ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  35,
commi 8, 9, 10 e  13,  del  decreto  legge  24  gennaio  2012,  n.  1
(Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle
infrastrutture e la competitivita'), sia nel testo originario, sia in
quello risultante dalla conversione in legge 24 marzo  2012,  n.  27,
promossi dalle Regioni Piemonte,  Veneto,  Toscana  e  dalla  Regione
siciliana con ricorsi notificati il 24  febbraio,  il  13  marzo,  il
22-24 e il 23 maggio 2012, depositati il 28 febbraio, il 22 marzo, il
29 e il 31 maggio 2012 e rispettivamente iscritti ai nn. 35, 60,  83,
82 e 85 del registro ricorsi 2012. 
    Visti gli atti di costituzione di Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  4  dicembre  2012  il  Giudice
relatore Sabino Cassese; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini per la Regione  Piemonte,  Mario
Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione  Veneto,  Marcello  Cecchetti
per la Regione Toscana, Beatrice  Fiandaca  e  Marina  Valli  per  la
Regione siciliana e l'avvocato  dello  Stato  Paolo  Gentili  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Le Regioni Piemonte (reg. ric. n. 35 del 2012), Veneto  (reg.
ric. n. 60 del 2012 e n. 83 del 2012), Toscana (reg. ric. n.  82  del
2012) e la Regione  siciliana  (reg.  ric.  n.  85  del  2012)  hanno
impugnato, fra l'altro, l'articolo 35, commi  8,  9,  10  e  13,  del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (Disposizioni  urgenti  per  la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e  la  competitivita'),
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. 
    1.1.- Le ricorrenti lamentano tutte, con la sola eccezione  della
Regione  siciliana,  la  violazione  degli  artt.  117  e  119  della
Costituzione e, tranne la Regione Toscana, la lesione degli  articoli
3, 118 e 120 Cost.  e  del  principio  di  leale  collaborazione.  La
Regione Veneto deduce, inoltre, la violazione degli articoli  5,  41,
42, 81 e 97 Cost., nonche', quali parametri interposti, i principi di
cui all'art. 2, comma 2, lettere b), c), p),  dd),  ii),  ll),  della
legge 5  maggio  2009,  n.  42  (Delega  al  Governo  in  materia  di
federalismo  fiscale,   in   attuazione   dell'articolo   119   della
Costituzione). La Regione siciliana lamenta,  invece,  la  violazione
degli articoli 20, 36 e 43 del proprio statuto, approvato  con  regio
decreto legislativo 15 maggio  1946,  n.  455,  convertito  in  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dell'art. 2 del decreto  del
Presidente della  Repubblica  26  luglio  1965,  n.  1074  (Norme  di
attuazione  dello  statuto  della  Regione   siciliana   in   materia
finanziaria), nonche' dell'art.  10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte  seconda  della
Costituzione), con riferimento agli artt. 117, terzo  comma,  e  119,
primo e secondo comma, Cost. 
    1.2.- Le Regioni Piemonte e  Veneto  hanno  altresi'  chiesto  la
sospensione dell'efficacia delle  disposizioni  impugnate,  ai  sensi
dell'articolo 35 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  come  sostituito
dall'articolo  9,  comma  4,  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131
(Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). 
    2.- L'art. 35 del decreto-legge n. 1 del 2012 (d'ora  in  avanti,
«art. 35») prevede misure per la  tempestivita'  dei  pagamenti,  per
l'estinzione dei  debiti  pregressi  delle  amministrazioni  statali,
nonche' disposizioni in materia di tesoreria unica.  In  particolare,
le  norme  censurate  dalle  ricorrenti  riguardano  il  sistema   di
tesoreria unica e dettano la seguente disciplina. 
    2.1.- Il comma 8 dell'art.  35  stabilisce  che  «Ai  fini  della
tutela dell'unita' economica della  Repubblica  e  del  coordinamento
della finanza pubblica, a decorrere dalla data di entrata  in  vigore
del presente decreto e  fino  al  31  dicembre  2014,  il  regime  di
tesoreria unica previsto dall'articolo 7 del  decreto  legislativo  7
agosto 1997, n. 279 e' sospeso. Nello  stesso  periodo  agli  enti  e
organismi pubblici soggetti al regime di tesoreria unica ai sensi del
citato articolo 7 si applicano le disposizioni di cui all'articolo  1
della  legge  29  ottobre  1984,  n.  720   e   le   relative   norme
amministrative di attuazione. Restano escluse dall'applicazione della
presente disposizione le disponibilita' dei predetti enti e organismi
pubblici rivenienti da operazioni di mutuo,  prestito  e  ogni  altra
forma di indebitamento non sorrette  da  alcun  contributo  in  conto
capitale o in conto interessi da parte dello Stato, delle  regioni  e
delle altre pubbliche amministrazioni». L'articolo 1 della  legge  29
ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica  per
enti ed organismi pubblici), prevede, fra l'altro, che gli istituti e
le aziende di credito,  tesorieri  o  cassieri  degli  enti  e  degli
organismi pubblici di cui alla tabella A annessa alla medesima  legge
(che include Regioni ed enti locali), «effettuano, nella qualita'  di
organi di esecuzione  degli  enti  e  degli  organismi  suddetti,  le
operazioni di incasso e di  pagamento  a  valere  sulle  contabilita'
speciali aperte presso le  sezioni  di  tesoreria  provinciale  dello
Stato. Le entrate proprie dei predetti enti ed organismi,  costituite
da introiti tributari  ed  extratributari,  per  vendita  di  beni  e
servizi, per canoni, sovracanoni e indennizzi, o  da  altri  introiti
provenienti  dal  settore   privato,   devono   essere   versate   in
contabilita' speciale  fruttifera  presso  le  sezioni  di  tesoreria
provinciale  dello  Stato.  Le   altre   entrate,   comprese   quelle
provenienti  da  mutui,  devono  affluire  in  contabilita'  speciale
infruttifera, nella quale devono altresi' essere versate direttamente
le assegnazioni, i contributi e quanto altro proveniente dal bilancio
dello Stato. Le operazioni di  pagamento  sono  addebitate  in  primo
luogo alla contabilita' speciale fruttifera, fino all'esaurimento dei
relativi fondi». 
    2.2.- Il comma 9 dell'art. 35 dispone che «[e]ntro il 29 febbraio
2012 i tesorieri o cassieri degli enti ed organismi pubblici  di  cui
al comma 8 provvedono a versare il 50 per cento delle  disponibilita'
liquide esigibili depositate presso gli stessi alla data  di  entrata
in  vigore  del  presente  decreto  sulle   rispettive   contabilita'
speciali, sottoconto fruttifero, aperte presso la tesoreria  statale.
Il versamento della quota rimanente deve essere effettuato  entro  il
16 aprile 2012. Gli eventuali investimenti finanziari individuati con
decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze - Dipartimento del
Tesoro da emanare entro il 30  aprile  2012,  sono  smobilizzati,  ad
eccezione di quelli in titoli di Stato italiani, entro il  30  giugno
2012 e le relative risorse versate sulle contabilita' speciali aperte
presso la tesoreria statale.  Gli  enti  provvedono  al  riversamento
presso i tesorieri e cassieri delle somme depositate presso  soggetti
diversi dagli stessi tesorieri o cassieri entro il 15 marzo 2012». La
legge di conversione ha modificato questa disposizione: da  un  lato,
le espressioni «entro il 29 febbraio 2012» ed  «entro  il  16  aprile
2012» sono state sostituite rispettivamente con  «alla  data  del  29
febbraio 2012» e «alla data del 16 aprile 2012»; dall'altro lato,  e'
stato  aggiunto  il  periodo  finale  «Sono  fatti  salvi   eventuali
versamenti gia'  effettuati  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente provvedimento». 
    2.3.- Il comma 10 dell'art. 35 prevede che  «[f]ino  al  completo
riversamento delle risorse sulle  contabilita'  speciali  di  cui  al
comma 9, per far fronte ai pagamenti disposti dagli enti ed organismi
pubblici di cui al comma 8,  i  tesorieri  o  cassieri  degli  stessi
utilizzano prioritariamente le risorse  esigibili  depositate  presso
gli stessi trasferendo gli eventuali vincoli  di  destinazione  sulle
somme depositate presso la tesoreria  statale».  La  disposizione  e'
stata interamente  sostituita  dalla  legge  di  conversione  con  la
seguente: «I tesorieri o cassieri degli enti ed organismi pubblici di
cui al comma 8 provvedono ad adeguare la  propria  operativita'  alle
disposizioni di cui all'articolo 1 della legge 29  ottobre  1984,  n.
720,  e  relative  norme  amministrative  di  attuazione,  il  giorno
successivo  a  quello  del  versamento  della  residua  quota   delle
disponibilita' previsto al comma 9. Nelle more di tale adeguamento  i
predetti tesorieri  e  cassieri  continuano  ad  adottare  i  criteri
gestionali previsti dall'articolo 7 del decreto legislativo 7  agosto
1997, n. 279». 
    2.4.- Il comma 13 dell'art. 35 stabilisce che  «[f]ermi  restando
gli ordinari rimedi previsti dal codice  civile,  per  effetto  delle
disposizioni di cui ai precedenti commi, i contratti di  tesoreria  e
di cassa degli enti ed organismi di cui al comma  8  in  essere  alla
data di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto  possono  essere
rinegoziati in via diretta tra le parti originarie, ferma restando la
durata inizialmente prevista dei contratti stessi. Se  le  parti  non
raggiungono  l'accordo,  gli  enti  ed  organismi  hanno  diritto  di
recedere dal contratto». 
    3.- La Regione Piemonte (reg. ric. n. 35 del 2012) ha impugnato i
commi 8, 9, 10 e 13 dell'articolo 35, per violazione  degli  articoli
3, 117, terzo, quarto e sesto comma, 118 e  119  Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui all'articolo 120 Cost. 
    3.1.- La Regione  ricorrente,  innanzitutto,  sottolinea  che  le
disposizioni impugnate, sospendendo le norme vigenti  in  materia  di
tesoreria previste dal decreto legislativo  7  agosto  1997,  n.  279
(Individuazione delle unita' previsionali di base del bilancio  dello
Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del
rendiconto generale dello Stato), avrebbero riportato in  vigore  «le
norme risalenti agli anni Ottanta, quando il sistema di finanziamento
degli enti territoriali aveva un carattere sostanzialmente  derivato,
poiche' i trasferimenti statali costituivano la massima  parte  delle
entrate dei suddetti enti». Di conseguenza, secondo la  Regione,  gli
enti non avranno piu' disponibilita' diretta  delle  proprie  risorse
depositate presso il sistema bancario e «il tesoriere di ciascun ente
potra' e dovra' soltanto curare pagamenti e riscossioni, senza potere
gestire, pero', la liquidita' dell'ente, secondo le disposizioni e le
decisioni di quest'ultimo». Ne deriverebbe  una  «grave  limitazione»
dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, che  risulterebbero
cosi' privati di «un importante strumento di gestione finanziaria che
ha permesso  di  conseguire  risultati  vantaggiosi».  La  ricorrente
osserva,  inoltre,  che,  sebbene  in  alcune  occasioni   si   siano
registrati «"abusi" di tale autonomia, con operazioni  spregiudicate,
il ritorno a una ben diversa stagione della  storia  delle  autonomie
territoriali,  senza  peraltro  nemmeno  prevedere   una   disciplina
transitoria e senza alcuna forma di intesa o raccordo  con  gli  enti
territoriali,   non    appare    consentito    dall'attuale    quadro
costituzionale   dell'autonomia   finanziaria».   In   aggiunta,   il
legislatore sembrerebbe non aver tenuto conto del fatto  che  Regioni
ed enti locali selezionano i propri tesorieri con gare pubbliche  che
consentono di ottenere le migliori  condizioni  di  mercato;  che  le
banche spesso garantirebbero sia  interessi  attivi  e  passivi  piu'
vantaggiosi, sia altre utilita' senza costi per  le  amministrazioni;
che, dunque, gli enti territoriali  risulterebbero  impoveriti  dalla
normativa censurata, «piu' di quanto ne beneficera' lo Stato, con  un
danno per tutto il sistema». 
