ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 25 della
legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in  materia  di  organizzazione
delle universita', di personale accademico  e  reclutamento,  nonche'
delega al Governo per incentivare  la  qualita'  e  l'efficienza  del
sistema universitario), promossi dal Consiglio di  Stato  con  cinque
ordinanze del 28 novembre 2011 e con otto ordinanze  del  2  febbraio
2012 e dal Tribunale amministrativo regionale per il Molise  con  due
ordinanze del 10 aprile 2012, rispettivamente iscritte ai numeri  42,
43, 44, 45, 59, 78, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 191, 224 e 225  del
registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica numeri 13, 16, 19, 25, 38  e  41,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di costituzione di F.G.,  di  T.C.,  di  A.A.,  di
M.E., di D.C., di B.O., nonche' l'atto di  intervento  di  M.E.  (nel
giudizio di cui al r.o. n. 42 del 2012) e quelli del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 26 marzo 2013 il Giudice relatore
Alessandro Criscuolo; 
    uditi gli avvocati  Massimo  Luciani  per  A.A.  e  M.E.,  Angelo
Clarizia per F.G., T.C.  e  D.C.  e  l'avvocato  dello  Stato  Ettore
Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con le tredici
ordinanze di analogo tenore indicate in epigrafe (r.o. numeri 42, 43,
44, 45 e 59 del 2012, depositate il 28 novembre 2011,  e  numeri  78,
117, 118, 119, 120, 121, 122 e 191 del 2012, depositate il 2 febbraio
2012), ha sollevato - in riferimento agli articoli 3, 33 e  97  della
Costituzione - questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo
25 della legge  30  dicembre  2010,  n.  240  (Norme  in  materia  di
organizzazione  delle  universita',   di   personale   accademico   e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza  del  sistema  universitario).  Detta  norma  (sotto  la
rubrica «Collocamento a riposo dei  professori  e  dei  ricercatori»)
dispone che «L'articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre  1992,
n. 503, non si applica a professori  e  ricercatori  universitari.  I
provvedimenti adottati dalle  universita'  ai  sensi  della  predetta
norma decadono alla data di entrata in vigore della  presente  legge,
ad eccezione di quelli che hanno gia'  iniziato  a  produrre  i  loro
effetti». A sua volta, il citato art. 16 del decreto  legislativo  30
dicembre 1992,  n.  503  (Norme  per  il  riordinamento  del  sistema
previdenziale  dei   lavoratori   privati   e   pubblici,   a   norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992,  n.  421)  e  successive
modifiche ed integrazioni, stabilisce nel comma 1 che «E' in facolta'
dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici
di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore
della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un  periodo  massimo  di  un
biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo per  essi
previsti. In tal caso e' data facolta' all'amministrazione,  in  base
alle proprie esigenze organizzative e funzionali,  di  trattenere  in
servizio il  dipendente  in  relazione  alla  particolare  esperienza
professionale acquisita dal dipendente  in  determinati  o  specifici
ambiti ed in  funzione  dell'efficiente  andamento  dei  servizi.  La
disponibilita' al trattenimento va presentata all'amministrazione  di
appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento
del limite di eta' per il collocamento a riposo previsto dal  proprio
ordinamento. I dipendenti in aspettativa non retribuita che ricoprono
cariche elettive esprimono la disponibilita'  almeno  novanta  giorni
prima del compimento  del  limite  di  eta'  per  il  collocamento  a
riposo». 
    2.- Il rimettente, con l'ordinanza iscritta al  r.o.  n.  42  del
2012, premette che e' chiamato a pronunciare su un ricorso in appello
promosso da un professore universitario (F.G.)  contro  l'Universita'
degli studi Tor Vergata di  Roma,  per  la  riforma  di  un'ordinanza
cautelare emessa tra le parti dal Tribunale amministrativo  regionale
per il Lazio - Roma, in relazione ad un provvedimento che ha disposto
il collocamento a riposo del docente per raggiunti limiti di eta'. 
    Al riguardo, il Consiglio di Stato  riferisce  che,  con  istanza
dell'11 novembre 2009, il professor F. ha chiesto di avvalersi  della
facolta', concessa dall'art. 16  del  d.lgs.  n.  503  del  1992,  di
permanere in servizio per altri due  anni.  Tuttavia,  quando  ancora
l'amministrazione  non  si  era  pronunciata  su  tale  istanza,  era
sopraggiunta la legge n. 240 del 2012, il cui art. 25 aveva  statuito
l'inapplicabilita' del menzionato art. 16 ai professori universitari. 
    Per conseguenza, con decreto  dell'11  aprile  2011,  il  Rettore
dell'Universita' indicata, applicando e richiamando in motivazione il
detto art. 25, ha respinto l'istanza  di  trattenimento  in  servizio
avanzata dal docente e ne  ha  disposto  il  collocamento  a  riposo.
Quest'ultimo ha impugnato il suddetto decreto con ricorso al TAR  per
il Lazio, sede di Roma, chiedendo in via incidentale  la  sospensione
del provvedimento  del  Rettore.  Il  giudice  adito,  con  ordinanza
dell'11 ottobre 2011, ha respinto l'istanza cautelare. 
    Per ottenere la  riforma  di  tale  ordinanza,  il  prof.  F.  ha
proposto appello al Consiglio  di  Stato,  deducendo,  sotto  diversi
profili, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 25 della legge  n.
240 del 2010, «nella misura in  cui  preclude  ogni  possibilita'  di
trattenimento in servizio dei professori universitari». 
    Con  ordinanza  del  26  ottobre  2011  il  Consiglio  di  Stato,
pronunciando in  sede  cautelare,  ha  disposto  la  sospensione  del
giudizio per la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Sul punto, al fine di  conciliare  il  carattere  accentrato  del
sindacato di costituzionalita' con il principio di effettivita' della
tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.;  artt.  6  e  13  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali), il Consiglio, con l'ordinanza ora citata,  ha
concesso una misura  cautelare  "interinale",  fino  alla  camera  di
consiglio successiva alla restituzione  degli  atti  da  parte  della
Corte    costituzionale,    «ordinando     all'Amministrazione     di
ripronunciarsi sull'istanza di trattenimento in  servizio  presentata
dal  ricorrente,   alla   luce   del   quadro   normativo   esistente
anteriormente all'entrata in vigore del citato art. 25 della legge n.
240 del 2010 e, in particolare, dei  criteri  fissati  dall'art.  72,
comma 7, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito dalla legge
6 agosto 2008, n. 133)». 
    Ha, poi, ritenuto che la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 25 della  legge  n.  240  del  2010  sia  rilevante  e  non
manifestamente infondata. 
    2.1.- Il Consiglio di Stato, con riferimento al  requisito  della
rilevanza,  ha  osservato  che  la  norma  de  qua  e'  senza  dubbio
applicabile alla fattispecie in questione,  dal  momento  che  l'atto
impugnato  ha  respinto  l'istanza  del   ricorrente   facendo,   per
l'appunto, applicazione di  essa,  il  cui  chiaro  tenore  letterale
preclude la possibilita' di trattenimento in servizio per  professori
e ricercatori universitari. 
    Inoltre,    l'applicazione    di    detta    norma,    effettuata
dall'universita',  risulta  corretta,  non  sussistendo   spazi   per
un'interpretazione    diversa.    L'eventuale    dichiarazione     di
illegittimita' costituzionale del citato art. 25 avrebbe l'effetto di
rimuovere l'ostacolo  normativo  all'applicazione  dell'art.  16  del
d.lgs. n. 503 del 1992, consentendo al  ricorrente  di  ottenere  che
l'istanza di permanenza in servizio sia esaminata  (ed  eventualmente
accolta) dall'universita' sulla base dei criteri introdotti dall'art.
72, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133. 
    La rilevanza della questione non  sarebbe  esclusa  dalla  natura
cautelare del giudizio, nell'ambito del quale essa e' sollevata. 
    Per costante giurisprudenza di  questa  Corte,  la  questione  di
legittimita' costituzionale  sarebbe  inammissibile  per  difetto  di
rilevanza,  qualora  essa   sia   sollevata   dopo   l'adozione   del
provvedimento cautelare, perche', in tal  caso,  la  rimessione  alla
Corte stessa sarebbe tardiva  in  relazione  al  giudizio  cautelare,
ormai concluso, e prematura in relazione al giudizio  di  merito,  in
ordine al quale il  Collegio,  in  mancanza  della  fissazione  della
relativa udienza di discussione, sarebbe privo di potere decisorio. 
    Tuttavia, per evitare che la legge sospettata  di  illegittimita'
costituzionale possa precludere definitivamente la tutela  cautelare,
mortificando le esigenze di tutela immediata ad essa sottese - il che
si tradurrebbe in una  palese  violazione  di  fondamentali  principi
costituzionali (artt. 24 e 113 Cost.) o sopranazionali (artt. 6 e  13
CEDU) - la giurisprudenza, nel tentativo di conciliare  il  carattere
accentrato del controllo di legittimita' costituzionale  delle  leggi
con  il  principio  di  effettivita'  della  tutela  giurisdizionale,
avrebbe sperimentato due soluzioni. 
    La prima consisterebbe nel concedere la sospensiva, disapplicando
la legge sospettata di illegittimita' costituzionale e  rinviando  al
giudizio di merito la rimessione della relativa questione; la seconda
si concretizzerebbe nella scomposizione del giudizio cautelare in due
fasi: nella prima fase si accoglie la domanda cautelare "a  termine",
fino alla decisione della questione  di  legittimita'  costituzionale
contestualmente sollevata; nella seconda, all'esito del  giudizio  di
legittimita' costituzionale,  si  decide  "definitivamente",  tenendo
conto, per valutare la sussistenza del fumus boni iuris sulla domanda
cautelare, della decisione della Corte costituzionale. 
    Il  Consiglio  di  Stato,  nel  prestare  adesione  alla  seconda
soluzione, ritiene che essa sia quella  che  meno  si  allontana  dal
vigente sistema di giustizia costituzionale e risulti,  peraltro,  in
linea con l'orientamento della Corte di giustizia dell'Unione Europea
in ordine alla questione, per alcuni versi analoga, dei rapporti  tra
giudizio cautelare e  questione  pregiudiziale,  in  particolare  nel
senso dell'articolazione bifasica di detto giudizio. 
    Del  resto  -  osserva   il   rimettente   -   anche   la   Corte
costituzionale, con riferimento a questioni di legittimita' sollevate
in sede cautelare, ha rilevato in  piu'  occasioni  che  la  potestas
iudicandi non puo' ritenersi esaurita  quando  la  concessione  della
misura cautelare, come nella specie, sia  fondata,  quanto  al  fumus
boni iuris, sulla  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale,  perche'  in  tal  caso  la  sospensione
dell'efficacia  del  provvedimento  impugnato  si  deve  ritenere  di
carattere provvisorio e temporaneo, fino alla  ripresa  del  giudizio
cautelare  dopo  l'incidente  di  legittimita'  costituzionale  (sono
richiamate le sentenze n. 4 del 2000, n. 183 del 1997, n. 359 e n. 30
del 1995, n. 367 del 1991 e n. 444 del 1990). 
    Ad avviso del rimettente, anche il  requisito  del  periculum  in
mora meriterebbe positivo  apprezzamento,  essendo  evidente  che  il
tempo necessario per la decisione del  ricorso  nel  merito  potrebbe
arrecare al ricorrente un pregiudizio grave e irreparabile, anche  in
considerazione del  fatto  che  verrebbe  a  scadere  il  biennio  in
relazione al quale egli ha presentato la richiesta  di  trattenimento
in servizio. 
    3.- Il Consiglio di Stato ritiene la  questione  di  legittimita'
costituzionale non manifestamente infondata. 
    Infatti, l'art. 25  della  legge  n.  240  del  2010,  escludendo
l'applicazione ai professori e ricercatori universitari dell'art.  16
del d.lgs. n. 503 del 1992, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3,
33 e 97 Cost. 
    Invero, la deroga introdotta dalla norma rispetto alla disciplina
generale  di  cui  al  citato  art.  16  sarebbe   in   primo   luogo
irragionevole,   perche'   non   sorretta   da    adeguata    ragione
giustificatrice, e, comunque, sproporzionata rispetto alla  finalita'
perseguita, nonche'  lesiva  sia  del  principio  di  buon  andamento
dell'azione  amministrativa  (art.  97  Cost.),  sia  del   principio
dell'autonomia universitaria (art. 33,  sesto  comma,  Cost.),  nella
misura in cui priva  le  universita'  -  discriminandole  rispetto  a
qualsiasi altro ente pubblico - di  ogni  potere  di  valutazione  in
ordine alla possibilita' di accogliere le istanze di trattenimento in
servizio  presentate  dal  personale  docente,  anche  qualora   tale
prolungamento risulti funzionale a specifiche esigenze organizzative,
didattiche  o  di  ricerca.  In  tal  modo  verrebbe  impedito   alle
universita' di dar corso ad  una  misura  organizzativa  in  tema  di
provvista del personale, con danno  per  l'interesse  generale  e  la
dispersione di risorse preziose. 
    Inoltre la  norma  censurata,  trovando  applicazione  anche  nei
confronti dei professori e dei ricercatori universitari  che  abbiano
maturato un'aspettativa giuridicamente  consolidata  in  ordine  alla
possibilita'  di  permanere  in  servizio,  risulterebbe  lesiva  del
principio del legittimo affidamento e della  sicurezza  giuridica,  a
sua volta fondato sull'art. 3 Cost. 
    Al riguardo, il rimettente ricostruisce  la  disciplina  generale
contenuta nell'art. 16 del d.lgs. n. 503 del  1992,  come  modificato
dall'art. 72, comma 7, del d.l. n.  112  del  2008,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n.  133  del  2008,  e  rileva  che  detta
disciplina prevede «un sistema nel quale il trattenimento in servizio
del dipendente pubblico non e' piu' rimesso  ad  un  vero  e  proprio
diritto potestativo del medesimo, della cui scelta  l'amministrazione
deve limitarsi a  prendere  atto,  come  accadeva,  invece,  in  base
all'originaria formulazione dell'art.  16».  Come  la  giurisprudenza
amministrativa  avrebbe  chiarito,   con   l'innovazione   introdotta
dall'art.  72,  comma  7,  del  citato  d.l.  (poi  convertito),   la
permanenza in servizio, oltre l'ordinario  limite  di  eta',  sarebbe
divenuto un istituto eccezionale, a causa delle generali esigenze  di
contenimento della spesa pubblica perseguite con la  manovra  di  cui
allo stesso decreto-legge. Pertanto, la sua  determinazione  andrebbe
sorretta in concreto, se orientata alla protrazione del servizio,  da
adeguate giustificazioni. 
