ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel  giudizio  di   legittimita'   costituzionale   del   mancato
riconoscimento alla donna esercente la libera professione di avvocato
del «diritto di  usufruire  del  periodo  di  maternita'  cosi'  come
previsto  dall'Ordinamento  italiano  per  le   altre   lavoratrici»,
promosso dal Tribunale ordinario di Perugia,  sezione  distaccata  di
Foligno, nel procedimento penale  a  carico  di  A.M.  ed  altra  con
ordinanza del 23 gennaio  2012,  iscritta  al  n.  158  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
    Ritenuto  che  il  Tribunale  ordinario   di   Perugia,   sezione
distaccata  di  Foligno,  con  ordinanza  del  23  gennaio  2012,  ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  del   mancato
riconoscimento alla donna esercente la libera professione di avvocato
del «diritto di  usufruire  del  periodo  di  maternita'  cosi'  come
previsto dall'Ordinamento  italiano  per  le  altre  lavoratrici»  in
riferimento  agli  articoli  3,  31,  secondo  comma,  e   37   della
Costituzione, nonche' al diritto di difesa; 
    che il rimettente riferisce dell'avvenuto deposito di  un'istanza
di rinvio dell'udienza dibattimentale penale da parte  del  difensore
dell'imputato,  per  impedimento   dovuto   alla   maternita',   come
risulterebbe evincibile  dalla  documentazione  allegata  all'istanza
medesima; 
    che ad avviso del giudice a quo il  mancato  riconoscimento  alla
donna esercente l'attivita' di  avvocato  libero  professionista  del
«diritto di usufruire del periodo di maternita'» accordato alle altre
lavoratrici contrasterebbe con gli artt. 3, 31, comma 2, e 37  Cost.,
che esprimono  i  principi  di  uguaglianza  e  di  protezione  della
maternita' e dell'infanzia; 
    che,  inoltre,  il  mancato  riconoscimento  di   tale   diritto,
impedendo  al  giudice  di  sospendere  la  decorrenza  dei   termini
prescrizionali  per  legittimo  impedimento  del  difensore  ed,   in
generale, all'avvocato  donna  di  svolgere  al  meglio  la  funzione
difensiva a tutela del proprio cliente, determinerebbe la  violazione
del diritto di difesa; 
    che e' intervenuto nel giudizio di  costituzionalita',  con  atto
depositato il 18 settembre 2012,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata  inammissibile  o,
in subordine, infondata; 
    che,  sotto  il  primo  profilo,  l'intervenuto  rileva  come  il
rimettente abbia completamente omesso  di  indicare  la  disposizione
della cui costituzionalita' dubita, violando il dettato dell'art. 23,
terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    che, peraltro, ove il rimettente  intendesse  riferirsi  all'art.
16, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo  2001,  n.  151  (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e  sostegno
della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo  15  della
L. 8 marzo 2000, n. 53), ad avviso del Presidente  del  Consiglio  la
questione dovrebbe ritenersi irrilevante, atteso che il giudice a quo
avrebbe  potuto  pronunciarsi  sulla  richiesta  di  rinvio   facendo
applicazione  della  disciplina  dell'impedimento  a  comparire   del
difensore, di cui al combinato disposto degli artt. 484, comma 2-bis,
e 420-ter, comma 5, del codice di procedura penale; 
    che,  infine,  a  sostegno  dell'infondatezza  della   questione,
l'intervenuto  evidenzia  l'eterogeneita'  della  situazione  in  cui
versano le lavoratrici dipendenti rispetto a quella in cui si trovano
le lavoratrici libere professioniste. 
    Considerato  che  il  Tribunale  ordinario  di  Perugia,  sezione
distaccata  di  Foligno,  con  ordinanza  del  23  gennaio  2012,  ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  del   mancato
riconoscimento alla donna esercente la libera professione di avvocato
del «diritto di  usufruire  del  periodo  di  maternita'  cosi'  come
previsto dall'Ordinamento italiano  per  le  altre  lavoratrici»  per
violazione  degli  articoli  3,  31,  secondo  comma,  e   37   della
Costituzione  -  che  esprimono  i  principi  di  uguaglianza  e   di
protezione della maternita'  e  dell'infanzia  -  e  del  diritto  di
difesa, impedendo al giudice di sospendere la decorrenza dei  termini
prescrizionali  per  legittimo  impedimento  del  difensore  ed,   in
generale, all'avvocato  donna  di  svolgere  al  meglio  la  funzione
difensiva a tutela del proprio cliente; 
    che e' intervenuto nel giudizio di  costituzionalita',  con  atto
depositato il 18 settembre 2012,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, chiedendo che la questione venga dichiarata  inammissibile,
per mancata indicazione della disposizione oggetto di censura  o  per
difetto di rilevanza, ovvero, in  subordine,  infondata,  perche'  le
lavoratrici dipendenti e quelle libere professioniste verserebbero in
situazioni non omogenee; 
    che   l'ordinanza   e'   affetta   da    diversi    profili    di
inammissibilita'; 
    che un primo  profilo  d'inammissibilita'  deriva  dalla  mancata
indicazione della norma censurata (ordinanze n. 307 del 2011, n.  227
del 2007 e n. 85  del  2003),  che,  all'esame  dell'intero  contesto
dell'atto di  rimessione,  non  risulta  identificabile  nemmeno  per
indicazione implicita, stante  anche  la  carenza  descrittiva  della
fattispecie concreta; 
    che l'impossibilita', per le enunciate ragioni,  di  una  precisa
individuazione della norma  censurata  si  riverbera  inevitabilmente
sulla rilevanza della questione, non potendosi valutare la necessita'
di applicazione della norma stessa; 
    che, inoltre, il rimettente non da' contezza dei motivi  che  gli
impediscono di applicare alla fattispecie al suo esame la  disciplina
dell'impedimento a comparire del difensore (artt. 484, comma 2-bis, e
420-ter, comma 5, del codice di procedura penale) senza sollevare  la
questione di legittimita', sperimentando cosi' la  praticabilita'  di
una  soluzione  interpretativa  idonea  a  superare  la   prospettata
questione (ordinanza n. 101 del 2011); 
    che l'omesso accertamento dell'applicabilita' e  degli  eventuali
effetti sul giudizio  principale  del  regime  di  cui  al  combinato
disposto degli artt. 484, comma 2-bis, e 420-ter, comma 5, cod. proc.
pen. si risolve in un difetto di motivazione  sulla  rilevanza  della
questione ed e' profilo preliminare rispetto a quello  della  mancata
esplicitazione da parte del giudice  a  quo  delle  ragioni  ritenute
ostative ad un'interpretazione costituzionalmente orientata; 
    che,  peraltro,  anche  tale   doveroso   tentativo   ermeneutico
(ordinanze n. 194 del 2012, n. 192 del 2010 e n.  154  del  2010)  e'
stato completamente omesso; 
    che, pertanto,  la  sollevata  questione  risulta  manifestamente
inammissibile.