    3.1.1.- Quanto al comma 8 dell'art. 35, la Regione rileva che, in
base all'art. 119 Cost., agli  enti  territoriali  sono  riconosciute
risorse autonome, tributi  ed  entrate  proprie  e  alla  Regione  e'
riconosciuta anche una potesta' esclusiva  in  relazione  al  sistema
tributario regionale.  Con  la  disposizione  censurata,  invece,  si
tornerebbe a imporre «il sistema di tesoreria unica, con riversamento
obbligatorio  nelle  casse  delle  tesorerie  statali,  non  solo  in
relazione alle entrate proprie derivanti dai tributi propri derivati,
come la tassa di circolazione, che viene direttamente riscossa  dalla
Regione, o come Irap e addizionale Irpef (oggi accreditate presso  il
tesoriere regionale),  ma  anche  riguardo  a  quelle  derivanti  dai
tributi  propri  autonomi,  espressione  della  potesta'  legislativa
esclusiva riconosciuta alla Regione». Anche per i  tributi  autonomi,
dunque, ricadenti nella sfera  di  competenza  legislativa  esclusiva
della Regione, si verrebbe ad applicare l'obbligo  di  sottostare  al
regime di tesoreria unica, con conseguente «privazione della facolta'
di gestirne la liquidita' finanziaria».  Tali  conseguenze  sarebbero
incompatibili con le «nuove dimensioni costituzionali  dell'autonomia
finanziaria e normativa», in violazione degli artt. 3, per difetto di
ragionevolezza, 117, terzo comma,  sul  coordinamento  della  finanza
pubblica e del sistema tributario, e  quarto  comma,  sulla  potesta'
legislativa residuale in materia di sistema tributario  regionale,  e
119 Cost., sull'autonomia finanziaria. 
    Il «ripristino» della tesoreria unica, infatti, costituirebbe una
misura che «travalica l'intero quadro  degli  ordinari  strumenti  di
coordinamento  della  finanza  pubblica».  Tale  assunto   troverebbe
conferma  sia  nel  fatto  che  l'autonomia  finanziaria  implica  la
coincidenza dei centri di  spesa  e  di  provento  per  aumentare  la
responsabilizzazione degli  amministratori  pubblici  (come  previsto
dall'art. 2, lettera u, della  legge  n.  42  del  2009),  sia  nella
circostanza che l'esigenza di «gestire  informazioni»  tra  centro  e
periferia avrebbe gia' trovato risposta nella istituzione del Sistema
informativo sulle operazioni degli  enti  pubblici  (SIOPE),  avviata
dall'art. 28 della legge 27 dicembre 2002, n. 289  (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria 2003). 
    Inoltre, la Regione  sottolinea  come,  dagli  anni  ottanta  del
ventesimo secolo a oggi, la legislazione regionale sia nel  frattempo
intervenuta, prevedendo meccanismi diretti ad assicurare la chiarezza
e la trasparenza della gestione  finanziaria  dell'ente  regionale  e
stabilendo procedure di gara  per  la  selezione  degli  istituti  di
credito cui affidare il servizio di tesoreria. Nel caso specifico, ad
esempio,  la  Regione  Piemonte  ha  stipulato  una  convenzione  che
garantisce all'amministrazione un tasso di  interesse  pari  all'1,53
per  cento  lordo,  superiore  quindi  a  quello  dell'1  per   cento
ottenibile dal conto fruttifero della Banca d'Italia. 
    La  capacita'  amministrativa  della  Regione,  dunque,   sarebbe
menomata sia rispetto alla possibilita'  di  usare  le  eccedenze  di
cassa derivanti dalla gestione della liquidita' in forme ancora  piu'
remunerative (come ad esempio la sottoscrizione di  contratti  pronti
contro  termine  o  obbligazioni),  sia  a  causa  della  prassi  che
impedisce  di  stabilire  un  contatto  diretto  con   le   tesorerie
provinciali della Banca  d'Italia,  dovendo  necessariamente  passare
attraverso la mediazione dell'istituto bancario tesoriere. La perdita
della gestione diretta della liquidita', pertanto,  si  rifletterebbe
sulla capacita' operativa  della  Regione,  con  conseguente  lesione
dell'art. 118, primo e secondo comma, Cost. 
    Il «ripristino» del sistema di tesoreria unica, poi, colliderebbe
con  il  processo  di   razionalizzazione,   responsabilizzazione   e
trasparenza della spesa regionale  in  materia  di  sanita'  prevista
dagli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118
(Disposizioni in materia di armonizzazione dei  sistemi  contabili  e
degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei  loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n.
42), che hanno previsto la  «perimetrazione  delle  entrate  e  delle
uscite relative  al  finanziamento  del  proprio  servizio  sanitario
regionale» e l'accensione di appositi conti  di  tesoreria  intestati
alla sanita'. La normativa censurata, infatti,  pregiudicherebbe,  in
modo irragionevole, le  misure  previste  per  la  trasparenza  e  la
verificabilita' della spesa sanitaria regionale. 
    Il  comma  8  dell'art.  35,  inoltre,  lederebbe  la   capacita'
amministrativa  finanziaria  delle  Province  e   dei   Comuni,   con
conseguente  limitazione  dell'autonomia  regionale  nel   trasferire
funzioni amministrative ai  sensi  dell'art.  118,  primo  e  secondo
comma, Cost. 
    In  definitiva,  il  comma  8  dell'art  35,  «ripristinando  per
Regioni, inclusi gli enti del comparto sanitario, Province  e  Comuni
un sistema  di  accentramento  finanziario  (e  non  quindi  di  mero
coordinamento)  configurato  in  ben  altra  stagione  della   storia
dell'autonomia finanziaria  e  normativa  degli  enti  territoriali»,
violerebbe gli artt. 3, 117, terzo  e  quarto  comma,  118,  primo  e
secondo  comma,  e  119  Cost.,  nonche'  il   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost., in quanto  «nessuna  intesa
e' stata prevista con gli enti territoriali».  Ne'  tali  profili  di
censura sarebbero attenuati dal fatto che la normativa  censurata  ha
carattere «sospensivo», perche' essa vanificherebbe un «sistema ormai
radicato, oltretutto costruito dopo una  non  breve  sperimentazione,
creando per un periodo temporaneo un'alterazione destinata a produrre
perdite finanziarie, problemi applicativi, ritardi nei  pagamenti,  e
altre probabili disfunzioni che non appaiono pienamente  giustificati
in relazione ai benefici ritraibili considerando l'intero sistema che
compone la Repubblica ai sensi dell'art. 114 Cost.». 
    3.1.2.- Con riguardo al comma 9 dell'art. 35, la Regione Piemonte
prospetta  innanzitutto  le  medesime  argomentazioni  formulate  con
riferimento al comma 8, di cui il primo  costituirebbe  «il  risvolto
operativo», con conseguente violazione degli artt. 3,  117,  terzo  e
quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119  Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.  Inoltre,
la  ricorrente  rileva  l'irragionevolezza  della  disposizione,  che
pretenderebbe di avere una immediata  operativita',  con  conseguenti
difficolta' applicative.  Infine,  la  Regione  censura  il  previsto
obbligo di smobilizzazione entro il 30 giugno 2012 degli investimenti
finanziari effettuati da Regioni ed enti locali, investimenti la  cui
individuazione  e'  rimessa  ad  un  apposito  decreto  del  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze  -  Dipartimento  del  tesoro.  Tale
procedura, caratterizzata dall'intervento «di un decreto ministeriale
di carattere  normativo,  sebbene  non  sia  qualificato  come  tale,
nell'ambito della  competenza  legislativa  concorrente  relativa  al
coordinamento della finanza pubblica», violerebbe anche  l'art.  117,
comma sesto, Cost. 
    3.1.3.-  Anche  il  comma  10  e  il  comma   13   dell'art.   35
rappresenterebbero un «risvolto operativo» del comma 8 e lederebbero,
quindi, gli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 118, primo e  secondo
comma, e 119 Cost., nonche' il principio di leale  collaborazione  di
cui all'art.  120  Cost.  Il  comma  10,  infatti,  vincolerebbe  gli
istituti che gestiscono i servizi di tesoreria regionali e  locali  a
usare «prioritariamente le risorse residue, giacenti sui conti  degli
enti territoriali (e relative alle loro entrate proprie), gia'  nella
fase transitoria e  prima  ancora  del  completo  riversamento  nella
tesoreria statale, con una  ulteriore  lesione  dell'autonomia  degli
enti territoriali e delle rispettive capacita' di programmazione». Il
comma 13, stabilendo ex lege la possibilita' di recesso  in  caso  di
mancato  accordo  tra  enti  e   istituti   di   credito   circa   la
rinegoziazione dei tassi di  interesse,  offrirebbe  una  «copertura»
alla  ipotesi  che  gli  enti   territoriali   possano   subire   una
rideterminazione dei tassi in senso a loro non favorevole. 
    3.2.- Nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  si  e'  costituito  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  chiedendo  che  le  proposte
censure di legittimita' costituzionale siano dichiarate inammissibili
o, comunque, non fondate. 
    La difesa dello Stato ritiene che il  ricorso  sia  inammissibile
per la genericita' dei profili di lesione rilevati e per  difetto  di
legittimazione attiva relativamente alla tesoreria degli enti locali.
Nel merito, il ricorso sarebbe non  fondato  perche'  il  ritorno  al
sistema unificato di tesoreria rappresenterebbe «un  ovvio  strumento
di coordinamento della finanza pubblica, a cui il legislatore statale
e' ricorso nell'attuale  fase  di  risanamento  urgente  dei  bilanci
pubblici centrale e locali».  La  giurisprudenza  costituzionale  (in
particolare  le  sentenze  n.  237  e   284   del   2009),   inoltre,
consentirebbe al legislatore statale interventi  puntuali  diretti  a
imporre alle Regioni vincoli alle politiche di bilancio, anche quando
questi vengono a incidere  sull'autonomia  regionale  di  spesa,  per
ragioni  di   coordinamento   finanziario   volte   a   salvaguardare
l'equilibrio della finanza pubblica complessiva e  nel  perseguimento
di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari. 
    3.3.- In data 12 novembre 2012, la Regione Piemonte ha depositato
nella cancelleria di questa Corte una memoria  illustrativa,  con  la
quale  sono  ribadite  le  censure  prospettate   nel   ricorso.   La
ricorrente,  inoltre,  contesta  le  argomentazioni  formulate  dalla
difesa dello Stato, ritenendo inconferente il richiamo alle  sentenze
n. 237 e n. 284 del 2009, mentre, a sostegno delle  proprie  ragioni,
menziona le pronunce n. 193 e n. 223 del 2012. 
    Con la prima, la Corte ha precisato che «possono essere  ritenute
principi fondamentali  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme  che
"si  limitino  a  porre  obiettivi  di  riequilibrio  della   finanza
pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo
dei suddetti obiettivi"». La disciplina censurata, invece,  non  solo
non si sarebbe posta «il problema della  qualificazione  delle  norma
come principio fondamentale - peraltro davvero difficile da sostenere
dato il carattere puntuale della misura - ma manca  anche  una  delle
due  condizioni  sopra  indicate:  se,  da  un   lato,   infatti   la
disposizione impugnata ha carattere transitorio, valendo sino  al  31
dicembre 2014, dall'altro essa si traduce in termini che non lasciano
alcuno spazio all'autonomia regionale, che  rimane  compresa  in  una
disciplina che dispone "in modo esaustivo strumenti o  modalita'  per
il perseguimento dei suddetti obiettivi"». 
    Con la sentenza n. 223  del  2012,  la  Corte  ha  precisato  che
«l'eccezionalita'  della  situazione  economica  che  lo  Stato  deve
affrontare e'  (...)  suscettibile  senza  dubbio  di  consentire  al
legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali,  nel  difficile
compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari
e di garantire i servizi e la protezione di  cui  tutti  i  cittadini
necessitano. Tuttavia, e' compito dello  Stato  garantire,  anche  in
queste   condizioni,   il   rispetto   dei   principi    fondamentali
dell'ordinamento costituzionale». 