    Rispetto a tale disciplina, diretta a sottoporre il  mantenimento
in servizio a rigorose condizioni, la scelta radicale contenuta nella
norma censurata appare irragionevole e, come tale, in  contrasto  con
uno dei corollari del principio di  uguaglianza  di  cui  all'art.  3
Cost.   Infatti,   non   sarebbe   ravvisabile   un'idonea    ragione
giustificatrice a sostegno della definitiva e totale esclusione,  per
la speciale categoria di dipendenti pubblici di  cui  si  tratta,  di
qualsiasi possibilita' di trattenimento in servizio oltre il  termine
ordinario. 
    In particolare,  non  costituirebbe  una  valida  giustificazione
l'esigenza, pure emersa nel corso dei lavori preparatori della  legge
n. 240 del 2010, volta a favorire  il  ricambio  generazionale  nelle
universita'. Invero, nella  specie  non  sarebbe  in  discussione  la
realizzazione  di  tale  obiettivo,  senza  dubbio  rientrante  nella
discrezionalita'   del   legislatore,   ma   il   bilanciamento   che
quest'ultimo dovrebbe compiere tra il suo perseguimento e  la  tutela
di altri valori di primario rilievo costituzionale, i  quali  possono
essere incisi dalla scelta legislativa. 
    Nel caso  di  specie,  tale  scelta  risulterebbe  sbilanciata  e
sproporzionata,  perche',  in   nome   dell'esigenza   del   ricambio
generazionale, il legislatore  non  si  sarebbe  fatto  carico  delle
negative ripercussioni che potrebbero derivarne sul principio di buon
andamento  dell'amministrazione   e   della   tutela   dell'autonomia
universitaria. Cio' emergerebbe in modo evidente considerando che gli
obiettivi perseguiti dalla norma sarebbero gia' tutelati dall'art. 16
del d.lgs. n. 503 del 1992 che, in seguito alle modifiche  introdotte
nel 2008, prevede  l'eccezionalita'  del  mantenimento  in  servizio,
«tanto da specificare che esso possa  essere  assentito  soltanto  in
presenza di specifici e stringenti presupposti». 
    Il rimettente ribadisce ancora il contrasto della norma censurata
con i principi di buon andamento dell'azione amministrativa (art.  97
Cost.) e di autonomia funzionale delle universita'  (art.  33,  sesto
comma,  Cost.),  nonche'  con  il  principio  di  affidamento   nella
sicurezza giuridica, da intendere quale elemento  fondamentale  dello
Stato di diritto (sono richiamate numerose pronunce di questa Corte). 
    3.1.-  Nel  giudizio  di  legittimita'   costituzionale   si   e'
costituita la parte privata (il prof.  F.G.)  che,  con  memoria,  ha
illustrato la fondatezza della questione, ripercorrendo gli argomenti
svolti nell'ordinanza di rimessione. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,   ha   spiegato   intervento
concludendo per l'inammissibilita' o, comunque, per la non fondatezza
della questione di legittimita' costituzionale. 
    Ad avviso della difesa dello Stato  tale  questione  sarebbe,  in
primo luogo, inammissibile per difetto assoluto di rilevanza.  A  tal
proposito richiama la giurisprudenza di questa  Corte,  costante  nel
ritenere inammissibile, proprio per difetto di rilevanza nel giudizio
a quo, le questioni di legittimita' costituzionale qualora esse siano
sollevate, come  nella  specie,  dopo  l'adozione  del  provvedimento
cautelare. Invero, nell'ipotesi in cui il giudice  rimettente  adotti
il  provvedimento  cautelare  oggetto  dell'istanza,  ne  deriverebbe
l'inammissibilita' delle  questioni  sollevate,  perche'  «una  volta
soddisfatto  il  petitum  cautelare  dell'istante,  vengono  meno  le
ragioni  della  rilevanza  dell'espunzione  della  norma  di   dubbia
legittimita' costituzionale ai fini del giudizio a quo». 
    Ben  consapevole  di  cio',  il  rimettente  avrebbe   ipotizzato
un'ideale scomposizione del giudizio cautelare in due fasi, eleggendo
tale articolazione bifasica del detto giudizio a strada  maestra  nel
caso concreto. La scelta, tuttavia, non sarebbe  convincente,  tenuto
conto della particolarita' della fattispecie. 
    Infatti, l'ordinanza di rimessione avrebbe trascurato di valutare
che, nella vicenda sottoposta all'esame dei  giudici,  il  ricorrente
aspirava al mantenimento in servizio per un biennio. 
    Orbene, l'adozione della teoria della scomposizione bifasica  del
giudizio  cautelare  implicherebbe  un  doppio  vaglio   dell'istanza
cautelare da parte del  rimettente,  intervallato  dal  controllo  di
legittimita' della Corte costituzionale. Tale triplo filtro  potrebbe
dispiegarsi su un lasso di tempo presumibilmente di alcuni  mesi.  Ne
conseguirebbe   che,   dal   momento   dell'emanazione   del    primo
provvedimento  sospensivo  a  quello   della   definitiva   pronunzia
cautelare,  in  costanza  di   sospensione   del   provvedimento   di
collocamento a riposo, il ricorrente otterrebbe, de facto e fuori  da
un vaglio nel merito  della  questione,  il  "bene  della  vita"  cui
aspirava, con una chiara  distorsione  della  fisiologica  dialettica
processuale. Piu' in generale, nei casi in cui  l'istante  (come  nel
caso in esame) miri ad ottenere  un'utilita'  sostanziale  di  natura
temporanea, l'adozione della teoria della scomposizione bifasica  del
giudizio cautelare  condurrebbe  alla  non  desiderabile  conseguenza
dell'attribuzione  della  stessa   «fuori   dall'incardinamento   del
giudizio di merito con grave pregiudizio alle  chances  difensive  di
controparte». Tale  implicazione  dell'elezione  della  teoria  della
scomposizione bifasica  del  giudizio  cautelare  sarebbe  del  tutto
trascurata nell'ordinanza di rimessione. 
    Nel  merito,  l'interveniente  deduce  la  non  fondatezza  della
questione sollevata dal Consiglio di Stato. 
    Infatti,  con  riferimento  all'asserito  contrasto  della  norma
denunciata con il principio di ragionevolezza e, quindi, con l'art. 3
Cost.,  il  rimettente  avrebbe  dimostrato  di  non  aver   compreso
pienamente la ratio dell'art. 25 della legge  n.  240  del  2010.  La
norma  sarebbe  ampiamente  giustificata  da  rilevanti  esigenze  di
contenimento finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica.
Essa perseguirebbe l'obiettivo del controllo e riduzione della  spesa
pubblica in generale e della spesa degli atenei in particolare, e non
si porrebbe in contrasto  neppure  con  le  esigenze  di  tutela  del
legittimo affidamento. 
    In realta', analizzando l'evoluzione  normativa  in  materia,  si
noterebbe che il legislatore non si e' limitato ad abolire tout court
la  possibilita'  di  mantenimento  in  servizio  per  i   professori
universitari,  ma  avrebbe  operato  una  graduale  riduzione   della
possibilita' di ottenere il mantenimento in  servizio  biennale  fino
alla sua totale eliminazione (sono richiamati l'art. 16 del d.lgs. n.
503 del 1992, l'art. 72 del d.l. n. 112 del 2008, quale convertito in
legge, e l'art. 25 della legge n. 240 del 2010). 
    In tale contesto andrebbe considerata la conformita' dell'art. 25
citato all'art. 3 Cost., tenendo  conto  della  gradualita'  e  della
ponderazione   della   scelta   legislativa,   nonche'   della    sua
finalizzazione a realizzare il preminente obiettivo  di  contenimento
della spesa pubblica, elementi tutti che escludono la violazione  del
menzionato parametro costituzionale sotto ogni profilo,  compreso  il
principio di tutela del legittimo affidamento. 
