  Puglia,  sezione
staccata di Lecce, con ordinanza del 5 aprile 2012, iscritta al  reg.
ord.  n.  140  del  2012,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 22, del citato d.l. n. 78 del 2010,
relativamente  alla  riduzione  della  speciale  indennita'  di   cui
all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27  (Provvidenze  per  il
personale di magistratura). 
    Considerato  che  i  rimettenti   dubitano   della   legittimita'
costituzionale dell'articolo 9, commi 2, 21 e 22 del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in relazione  agli
interventi normativi  che  riguardano  i  magistrati  ricorrenti  nei
giudizi a quibus; 
    che questa Corte, con la sentenza n.  223  del  2012,  successiva
alla pubblicazione delle ordinanze di rimessione, ha gia' dichiarato:
l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,  comma  22,   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio  2010,  n.  122,
nella parte in cui dispone che, per il personale di cui alla legge 19
febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale  di  magistratura)
non sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli  acconti  degli
anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e  che
per tale personale, per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per
l'anno 2014 e' pari alla misura gia' prevista per l'anno  2010  e  il
conguaglio per l'anno 2015 viene  determinato  con  riferimento  agli
anni 2009, 2010 e 2014; nonche' nella parte in cui non esclude che  a
detto  personale  sia  applicato  il  primo  periodo  del  comma  21;
l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 9, comma 22,  del  d.l.
n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che l'indennita'  speciale
di cui all'articolo 3 della  legge  n.  27  del  1981,  spettante  al
personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e  2013,  sia
ridotta del 15% per l'anno 2011, del 25% per l'anno 2012  e  del  32%
per l'anno 2013;  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,
comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui  dispone  che  a
decorrere  dal  1°  gennaio  2011  e  sino  al  31  dicembre  2013  i
trattamenti economici complessivi dei singoli  dipendenti,  anche  di
qualifica dirigenziale, previsti dai  rispettivi  ordinamenti,  delle
amministrazioni pubbliche, inserite nel conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del  comma  3  dell'art.  1
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita' e finanza
pubblica), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti  del  5%
per la parte eccedente il  predetto  importo  fino  a  150.000  euro,
nonche' del 10% per la parte eccedente 150.000 euro; 
    che,  dunque,  le  questioni  vanno   dichiarate   manifestamente
inammissibili,  essendo  divenute  prive  di   oggetto,   riguardando
l'illegittimita' costituzionale del citato comma 22, anche  la  parte
in cui non esclude l'applicabilita' del primo periodo del comma 21. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.