    La Regione,  inoltre,  da'  conto  dei  danni  economici  che  la
normativa censurata avrebbe gia'  prodotto  sui  tassi  di  interesse
applicati  dall'istituto  di  credito  affidatario  del  servizio  di
tesoreria regionale. Essa, poi, lamenta che lo Stato avrebbe usato le
risorse sottratte al sistema delle autonomie non  solo  per  emettere
una minore quantita' di titoli, ma anche per  incrementare  un  fondo
volto esclusivamente a pagare i  debiti  dei  Ministeri  per  consumi
intermedi. La ricorrente, in aggiunta, segnala le disfunzioni che  si
sarebbero  gia'  verificate  con   riferimento   all'apertura   delle
contabilita' speciali  di  tesoreria  unica  intestate  alle  diverse
amministrazioni. Infine, la Regione Piemonte osserva che le modifiche
introdotte in sede di conversione ai commi 9 e 10  dell'art.  35  non
avrebbero  carattere  satisfattivo,  rimanendo  cosi'  invariate   le
ragioni dedotte nel ricorso. 
    4.- La Regione Veneto (reg. ric. n. 60 del 2012) ha  impugnato  i
commi 8, 9 e 10 dell'articolo 35, per violazione degli  artt.  3,  5,
41, 42, 81, 97, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonche' del  principio  di
leale collaborazione e, quale parametro  interposto,  della  legge  5
maggio 2009, n. 42. Con successivo  ricorso  (reg.  ric.  n.  83  del
2012), la Regione Veneto ha impugnato, fra l'altro, i commi 8, 9,  10
e 13 dell'art. 35, nel testo risultante dalla conversione in legge n.
27 del 2012, per violazione dei medesimi parametri e indicando  quali
norme interposte i principi di cui all'art. 2, comma 2,  lettere  b),
c), p), dd), ii), ll), della legge n. 42 del 2009. 
    4.1.- Con il primo  ricorso  (reg.  ric.  n.  60  del  2012),  la
Regione,  in  via  preliminare,  rappresenta  che  il  contratto   di
affidamento  del  servizio  di  tesoreria   attualmente   in   essere
costituisce per l'amministrazione regionale una «fonte  di  entrata».
La ricorrente rileva, poi, che la normativa censurata, «in spregio  a
precisi   vincoli   costituzionali»,   produrrebbe    l'effetto    di
«concentrare presso la tesoreria unica dello  Stato  (...)  tutto  il
patrimonio  in  numerario  della  Regione:  a)  quello   formato   da
trasferimenti dello Stato; b) il  portato  delle  entrate  tributarie
proprie; e c) il  risultato  della  propria  attivita'  afferente  ai
rapporti esclusivi, di diritto pubblico o di diritto  privato».  Cio'
nonostante, la Regione lamenta l'assenza di una «qualsiasi  forma  di
raccordo tra Ministero  dell'economia  e  destinatari  degli  effetti
della   norma»,   il   che   sarebbe   confermato   dal   fatto   che
l'amministrazione  regionale  non  avrebbe  ancora  ricevuto   alcuna
comunicazione formale dallo Stato circa le modalita' con  cui  dovra'
essere attivato e gestito il servizio di tesoreria. 
    La  ricorrente  si  sofferma,   inoltre,   sulla   giurisprudenza
costituzionale in materia di  tesoreria  unica,  rilevando  che  essa
dovrebbe essere collocata «in un  contesto  di  finanza  territoriale
caratterizzato non dall'autonomia del prelievo tributario,  ma  (...)
da una larga prevalenza dei trasferimenti erariali». Cio'  renderebbe
anacronistiche le precedenti  sentenze  in  materia,  atteso  che  il
quadro  di  riferimento   attuale   sarebbe   profondamente   mutato,
soprattutto in considerazione della riforma costituzionale del 2001 e
a seguito della crisi economico-finanziaria e dell'ulteriore  aumento
del debito pubblico. 
    4.1.1.- La Regione Veneto lamenta, in primo luogo, la  violazione
degli artt. 3 e 97 Cost., nonche' del principio di ragionevolezza. Ad
avviso  della  ricorrente,  infatti,  o  le  disposizioni   impugnate
«perseguono l'obiettivo di attribuire allo Stato  liquidita'  di  cui
disporre», cosi' privando le Regioni e gli  enti  locali  di  risorse
loro proprie, oppure la normativa impugnata, «dovendosi escludere che
le somme riversate nelle  casse  centrali  possano,  per  cio'  solo,
entrare nella libera disponibilita' dello Stato, e' priva  di  senso,
assolutamente  irragionevole  e  contraddittoria»,  in  quanto   essa
genererebbe  sprechi,  non  renderebbe  piu'  chiaro  il  sistema  di
contabilita' locale  e  priverebbe  di  liquidita'  gli  istituti  di
credito, impedendo loro di finanziare le imprese.  L'irragionevolezza
della normativa censurata, inoltre,  risiederebbe  sia  nella  totale
assenza di una disciplina transitoria, sia  nella  natura  temporanea
della misura di sospensione del regime di  tesoreria  mista  previsto
dall'art. 7  del  d.lgs.  n.  279  del  1997,  che  produrrebbe  «una
disciplina altalenante, costituita, per un verso, dalla  reviviscenza
provvisoria di un corpo  normativo  datato,  incostituzionale,  privo
degli strumenti di attuazione, e, per l'altro, dal congelamento di un
sistema  di  tesoreria  conforme  a  Costituzione,  rispettoso  delle
autonomie e rodato nel tempo». Le irragionevolezze e  le  lacunosita'
della disciplina impugnata, poi, non possono, ad avviso della Regione
Veneto, non  riflettersi  in  termini  negativi  sull'erogazione  dei
servizi da parte  dell'amministrazione,  con  conseguente  violazione
dell'art. 97 Cost. 
    4.1.2.- La ricorrente  invoca  l'art.  41  Cost.,  in  quanto  la
normativa  censurata  lederebbe  il   principio   di   tutela   della
concorrenza garantito dalla facolta' delle  Regioni  di  detenere  le
proprie risorse presso tesorieri scelti con gara. In particolare,  il
legislatore statale si sarebbe inserito nel rapporto contrattuale  di
diritto privato, in essere tra la Regione  e  l'istituto  di  credito
affidatario  del  servizio  di  tesoreria,  «in  modo  improvvido   e
autoritativo, in assenza di presupposti facoltizzanti» e senza alcuna
ragione di «utilita' sociale». 
    4.1.3.- La Regione Veneto, poi, ritiene  la  normativa  impugnata
lesiva dell'art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento
della finanza pubblica. Per un verso, il ripristino  del  sistema  di
tesoreria unica, pur essendo motivato dalla esigenza  di  raccogliere
liquidita',  non  consentirebbe  di  ottenere  risparmi   di   spesa,
generando  invece  sprechi  e  disfunzioni.  Per  altro   verso,   le
disposizioni censurate non si  limiterebbero  a  porre  principi,  ma
interverrebbero   «con   previsioni   specifiche   e   sedicentemente
autoapplicative che incidono sull'autonomia». Parimenti leso  sarebbe
l'art. 117, sesto comma, Cost.,  laddove  il  comma  9  dell'art.  35
prevede che sia un decreto ministeriale a individuare  gli  eventuali
investimenti finanziari da smobilizzare. 
    4.1.4.- La ricorrente lamenta, inoltre, la  violazione  dell'art.
118  Cost.,  in  quanto   le   disposizioni   impugnate   lederebbero
l'autonomia amministrativa delle Regioni e degli enti locali  perche'
sottrae loro la possibilita' di gestire in modo libero e responsabile
il proprio servizio  di  tesoreria.  La  disciplina  impugnata,  poi,
renderebbe piu' difficile l'accesso di Regioni ed  enti  locali  alle
risorse proprie necessarie per svolgere  le  funzioni  amministrative
loro attribuite e costringerebbe  tali  enti  a  una  sicura  perdita
patrimoniale. Infine, vi  sarebbe  una  violazione  dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, i quali  imporrebbero
che la gestione del servizio di tesoreria sia affidato al livello  di
governo piu' vicino al cittadino. 
    4.1.5.- Ulteriore parametro  invocato  dalla  Regione  Veneto  e'
l'art.  119  Cost.,  in  quanto  la  scelta  di  «distrarre   risorse
finanziarie dalle  tesorerie  decentrate  per  riversarle  in  quella
statale si pone in netto contrasto con l'autonomia costituzionalmente
garantita agli enti che se ne vedono spogliati». 
    In particolare,  l'autonomia  di  entrata  sarebbe  lesa  perche'
verrebbero sottratte al sistema di  tesoreria  regionale  le  entrate
proprie delle Regioni e perche' verrebbe violata  l'autonomia  stessa
di creare entrate, sotto forma di maggiori interessi.  La  ricorrente
osserva, infatti,  che  l'autonomia  finanziaria  riconosciuta  dalla
Costituzione sarebbe innanzitutto «un'autonomia  sul  reperimento  di
risorse e tali sono anche  quelle  derivanti  da  interessi  maturati
sulla disponibilita' del denaro». 
    Inoltre, sarebbe violata l'autonomia  di  spesa  per  i  seguenti
motivi:   il   controllo   sulla   gestione   finanziaria   regionale
precluderebbe la disponibilita' delle somme occorrenti  alle  Regioni
stesse  per  lo  svolgimento  dei  loro  compiti  istituzionali;   la
smobilizzazione degli eventuali investimenti finanziari prevista  dal
comma 9 dell'art. 35  inciderebbe  sulla  pianificazione  finanziaria
degli enti, «alterando in maniera definitiva le scelte  di  spesa  da
questi compiute»; il comma 10 dell'art. 35 stabilirebbe una priorita'
di utilizzo della liquidita' da parte  dei  tesorieri  regionali.  In
definitiva, le disposizioni impugnate sarebbero in  contrasto  con  i
principi stabiliti dall'art. 2, comma 2, della legge n. 42 del  2009,
in particolare quelli in materia di  «trasparenza  del  prelievo»  ed
«efficienza   nell'amministrazione   dei   tributi»   (lettera    c),
«tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e  beneficio  connesso
alle funzioni esercitate  sul  territorio  in  modo  da  favorire  la
corrispondenza  tra  responsabilita'  finanziaria  e  amministrativa»
(lettera p), «trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata  e
di spesa, rivolte a garantire l'effettiva attuazione dei principi  di
efficacia, efficienza ed  economicita'»  (lettera  dd),  «tendenziale
corrispondenza tra autonomia  impositiva  e  autonomia  di  gestione»
delle risorse (lettera ii),  «certezza  delle  risorse  e  stabilita'
tendenziale del quadro di  finanziamento,  in  misura  corrispondente
alle funzioni attribuite» (lettera ll). 
    4.1.6.- La ricorrente censura l'art. 35, commi 8, 9  e  10  anche
per violazione del principio di leale collaborazione, lamentando  che
tali disposizioni siano state approvate senza alcuna forma di dialogo
o di raccordo con le Regioni e  per  di  piu'  mediante  l'uso  della
decretazione  d'urgenza.   Sarebbe   quindi   mancata   la   «lealta'
istituzionale» a cui si riferisce l'art.  2,  comma  2,  lettera  b),
della legge n. 42 del 2009. 
    Sarebbe violato,  inoltre,  l'art.  120  Cost.  In  primo  luogo,
mancherebbero  i   presupposti   dell'intervento   sostitutivo,   non
ravvisabile  nella  sola  enunciazione   della   tutela   dell'unita'
economica evocata dall'incipit del comma 8 dell'art. 35.  In  secondo
luogo,  le  misure  previste  dalla  disciplina  censurata   appaiono
inidonee e sproporzionate rispetto allo scopo perseguito,  perche'  o
esse sono finalizzate a drenare liquidita' nelle casse dello Stato, e
allora  sarebbero  illegittime  per   lesione   delle   autonomie   o
irragionevoli in quanto «per soddisfare esigenze statali  piega  enti
territoriali, banche e imprese»;  oppure  esse  sarebbero  «prive  di
senso perche' assegn[ano] allo Stato risorse inutilizzabili spezzando
il nesso di corrispondenza tra autonomia di prelievo e  autonomia  di
gestione». In terzo luogo, non sarebbe  rispettato  il  principio  di
sussidiarieta', in quanto il sistema di tesoreria si collocherebbe al
livello di governo piu'  lontano  dai  cittadini.  In  quarto  luogo,
sarebbe leso il principio di leale cooperazione istituzionale. 
