ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  71,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio  2002,
n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia), promosso dal Tribunale  ordinario  di
Sondrio, sul reclamo proposto da A. D. P., con ordinanza del 23 marzo
2012, iscritta al n. 162 del registro  ordinanze  2012  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  35,  prima   serie
speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5 dicembre  2012  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario  di  Sondrio,  con  ordinanza
depositata in data  23  marzo  2012,  ha  sollevato,  in  riferimento
all'articolo  3  della   Costituzione,   questione   incidentale   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 71, comma  2,  del  decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia), nella  parte  in  cui  prevede  che  la  domanda  per  la
corresponsione  delle  indennita'  in  favore  degli  ausiliari   del
magistrato debba essere presentata, a pena di decadenza, nel  termine
di cento giorni dall'espletamento dell'incarico; 
    che il rimettente riferisce di essere chiamato  a  giudicare  sul
reclamo  proposto  avverso  il  provvedimento  col  quale  era  stata
rigettata, perche' tardivamente presentata, la domanda della dott.ssa
A. D. P. - incaricata, unitamente ad altri  consulenti  tecnici,  dal
pubblico  ministero  presso  il  Tribunale  di  Sondrio  di  svolgere
attivita' di consulenza  medico-legale  nel  corso  di  una  indagine
penale - volta  ad  ottenere  la  liquidazione  dei  compensi  a  lei
spettanti; 
    che, come precisato dal giudice a quo, il rigetto  della  domanda
presentata dalla reclamante era dovuto alla circostanza che essa  era
pervenuta alla locale Procura della  Repubblica  in  data  18  agosto
2010, la' dove l'elaborato, collettivamente redatto dal collegio  dei
consulenti, era stato depositato in data 12 marzo 2010; 
    che,   pertanto,   sebbene   l'istante   avesse   avuto   notizia
dell'avvenuto deposito solo il 7 luglio  2010,  la  sua  domanda  era
stata rigettata «essendo decorso il termine  di  cento  giorni  dalla
presentazione prescritto a pena di decadenza»; 
    che, osserva il rimettente, sulla  base  dei  ricordati  dati  di
fatto ed applicata la normativa  vigente,  costituita  dall'art.  71,
comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, siffatta decisione era corretta,
tuttavia,  egli  aveva  avvertito  «il  senso  dell'ingiustizia»  nel
confermare la decadenza dal diritto al compenso della ausiliaria  del
pubblico ministero, a causa  del  mancato  rispetto  del  «brevissimo
termine» previsto; 
    che, conseguentemente, onde ovviare alla ingiustizia della legge,
ha  ritenuto   di   dover   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 71, comma 2, del d.P.R.  n.  115  del  2002,
nella parte in  cui  introduce,  per  l'esercizio  del  diritto  alla
liquidazione dei compensi degli ausiliari del magistrato, un  termine
di decadenza irragionevolmente breve; 
    che, quanto alla rilevanza della questione, il rimettente osserva
che, essendo il  diniego  della  liquidazione  espressamente  fondato
sulla decadenza prevista dalla disposizione  censurata,  l'esito  del
giudizio a quo  e'  condizionato  dalla  definizione  del  dubbio  di
costituzionalita'; 
    che,  sulla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,   il
rimettente, rilevato che, in sede di redazione del testo unico  sulla
spese di  giustizia,  il  legislatore  delegato  si  era  limitato  a
sostituire    con     l'espressione     «decadenza»     l'espressione
«prescrizione», contenuta nella disposizione che sino a quel  momento
aveva disciplinato, per il resto negli stessi termini cronologici, la
