IL TRIBUNALE
Nel procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c.,
iscritto al n. r.g. 222/2012, tra Societa' Cooperativa Costruzioni
Impianti Montaggi Manutenzioni Pisa a r.l. in liquidazione coatta
amministrativa giusto decreto del Ministro dello Sviluppo Economico
in data 4 marzo 2010, in persona del Commissario Liquidatore Avv.
Alberto Mantovano, rappresentata e difesa dagli avv. Pietro Mazzanti
ed Antonella Cosentino, e domiciliata a Pisa, lungarno Mediceo 40,
presso lo studio dell'avv. Federica Geri, ricorrente e Cassa di
Risparmio di San Miniato rappresentata e difesa dall'avv. Fabio
Nannotti, e domiciliata a Pisa, via Santa Maria 34, presso lo studio
dell'avv. Giovanni Frescura convenuta.
Ha pronunciato la seguente ordinanza.
Il G.d., sciogliendo la formulata riserva, rileva.
Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. Il Commissario Liquidatore
della COIMM in l.c.a. (ex art. 2545-terdecies c.c.) esponeva che nel
periodo 4 marzo 2010 - 30 giugno 2010 erano stati eseguiti vari
pagamenti e/o operazioni in favore della CRSM, per l'importo di
€ 538.229,96, di cui chiedeva dichiararsi l'inefficacia perche' posti
in essere in violazione del combinato disposto degli artt. 44 e 200
l.f., con conseguente condanna della CRSM alla restituzione dei
predetti importl.
La parte ricorrente precisava che il dies a quo per
l'accertamento dell'inefficacia dei pagamenti coincideva con la data
di emanazione del decreto del Ministro dello Sviluppo Economico in
data 4 marzo 2010 (art. 200 l.f.), e non invece con la pubblicazione
del medesimo nella Gazzetta Ufficiale ex art. 197 l.f.
La CRSM si costituiva in giudizio eccependo anzitutto che la
domanda richiedeva un'istruzione non sommaria e, conseguentemente,
chiedeva disporsi il mutamento di rito da sommario ad ordinario di
cognizione.
Osservava poi che secondo un'interpretazione costituzionalmente
orientata dell'art. 200 l.f. nel combinato disposto degli artt. 16 e
17 l.f., anche in relazione agli artt. 42 e 44 l.f., la data da
considerare ai fini del prodursi degli effetti dell'apertura della
procedura di l.c.a. nei confronti del terzo di buona fede era quella
di iscrizione del decreto ministeriale nel registro delle imprese
(nella specie, il 29 giugno 2010).
In subordine, la CRSM prospettava questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 200 co. 1 l.f. per violazione del principio
di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., stante la disparita' di
trattamento tra il terzo di buona fede nell'ambito della procedura
fallimentare rispetto al terzo di buona fede nell'ambito della
procedura di l.c.a., sostenendo la necessita' di una pronuncia
additiva della Corte costituzionale che dichiarasse illegittima la
disposizione di cui all'art. 200 l.f. nella parte in cui non prevede
che per i terzi gli effetti della l.c.a. si producono dalla data di
iscrizione del decreto ministeriale di liquidazione coatta
amministrativa nel registro delle imprese, cosi' come previsto, per
la sentenza dichiarativi di fallimento, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 16 u.c. e 17 co. 2 l.f. nel testo novellato dal
d.lvo. 5/06 e con riguardo alla applicazione delle norme previste
dagli artt. 42 e 44 l.f.
Nel merito, la CRSM esponeva che alcuni degli accrediti indicati
in ricorso ed affluiti sul conto corrente della COIMM costituivano
provento della gestione di attivita' d'impresa e, quindi, erano da
considerare beni sopravvenuti ex art. 42 comma 2 l.f.; che
dall'importo dei suddetti versamenti dovevano essere detratti i
pagamenti eseguiti a terzi quali passivita' sostenute dall'impresa
per la produzione del reddito affluito sul conto stesso; che dunque
la CRSM, avendo dato ospitalita' alle rimesse, ai versamenti ed agli
ordini di pagamento effettuati dall'impresa, non poteva essere
condannata a restituire l'importo dei pagamenti medesimi; che in ogni
caso i pagamenti effettuati costituivano atti dovuti anche per la
procedura e come tali non erano ripetibili da parte della stessa, in
quanto:
- era esclusa l'applicabilita' dell'art. 44 l.f. con riguardo
ai pagamenti effettuati dal datore di lavoro all'esattore delle
imposte ai sensi dell'art. 3 d.p.R. 602/1973 in relazione all'art. 23
del d.p.R. 600/73 delle somme trattenute a titolo di acconto IRPEF
sulla retribuzione corrisposta ai' dipendenti prima del fallimento; -
l'art. 37 co. 1 d.l. 223/06, conv. con modd. in l. 248/06, aveva
introdotto il curatore fallimentare ed il commissario liquidatore
nell'elenco dei soggetti qualificati come sostituti d'imposta ai
sensi dell'art. 23 co. 1 d.p.R. 600/73 per i redditi da lavoro
dipendente; - in caso di l.c.a. il rapporto di lavoro non si
scioglieva automaticamente atteso che l'art. 2119 u.c. comma c.c.