    Parimenti violato sarebbe l'art. 42 Cost., perche' la  disciplina
censurata rappresenterebbe «una macroscopica  e  maldestra  forma  di
"espropriazione" della proprieta' in capo alle Regioni  e  agli  enti
locali». Essa, infatti, ad avviso della ricorrente, sottrarrebbe alle
Regioni la libera gestione delle  risorse  proprie;  diminuirebbe  il
rendimento di queste ultime in termini di interessi; si  insinuerebbe
«unilateralmente e  con  effetti  sostanzialmente  caducatori  su  un
rapporto  contrattuale  legittimamente  in  corso  tra  le  parti  in
esecuzione di norme imperative rispettose della potesta'  legislativa
concorrente tra Stato e Regioni»; esigerebbe la smobilizzazione degli
eventuali investimenti finanziari. 
    La Regione Veneto, inoltre, rileva  la  violazione  dell'art.  81
Cost.,  in  quanto  la  disciplina  censurata  importerebbe  nuove  e
maggiori  spese,  contestualmente  decurtando  le  entrate  e   senza
indicare i mezzi per farvi fronte. La  ricorrente,  poi,  lamenta  la
violazione del  principio  fondamentale  di  cui  all'art.  5  Cost.,
perche' le disposizioni impugnate avrebbero la  pretesa  di  «imporre
unilateralmente,   con   discipline   a   carattere   derogatorio   e
suppostamente straordinario, il sacrificio delle  autonomie  per  far
fronte alle esigenze di cassa». Da ultimo, la Regione  sottolinea  la
propria  legittimazione  a  far  valere  lesioni  delle  attribuzioni
costituzionali degli enti locali. 
    4.2.- Con il secondo ricorso (reg.  ric.  n.  83  del  2012),  la
Regione Veneto rileva, innanzitutto, che le disposizioni normative di
cui all'art. 35 del decreto-legge n. 1  del  2012  sono  state  quasi
integralmente confermate in sede di conversione. I motivi di  censura
prospettati sono i medesimi dedotti con il precedente  ricorso  (reg.
ric. n. 60 del 2012), fatte salve le doglianze riferite al  comma  13
dell'art. 35, prima non impugnato. Al riguardo, la ricorrente lamenta
in particolare la violazione degli articoli 41 e 119 Cost., in quanto
la  disposizione  pretenderebbe  di   condizionare   illegittimamente
l'autonomia contrattuale della Regione  relativamente  alla  gestione
delle proprie risorse. In aggiunta, la  facolta'  di  rinegoziazione,
considerata ex parte privata, avrebbe «la mera funzione di compensare
il periodo eventualmente "perso" a causa della  reintroduzione  della
tesoreria unica con  l'introduzione  di  piu'  favorevoli  condizioni
negoziali, circostanza,  quest'ultima,  che,  ex  parte  publica,  si
traduce  nell'ulteriore  danno  dell'assoluta  incertezza  di   poter
nuovamente  godere  del  contratto  in  allora  stipulato,  se   non,
addirittura, nella certezza della reformatio in pejus». 
    4.3.- In entrambi i giudizi, si e' costituito il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  le   proposte   censure   di
legittimita'  costituzionale  siano   dichiarate   inammissibili   o,
comunque, non fondate. 
    La difesa dello Stato ritiene che il  ricorso  sia  inammissibile
per la genericita' dei profili di lesione rilevati e per  difetto  di
legittimazione attiva relativamente alla tesoreria degli enti locali. 
    Nel merito, il ricorso sarebbe non fondato perche' il ritorno  al
sistema unificato di tesoreria costituirebbe «un ovvio  strumento  di
coordinamento della finanza pubblica, a cui il legislatore statale e'
ricorso nell'attuale fase di risanamento urgente dei bilanci pubblici
centrale e locali». La difesa dello Stato osserva, poi, che le  norme
impugnate non hanno alcuna incidenza sull'autonomia  di  spesa  della
Regione che, utilizzando  la  tesoreria  unica,  conserva  intatti  i
poteri e la capacita' di disporre il pagamento delle somme secondo le
proprie discipline e procedure. Inoltre, la parte resistente precisa,
da un lato, che  la  finanza  regionale  e'  ancora  in  buona  parte
alimentata da trasferimenti statali e da quote di tributi erariali, e
dall'altro, che «non appare meritevole di tutela l'interesse palesato
dalla Regione (...) a lucrare  gli  interessi  attivi  che  la  banca
tesoriera le accorda sulla giacenza liquida». La disciplina censurata
sarebbe volta a limitare «il fenomeno delle abnormi giacenze di cassa
delle tesorerie locali, utilizzate per ricavarne proventi  finanziari
dal sistema bancario, e a stimolare  gli  enti  locali  ad  immettere
tempestivamente nel sistema  i  flussi  di  liquidita'  di  cui  sono
gestori». 
    4.4.- In data 12 novembre 2012 la Regione  Veneto  ha  depositato
nella cancelleria di  questa  Corte,  per  entrambi  i  giudizi,  due
memorie illustrative di identico tenore, con le quali sono ribaditi i
motivi di censura. 
    La ricorrente respinge l'eccezione di carenza  di  legittimazione
attiva della Regione relativamente alla tesoreria degli enti  locali,
dato che l'art. 9 della legge n. 131 del 2003 non  subordinerebbe  ad
alcuna  richiesta  ufficiale  da   parte   degli   enti   locali   la
legittimazione regionale  a  ricorrere  alla  Corte:  tale  richiesta
sarebbe di natura  facoltativa  e  la  giurisprudenza  costituzionale
ammetterebbe questo tipo di denuncia. 
    Nel merito,  la  Regione  Veneto  sottolinea  che  la  disciplina
censurata sarebbe in contrasto con la  lettera  e  lo  spirito  della
riforma costituzionale del 2001 e, relativamente al versamento  delle
risorse proprie regionali, con la  giurisprudenza  costituzionale  in
materia di tesoreria unica (in particolare  la  sentenza  n.  94  del
1981), nonche',  quanto  alle  risorse  trasferite,  con  l'autonomia
regionale. 
    5.- La Regione Toscana (reg. ric. n. 82 del 2012)  ha  impugnato,
fra l'altro, i commi 8, 9 e 10 dell'art. 35,  come  risultanti  dalla
conversione in legge del decreto-legge n. 1 del 2012,  per  contrasto
con gli artt. 117, terzo e quarto comma,  e  119,  primo,  secondo  e
quarto comma, Cost. 
    5.1.- La ricorrente, innanzitutto, osserva che, con il ritorno al
vecchio  sistema  di  tesoreria  unica  disposto   dalla   disciplina
censurata, le Regioni non avranno piu' disponibilita'  diretta  delle
proprie risorse depositate presso il sistema bancario:  il  tesoriere
di ciascun ente potra' soltanto curare pagamenti e riscossioni, senza
poter gestire la liquidita' dell'ente, secondo le disposizioni  e  le
decisioni di quest'ultimo. Cio' determinerebbe una grave  limitazione
dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, cosi' privati di un
importante strumento  di  gestione  finanziaria,  oltre  che  di  una
notevole  liquidita',  anche  in  considerazione   del   venir   meno
dell'entrata derivante dagli interessi garantiti dal sistema bancario
(maggiori rispetto a quelli della Banca d'Italia). 
    Ne discende che le disposizioni impugnate lederebbero l'autonomia
finanziaria delle Regioni nel gestire le loro risorse di cui all'art.
119, primo comma, Cost. Sarebbero violati,  poi,  l'art.  117,  terzo
comma, e l'art. 119, secondo comma, Cost.,  in  quanto  la  normativa
censurata, lungi dal costituire un principio di  coordinamento  della
finanza pubblica, detterebbe vincoli puntuali e misure  di  dettaglio
in una materia di competenza concorrente.  Inoltre,  le  disposizioni
impugnate lederebbero gli artt. 117, terzo e  quarto  comma,  e  119,
quarto comma, Cost., perche' non sarebbe rispettata la corrispondenza
tra le risorse finanziarie disponibili e le  funzioni  attribuite  in
titolarita'  a  ciascun  ente  territoriale.  Infine,  la  disciplina
censurata  avrebbe  l'effetto  di  sopprimere  spazi   di   autonomia
finanziaria  gia'  riconosciuti  alle  Regioni  e  detterebbe   norme
direttamente contrastanti con i  principi  desumibili  dall'art.  119
Cost. 
    5.2.- Si e' costituito in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo   che   le   proposte   censure   di   legittimita'
costituzionale  siano  dichiarate  inammissibili  o,  comunque,   non
fondate. 
    La difesa dello Stato ritiene che il  ricorso  sia  inammissibile
per la genericita' dei profili di lesione rilevati e per  difetto  di
legittimazione attiva relativamente alla tesoreria degli enti locali. 
    Nel merito, il ricorso sarebbe non fondato perche' il ritorno  al
sistema  unificato  di  tesoreria  sarebbe  «un  ovvio  strumento  di
coordinamento della finanza pubblica, a cui il legislatore statale e'
ricorso nell'attuale fase di risanamento urgente dei bilanci pubblici
centrale e  locali».  Inoltre,  rileva  la  difesa  dello  Stato  che
«l'accentramento temporaneo di tutte le giacenze di finanza  pubblica
nella  tesoreria  unica  appare  come  una   misura   strutturalmente
necessaria (e con cio' espressiva di  un  principio  fondamentale  di
coordinamento della  finanza  statale  e  locale)  ad  assicurare  la
tempestivita' dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni,  che  e'
la finalita' complessiva di tutte le misure adottate  con  l'art.  35
del decreto-legge n. 1 del 2012,  come  chiarisce  la  rubrica  della
disposizione stessa». 
    5.3.- In data 13 novembre 2012 la Regione Toscana  ha  depositato
nella cancelleria di questa Corte una memoria  illustrativa,  con  la
quale  sono  ribaditi  i  motivi  di  ricorso.  In  particolare,   la
ricorrente sottolinea che la disciplina censurata,  avendo  carattere
puntuale e di dettaglio, non soddisferebbe  le  condizioni  stabilite
dalla giurisprudenza costituzionale  per  poter  essere  ritenuto  un
principio di coordinamento della finanza pubblica. Quanto infine alla
situazione  di  crisi  economico-finanziaria  che  legittimerebbe  la
normativa impugnata, la Regione Toscana richiama la sentenza  n.  151
del 2012, in cui la Corte ha affermato che lo Stato «deve  affrontare
l'emergenza finanziaria predisponendo  rimedi  che  siano  consentiti
dall'ordinamento costituzionale»: condizione questa  che,  ad  avviso
della ricorrente, non sarebbe rispettata dalla disciplina censurata. 
    6.- La Regione siciliana (reg. ric. n. 85 del 2012) ha  impugnato
i commi 8, 9, 10 e 13 dell'art. 35, per violazione degli articoli 20,
36 e 43 dello statuto e dell'art. 2 del  d.P.R.  n.  1074  del  1965,
nonche' dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3  del  2001,  con
riferimento agli artt. 117, terzo  comma,  e  119,  primo  e  secondo
comma, Cost. 
    6.1.- La ricorrente rileva innanzitutto che l'applicabilita' alla
Regione siciliana del  sistema  di  tesoreria  unica  previsto  dalla
disciplina impugnata discende non solo  dalla  mancanza  di  apposita
clausola di esclusione,  «ma  dallo  stesso  ambito  dei  destinatari
individuati  nei  soggetti  giuridici  ai  quali  si   applicava   in
precedenza (e dovrebbe nuovamente applicarsi dal 1° gennaio 2015)  il
cosiddetto sistema misto». Inoltre, la  ricorrente  osserva  come  il
regime di tesoreria unica di cui alla legge n. 720 del 1984  mai  era
stato applicato  in  passato  alle  Regioni.  Tale  regime,  che  non
lascerebbe alcuna disponibilita'  in  giacenza  presso  la  tesoreria
regionale,   sarebbe   lesivo   dell'autonomia   regionale    perche'
impedirebbe all'ente di «adempiere tempestivamente ai propri  compiti
istituzionali». 