    La norma denunciata, poi, non si porrebbe in contrasto con l'art.
97 Cost. 
    In primo luogo, la censura non  sarebbe  adeguatamente  motivata.
Infatti, il rimettente si limiterebbe  ad  affermazioni  apodittiche,
senza specificare quali siano in concreto le  ripercussioni  negative
della norma sul sistema universitario. 
    Inoltre, la non fondatezza della doglianza sarebbe evidente anche
considerando le finalita' che l'art. 25 della legge n. 240  del  2010
intende perseguire. Invero, lo scopo della norma sarebbe duplice.  Da
un lato, come si e' detto, il legislatore avrebbe  inteso  realizzare
l'obiettivo del contenimento e della  razionalizzazione  della  spesa
degli atenei. In  secondo  luogo,  la  norma  censurata  mirerebbe  a
favorire il ricambio generazionale del personale  docente  (finalita'
sempre positivamente valutata  da  questa  Corte:  e'  richiamata  la
sentenza n. 990 del 1988). 
    L'affermazione  del  rimettente,  secondo  cui  la   scelta   del
legislatore  sarebbe  eccessiva  e   sproporzionata   rispetto   alla
finalita' del ricambio generazionale, si rivelerebbe erronea.  A  tal
proposito, basterebbe considerare che l'esclusione della possibilita'
di mantenere in servizio i professori  universitari  non  impedirebbe
che i programmi di ricerca  e  didattica,  facenti  capo  ai  docenti
collocati in quiescenza, possano essere  proseguiti  dalla  struttura
scientifica di riferimento dei professori collocati a riposo. 
    In effetti - prosegue la difesa erariale -  l'argomento  centrale
della   questione   di   legittimita'   costituzionale    sembrerebbe
configurare una mera petizione di principio, restando non  dimostrata
la "indispensabilita'", ai fini della trasmissione delle  esperienze,
di un docente universitario che ormai si trovi nel biennio conclusivo
della carriera. Basterebbe por  mente  al  contesto  di  riferimento,
quello della ricerca e dell'universita', notoriamente  caratterizzato
da estrema dinamicita' e mutevolezza, nel quale  l'apporto  di  nuove
esperienze sarebbe  condizione  necessaria  per  il  progresso  della
cultura e della scienza. 
    Infine,  neppure  il  richiamo   al   parametro   costituzionale,
individuato nell'art. 33, sesto comma, Cost., sarebbe fondato. 
    Ad   avviso   del   rimettente,   il   principio   dell'autonomia
universitaria rischierebbe di essere pregiudicato dall'art. 25  della
legge n. 240 del 2010; ma sarebbe vero il contrario. 
    L'abolizione dell'istituto della permanenza in  servizio  sarebbe
diretto a consentire alle universita', proprio nella prospettiva  del
buon andamento  e  della  razionale  organizzazione  delle  attivita'
accademiche,  di  programmare  queste  ultime,  tenendo  conto  della
posizione lavorativa dei propri docenti.  L'intento  del  legislatore
sarebbe quello di consentire alle universita',  nel  pieno  esercizio
della propria autonomia, una programmazione certa e a  lungo  termine
delle  attivita'  didattiche  ed  una  piu'  agevole   pianificazione
dell'attivita' dei comparti della ricerca e della didattica,  facenti
capo ai docenti collocati in quiescenza. 
    Il  richiamo  alla  sentenza  n.  1017  del  1988   della   Corte
costituzionale,  effettuato  dal  rimettente,  sarebbe  inesatto.  La
citata pronuncia riconoscerebbe  alle  istituzioni  universitarie  il
diritto di darsi ordinamenti  autonomi,  ma  non  in  modo  pieno  ed
assoluto, bensi' nei limiti stabiliti dalle  leggi  dello  Stato.  Si
tratterebbe, cioe', «di una autonomia che, come questa Corte ha  gia'
avuto occasione di precisare (sentenza n. 145  del  1985),  lo  Stato
puo' accordare in termini piu' o meno larghi, sulla base  di  un  suo
apprezzamento  discrezionale,   sempreche'   quest'ultimo   non   sia
irrazionale». 
    Nel  caso  in  esame  la  scelta  del  legislatore  non  potrebbe
definirsi irrazionale, perche' ampiamente  giustificata,  come  sopra
esposto, dal duplice interesse al contenimento della  spesa  pubblica
ed al ricambio generazionale del personale docente. 
    Conclusivamente, ad avviso dell'Avvocatura generale dello  Stato,
nessuno dei parametri costituzionali invocati risulterebbe violato. 
    3.2.- Nel giudizio di legittimita'  costituzionale  promosso  con
l'ordinanza n. 42 del 2012 ha  spiegato  intervento  il  prof.  M.E.,
esponendo di essere  legittimato  ad  intervenire  perche',  pur  non
essendo parte nel giudizio a quo, ha vissuto una  vicenda  "in  tutto
analoga" a quella del prof. F.G. 
    Al riguardo, tuttavia, va rilevato che il prof. M.E. ha  proposto
anche un autonomo giudizio cautelare, nel corso del quale, in sede di
appello per la riforma di un provvedimento cautelare emesso  dal  TAR
Lazio,  sede  di  Roma,  il  Consiglio  di   Stato   ha   pronunciato
un'ordinanza (r.o. n. 191 del 2012, depositata  in  data  2  febbraio
2012) con la  quale  ha  rimesso  a  questa  Corte  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 25 della legge n. 240 del 2010,
argomentata in termini identici a quelli esposti nell'ordinanza n. 42
del 2012 e con riferimento ai medesimi parametri costituzionali.  Sul
punto si tornera' piu' avanti. In  questo  giudizio  di  legittimita'
costituzionale il medesimo prof. M.E. si e' costituito. 
    4.- Le ordinanze del Consiglio di Stato r.o. numeri 43,  44,  45,
59, 78, 117 e 118  del  2012,  sollevano  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  25  della  legge  n.  240  del  2010,  con
argomenti identici a quelli esposti nell'ordinanza n. 42 del  2012  e
con riferimento ai medesimi parametri costituzionali. 
    Nei relativi giudizi di legittimita' costituzionale  ha  spiegato
intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  adducendo  argomenti
analoghi a quelli esposti nel giudizio promosso con l'ordinanza  r.o.
n. 42 del 2012. 
    5.- L'ordinanza del Consiglio di  Stato  r.o.  n.  119  del  2012
solleva questione di legittimita' costituzionale del citato  art.  25
della legge n. 240 del 2010, con argomenti identici a quelli  esposti
nelle ordinanze richiamate nei punti che precedono e con  riferimento
ai medesimi parametri costituzionali. 
    Nel  relativo  giudizio   di   legittimita'   costituzionale   e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  esponendo  argomenti
analoghi  a  quelli  addotti  nei  giudizi   richiamati   nei   punti
precedenti. 
    La parte privata (il prof.  A.A.)  si  e'  costituita  nel  detto
giudizio con atto depositato il 10  luglio  2012  e,  in  prossimita'
dell'udienza di discussione, ha depositato memoria  illustrativa  con
la quale ha  insistito  per  l'accoglimento  delle  conclusioni  gia'
rassegnate in atti. 
    6.- L'ordinanza del Consiglio di  Stato  r.o.  n.  120  del  2012
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art.  25  della
legge n.  240  del  2010,  allegando  argomentazioni  sostanzialmente
identiche a quelle esposte  nelle  ordinanze  sopra  richiamate,  con
riferimento ai medesimi parametri costituzionali. 