fattispecie - vale a dire nell'art. 24 del  regio  decreto  3  maggio
1923, n. 1043 (Determinazione delle competenze dovute  ai  testimoni,
periti, giurati e ufficiali giudiziari e delle  indennita'  spettanti
ai  magistrati  e  cancellieri  per  le  trasferte)  -  dubita  della
logicita' della disposizione censurata, poiche' questa, in assenza di
un'apprezzabile  ratio  prevede  termini   temporali   «assolutamente
irrisori» per la presentazione della richiesta di corresponsione  dei
compensi spettanti all'ausiliario del magistrato; 
    che il rimettente prosegue ricordando come, con sentenza  n.  268
del 1991, questa Corte gia' ha esaminato, ma sotto altro profilo,  la
compatibilita' costituzionale dell'art. 24 del r.d. n. 1043 del 1923,
rilevando che in quell'occasione era rimasto impregiudicato  il  tema
della ragionevolezza del predetto termine di cento giorni; 
    che, a suo avviso, le esigenze di celerita' del processo, che  in
linea  di  principio  giustificano  la  apposizione  del  termine  in
questione, non appaiono, pero', tali da giustificarne la  brevita'  -
definita «eccessivamente penalizzante» - neppure ove essa venga posto
in relazione al compimento delle attivita'  volte  alla  liquidazione
dei compensi spettanti all'ausiliario del magistrato; 
    che, pertanto, si tratterebbe di una disposizione intrinsecamente
irragionevole, cioe' incoerente, contraddittoria od illogica rispetto
alla finalita' perseguita dal legislatore (ravvisata  dal  rimettente
nell'esigenza di non «dover riesumare procedimenti oramai definiti ed
archiviati per provvedere a tardive  istanze  di  liquidazione»),  la
quale sarebbe adeguatamente tutelata anche  applicando  le  ordinarie
disposizioni civilistiche in materia  di  prescrizione  dei  compensi
professionali; 
    che,  ad  avviso  del  rimettente,  la   irragionevolezza   della
disposizione denunziata emergerebbe anche  in  relazione  agli  altri
interessi costituzionali da essa coinvolti: da un lato l'esigenza  di
un  ordinato  esercizio  della   amministrazione   della   giustizia,
presidiato dall'art. 97 della Costituzione,  dall'altro  il  diritto,
costituzionalmente  rilevante,  al  «rispetto  del  lavoro  prestato»
tutelato dagli artt. 1 e 35 della Costituzione; 
    che, infatti, per il giudice  a  quo,  un  ulteriore  profilo  di
illegittimita' della norma censurata risiederebbe  nell'irragionevole
subvalenza di tali interessi, in favore di un criterio temporale (non
funzionale  alla  celerita'  del  processo)  ed   a   scapito   della
possibilita' di richiedere entro termini adeguati il compenso per  il
lavoro prestato; 
    che l'eventuale espunzione  dall'ordinamento  della  disposizione
censurata  non  determinerebbe  l'esistenza  di  incolmabili   lacune
normative data l'immediata applicazione dell'art.  2956,  numero  2),
del codice civile il quale  fissa  i  termini  prescrizionali  per  i
compensi professionali; 
    che e' intervenuto nel giudizio,  rappresentato  e  difeso  dalla
Avvocatura generale dello Stato,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, che ha  concluso  per  l'infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale; 
    che, per un verso, la difesa erariale osserva che la disposizione
non e' affatto irragionevole in quanto,  premesso  che  le  spese  di
giustizia nel corso delle indagini preliminari sono  provvisoriamente
poste a carico dello Stato, essa  si  giustifica  con  l'esigenza  di
poter conoscere celermente e con certezza l'ammontare delle somme  da
anticipare, e che, per altro verso, il termine previsto  dalla  norma
censurata per la  richiesta  di  liquidazione  dei  compensi  non  e'
incongruamente breve ma adeguato alla bisogna. 