    La normativa impugnata contrasterebbe con l'art. 36 dello statuto
siciliano (in base al quale «Al fabbisogno finanziario della  Regione
si provvede con i redditi patrimoniali della Regione  e  a  mezzo  di
tributi, deliberati dalla medesima»), e  con  le  relative  norme  di
attuazione, in particolare l'art. 2 del  d.P.R.  n.  1074  del  1965,
nonche' con l'art. 20 dello statuto, ai sensi del quale nella Regione
siciliana l'esercizio di tutte le funzioni amministrative fa capo  al
Presidente  e  agli  assessori.  Inoltre,  la  disciplina   censurata
disattenderebbe il principio dell'esclusione  dalla  tesoreria  unica
delle  entrate  proprie  e,  dal  momento  che  «non  configura  mere
modalita' tecnico-contabili per il versamento di somme  dovute  dallo
Stato  alla  Regione  ma,  quantomeno,  una  deroga  alle  norme   di
attuazione dello statuto di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965 - non puo'
essere introdotta con legge ordinaria senza violare l'art.  43  dello
Statuto che stabilisce l'apposita procedura da seguire». 
    Infine, la  Regione  siciliana  sottolinea  che  le  disposizioni
impugnate, anche laddove  coerenti  con  l'assetto  delle  competenze
delineato dagli artt. 117  e  119  Cost.,  violerebbero  comunque  la
clausola  di  salvaguardia  prevista   dall'art.   10   della   legge
costituzionale n. 3 del 2001. 
    6.2.- Si e' costituito in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo   che   le   proposte   censure   di   legittimita'
costituzionale  siano  dichiarate  inammissibili  o,  comunque,   non
fondate. 
    La difesa dello Stato ritiene che il  ricorso  sia  inammissibile
per la genericita' dei profili di lesione rilevati e per  difetto  di
legittimazione attiva relativamente alla tesoreria degli enti locali. 
    Nel merito, il ricorso sarebbe non fondato perche' il ritorno  al
sistema unificato di tesoreria rappresenterebbe «un  ovvio  strumento
di coordinamento della finanza pubblica, a cui il legislatore statale
e' ricorso nell'attuale  fase  di  risanamento  urgente  dei  bilanci
pubblici centrale e locali». E la sua «sola e palese»  finalita'  «e'
l'incremento della giacenza di  cassa  dello  Stato,  allo  scopo  di
limitare il  ricorso  all'emissione  di  titoli  di  debito  pubblico
necessari per procurare la liquidita' a breve termine dello  Stato  e
degli  enti  pubblici,  e  cosi'  concorrere  (con  le  altre  misure
contestualmente adottate) a contenere i tassi di interesse sul debito
nell'attuale contingenza di grave tensione su tali tassi». Quanto  al
comma  13  dell'art.   35,   ad   avviso   della   parte   resistente
«inspiegabilmente impugnato» dalla Regione  siciliana,  esso  sarebbe
giustificato anche dalla competenza statale esclusiva in  materia  di
ordinamento  civile,  data  l'evidente  ricaduta  che  la  disciplina
censurata puo' avere sui rapporti negoziali in corso con  i  soggetti
affidatari dei servizi di tesoreria degli enti locali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con cinque ricorsi, iscritti rispettivamente ai nn.  35,  60,
82, 83 e 85 del reg. ric. 2012, quattro Regioni -  Piemonte,  Veneto,
Toscana  e  Regione  siciliana  -  hanno  impugnato,   fra   l'altro,
l'articolo 35, commi 8, 9, 10 e  13,  del  decreto-legge  24  gennaio
2012, n. 1 (Disposizioni urgenti  per  la  concorrenza,  lo  sviluppo
delle  infrastrutture   e   la   competitivita'),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, con  riferimento  ai
seguenti parametri: gli articoli 3, 5, 41, 42, 81, 97, 117, 118,  119
e  120  Cost.,  il  principio  di  leale  collaborazione,  le   norme
interposte di cui all'art. 2, comma 2, lettere b), c), p), dd),  ii),
ll), della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo  in  materia
di  federalismo  fiscale,  in  attuazione  dell'articolo  119   della
Costituzione), e, con riguardo alla Regione siciliana,  gli  articoli
20, 36 e 43 dello statuto  regionale,  approvato  con  regio  decreto
legislativo  15  maggio   1946,   n.   455,   convertito   in   legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e l'articolo 2 del decreto del
Presidente della  Repubblica  26  luglio  1965,  n.  1074  (Norme  di
attuazione  dello  statuto  della  Regione   siciliana   in   materia
finanziaria), nonche' l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001,  n.  3  (Modifiche  al  Titolo  V  della  Parte  seconda  della
Costituzione), con riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 119,
primo e secondo comma, della  Costituzione.  Le  Regioni  Piemonte  e
Veneto hanno altresi' chiesto  la  sospensione  dell'efficacia  delle
disposizioni impugnate, ai sensi  dell'articolo  35  della  legge  11
marzo 1953, n. 87. 
    La trattazione delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
relative alle suddette disposizioni  viene  qui  separata  da  quella
delle altre questioni, promosse dalle  Regioni  Toscana  e  Veneto  e
dalla Regione siciliana con i medesimi  ricorsi,  che  devono  essere
riservate ad altre pronunce. 
    I giudizi, cosi' separati e delimitati, in  considerazione  della
loro connessione oggettiva, devono essere riuniti, per essere  decisi
con un'unica pronuncia. 
    2.- Le Regioni Piemonte (reg. ric. n. 35 del 2012) e Veneto (reg.
ric. n. 60 del 2012) hanno impugnato l'art. 35 del decreto-legge n. 1
del 2012 prima che il decreto fosse convertito in legge. In  sede  di
conversione, i commi 9 e 10 dell'art. 35 sono stati modificati. 
    2.1.- Con riguardo al comma 9, la legge di conversione n. 27  del
2012, da un lato, ha sostituito le espressioni «entro il 29  febbraio
2012» ed «entro il 16 aprile 2012» con, rispettivamente,  «alla  data
del 29 febbraio 2012» e «alla data del 16  aprile  2012»;  dall'altro
lato, ha aggiunto il  periodo  finale  «Sono  fatti  salvi  eventuali
versamenti gia'  effettuati  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente provvedimento». 
    Tali innovazioni non  alterano  il  contenuto  sostanziale  della
disciplina originariamente dettata dal comma 9, oggetto di  specifica
censura da parte delle  Regioni  Piemonte  e  Veneto  nei  rispettivi
ricorsi. Ne deriva che le questioni promosse nei confronti del  testo
originario dell'art. 35, comma 9, del decreto-legge  n.  1  del  2012
«possono  essere  agevolmente  trasferite  sul  corrispondente  testo
risultante dalla legge di  conversione,  senza  che  la  materia  del
contendere  possa  ritenersi  al   riguardo   cessata,   perche'   le
innovazioni  introdotte  sono  inidonee  a  risolvere  i   punti   di
interesse» (ex plurimis, sentenza n. 153 del 2011). 
    2.2.- Il comma 10, nel testo originario, prevedeva che «[f]ino al
completo riversamento delle risorse sulle  contabilita'  speciali  di
cui al comma 9, per far fronte ai pagamenti disposti  dagli  enti  ed
organismi pubblici di cui al comma 8, i tesorieri  o  cassieri  degli
stessi utilizzano prioritariamente le  risorse  esigibili  depositate
presso gli stessi trasferendo gli eventuali vincoli  di  destinazione
sulle somme depositate presso la  tesoreria  statale».  La  legge  di
conversione ha sostituto questa  disposizione  con  la  seguente:  «I
tesorieri o cassieri degli enti ed organismi pubblici di cui al comma
8 provvedono ad adeguare la propria operativita' alle disposizioni di
cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984, n.  720,  e  relative
norme amministrative di attuazione, il giorno successivo a quello del
versamento della residua quota delle disponibilita' previsto al comma
9. Nelle more di tale adeguamento i  predetti  tesorieri  e  cassieri
continuano ad adottare i criteri gestionali previsti dall'articolo  7
del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279». 
    L'attuale  formulazione  del  comma  10  detta   una   disciplina
transitoria per l'entrata in vigore del sistema di  tesoreria  unica,
prevedendo che, fino al riversamento delle giacenze  degli  enti  nei
conti fruttiferi della Tesoreria erariale, continua ad applicarsi  il
regime di tesoreria unica cosiddetta mista  regolato  all'articolo  7
del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279  (Individuazione  delle
unita' previsionali di base del bilancio dello  Stato,  riordino  del
sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del rendiconto generale
dello Stato), e ora sospeso  fino  al  31  dicembre  2014.  L'attuale
formulazione dell'art. 35, comma 10, diversamente da quanto  disposto
dal precedente testo, non indica alcun criterio  di  priorita'  circa
l'utilizzo delle risorse depositate presso gli enti per far fronte ai
loro  pagamenti.  La  modificazione   apportata   alla   disposizione
impugnata - che non risulta aver avuto medio tempore  applicazione  -
e'  dunque  pienamente  satisfattiva  delle  pretese  avanzate  dalle
ricorrenti, ad avviso delle quali  la  priorita'  di  utilizzo  della
liquidita' da  parte  dei  tesorieri  regionali  prevista  dal  testo
originario della  disposizione  impugnata  era  da  ritenersi  lesiva
dell'autonomia finanziaria degli enti. Puo' quindi essere  dichiarata
la  cessazione  della  materia  del  contendere  con  riguardo   alle
questioni promosse nei confronti del testo originario  dell'art.  35,
comma 10, del decreto-legge n. 1 del 2012 dalla Regione Piemonte,  in
riferimento agli artt. 3, 117, terzo e quarto  comma,  118,  primo  e
secondo comma, e 119 Cost., e dalla Regione Veneto, in relazione agli
artt. 3, 5, 41, 42, 81, 97, 117, 118, 119 e  120  Cost.,  nonche'  al
principio di leale collaborazione e alle norme interposte di cui alla
legge n. 42 del 2009 (ex plurimis, sentenza n. 153 del 2011). 
    3.- Vanno preliminarmente esaminate le  due  eccezioni  sollevate
dalla difesa dello Stato, la quale ritiene che tutti i ricorsi  siano
inammissibili per la genericita' dei profili di lesione prospettati e
per difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti con riguardo al
sistema di tesoreria degli enti locali. 
    3.1.- La prima eccezione non e' fondata,  in  quanto,  nonostante
l'ampiezza  delle  censure  formulate,  le  ricorrenti  indicano  con
precisione le attribuzioni costituzionali che  sarebbero  lese  dalla
normativa  impugnata,  con  particolare  riferimento  alla   potesta'
legislativa regionale  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), all'autonomia amministrativa
(art. 118 Cost.) e all'autonomia finanziaria (art. 119 Cost.). 
    3.2.- Anche la seconda eccezione va  respinta.  Questa  Corte  ha
affermato in piu'  occasioni  che  «le  Regioni  sono  legittimate  a
denunciare la legge statale anche per la lesione  delle  attribuzioni
degli  enti  locali,  indipendentemente  dalla  prospettazione  della
violazione  della  competenza  legislativa  regionale»,  perche'  «la
stretta  connessione,  in  particolare  (...)  in  tema  di   finanza
regionale e locale, tra le  attribuzioni  regionali  e  quelle  delle
autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze
locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle
competenze regionali» (sentenze n. 298 del 2009, n. 169 e n.  95  del
2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). 
    4.- Ancora in  via  preliminare,  va  esaminata  l'ammissibilita'
delle censure riferite a parametri diversi da quelli di cui al Titolo
V, Parte seconda, della Costituzione. 
    4.1.- Questa Corte  ha  piu'  volte  precisato  che  «le  Regioni
possono evocare parametri  di  legittimita'  diversi  da  quelli  che
sovrintendono  al  riparto  di  attribuzioni  solo   allorquando   la
violazione denunciata sia "potenzialmente idonea  a  determinare  una
vulnerazione  delle  attribuzioni   costituzionali   delle   Regioni"
(sentenza n. 303 del 2003; di recente, nello stesso  senso,  sentenze
n. 80 e n. 22 del 2012) e queste abbiano sufficientemente motivato in
ordine ai  profili  di  una  "possibile  ridondanza"  della  predetta
violazione sul riparto di competenze, assolvendo all'onere di operare
la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne
risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione (sentenza  n.  33
del 2011)» (ex plurimis, sentenza n. 199 del 2012). 
    Tali requisiti  di  ammissibilita'  non  sono  soddisfatti  dalle
censure sollevate dalla Regione Veneto nei  confronti  sia  dell'art.