    Nel  relativo  giudizio   di   legittimita'   costituzionale   e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha esposto argomenti
analoghi  a  quelli  addotti  nei  giudizi   richiamati   nei   punti
precedenti. 
    La parte privata (il prof.  T.C.)  si  e'  costituita  nel  detto
giudizio e, in prossimita' dell'udienza di discussione, ha depositato
memoria. 
    7.- Le ordinanze del Consiglio di Stato r.o. n. 121 e n. 191  del
2012 sollevano questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  25
della legge n. 240 del 2010 con argomenti nella sostanza  identici  a
quelli esposti nelle ordinanze di cui ai punti che  precedono  e  con
riferimento ai medesimi parametri costituzionali. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  e'  intervenuto  nei  relativi
giudizi, adducendo argomenti analoghi a  quelli  esposti  negli  atti
d'intervento sopra richiamati. 
    Le parti private  (il  prof.  D.C.  e  il  prof.  M.E.)  si  sono
costituite nei  detti  giudizi  e,  in  prossimita'  dell'udienza  di
discussione, hanno depositato memorie illustrative. 
    8.- L'ordinanza del Consiglio di Stato  r.o.  n.  122  del  2012.
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art.  25  della
legge n. 240 del 2010 con argomenti nella sostanza identici a  quelli
esposti nelle ordinanze in precedenza richiamate e con riferimento ai
medesimi parametri costituzionali. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  e'  intervenuto  nel  relativo
giudizio, facendo valere argomenti analoghi a  quelli  esposti  negli
atti d'intervento sopra richiamati. 
    9.- Anche il Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Molise
(d'ora in avanti, TAR), con le due  ordinanze  indicate  in  epigrafe
(r.o. n. 224 e n. 225 del 2012)  solleva  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  25  della  legge  n.  240  del  2010,   in
riferimento agli artt. 3, 33 e 97 Cost., svolgendo argomentazioni  di
tenore nella sostanza identico a  quelle  esposte  dal  Consiglio  di
Stato. 
    In particolare, quanto alle premesse in fatto, il  TAR  riferisce
di essere chiamato a pronunciare nel merito, dopo  avere  accolto  le
istanze  cautelari,  sui  ricorsi  promossi  da  due  docenti  contro
l'Universita' del Molise, per l'annullamento di alcune  delibere  del
Senato accademico con le quali erano state respinte  le  istanze  dei
ricorrenti,  dirette  ad  ottenere  il  trattenimento   biennale   in
servizio, e  per  l'annullamento  del  decreto  rettorale  che  aveva
disposto il collocamento a riposo degli stessi  a  far  data  dal  1°
novembre 2011. 
    Quanto alla rilevanza, il  rimettente  sottolinea  che  la  norma
censurata  deve  essere   applicata   anche   quando   l'istanza   di
trattenimento  in  servizio  sia   stata   presentata   anteriormente
all'entrata in vigore della norma  stessa,  sicche'  la  disposizione
impedisce ai ricorrenti di ottenere l'esame  delle  loro  istanze  di
permanenza in servizio. Ne' la rilevanza potrebbe  ritenersi  esclusa
dal fatto che il TAR non abbia ritenuto  di  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale della medesima norma  in  sede  cautelare
(sede nella quale la misura di cautela fu  concessa),  in  quanto  la
scelta  sarebbe  stata  motivata  dall'esigenza  di  non   precludere
definitivamente la tutela cautelare  e  di  conciliare  il  carattere
accentrato del controllo di legittimita' costituzionale  delle  leggi
con  il  principio  di  effettivita'  della  tutela  giurisdizionale:
concedendo  la  tutela  cautelare,  il  TAR   avrebbe   ritenuto   di
disapplicare in via  "provvisoria"  la  norma  censurata,  rimettendo
contestualmente la questione al giudice delle leggi. 
    Anche la giurisprudenza costituzionale, in relazione a  questioni
di legittimita' sollevate in sede cautelare, avrebbe affermato che la
potestas iudicandi non puo'  dirsi  esaurita  quando  la  concessione
della misura cautelare sia basata sulla  non  manifesta  infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale,  in  quanto,  in  tal
caso,  la  sospensione  dell'efficacia  dell'atto  avrebbe  carattere
provvisorio e temporaneo. 
    Quanto alla non manifesta  infondatezza,  le  ordinanze  del  TAR
molisano ripercorrono le argomentazioni contenute nelle ordinanze del
Consiglio   di   Stato,   sollevando   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 25 della legge citata per contrasto con  gli
artt. 3, 33, ultimo comma, e 97 Cost. 
    Inoltre,  il  TAR  pone  in  evidenza  un  ulteriore  profilo  di
disparita', ineguaglianza e irragionevolezza. L'art. 24, comma 4, del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni sul  collocamento
a riposo dei dipendenti dello Stato e sul trattenimento  in  servizio
oltre i limiti di eta'), convertito, con modificazioni,  dalla  legge
22 dicembre 2011,  n.  214,  riconoscerebbe  a  tutti  i  dipendenti,
pubblici e privati, il diritto potestativo di  protrarre  il  periodo
lavorativo  fino  al  compimento  del  settantesimo  anno  di   eta'.
L'esclusione  dei  professori  e  ricercatori  universitari  da  tale
facolta' sarebbe irragionevole, soprattutto perche' l'attivita' dagli
stessi esercitata sarebbe meno usurante di molti dei lavori materiali
svolti da chi potrebbe protrarre la propria presenza al  lavoro  fino
al  settantesimo  anno  di  eta',  non  avendo  maturato  il  periodo
contributivo sufficiente per ottenere una pensione decorosa. 
    9.1.-  In  entrambi  i  giudizi  di  legittimita'  costituzionale
promossi con le  menzionate  ordinanze  del  TAR  per  il  Molise  ha
spiegato  intervento  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
svolgendo argomentazioni analoghe a quelle esposte con  gli  atti  di
intervento depositati nei  giudizi  promossi  con  le  ordinanze  del
Consiglio   di   Stato   sopra   richiamate   e    concludendo    per
l'inammissibilita' o l'infondatezza della questione. 
    Nel giudizio promosso con l'ordinanza  del  TAR  per  il  Molise,
iscritta al r.o. n. 225 del 2012, la parte privata (il prof. B.O.) si
e' costituita depositando il relativo atto in data 9 ottobre 2012  e,
in prossimita' dell'udienza di  discussione,  ha  depositato  memoria
illustrativa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con le tredici
ordinanze di rimessione indicate  in  epigrafe,  ha  sollevato  -  in
riferimento agli articoli 3, 33 e 97 della Costituzione  -  questioni
di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  25  della  legge  30
dicembre 2010, n. 240  (Norme  in  materia  di  organizzazione  delle
universita', di personale accademico e reclutamento,  nonche'  delega
al Governo per incentivare la qualita'  e  l'efficienza  del  sistema
universitario). 
    Identiche  questioni   sono   state   sollevate   dal   Tribunale
amministrativo regionale per il Molise con le ordinanze  iscritte  al
r.o. n. 224 e n. 225 del 2012. 