    Considerato che il Tribunale  ordinario  di  Sondrio  dubita,  in
relazione  all'articolo  3  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'articolo 71, comma 2, del decreto del  Presidente
della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115  (Testo   unico   delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia), nella parte in cui prevede che la domanda di liquidazione
degli onorari e delle spese per l'espletamento  dell'incarico  svolto
dagli ausiliari del magistrato debba essere  presentata,  a  pena  di
decadenza,  entro  cento  giorni  dal  compimento  delle   operazioni
commissionate; 
    che, ad avviso del rimettente, il predetto  termine  decadenziale
imporrebbe, in assenza di alcuna  valida  ragione,  la  presentazione
della ricordata  domanda  entro  un  lasso  temporale  «assolutamente
irrisorio», cosi' sacrificando, in un irragionevole bilanciamento  di
interessi costituzionalmente  tutelati,  la  prevalente  esigenza  di
garantire il compenso per il lavoro prestato - di cui agli artt. 1  e
35 della  Costituzione  -  alla  esigenza  di  assicurare  l'ordinato
esercizio della amministrazione della giustizia - di cui all'art.  97
della Costituzione; 
    che la questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  e'
manifestamente infondata; 
    che questa Corte ha piu' volte ribadito la ampia discrezionalita'
di  cui  gode  il  legislatore  nel  fissare  termini  temporali  per
l'esercizio dei diritti, anche laddove essi siano, come nel caso  del
diritto  alla  retribuzione  per  il  lavoro  prestato,  sorretti  da
garanzia costituzionale (sentenza n. 192 del 2005), col  solo  limite
che siffatto termine venga determinato in modo tale  da  non  rendere
effettivo  (ordinanza  n.  166  del  2006)   o   comunque   oltremodo
difficoltoso (ordinanza n. 382 del 2005) l'esercizio del diritto  cui
esso si riferisce; 
    che nel caso di specie il termine, di cui all'art. 71,  comma  2,
del d.P.R. n. 115 del 2005 - avente la  durata  di  cento  giorni,  a
partire dal compimento di un atto (la  conclusione  delle  operazioni
peritali) svolto dal medesimo soggetto in danno del quale il  termine
stesso decorre - non risulta essere talmente breve da  costituire  un
serio impedimento all'esercizio del diritto sottostante; 
    che neppure e'  dato  riscontrare  nella  disposizione  censurata
l'ulteriore  profilo  di  illegittimita'  dedotto   dal   rimettente,
consistente    nell'irragionevole    bilanciamento    di    interessi
costituzionalmente tutelati, rispondendo, invece,  ad  un  canone  di
razionale scansione dei tempi procedimentali l'esigenza di  conoscere
tempestivamente i costi necessari per lo svolgimento del giudizio; 
    che, peraltro, non contestando il rimettente la  apposizione  del
termine in quanto tale ma, semmai,  la  sua,  ritenuta,  brevita'  si
porrebbe la esigenza di individuarne un altro di congrua ampiezza; 
    che, come gia' rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte, la'
dove non sia contestata  la  legittimita'  della  apposizione  di  un
termine per l'esercizio di un  diritto  ma  soltanto  la  adeguatezza
della sua durata, esula dai poteri della Corte,  in  assenza  di  una
soluzione costituzionalmente obbligata,  individuarne  un  altro  che
abbia le caratteristiche richieste dal rimettente (ordinanza  n.  233
del 2007); 
    che, d'altra parte, neppure puo' convenirsi  col  rimettente,  il
quale  ritiene   incontroverso   che,   ove   fosse   dichiarata   la
illegittimita' costituzionale della disposizione censurata, in  luogo
dell'ordinario termine decennale di  cui  all'art.  2946  del  codice
civile  -  certamente  smisurato  rispetto  alle  ricordate  esigenze
sottese alla fattispecie -, sarebbe applicabile il termine  triennale
relativo  al  diritto  ai  compensi  ed  ai  rimborsi  spettanti   ai
professionisti per l'opera da loro prestata, di  cui  all'art.  2956,
numero 2), cod. civ.; 
    che, infatti, poiche' si ritiene che tale disposizione disciplina
non  un'ipotesi  di  prescrizione  breve  ma,   piuttosto,   una   di
prescrizione presuntiva, caratterizzata dal  fatto  che  in  essa  il
decorso del tempo non spiega effetti giuridici di  tipo  sostanziale,
comportando l'estinzione della relativa posizione soggettiva,  ma  di
tipo  processuale,  comportando   l'inversione,   e   l'aggravamento,
dell'onere   probatorio,   vi    e'    un    consolidato    indirizzo
giurisprudenziale che reputa il citato art.  2956,  numero  2),  cod.
civ. non applicabile alla fattispecie de qua, in quanto la disciplina
della prescrizione presuntiva e' estranea alle ipotesi in  cui,  come
indubitabilmente nel caso di cui al giudizio a  quo,  il  diritto  al
quale il termine prescrizionale si riferisce tragga origine  da  atti
caratterizzati dall'uso della forma scritta (cosi' da  ultimo:  Corte
di cassazione 4 luglio 2012, n. 11145). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.