prevede espressamente che la l.c.a. non costituisce giusta causa di
risoluzione del rapporto; - nel caso di specie per i pagamenti
effettuati a favore dei dipendenti non risultava provato il
licenziamento dei lavoratori, ne' che questi avessero cessato di
prestare lavoro alle dipendenze dell'impresa, motivo per cui anche i
pagamenti fatti ai dipendenti, in quanto dovuti, non erano
ripetibili; - dalle contabili prodotte dalla parte ricorrente
risultavano pagamenti di retribuzioni per prestazioni lavorative
maturate nei mesi antecedenti a quelli di apertura della l.c.a. e
cioe': € 19.853,50 del 4/3/10 (emolumenti dicembre 2009 - gennaio
2010), € 23.064,10 del 5/03/10 (emolumenti dicembre 2009 - gennaio
2010), € 23.390,50 del 10/3/10 (emolumenti gennaio 2010), € 26.245,70
del 10/3/10 (emolumenti gennaio 2010).
In via subordinata, la CRSM evidenziava la mancata prova
dell'importo richiesto in restituzione.
In ordine all'importo di € 58.152,26 che rappresentava un
giroconto dal conto corrente n. 587 al conto corrente n. 586, nonche'
di analoga operazione di € 14.100,00, la CRSM eccepiva che trattavasi
di bonifici effettuati dai terzi debitori ceduti a fronte di
anticipazioni concesse dalla banca in epoca antecedente alla l.c.a.
e, quindi, non assoggettabili alla declaratoria di inefficacia
proprio perche' versamenti effettuati da terzi rispetto alla
correntista.
Concludeva pertanto, nel merito, per il rigetto del ricorso.
Preliminarmente, rileva il Giudicante che la domanda non richiede
un'istruzione non sommaria e, conseguentemente, non vi sono i
presupposti richiesti dall'art. 702-ter co. 3 c.p.c. per disporre il
mutamento di rito da sommario ad ordinario di cognizione. Infatti,
un'eventuale c.t.u. non sarebbe incompatibile col rito prescelto
dalla ricorrente.
Si osserva poi che questione di costituzionalita' prospettata
dalla convenuta non e' manifestamente infondata.
Occorre premettere che il precedente del Giudice delle leggi
richiamato dalla COIMM non e' del tutto conferente nel caso di
specie.
Si tratta, in particolare, di Corte cost. 337/98: "Non e'
fondata, con riferimento all'art. 3 Cost., la questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 44, comma 2, e 200 r.d. 16
marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), nella parte in cui non prevedono che nel
procedimento di liquidazione coatta amministrativa il momento di
produzione degli effetti sostanziali rispetto ai terzi sia collegato
a quello della conoscibilita' del provvedimento di liquidazione
coincidente con la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, in
quanto - posto che il decreto di liquidazione, in quanto atto
giuridico, viene ad esistenza, come la sentenza dichiarativa di
fallimento, solo con la sua "esteriorizzazione"; che si realizza
secondo la disciplina propria dell'atto amministrativo - il debitore
di un'impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa puo'
assumere, prima di pagare, le opportune informazioni, presso la
competente amministrazione, circa l'esistenza ed il contenuto di un
eventuale decreto di liquidazione dell'impresa ed ottenerne copia, ai
sensi degli artt. 22 e 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche
eventualmente in via d'accesso informale (art. 3 d.P.R. 27 giugno
1992, n. 352); ed in quanto, nell'ipotesi in cui il decreto di
liquidazione sia successivo alla sentenza dichiarativa dello stato di
insolvenza (art. 195 l. fall.), i terzi coinvolti nella liquidazione
coatta amministrativa possono avere conoscenza, prima del decreto,
della predetta sentenza; sicche', eguale essendo, in ogni caso, la
conoscibilita' in capo ai terzi della sentenza e del decreto, resta
esclusa l'esistenza di qualsiasi discriminazione, sotto l'aspetto
denunziato, tra terzi coinvolti nel fallimento e terzi coinvolti
nella liquidazione coatta amministrativa" (nella parte motiva del
provvedimento si legge tra l'altro: "L'assunto che sorregge il dubbio
di costituzionalita' avanzato dal rimettente consiste nel differente
grado di conoscibilita' per i terzi della sentenza dichiarativa di
fallimento rispetto al decreto di liquidazione coatta amministrativa
e, quindi, nella maggiore tutela accordata, sotto tale aspetto, ai
terzi coinvolti nella procedura fallimentare rispetto ai terzi
coinvolti nella procedura di liquidazione coatta amministrativa. E
cio' in quanto mentre la sentenza, con il deposito in cancelleria,
diverrebbe suscettibile di potenziale conoscenza da parte dei terzi,
il decreto resterebbe, prima della sua pubblicazione, un atto interno
all'amministrazione privo, in quanto tale, di astratta
conoscibilita'. La premessa interpretativa, riassuntivamente esposta,
e' erronea e, conseguentemente, infondato e' il dubbio di
costituzionalita' che ne costituisce la logica conclusione. Il
decreto di liquidazione, in quanto atto giuridico, viene, infatti, ad
esistenza, come la sentenza, solo con la sua "esteriorizzazione" che
si realizza secondo la disciplina propria dell'atto amministrativo.