    In particolare, i rimettenti dubitano che la  norma  censurata  -
escludendo l'eventuale trattenimento  in  servizio  per  un  biennio,
oltre l'eta' del collocamento in quiescenza, per i professori e per i
ricercatori universitari che ne abbiano fatto istanza - violi: a)  il
principio di  buon  andamento  dell'azione  amministrativa  (art.  97
Cost.) e il principio dell'autonomia universitaria  (art.  33,  sesto
comma, Cost.), perche'  priverebbe  le  universita',  discriminandole
rispetto a qualsiasi altro ente pubblico, del potere di valutazione e
di accoglimento delle istanze di trattenimento in servizio presentate
dal personale  docente,  anche  laddove  tale  prolungamento  risulti
funzionale a  specifiche  esigenze  organizzative,  didattiche  o  di
ricerca,  impedendo  alle  universita'  di  utilizzare   una   misura
organizzativa, seppure  eccezionale,  in  materia  di  provvista  del
personale e privando gli atenei  di  docenti  caratterizzati  da  una
qualificazione  scientifica  ben  difficilmente  ripetibile;  b)   il
principio del legittimo affidamento e della sicurezza  giuridica,  ai
sensi dell'art. 3 Cost., nella misura in cui prevede  che  la  regola
introdotta dalla norma censurata si applichi indistintamente a  tutti
i professori e ricercatori universitari, anche  a  quelli  che  hanno
fatto legittimo affidamento  su  una  disciplina  che  consentiva  il
mantenimento in servizio per un ulteriore biennio,  in  quanto  erano
stati gia' autorizzati con  decreto  rettorale  adottato  sulla  base
della originaria  normativa  dettata  dall'articolo  16  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento  del
sistema previdenziale dei lavoratori  privati  e  pubblici,  a  norma
dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992,  n.  421),  con  conseguente
irragionevole    disparita'    di    trattamento    tra    situazioni
sostanzialmente identiche, essendo esclusi soltanto i beneficiari  di
un atto di  mantenimento  in  servizio  che  abbia  gia'  iniziato  a
produrre effetti; c) l'art. 3 Cost. per violazione del  principio  di
ragionevolezza, tenuto conto della  disciplina  di  cui  all'art.  16
d.lgs. n. 503 del 1992, quale  tertium  comparationis,  in  relazione
alla quale la scelta legislativa appare sbilanciata e  sproporzionata
perche',  in  nome  dell'esigenza  del  ricambio  generazionale,   il
legislatore non si e' fatto carico delle negative  ripercussioni  che
potrebbero derivarne sui principi del buon andamento  della  pubblica
amministrazione e della tutela dell'autonomia universitaria (artt. 97
e 33 Cost.): la disparita' di trattamento tra categorie  di  pubblici
dipendenti (i  professori  e  ricercatori  universitari  rispetto  al
restante  personale  pubblico)  si  traduce  in  una  disparita'   di
trattamento anche tra i relativi enti di appartenenza, perche'  viene
negata  alle  universita',  titolari   di   un'autonomia   funzionale
costituzionalmente garantita, ogni margine di autonomo apprezzamento. 
    Inoltre, secondo il TAR per  il  Molise  sarebbe  ancora  violato
l'art. 3 Cost. per disparita', ineguaglianza ed irragionevolezza,  in
quanto l'art. 24, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214, riconoscerebbe a tutti i dipendenti pubblici e
privati il diritto potestativo di  protrarre  il  periodo  lavorativo
fino al compimento del settantesimo anno di eta'. Pertanto,  tutti  i
lavoratori pubblici e  privati,  se  intendono  beneficiarne,  «hanno
diritto  a  tale  proroga,  tranne   i   professori   e   ricercatori
universitari. Tale regime particolare  di  sfavore  verso  i  docenti
universitari non ha alcuna ragion d'essere, specie  se  si  considera
che il lavoro intellettuale  da  essi  svolto  notoriamente  e'  meno
usurante di tante attivita' manuali, materiali  e  pratiche  di  quei
lavoratori ai quali, paradossalmente, si consente di  protrarle  fino
ai settant'anni di eta', per la sola ragione che potrebbero non  aver
maturato il periodo contributivo sufficiente a ottenere una  decorosa
pensione  (ragione  che,  peraltro,  potrebbe  riguardare   anche   i
professori e  ricercatori  che  hanno  avuto  accesso  alla  carriera
universitaria in eta' matura)». 
    2.- Le quindici ordinanze  di  rimessione  indicate  in  epigrafe
censurano, con argomenti identici o  analoghi,  la  stessa  norma  di
legge, cioe' l'art. 25 della legge  n.  240  del  2010.  Pertanto,  i
relativi  giudizi  di  legittimita'  costituzionale   devono   essere
riuniti, per essere decisi con unica pronuncia. 
    3.-  Come  esposto  in  narrativa,  il  prof.  M.E.  ha  spiegato
intervento nel giudizio di legittimita' costituzionale  promosso  con
ordinanza del Consiglio di Stato iscritta al r.o.  n.  42  del  2012,
concernente la posizione del prof. F.G., pur non  essendo  parte  del
giudizio  a  quo.  L'interveniente  ha  motivato  la  sua  iniziativa
assumendo di aver vissuto una vicenda "in tutto analoga" a quella del
detto prof. F.G. Tale intervento sarebbe inammissibile in  base  alla
costante giurisprudenza di questa Corte,  secondo  la  quale  possono
intervenire nel giudizio incidentale di  legittimita'  costituzionale
(oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di  legge
regionale, al Presidente della Giunta regionale) le  sole  parti  del
giudizio principale,  mentre  l'intervento  di  soggetti  estranei  a
questo e' consentito soltanto  ai  terzi  titolari  di  un  interesse
qualificato, inerente  in  modo  diretto  ed  immediato  al  rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura. 
    Tuttavia il prof. M.E., dopo avere spiegato il detto  intervento,
si e' anche costituito nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale
promosso dal Consiglio di Stato con ordinanza iscritta al r.o. n. 191
del 2012, relativo allo stesso prof. M.E., parte privata nel giudizio
a quo. Ne deriva che e' venuto meno  ogni  interesse  alla  pronunzia
sull'intervento, che deve quindi ritenersi assorbito. 
    4.- La difesa dello Stato, intervenuta in ciascuno dei giudizi  a
quibus, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile  per
difetto assoluto di rilevanza. 
    Al riguardo, essa ha dedotto  che  la  giurisprudenza  di  questa
Corte  sarebbe  costante  nel  ritenere  inammissibili,  proprio  per
difetto di rilevanza nel giudizio a quo, le questioni di legittimita'
costituzionale, qualora  esse  siano  sollevate,  come  nei  casi  di
specie,  dopo  l'adozione  del  provvedimento   cautelare.   Infatti,
«nell'ipotesi in cui il giudice remittente  adotti  il  provvedimento
cautelare oggetto dell'istanza, la  questione  di  legittimita'  deve
essere dichiarata inammissibile giacche'  una  volta  soddisfatto  il
petitum  cautelare  dell'istante  vengono  meno  le   ragioni   della
rilevanza  dell'espunzione  della  norma   di   dubbia   legittimita'
costituzionale ai fini del giudizio a quo». 
    La questione, dunque, nel caso di  specie  non  potrebbe  trovare
ingresso,  «atteso  che,  data  la  concessione   del   provvedimento
d'urgenza, la remissione  alla  Corte  e'  tardiva  in  relazione  al
giudizio cautelare e prematura in relazione al giudizio di merito, in
ordine al quale il  collegio,  in  mancanza  della  fissazione  della
relativa udienza di discussione, e' privo di potere decisorio»  (sono
richiamate le sentenze n. 451 del 1993 e n. 186 del 1976). 
    Il   Consiglio   di   Stato,   consapevole   di   tale    ragione
d'inammissibilita', avrebbe cercato di superarla  mediante  un'ideale
scomposizione del giudizio cautelare in due fasi: una ante e una post
iudicium  di  legittimita'  costituzionale.  La  difesa  dello  Stato
afferma che: «L'ordinanza di  remissione  elegge  tale  articolazione
bifasica del giudizio cautelare a strada maestra nel  caso  concreto.