35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge n. 1 del 2012,  sia  dell'art.
35, commi 8, 9, 10 e 13, dello stesso decreto-legge, convertito,  con
modificazione, dalle legge n. 27 del 2012, in riferimento agli  artt.
41, 42 e 81  Cost.,  ne'  dalla  censura  prospettata  dalla  Regione
Piemonte nei confronti dell'art. 35, comma 9, in riferimento all'art.
3 Cost., in quanto la denunciata violazione di questi  parametri  non
rileva sul piano della distribuzione delle competenze  costituzionali
tra Stato e Regioni, ne' le ricorrenti hanno indicato in  quale  modo
l'asserita  lesione  di   dette   disposizioni   ridonderebbe   sulle
attribuzioni regionali. 
    4.2.-  Sono  ammissibili,  invece,  le  censure   sollevate   nei
confronti dell'art. 35, commi 8, 9, 10 e 13 dalla Regione Piemonte in
riferimento rispettivamente all'art. 3 Cost. e dalla  Regione  Veneto
in riferimento  agli  artt.  3  e  97  Cost.,  perche'  la  lamentata
violazione dei principi di ragionevolezza e di buon  andamento  della
pubblica amministrazione viene prospettata  in  stretta  correlazione
con l'asserita lesione delle attribuzioni riconosciute  alle  Regioni
dagli artt. 117, 118 e 119 Cost. 
    Entrambe  le  ricorrenti  assumono  che  la  normativa  impugnata
difetterebbe  di  ragionevolezza  per  la  totale  assenza   di   una
disciplina transitoria e per la natura  temporanea  della  misura  di
sospensione del regime di tesoreria unica cosiddetta  mista  previsto
dall'art.  7  del  decreto  legislativo  n.  279   del   1997.   Cio'
produrrebbe, in particolare ad  avviso  della  Regione  Veneto,  «una
disciplina altalenante, costituita, per un verso, dalla  reviviscenza
provvisoria di un corpo  normativo  datato,  incostituzionale,  privo
degli strumenti di attuazione, e, per l'altro, dal congelamento di un
sistema  di  tesoreria  conforme  a  Costituzione,  rispettoso  delle
autonomie  e  rodato  nel  tempo»,  con  evidenti  ricadute  negative
sull'erogazione dei  servizi  da  parte  dell'amministrazione.  Cosi'
argomentando,  le  Regioni  Piemonte  e  Veneto  «hanno  fornito  una
sufficiente  motivazione  in  ordine  ai  profili  della   "possibile
ridondanza" sul riparto di competenze  della  denunciata  violazione»
(sentenza n. 199 del 2012), evidenziando la potenziale lesione  della
loro autonomia finanziaria e amministrativa (art. 118  e  119  Cost.)
che deriverebbe dalla violazione degli artt. 3 e 97 Cost. 
    5.- Nel merito,  tutte  le  ricorrenti  censurano  la  temporanea
sospensione, fino al 31 dicembre 2014, del sistema di tesoreria unica
cosiddetta mista previsto dall'articolo 7 del decreto legislativo  n.
279 del 1997 (regime introdotto per Regioni  ed  enti  locali  e  poi
esteso anche a universita' statali ed enti del servizio sanitario)  e
la contestuale applicazione del sistema di tesoreria  unica  regolato
dall'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione  del
sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici). 
    In via preliminare, e' quindi necessario ricostruire il complesso
quadro normativo in cui si collocano le  disposizioni  censurate.  In
particolare, il processo di riforma del sistema  di  tesoreria  dello
Stato, avviato negli anni ottanta del ventesimo secolo con  l'acuirsi
dell'emergenza finanziaria per meglio regolare i flussi di liquidita'
dei soggetti pubblici, e' stato scandito da tre principali interventi
legislativi, tutti ispirati dall'unitario  disegno  di  contenere  il
fabbisogno finanziario dello Stato ordinamento. Dapprima, la legge n.
720 del 1984 ha introdotto il sistema di tesoreria unica per gli enti
e gli organismi del settore pubblico allargato.  Successivamente,  il
decreto legislativo n.  279  del  1997  ha  istituito  il  regime  di
tesoreria  unica  cosiddetta  mista  per  Regioni  ed   enti   locali
(applicato poi anche a  universita'  statali  ed  enti  del  servizio
sanitario nazionale). Da ultimo, l'art. 35 del decreto-legge n. 1 del
2012, impugnato dalle ricorrenti, ha sospeso la vigenza  del  sistema
di tesoreria  unica  cosiddetta  mista  fino  al  31  dicembre  2014,
disponendo la temporanea applicazione del regime introdotto nel 1984. 
    5.1.- La legge n. 720 del 1984 prevede un sistema di tesoreria di
tipo "binario", cosi' come definito da questa Corte (sentenza n.  243
del 1985), per cui gli enti pubblici del settore  pubblico  allargato
sono stati divisi in due elenchi. 
    Per quelli indicati nella tabella A - che in origine includeva  i
Comuni, ma non le Regioni - e' applicato un regime di tesoreria unica
con conti  presso  servizi  di  tesoreria  provinciale  dello  Stato,
suddivisi in due sottoconti: uno  infruttifero,  per  le  entrate  di
provenienza  statale;  uno  fruttifero,  per  le  entrate  cosiddette
proprie,  ossia  quelle  «costituite   da   introiti   tributari   ed
extratributari,  per  vendita  di  beni  e   servizi,   per   canoni,
sovracanoni e indennizzi, o da altri introiti provenienti dal settore
privato». L'interesse da  riconoscere  al  sottoconto  fruttifero  e'
stabilito, con decreto del Ministero dell'economia e  delle  finanze,
«in una misura compresa fra il valore dell'interesse corrisposto  per
i depositi sui libretti postali di risparmio e quello previsto per  i
buoni ordinari del Tesoro a scadenza trimestrale» (art. 1,  comma  3,
della legge n. 720 del 1984). Il tasso, che e' stato in passato anche
del 3,50 per cento lordo, e' oggi pari all'1 per cento lordo (decreto
del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  13  maggio  2011  -
"Rideterminazione del tasso di interesse da corrispondere sulle somme
versate  sulle  contabilita'  speciali  fruttifere  degli   enti   ed
organismi pubblici"). 
    Quanto agli enti indicati nella tabella B - dove dal 1984 al 2001
sono state incluse le Regioni a statuto  ordinario  e  fino  al  2009
quelle a  statuto  speciale  e  le  Province  autonome  -  e'  invece
previsto, secondo il meccanismo di cui all'articolo 40 della legge 30
marzo 1981, n. 119  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello  Stato  -  legge  finanziaria  1981),  un
limite massimo alla liquidita' disponibile in cassa calcolato in base
al bilancio di competenza degli enti medesimi (limite in origine pari
al 12 per cento,  poi  progressivamente  ridotto  al  3  per  cento):
eventuali somme in eccesso debbono essere riversate dagli istituti di
credito degli enti in conti presso la Tesoreria dello Stato. 
    5.2.- L'articolo 7 del decreto legislativo n. 279 del  1997  -  i
cui effetti sono ora sospesi fino al 31 dicembre 2014 dalla normativa
impugnata - ha invece introdotto per Regioni ed enti  locali  (e  poi
anche per le universita' statali e gli enti del  servizio  sanitario)
un regime di tesoreria unica cosiddetta mista. In base ad esso, tutte
«le  disponibilita'  derivanti  dalle  entrate  diverse  da   quelle»
riconducibili direttamente o indirettamente allo  Stato  -  le  quali
debbono essere mantenute su conti infruttiferi  presso  la  Tesoreria
erariale - possono essere tenute dagli enti presso i  propri  servizi
di tesoreria. A garanzia delle  casse  erariali,  il  regime  prevede
alcuni accorgimenti, come ad esempio l'obbligo per gli enti di  usare
per i pagamenti prioritariamente le somme  escluse  dal  riversamento
nella Tesoreria erariale (art. 7, comma 3, del decreto legislativo n.
279 del 1997). 
    Il regime di tesoreria unica cosiddetta mista e' stato  applicato
alle  Regioni  a  statuto  ordinario  dal   2001,   con   contestuale
spostamento di tali enti dalla tabella B alla tabella A  della  legge
n. 720 del 1984 (art. 66, comma 5, della legge 23 dicembre  2000,  n.
388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato -  legge  finanziaria  2001»;  circolare  del
Ministero del tesoro, del bilancio e della  programmazione  economica
13 febbraio 2001, n. 8, sulle Regioni a statuto ordinario e il  nuovo
sistema di tesoreria unica).  L'estensione  alle  Regioni  a  statuto
speciale e Province autonome e' stata prevista a  partire  dal  2009,
con l'art. 77-quater,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133. 
    5.3.- L'art. 35, comma  8,  del  decreto-legge  n.  1  del  2012,
impugnato dalle ricorrenti, ha previsto la  sospensione  fino  al  31
dicembre  2014  del  regime  di  tesoreria  unica  cosiddetta   mista
introdotto nel 1997 e, contestualmente,  l'applicazione  del  sistema
regolato dall'art. 1 della legge n. 720 del 1984. In  tal  modo,  gli
enti locali sono rientrati nell'ambito di applicazione del regime cui
erano stati sottoposti fino al 1997, mentre le Regioni, per la  prima
volta, sono assoggettate al sistema di tesoreria unica  previsto  per
gli enti inclusi nella tabella A della legge n. 720 del 1984. 
    Come evidenzia la stessa rubrica  dell'art.  35  (Misure  per  la
tempestivita' dei pagamenti per  l'estinzione  dei  debiti  pregressi
delle amministrazioni statali  nonche'  disposizioni  in  materia  di
tesoreria unica), la scelta di sospendere temporaneamente  il  regime
di tesoreria unica  cosiddetta  mista  si  inserisce  nell'ambito  di
interventi diretti a garantire  la  tempestivita'  dei  pagamenti  da
parte delle pubbliche  amministrazioni.  Dai  lavori  preparatori  si
evince,  inoltre,  che  la   disciplina   impugnata   trova   origine
nell'esigenza di adottare una modalita' di gestione della  liquidita'
che,    considerata    la    gravita'     dell'attuale     situazione
economico-finanziaria, permetta allo Stato di minimizzare il  ricorso
al mercato per reperire risorse. 
    L'applicazione del sistema di tesoreria unica in luogo di  quello
di tesoreria unica cosiddetta mista  ha  consentito,  secondo  quanto
riportato negli atti del giudizio, di far confluire nelle casse dello
Stato quasi nove miliardi di euro e, in base alle stime compiute  dal
Governo, cio' dovrebbe garantire  un  risparmio  nella  emissione  di
titoli, al netto delle spese di interesse da corrispondere agli enti,
pari a oltre mezzo miliardo di  euro  in  tre  anni.  In  definitiva,
secondo quanto emerge anche dalla relazione illustrativa, con  l'art.
35 il legislatore ha inteso  perseguire  un  obiettivo  -  quello  di
ridurre il fabbisogno finanziario, con conseguente minor emissione di
titoli  di  Stato  -  collegato  direttamente  al   controllo   delle
disponibilita' di cassa di tutto il  settore  pubblico  allargato,  e
quindi per un interesse che riguarda non solo lo Stato,  ma  tutti  i
soggetti pubblici. 
    6.- Cosi' ricostruito il quadro normativo in materia di tesoreria
unica, le numerose censure formulate dalle ricorrenti possono  essere
distribuite  in  tre  gruppi  di  questioni,  strettamente  connesse,
riferite     alla     asserita     illegittimita'     costituzionale,
rispettivamente, della disciplina impugnata nel  suo  complesso  (con
riguardo sia alle Regioni a statuto ordinario e agli enti locali, sia
alla Regione siciliana), dell'art. 35, comma 9, e dell'art. 35, comma
13. 
    Le questioni non sono fondate. 
    6.1.-  Innanzitutto,  quanto  alle  censure   prospettate   dalle
ricorrenti in riferimento all'art. 117 Cost., questa  Corte  ha  gia'
rilevato che il sistema di tesoreria unica dello Stato «e' diretto  a
garantire il controllo della liquidita' di cassa ed a disciplinare  i
flussi finanziari» (sentenze n. 171 del 1999  e  n.  412  del  1993).