Resta, allora, da stabilire se il terzo interessato abbia quella
possibilita' di accesso e, quindi, di conoscenza del decreto di
liquidazione che il rimettente riferisce alla sentenza. E la risposta
al riguardo e' senz'altro affermativa, ben potendo il debitore di una
impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa assumere, prima
di pagare, le opportune informazioni, presso la competente
amministrazione, circa l'esistenza e il contenuto di un eventuale
decreto di liquidazione dell'impresa ed ottenerne copia, ai sensi
degli artt. 22 e 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche
eventualmente in via d'accesso informale (art. 3 del d.P.R. 27 giugno
1992, n. 352). In compiuta analogia a quanto previsto per la sentenza
ed in attuazione dei principi di trasparenza che devono informare
l'azione della pubblica amministrazione. Sotto un diverso aspetto,
occorre, altresi', considerare che, come e' noto, il decreto di
liquidazione puo' essere successivo alla sentenza dichiarativa dello
stato di insolvenza (art. 195 della legge fallimentare). Ipotesi
quest'ultima nella quale i terzi coinvolti nella liquidazione coatta
amministrativa possono avere conoscenza, prima del decreto di
liquidazione, della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.
Eguale essendo, in ogni caso, la conoscibilita' in capo ai terzi
della sentenza e del decreto, deve escludersi l'esistenza di
qualsiasi discriminazione, sotto tale aspetto, tra i terzi coinvolti
nel fallimento ed i terzi coinvolti nella liquidazione coatta
amministrativa e, quindi; la fondatezza della questione di
costituzionalita' sollevata dal rimettente).
La menzionata pronuncia e' stata resa ante d.lvo. 5/06, ma tale
provvedimento normativo ha riscritto l'art. 16 l.f., che oggi,
all'ultimo comma, cosi' recita: "La sentenza produce i suoi effetti
dalla data della pubblicazione ai sensi dell'art. 133, primo comma,
del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei terzi si
producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle
imprese ai sensi dell'artico 17, secondo comma".
Il legislatore ha cosi' inteso ricondurre il caso della sentenza
dichiarativa di fallimento al regime generale in tema di pubblicita'
legale, disciplinato dall'art. 2193 c.c. (di cui l'art. 200 l.f.
costituisce un'eccezione):
"I fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione se non sono
stati iscritti, non possono essere opposti al terzi da chi e'
obbligato a richiederne l'iscrizione, a meno che questi provi che i
terzi ne abbiano avuto conoscenza.
L'ignoranza dei fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione
non puo' essere opposta dai terzi dal momento in cui l'iscrizione e'
avvenuta.
Sono salve le disposizioni particolari della legge".
Dunque, la violazione dell'art. 3 Cost., che prima era stata
esclusa dalla Corte cost. proprio sulla base dell'analogia di
disciplina, tra il fallimento e la l.c.a., sul punto dell'efficacia
nei confronti dei terzi (che derivava per il primo, dalla
pubblicazione della sentenza, e per la seconda dalla emanazione del
decreto), e' ora evidente.
L'art. 200 co. 1 l.f., infatti, cosi' dispone: "Dalla data del
provvedimento che ordina la liquidazione si applicano gli artt. 42,
44, 45, 46 e 47 e se l'impresa e' una societa' o una persona
giuridica cessano le funzioni delle assemblee e degli organi di
amministrazione e di controllo, salvo per il caso previsto dall'art.
214".
Sembra, allora, irragionevole la conseguenza, che si ricava
dall'attuale sistema normativo, per cui mentre in caso di fallimento
i terzi sono adeguatamente tutelati dal regime di pubblicita'
previsto per la sentenza dichiarativa del fallimento, nel caso della
l.c.a. la tutela e' assai meno intensa, facendosi coincidere la
conoscenza legale della procedura con la mera emissione del decreto.