La scelta, tuttavia,  appare  non  convincente,  tenuto  conto  delle
peculiarita' del caso concreto». 
    Infatti - prosegue l'Avvocatura - i ricorrenti avrebbero aspirato
al mantenimento in servizio per un biennio. L'adozione  della  teoria
della scomposizione bifasica del giudizio cautelare avrebbe implicato
un  doppio  vaglio  dell'istanza  cautelare  da  parte  del   giudice
rimettente, intervallato dal controllo di  legittimita'  della  Corte
costituzionale.  Questo  triplo   filtro   giurisdizionale   potrebbe
svolgersi nel presumibile lasso di tempo di  alcuni  mesi.  Pertanto,
dal momento dell'emanazione del primo provvedimento sospensivo fino a
quello  della  definitiva  pronuncia  cautelare,   in   costanza   di
sospensione  dell'atto  di  collocamento  a  riposo,  il   ricorrente
otterrebbe in via di fatto, e fuori da un  vaglio  nel  merito  della
questione,  il  "bene  della  vita"  cui  aspirava,  con  una  chiara
distorsione  della  fisiologica  dialettica  processuale.   Piu'   in
generale, nei casi in cui  l'istante,  come  nella  specie,  miri  ad
ottenere una utilita' sostanziale di  natura  temporanea,  l'adozione
della teoria della  scomposizione  bifasica  del  giudizio  cautelare
contribuirebbe ad attribuire tale utilita' «fuori dall'incardinamento
del giudizio di merito con grave pregiudizio alle  chances  difensive
di controparte». Tale profilo  sarebbe  stato  del  tutto  trascurato
nelle ordinanze di rimessione. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Questa Corte ha piu' volte chiarito che la potestas iudicandi del
giudice a quo non puo' ritenersi esaurita quando la concessione della
misura cautelare sia fondata, quanto al fumus boni iuris,  sulla  non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale,  dovendosi,  in  tal  caso,  ritenere  di   carattere
provvisorio  e   temporaneo   la   sospensione   dell'efficacia   del
provvedimento impugnato, fino alla  ripresa  del  giudizio  cautelare
dopo  l'incidente  di  legittimita'  costituzionale   (ex   plurimis:
sentenze n. 236 del 2010, n. 351 e n. 161 del 2008; ordinanza  n.  25
del 2006). 
    Nei casi in esame il Consiglio di Stato, adito in sede di appello
nei procedimenti cautelari, ha sollevato la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 25 della legge n. 240 del 2010,  ritenendola
rilevante e non manifestamente infondata, e, con separate  ordinanze,
ha concesso una misura cautelare "interinale" o ad tempus, «fino alla
camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da  parte
della Corte costituzionale». 
    E' evidente, dunque, che si e'  trattato  di  una  misura  avente
carattere provvisorio, efficace sino alla  ripresa  del  procedimento
dopo l'incidente di legittimita' costituzionale, sicche' il giudice a
quo non ha esaurito la propria  potestas  iudicandi,  onde  ben  puo'
sollevare,   in   questa   fase,   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale della disposizione che e' chiamato ad applicare. 
    Quanto alle due ordinanze del TAR per il Molise, come risulta  da
tali provvedimenti, il giudice a quo, dopo aver  concesso  le  misure
cautelari richieste dalle parti ricorrenti, ha trattato le  questioni
in pubblica  udienza  ed  all'esito  ha  sollevato  le  questioni  di
legittimita' costituzionale del citato art. 25, sicche' per esse  non
si pone un problema di esaurimento della potestas iudicandi. 
    4.1.- La tesi della difesa erariale, sopra riassunta, secondo cui
i rimettenti avrebbero trascurato di considerare le peculiarita'  del
caso di specie, non puo' essere condivisa. 
    Invero, essa  si  risolve  nella  denuncia  di  un  asserito  (ed
eventuale) inconveniente di  mero  fatto  che,  secondo  la  costante
giurisprudenza di questa Corte, non rileva ai fini del  controllo  di
legittimita' costituzionale (ex plurimis: sentenze n. 117  del  2012,
n. 303 del 2011 e n. 329 del 2009). 
    5.- Nel merito, le questioni sono fondate. 
    L'art. 25 della legge n. 240 del 2010 cosi' dispone:  «L'art.  16
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503  non  si  applica  a
professori e ricercatori universitari. I provvedimenti adottati dalle
universita' ai sensi della  predetta  norma  decadono  alla  data  di
entrata in vigore della presente legge, ad eccezione  di  quelli  che
hanno gia' iniziato a produrre i loro effetti». 
    A sua volta, l'art. 16, comma 1, del  d.lgs.  n.  503  del  1992,
statuisce: «E' in facolta' dei dipendenti civili dello Stato e  degli
enti pubblici non economici di permanere  in  servizio,  con  effetto
dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n.  421,
per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di  eta'  per  il
collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso e' data facolta'
all'amministrazione, in base alle proprie  esigenze  organizzative  e
funzionali, di trattenere in servizio il dipendente in relazione alla
particolare esperienza  professionale  acquisita  dal  dipendente  in
determinati  o  specifici  ambiti  ed  in  funzione   dell'efficiente
andamento  dei  servizi.  La  disponibilita'  al   trattenimento   va
presentata all'amministrazione di appartenenza  dai  ventiquattro  ai
dodici mesi precedenti il  compimento  del  limite  di  eta'  per  il
collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento. I  dipendenti
in  aspettativa  non  retribuita  che  ricoprono   cariche   elettive
esprimono  la  disponibilita'  almeno  novanta   giorni   prima   del
compimento del limite di eta' per il collocamento a riposo». 
    Con riguardo a tale norma va notato che, con sentenza n.  33  del
2013, questa Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  del
combinato disposto  degli  artt.  15-nonies,  comma  1,  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino  della  disciplina  in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della  legge  23  ottobre
1992, n. 421), e 16, comma 1, primo periodo, del d.lgs.  n.  503  del
1992, nel testo di essi vigente fino all'entrata in vigore  dell'art.
22 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia
di  lavori  usuranti,  di  riorganizzazione  di  enti,  di   congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per
l'impiego,  di  incentivi  all'occupazione,  di   apprendistato,   di
occupazione femminile, nonche' misure contro  il  lavoro  sommerso  e
disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro),
nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che,  al
raggiungimento del limite massimo  di  eta'  per  il  collocamento  a
riposo non abbia compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere
il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino
al conseguimento di tale anzianita' minima e, comunque, non oltre  il
settantesimo anno di  eta'.  La  suddetta  pronuncia,  peraltro,  non
incide sulla questione qui in esame, concernente il trattenimento  in
servizio di una categoria, quale quella dei professori  universitari,
la cui eta' di collocamento a riposo e' gia'  fissata  al  compimento
del settantesimo anno di eta'. 
    Cio'  posto,  si  deve  osservare  che  il  dettato  della  norma
censurata  (il  cui  chiaro  significato  non  si  presta   a   dubbi
ermeneutici)  esclude  l'applicazione  a  professori  e   ricercatori
universitari dell'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 503 del 1992, cosi'
precludendo a tale categoria la  facolta',  riconosciuta  agli  altri
dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici, di
permanere in servizio per un periodo massimo di un  biennio  oltre  i
limiti di eta' per il collocamento a riposo per essi previsto, previa
valutazione favorevole dell'amministrazione di appartenenza,  secondo
i criteri nel medesimo art. 16 indicati. 