Inoltre,  le  disposizioni  della  legge  n.  720   del   1984   sono
«strettamente collegate all'ambito di  operativita'  delle  leggi  di
bilancio» (sentenza n. 12 del 1995) e fissano «un principio stabilito
dalle leggi dello Stato» applicabile anche  alle  Regioni  a  statuto
speciale (sentenza n. 243 del 1985). 
    L'art. 35, nel prevedere la temporanea applicazione a Regioni  ed
enti locali del regime di tesoreria unica di  cui  all'art.  1  della
legge n. 720 del 1984, senza vincolare o limitare  la  disponibilita'
delle somme ne' incidere sulla loro destinazione,  produce  l'effetto
immediato di riversare liquidita' nelle tesorerie erariali,  al  fine
di ridurre il fabbisogno finanziario, cioe' l'ammontare  per  cui  lo
Stato deve - o ha gia' dovuto - ricorrere all'indebitamento  mediante
l'emissione di titoli. La  normativa  impugnata,  dunque,  detta  una
misura di gestione della liquidita', tramite la quale  ingenti  somme
presenti nel sistema  bancario  vengono  depositate  nelle  Tesorerie
provinciali. L'obiettivo dichiarato e' quello di emettere una  minore
quantita' di  titoli  di  Stato,  contribuendo  cosi'  a  ridurre  il
differenziale - cosiddetto spread -  tra  il  tasso  d'interesse  dei
titoli italiani e quello, piu' basso, di titoli emessi da altri Paesi
(in particolare la Germania). 
    La  disciplina  censurata  rientra  tra  le  scelte  di  politica
economica  nazionale  adottate  per  far  fronte   alla   contingente
emergenza  finanziaria,   si   colloca   nell'ambito   dei   principi
fondamentali  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  -  la  cui
determinazione spetta alla potesta' legislativa statale - e  comporta
evidenti implicazioni anche in materia di tutela del risparmio e  dei
mercati finanziari. Il sistema di tesoreria unica  e'  uno  strumento
essenziale per assicurare il contenimento del fabbisogno  finanziario
dello Stato ordinamento.  Compete  al  legislatore  statale,  quindi,
regolare il funzionamento di tale sistema. 
    Questa Corte ha precisato che possono  essere  ritenute  principi
fondamentali in materia di coordinamento della finanza  pubblica,  ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., le norme che «si limitino  a
porre obiettivi di riequilibrio della finanza  pubblica,  intesi  nel
senso di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se  non
generale, della spesa corrente e  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(sentenze n. 193 e n. 148 del 2012; conformi, ex  plurimis,  sentenze
n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010). L'art. 35, disponendo, al fine di
ridurre il fabbisogno finanziario dello Stato, la sospensione fino al
31 dicembre 2014 del regime di tesoreria unica cosiddetta mista e  la
contestuale applicazione del sistema di tesoreria unica di  cui  alla
legge n. 720 del 1984, soddisfa entrambe queste  condizioni,  perche'
ha carattere transitorio e  non  incide  sulla  disponibilita'  delle
risorse di Regioni  ed  enti  locali,  che  sono  comunque  tenuti  a
contribuire al contenimento del fabbisogno  finanziario  del  settore
pubblico allargato. 
    Dall'accertata natura di principio  fondamentale  in  materia  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  della  normativa   impugnata
discende la non fondatezza delle censure riferite all'art. 117, terzo
e quarto comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 151 del 2012,  n.  91
del 2011, n. 326 e n. 27 del 2010, n. 237 del 2009, n. 456 e  n.  244
del 2005). 
    6.1.1.- Egualmente non fondate sono le censure prospettate  dalle
ricorrenti in riferimento all'art. 119 Cost. 
    L'autonomia finanziaria postula che le Regioni e gli enti  locali
«abbiano la effettiva disponibilita' delle risorse loro attribuite ed
il potere di manovra dei mezzi finanziari» (sentenza n. 171 del 1999)
e ha «un indubbio carattere funzionale» (sentenza n.  742  del  1988)
all'assolvimento dei compiti istituzionali che gli enti sono chiamati
a svolgere. Inoltre, l'art. 119, secondo comma, Cost. prevede che  le
Regioni e gli enti locali  «[s]tabiliscono  e  applicano  tributi  ed
entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo  i  principi
di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». 
    Il regime di tesoreria unica non lede l'autonomia finanziaria  di
entrata e  di  spesa  degli  enti  territoriali:  esso  -  come  gia'
osservato da questa Corte con riguardo al meccanismo  del  limite  di
liquidita' previsto dall'art. 40 della legge n. 119 del  1981  -  non
preclude ai soggetti che vi sono sottoposti «la facolta' di  disporre
delle proprie risorse, nel senso di  valutarne  discrezionalmente  la
congruita' rispetto alle necessita' concrete e di indirizzarle  verso
gli obiettivi rispondenti alle finalita' istituzionali, ma si  limita
a consentire il controllo del flusso delle disponibilita'  di  cassa,
coordinandolo  alle  esigenze   generali   dell'economia   nazionale»
(sentenza n. 162 del 1982). 
    Ne discende  che  l'autonomia  di  Regioni  ed  enti  locali  nel
disporre delle  proprie  risorse  per  «finanziare  integralmente  le
funzioni pubbliche loro attribuite» (art. 119, quarto  comma,  Cost.)
non e' limitata dalla disciplina  impugnata,  che  non  influisce  in
alcun modo sulla disponibilita' delle loro somme; ne' i conti  presso
le  Tesorerie  provinciali  intestati  agli   enti   possono   essere
considerati come  «anomali  strumenti  di  controllo  sulla  gestione
finanziaria », in quanto non frappongono  «ostacoli  all'effettiva  e
pronta utilizzazione delle risorse a disposizione» di Regioni ed enti
locali (sentenze n. 742 del 1988, n. 244 del 1985, n. 307  del  1983,
n. 162 del 1982, n. 94 del 1981 e n. 155 del 1977). 
    Le  ricorrenti,  d'altra  parte,  lamentano   esclusivamente   la
sottrazione - temporalmente limitata  -  alle  Regioni  e  agli  enti
locali del potere  di  decidere  presso  quale  istituto  di  credito
depositare  l'intero  ammontare  delle  somme  derivanti  da  entrate
proprie. Da tale menomazione discenderebbe l'impossibilita'  per  gli
enti di negoziare un tasso di interesse bancario superiore  a  quello
garantito dai sottoconti fruttiferi presso le Tesorerie  provinciali.
Tuttavia, l'eventuale  minore  redditivita'  delle  somme  depositate
nella Tesoreria erariale rispetto a quella che si avrebbe presso  gli
istituti di credito non incide in misura costituzionalmente rilevante
sulla autonomia  finanziaria  delle  Regioni  e  degli  enti  locali,
considerato che il sistema di tesoreria unica assicura per legge agli
enti ad esso sottoposti un tasso di interesse -  determinato  secondo
criteri di mercato  -  sulle  somme  derivanti  da  entrate  proprie,
garanzia che il sistema bancario non  puo'  offrire  con  altrettanta
certezza a tutti gli enti; e considerate altresi', sia le circostanze
straordinarie della finanza del settore pubblico  allargato,  sia  la
temporaneita' della misura. 
    Il potere  di  scelta  delle  autonomie  territoriali  in  ordine
all'istituto presso il quale detenere le giacenze  di  cassa  (banche
private, come richiesto dalle  ricorrenti,  o  Banca  d'Italia,  come
discende  dalla  normativa  impugnata)   non   attiene   direttamente
all'assunzione  degli  impegni  di  spesa  o  all'allocazione   delle
risorse,  tratti  essenziali   dell'autonomia   finanziaria,   bensi'
riguarda la possibilita' di produrre ulteriori  entrate  mediante  la
mera giacenza di somme presso istituti di  credito.  La  possibilita'
per Regioni ed enti locali di negoziare con istituti di credito tassi
di interesse superiori a quello assicurato dallo Stato - possibilita'
talora realizzabile a causa di rapporti "vischiosi" tra enti pubblici
e sistema  bancario  -  puo'  ben  essere  sacrificata  dinanzi  alla
necessita'  di  adottare  principi  di  coordinamento  della  finanza
pubblica per tutti i  soggetti  del  settore  pubblico  allargato  in
circostanze straordinarie che riguardano sia l'ente  Stato,  sia  gli
altri soggetti dell'ordinamento. 
    Dunque,  la  normativa  impugnata,  per  di  piu'   temporalmente
limitata,  non  puo'  giudicarsi  lesiva   dell'autonomia   regionale
nell'ambito finanziario, legislativo e programmatorio, e  neppure  e'
suscettibile di  incidere  sul  buon  andamento  dell'amministrazione
delle Regioni ricorrenti (sentenza n. 171 del 1999,  in  relazione  a
precedenti interventi legislativi in materia di tesoreria unica).  Ne
discende   che,   in   una   situazione   di   eccezionale   gravita'
economico-finanziaria,  nella  quale  tutti  gli  enti  del   settore
pubblico  allargato  sono  chiamati   a   contenere   il   fabbisogno
finanziario e a contribuire alla riduzione dell'emissione  di  titoli
di Stato, i  rimedi  predisposti  dal  legislatore  non  derogano  al
riparto delle competenze fissato dal Titolo  V  della  Parte  seconda
della  Costituzione,  ne'  limitano  le  garanzie  costituzionali  di
autonomia degli enti territoriali (sentenza n. 151 del 2012). 
    6.1.2.- La non fondatezza delle censure  riferite  agli  articoli
117, terzo e quarto comma, e 119 Cost.  determina  il  rigetto  anche
degli  altri  motivi  di  gravame   prospettati   dalle   ricorrenti,
strettamente  collegati   alla   lamentata   lesione   dell'autonomia
finanziaria. 
    Innanzitutto, non sono fondate le censure formulate dalla Regione
Veneto con riferimento alle norme interposte di cui all'art. 2, comma
2, lettere b), c), p), dd), ii), ll), della legge  n.  42  del  2009,
dirette a  garantire  l'autonomia  finanziaria  di  Regioni  ed  enti
locali. L'obbligo di  giacenza  presso  le  casse  erariali  previsto
dall'art. 35 non influisce sulla  disponibilita'  delle  somme  degli
enti,  ne'  tanto  meno  sulla  corrispondenza  tra   responsabilita'
finanziaria e  responsabilita'  amministrativa  di  Regioni  ed  enti
locali (art. 2, comma, 2, lettera u, della  legge  n.  42  del  2009,
invocato dalla Regione Piemonte). 
    Parimenti non fondate sono le argomentazioni svolte dalla Regione
Piemonte in riferimento agli articoli 20 e 21 del decreto legislativo
23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei
sistemi contabili e degli schemi di  bilancio  delle  Regioni,  degli
enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2  della
legge 5 maggio 2009, n. 42), riguardanti  la  trasparenza  dei  conti
sanitari e l'accensione di conti di tesoreria intestati alla sanita'.
Tali finalita' possono essere realizzate anche mediante il sistema di
tesoreria unica. La circolare del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze 24 marzo 2012, n. 11 (Attuazione dell'art.  35,  commi  8-13,
del d.l. n. 1/2012. Sospensione del sistema di tesoreria unica  mista
e assoggettamento al sistema  di  tesoreria  unica  dei  dipartimenti
universitari), il cui art. 5, lettera a), mantiene, infatti,  per  le
Regioni contabilita' speciali distinte per la  gestione  ordinaria  e
per quella sanitaria. 
    Vanno respinte anche le censure sollevate dalle Regioni  Piemonte
e Veneto in riferimento all'art.  118  Cost.,  perche'  la  capacita'
amministrativa degli enti non puo' ritenersi limitata da  un  sistema
che garantisce ad essi la piena  ed  effettiva  disponibilita'  delle
risorse. L'art. 35 non  determina  la  soppressione  dei  servizi  di
tesoreria di  Regioni  ed  enti  locali,  perche'  i  loro  tesorieri
continuano a svolgere  il  complesso  di  operazioni  collegate  alla
gestione finanziaria dei rispettivi enti, come il pagamento di  spese
e la custodia di titoli e valori. L'unica differenza e' che, fino  al
31 dicembre 2014, i tesorieri degli enti debbono coordinarsi  con  le
sezioni  di  Tesoreria  provinciale  per  quanto  riguarda  tutte  le
operazioni di cassa, mentre  nel  regime  cosiddetto  misto  cio'  si
verificava solo con riferimento  all'uso  di  somme  derivanti  dalle
entrate non proprie dell'ente, depositate sui  conti  non  fruttiferi
della Tesoreria erariale. 