Quanto alla facolta' per il terzo, prima di pagare, di assumere
le opportune informazioni, presso la competente amministrazione,
circa l'esistenza e il contenuto di un eventuale decreto di
liquidazione dell'impresa ed ottenerne copia, ai sensi degli artt. 22
e 25 l. 241/90, anche eventualmente in via d'accesso informale (art.
3 del d.P.R. 352/92), cui fa riferimento la citata sentenza della
Corte costituzionale, si osserva anzitutto che ai sensi dell'art. 22
co. 6 l. 241/90, "Il diritto di accesso e' esercitabile fino a quando
la pubblica amministrazione ha l'obbligo di detenere i documenti
amministrativi al quali si chiede di accedere", e pertanto non si
puo' escludere che, al momento del pagamento, il terzo non sia piu'
in grado di avere contezza della pendenza della l.c.a.
Inoltre, l'amministrazione potrebbe opporre un diniego espresso o
tacito alla richiesta di accesso (anche in caso di richiesta
informale ex art. 3 d.p.R. 352/92), ed allora il terzo sarebbe
costretto a presentare ricorso al t.a.r., con tempi incompatibili con
il normale svolgimento dei rapporti commerciali (art. 25 co. 4 l.
241/90); per contro, l'accesso al registro delle imprese non soffre
alcuna limitazione, ed e' effettuabile via Internet dagli interessati
(cosi' come, ovviamente, la consultazione della Gazzetta Ufficiale).
Non si dimentichi, poi, che mentre la sentenza dichiarativa di
fallimento dev'essere trasmessa dal cancelliere, anche per via
telematica, all'ufficio del registro delle imprese entro il giorno
successivo al deposito in cancelleria (art. 17 l.f.), tra
l'emanazione del provvedimento che ordina la liquidazione e la sua
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, nonche' la sua comunicazione
all'ufficio del registro delle imprese per l'iscrizione, possono
decorrere anche dieci giorni (art. 197 l.f.), ancora una volta a
detrimento, sotto il profilo cronologico, della posizione del terzo
di buona fede; nel caso oggetto del presente procedimento, si noti,
la latenza tra la data del decreto e la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale e' stata di quasi quattro mesi (4/3/10 - 29/6/10), ben
oltre, cioe', il termine previsto dalla legge.
Si deve peraltro escludere la possibilita' di un'interpretazione
costituzionalmente orientata della normativa censurata. Invero, il
significato letterale dell'art. 200 co. 1 l.f. non consente altra
ricostruzione esegetica che quella di cui si prospetta
l'incostituzionalita' (l'incipit della norma e' inequivoco: "Dalla
data del provvedimento che ordina la liquidazione [..].
In conclusione, non e' manifestamente infondata, con riferimento
all'art. 3 Cost., la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 200 co. 1 r.d. 267/42 in combinato disposto con gli artt.
42 e 44 r.d. 267/42, nella parte in cui prevede che per i terzi di
buona fede gli effetti della l.c.a. si producono dalla data del
provvedimento che ordina la liquidazione, anziche' dalla data di
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale o di iscrizione nel registro
delle imprese del medesimo provvedimento.
La questione e' altresi' rilevante.
La ricorrente, infatti, non ha neppure allegato che la banca, al
momento dei pagamenti asseritamente inefficaci, fosse stata a
conoscenza dell'avvio della procedura, circostanza che sarebbe stato
onere della stessa ricorrente dimostrare (art. 2193 co. 1. c.c.).
La stessa ripartizione dell'onere della prova dovrebbe valere,
peraltro, anche qualora si prendesse come riferimento la data di
pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, posto che, prima
di tale data, la buona fede si dovrebbe presumere (v. Cass. 2462/75,
in tema di ammortamento di titoli di credito).
Ne deriva che la domanda, ove venisse dichiarata l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 200 l.f., dovrebbe essere senz'altro
rigettata pressoche' integralmente, poiche' i pagamenti sono stati
effettuati nella quasi totalita' proprio nel periodo compreso tra la
data del decreto e la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale o
successiva iscrizione sul registro delle imprese.
All'opposto, applicando l'art. 200 l.f. nell'attuale
formulazione, almeno parte dei pagamenti o delle operazioni in
questione risulterebbero inefficaci (si pensi, ad esempio,
all'operazione posta in essere in data 12-13/4/10, nella quale la
CRSM ha dirottato la somma di € 57.580,27 da un c/c all'altro
(entrambi intestati alla COIMM) per rimborsarsi un finanziamento.