    Orbene, tale esclusione si rivela del tutto  irragionevole  e  si
risolve, quindi, in violazione dell'art. 3 Cost. 
    Va premesso che, come questa Corte ha piu'  volte  affermato,  il
legislatore ben puo' emanare disposizioni che vengano a modificare in
senso sfavorevole per gli interessati la disciplina dei  rapporti  di
durata, anche se  l'oggetto  di  questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi perfetti, unica condizione essendo che  tali  disposizioni
«non  trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale,  frustrando,  con
riguardo a situazioni sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da  intendersi
quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n.  166
del 2012, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). 
    Nei casi in esame  non  e'  dato  individuare  ragioni  idonee  a
giustificare, per la sola  categoria  dei  professori  e  ricercatori
universitari,  l'esclusione  dalla  possibilita'  di  avvalersi   del
trattenimento in servizio disciplinato dal citato art. 16, comma 1. 
    Secondo  la  difesa  dello  Stato  la  norma  impugnata   sarebbe
«pienamente giustificata  in  vista  di  rilevantissime  esigenze  di
contenimento finanziario e razionalizzazione della  spesa  pubblica».
Ad avviso dell'Avvocatura  generale,  «se  si  analizza  l'evoluzione
normativa in materia, ci si avvede del fatto che il  legislatore  non
si e' limitato ad abolire tout court la possibilita' di  mantenimento
in servizio per i professori universitari, ma,  proprio  per  evitare
d'incorrere  in  censure  sotto   il   profilo   della   legittimita'
costituzionale, ha operato una graduale riduzione della  possibilita'
di ottenere il mantenimento in servizio biennale fino alla sua totale
eliminazione. Dapprima, infatti, con l'art. 16 del d.lgs. n. 503  del
1992, il legislatore aveva riconosciuto ai  dipendenti  civili  dello
Stato e degli enti pubblici non economici la facolta' di permanere in
servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di  eta'
per il collocamento a riposo. Poi, l'art. 72  del  d.l.  n.  112  del
2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, aveva previsto che  non
venisse piu' riconosciuto ai professori e ricercatori universitari un
diritto soggettivo alla permanenza  in  servizio,  ma  che  l'istanza
venisse  valutata   discrezionalmente   dall'amministrazione   [...].
Infine, con l'art. 25 della legge n. 240 del 2010 e' venuta  meno  la
possibilita',  per  professori   e   ricercatori   universitari,   di
presentare istanza per la  permanenza  in  servizio  per  un  periodo
massimo di un biennio oltre i limiti di eta' per  il  collocamento  a
riposo». 
    Questa tesi non puo' essere condivisa. 
    In  primo  luogo,   la   presunta   gradualita'   dell'intervento
legislativo (ammesso che  la  sua  sussistenza  possa  avere  qualche
rilievo ai fini del giudizio di ragionevolezza)  in  realta'  non  e'
ravvisabile. Invero, l'art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, nel  testo
originario, riguardava tutti i dipendenti civili dello Stato e  degli
enti pubblici non economici, e, quindi, anche i docenti universitari.
Lo stesso deve dirsi per la modifica della norma ora citata, compiuta
con l'art. 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 6 agosto 2008 ,  n.  133:  anche  tale  modifica
aveva come destinatari i dipendenti civili dello Stato e  degli  enti
pubblici non economici, non gia' i soli  docenti  universitari,  come
sembra postulare la difesa erariale. 
    Invece, proprio l'art. 25 della legge n. 240 del  2010  ha  fatto
venir meno per la sola categoria  ora  indicata  la  possibilita'  di
ottenere il trattenimento in servizio, cosi'  realizzando  anche  una
non spiegabile disparita' di trattamento in  violazione  dell'art.  3
Cost. 
    Quanto  all'argomento  che  vorrebbe  giustificare  la  norma  in
questione con «rilevantissime esigenze di contenimento finanziario  e
razionalizzazione della spesa pubblica», esso non resiste ad  un  sia
pur sommario vaglio critico. 
    In primo luogo, la disposizione di cui  si  tratta  interessa  un
settore professionale numericamente  ristretto,  percio'  inidoneo  a
produrre significative ricadute sulla finanza  pubblica;  in  secondo
luogo, l'accoglimento dell'istanza di trattenimento in  servizio  non
e' automatico, a seguito  dell'intervento  normativo  realizzato  con
l'art. 72 del d.l. n. 112 del 2008 (poi convertito), ma consegue alla
valutazione dell'amministrazione di appartenenza, che decide in  base
alle proprie esigenze organizzative  e  funzionali,  considerando  la
«particolare esperienza professionale acquisita  dal  richiedente  in
determinati  o  specifici  ambiti  ed  in  funzione   dell'efficiente
andamento   dei   servizi»:   il   che,   da   un   lato,    consente
all'Amministrazione di  utilizzare  esperienze  professionali  ancora
valide, dall'altro contribuisce a ridurre il numero  dei  beneficiari
del trattenimento; in terzo luogo, questo impegna un  arco  di  tempo
contenuto (al  massimo,  un  biennio)  che  non  sembra  suscettibile
d'incidere in misura apprezzabile sulla spesa pubblica. 
    Tanto piu' che lo stesso legislatore ha ritenuto  che  il  rinvio
del collocamento a riposo dei dipendenti pubblici sia funzionale alle
misure di contenimento di tale spesa. 
    Infine,  la  norma  de  qua  non  puo'  trovare   giustificazione
sull'interesse al ricambio generazionale del personale  docente,  del
pari invocato dalla difesa dello Stato. 
    Al riguardo, si deve osservare che, senza dubbio,  rientra  nella
discrezionalita' del legislatore l'obiettivo di favorire il  ricambio
generazionale nell'ambito dell'istruzione universitaria. 
    Tuttavia, fermo restando in via generale tale principio,  e'  pur
vero che il perseguimento di questo obiettivo deve essere  bilanciato
con  l'esigenza,  a  sua  volta  riconducibile  al   buon   andamento
dell'amministrazione e percio' nello schema del citato art. 97 Cost.,
di mantenere in servizio - peraltro per un arco di tempo  limitato  -
docenti in grado di dare un positivo contributo  per  la  particolare
esperienza professionale acquisita in determinati o specifici settori
ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi. 
    In questo quadro si colloca il disposto dell'art.  16,  comma  1,
del d.lgs. n. 503 del 1992, nel testo modificato dall'art. 72,  comma
7, del d.l. n. 112 del 2008, poi convertito dalla legge  n.  133  del
2008. Detta norma realizza, per l'appunto, il suddetto bilanciamento,
affidando all'amministrazione la  facolta'  di  accogliere  o  no  la
richiesta del dipendente, in base alle proprie esigenze organizzative
e funzionali e secondo i criteri nella norma medesima indicati. 
    Resta dunque priva di  giustificazioni  l'esclusione  della  sola
categoria  dei  professori  e  ricercatori  universitari  dall'ambito
applicativo del citato art. 16, comma  1,  quando  proprio  per  tale
categoria l'esigenza suddetta si presenta in modo piu' marcato, avuto
riguardo  ai  caratteri  ed   alle   peculiarita'   dell'insegnamento
universitario. La norma impugnata trascura del  tutto  tale  profilo,
introducendo una disciplina sbilanciata e irrazionale, che si pone in
deciso contrasto con gli articoli 3 e 97 Cost. 
    Pertanto, alla luce  delle  considerazioni  che  precedono,  deve
essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 25  della
legge n. 240 del 2010. 
    Ogni altro profilo resta assorbito.