    Inoltre, non sono fondate le censure riferite agli artt. 3  e  97
Cost., anch'esse prospettate dalle  Regioni  Piemonte  e  Veneto,  in
quanto la normativa impugnata e' finalizzata anche a contrastare,  in
modo non irragionevole, il ritardo nei pagamenti da parte degli  enti
pubblici, ad accelerare la spesa e a favorire il buon andamento della
pubblica  amministrazione.  Cio'   trova   conferma   nella   stretta
correlazione esistente tra tutte  le  misure  dettate  dall'art.  35,
sottolineata   dall'uso,   nella   rubrica    dell'articolo,    della
congiunzione «nonche'» per collegare le disposizioni  in  materia  di
tempestivita' dei pagamenti ed estinzione dei debiti  con  quelle  in
materia di tesoreria unica: interventi tutti riguardanti la  gestione
della liquidita'. L'obiettivo  di  perseguire  la  tempestivita'  dei
pagamenti, del resto, richiede una  gestione  di  tesoreria  che  non
incentivi l'accumulo di giacenze, sicche'  l'eventuale  interesse  di
Regioni e di enti locali a mantenere ingenti  somme  presso  le  loro
tesorerie risulterebbe contrario al principio di buon andamento della
pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. 
    Va rigettata, poi, la censura sollevata dalla Regione  Veneto  in
relazione all'art. 5 Cost., in  quanto,  come  sopra  illustrato  con
riguardo agli articoli 117 e 119 Cost., il sistema di tesoreria unica
non produce alcuna lesione delle autonomie territoriali. 
    Infine, non sono  fondate  le  censure  formulate  dalle  Regioni
Piemonte e Veneto in  riferimento  all'art.  120  Cost.,  perche'  la
violazione del principio di  leale  collaborazione  non  puo'  essere
prospettata quando si tratti di attivita' legislativa (sentenza n. 33
del 2011). Inoltre, la  disciplina  censurata  -  che  stabilisce  un
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica e mira
a regolare i flussi di liquidita' sull'intero territorio nazionale  -
non puo' essere considerata come intervento sostitutivo. 
    6.1.3.-  Vanno  rigettate  anche  le  censure  prospettate  dalla
Regione siciliana per violazione  degli  artt.  20,  36  e  43  dello
statuto, dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074  del  1965,  e  dell'art.  10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, con riferimento agli  artt.
117, terzo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost. 
    Come gia' osservato da questa Corte, nello  statuto  siciliano  e
nelle disposizioni di  attuazione  non  vi  sono  norme  relative  ai
meccanismi di tesoreria  (sentenza  n.  334  del  2009).  Gli  stessi
articoli richiamati dalla ricorrente si limitano a dettare previsioni
generiche circa il fabbisogno finanziario; ne', dato il tenore  delle
disposizioni  statutarie,  e'  possibile  individuare  situazioni  da
comparare al fine di verificare - ai sensi dell'art. 10  della  legge
costituzionale n. 3 del 2001  -  se  vi  siano  eventuali  «forme  di
autonomia»  piu'  ampie,  gia'  attribuite  alla  Regione  siciliana,
rispetto a quelle garantite dalla normativa  impugnata  (sentenza  n.
314 del 2003). 
    Il sistema di tesoreria unica non  lede  l'autonomia  finanziaria
delle Regioni e degli enti locali,  perche'  assicura  agli  enti  la
piena ed effettiva disponibilita' delle risorse. Quindi,  non  vi  e'
alcuna violazione delle norme dello statuto siciliano e di quelle  di
attuazione invocate dalla ricorrente. D'altra parte, sia  il  sistema
di tesoreria unica sia quello di  tesoreria  unica  cosiddetta  mista
sono progressivamente confluiti verso  una  piena  equiparazione  tra
Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale  e  Province
autonome. Tale equiparazione - sottolineata  anche  da  questa  Corte
(sentenza n. 412 del 1993) - e' stata sancita dall'art. 77-quater del
decreto-legge n. 112 del 2008, che ha esteso alle Regioni  a  statuto
speciale e alle Province autonome il regime previsto dall'art. 7  del
decreto legislativo n. 279 del 1997. Non a caso, le altre  Regioni  a
statuto  speciale  e  le  Province  autonome  hanno  dato  attuazione
all'art. 35 del decreto-legge n. 1 del 2012. 
    Ne',  infine,  possono   applicarsi   al   caso   in   esame   le
argomentazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 61 del  1987,
richiamata dalla ricorrente,  con  cui  fu  escluso  per  la  Regione
siciliana che le entrate derivanti da  tributi  propri,  direttamente
deliberati  dall'Assemblea  ai  sensi  dell'art.  36  dello  statuto,
potessero essere assoggettate al meccanismo del "tetto" di liquidita'
previsto per le Regioni dall'art. 40 della legge n. 119 del 1981. 
    In proposito, va sottolineata la  diversita'  tra  il  regime  di
tesoreria al quale tutte le Regioni  sono  ora  sottoposte  ai  sensi
dell'art. 35 del decreto-legge n. 1 del 2012 e il regime di tesoreria
che era in vigore  nel  1987.  Quest'ultimo  regime,  applicato  alle
Regioni a statuto speciale e alle Province  autonome  sino  al  2009,
prevedeva che gli enti potessero tenere presso le  proprie  tesorerie
una liquidita' - derivante indifferentemente da entrate proprie o non
proprie - non superiore al limite fissato dalla legge statale  e  che
tutto l'ammontare in eccesso - senza alcuna distinzione  tra  entrate
proprie e entrate provenienti dallo Stato - dovesse essere  riversato
in apposite contabilita' speciali  di  Tesoreria  erariale  intestate
agli  enti.  In  un  sistema  cosi'  delineato,  l'impossibilita'  di
distinguere  la  provenienza  delle  somme   imponeva   il   medesimo
trattamento per tutta la liquidita'  superiore  al  "tetto".  Quindi,
anche somme provenienti da tributi propri  delle  Regioni  a  statuto
speciale e  delle  Province  autonome  potevano  confluire  in  conti
infruttiferi di Tesoreria centrale o provinciale. Per questa ragione,
quando anche le entrate delle Regioni  a  statuto  speciale  e  delle
Province autonome furono assoggettate al meccanismo di  cui  all'art.
40 della legge n. 119 del 1981, la Corte ritenne di escludere da tale
regime le entrate derivanti da tributi propri  (sentenze  n.  61  del
1987 e, con riguardo alla Regione  Trentino-Alto  Adige,  n.  62  del
1987). 
    Il   regime   introdotto   temporaneamente   dall'art.   35   del
decreto-legge n. 1 del 2012 e' diverso da quello  basato  sul  limite
alle giacenze di cassa. Entrambi i sistemi assolvono una funzione  di
gestione della liquidita'. Ma il nuovo regime e' costruito - al  pari
del sistema di tesoreria unica cosiddetta mista -  sulla  distinzione
tra entrate proprie ed entrate  non  proprie.  Alle  somme  derivanti
dalle prime e' garantito ex lege un tasso di interesse, e dunque  una
redditivita'; per le somme derivanti dallo Stato, invece, si conserva
il  regime  precedente  (ossia  i  conti   sono   infruttiferi).   Di
conseguenza, il nuovo regime - che, come sopra illustrato,  non  lede
l'autonomia finanziaria riconosciuta dall'art. 119 Cost. - non incide
in misura costituzionalmente rilevante sulla autonomia della  Regione
siciliana di decidere circa «l'impiego, il regime e la  "tenuta"  dei
(...) proventi» (sentenza  n.  61  del  1987)  derivanti  da  tributi
propri. 
    6.2.-  Il  secondo  gruppo  di  questioni  riguarda  le   censure
sollevate dalle Regioni Piemonte e Veneto nei confronti all'art.  35,
comma 9, del decreto-legge n. 1 del 2012, per violazione degli  artt.
117, sesto comma, e 119 Cost. 
    Le questioni non sono fondate. 
    In primo luogo, il decreto del Ministero  dell'economia  e  delle
finanze - Dipartimento del tesoro, previsto dall'art. 35, comma 9, e'
un atto i cui contenuti sono riconducibili  a  scelte  «di  carattere
essenzialmente tecnico»; la sua emanazione rientra nell'ambito di una
funzione amministrativa dello Stato (sentenze n. 139 del  2012  e  n.
278 del  2010).  Il  decreto  non  ha  natura  regolamentare,  ma  e'
meramente attuativo del  principio  di  coordinamento  della  finanza
pubblica di  cui  al  comma  8  e  costituisce  uno  degli  strumenti
necessari per avviare  il  funzionamento  del  sistema  di  tesoreria
unica, diretto a far confluire tutte le giacenze degli enti  ad  essa
sottoposti  nella  Tesoreria  erariale.  Tra   esse   rientrano   gli
investimenti finanziari degli enti,  come  del  resto  gia'  previsto
dall'art. 7 del decreto legislativo n. 279 del 1997. 
    In secondo luogo,  l'art.  35,  comma  9,  non  lede  l'autonomia
finanziaria degli enti, ne' produce per questi ultimi alcuna  perdita
economica  in  violazione  dell'art.  119  Cost.   Innanzitutto,   lo
smobilizzo degli investimenti finanziari - gia' previsto dall'art.  7
del decreto legislativo n. 279 del 1997 per gli enti assoggettati  al
regime di tesoreria unica cosiddetta mista  nel  caso  in  cui  fosse
necessario fare ricorso alle somme derivanti da entrate  non  proprie
depositate presso i conti infruttiferi della Tesoreria erariale - non
incide sull'assunzione degli  impegni  di  spesa  o  sull'allocazione
delle risorse da parte degli enti. Valgono, quindi, in questo caso le
stesse considerazioni sopra formulate con riguardo alla  legittimita'
del sistema di tesoreria unica nel suo complesso. 
    Inoltre, il decreto direttoriale del Dipartimento del tesoro  del
27 aprile 2012 (Smobilizzo degli investimenti finanziari  degli  enti
ed organismi pubblici passati al  regime  della  tesoreria  unica  in
attuazione dell'art. 35, comma 9, del decreto-legge 24 gennaio  2012,
n. 1, convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2012, n. 27)  ha
precisato  quanto  poteva  gia'  implicitamente  trarsi  dal  dettato
legislativo, secondo un'interpretazione conforme all'art. 119  Cost.,
ossia che «gli enti ed organismi pubblici  possono  non  smobilizzare
gli investimenti in strumenti finanziari,  cosi'  come  definiti  dal
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, solo nel caso in cui  il
loro valore di mercato al 30 aprile 2012 sia inferiore al  prezzo  di
acquisto». 
    6.3.- Il terzo e ultimo gruppo di questioni riguarda  le  censure
sollevate dalle Regioni Piemonte e Veneto in riferimento all'art. 35,
comma 13, del decreto-legge n. 1 del 2012, per violazione degli artt.
3, 117, terzo e quarto comma, 118,  primo  e  secondo  comma,  e  119
Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui  all'art.
120 Cost. 
    Le questioni non sono fondate. 
    Le censure muovono dall'assunto che una minore redditivita' delle
giacenze  di  cassa,  determinata  da  una  riduzione  del  tasso  di
interesse a seguito della rinegoziazione dei tassi tra enti  pubblici
e tesorieri, configurerebbe una lesione dell'autonomia finanziaria di
Regioni ed enti locali. 
    Una volta riconosciuto che il sistema di tesoreria unica previsto
dalla normativa impugnata non viola l'art. 119 Cost. e che la  minore
redditivita'  da  interessi   bancari   non   influisce   in   misura
costituzionalmente rilevante sulla autonomia finanziaria degli  enti,
le censure prospettate in relazione all'art. 35,  comma  13,  debbono
essere rigettate. 
    7.- Non vi e' luogo  a  provvedere  in  ordine  alle  istanze  di
sospensione delle disposizioni  impugnate,  formulate  dalle  Regioni
Piemonte e Veneto, in  quanto  la  Corte  ha  deciso  il  merito  del
ricorso.