ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 11
del decreto legislativo 6 settembre 2001, n.  368  (Attuazione  della
direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro  a  tempo
determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal  CES),  promosso,  in
relazione agli articoli 3 e 77, primo comma, della Costituzione,  dal
Tribunale di Trani nel procedimento vertente tra  G.M.  e  la  s.p.a.
Poste Italiane con ordinanza del 21 febbraio 2011, iscritta al n. 173
del registro ordinanze 2011 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visti gli atti di costituzione  di  G.M.  e  della  s.p.a.  Poste
Italiane nonche' l'atto di intervento del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 27 marzo 2013 il Giudice relatore
Luigi Mazzella; 
    uditi gli avvocati Vincenzo De  Michele  e  Sergio  Galleano  per
G.M., Giampiero Proia e Luigi Fiorillo per la s.p.a. Poste Italiane e
l'avvocato dello  Stato  Sergio  Fiorentino  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Trani in funzione di giudice del lavoro, con
ordinanza del 21 febbraio 2011,  iscritta  al  n.  173  del  Registro
ordinanze   2011,   ha   sollevato    questioni    di    legittimita'
costituzionale, con riferimento agli articoli 3 e  77,  primo  comma,
della Costituzione, degli articoli 1 e 11 del decreto  legislativo  6
settembre  2001,  n.  368  (Attuazione  della  direttiva   1999/70/CE
relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo  determinato  concluso
dall'UNICE, dal CEEP e dal CES). 
    1.1. - Riferisce il giudice rimettente che, con  domanda  del  29
novembre  2010,  G.M.  ha  convenuto  in  giudizio  la  s.p.a.  Poste
Italiane, chiedendo l'accertamento  dell'illegittimita'  del  termine
apposto al contratto di lavoro sottoscritto il 20 maggio  2005,  «per
ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di
provvedere  alla  sostituzione  del  personale  addetto  al  servizio
recapito presso la Regione Sud 1 UP  Canosa  di  Puglia  assente  nel
periodo dal  23  maggio  2005  all'8  luglio  2005»,  in  quanto  nel
documento negoziale non sarebbero  stati  specificamente  indicati  i
lavoratori sostituiti, «nonche'  la  ragione  per  la  quale  questi»
ultimi  sarebbero  «rimasti  assenti  dal  lavoro»,  nonostante  che,
all'indomani  del  d.lgs.  n.  368  del  2001  -   applicabile   alla
fattispecie ratione temporis - l'assunzione  a  termine  per  ragioni
sostitutive richiedesse ancora dette  indicazioni;  che  la  societa'
convenuta ha contestato la necessita' di tale adempimento, poiche' la
precedente norma di riferimento - e cioe' l'art. 1, comma 2,  lettera
b), della legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del  contratto  di
lavoro a tempo determinato) - e' stata abrogata dall'art.  11,  primo
comma, del d.lgs. n. 368 del 2001, senza essere sostituita  da  altra
disposizione di analogo contenuto. 
    1.2. - Precisa il rimettente che la fattispecie  contrattuale  e'
pacificamente disciplinata ratione temporis dal  d.lgs.  n.  368  del
2011, il cui art. 11 ha abrogato «la legge 18 aprile 1962, n. 230,  e
successive modificazioni», ivi compreso l'art. 1,  comma  2,  lettera
b), a mente del quale era «consentita  l'apposizione  di  un  termine
alla durata del contratto:  ...  quando  l'assunzione»  avesse  avuto
«luogo, per sostituire  lavoratori  assenti  e  per  i  quali»  fosse
sussistito «il diritto alla conservazione del posto,  sempreche'  nel
contratto di lavoro a termine» fosse  stato  «indicato  il  nome  del
lavoratore sostituito e la causa della sua  sostituzione»;  che,  per
effetto  di  tale  abrogazione,  la  causale  sostitutiva   e'   oggi
disciplinata dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. n.  368  del  2001,  il
quale si limita a consentire «l'apposizione di un termine alla durata
del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di  carattere
... sostitutivo», senza piu' richiedere - quantomeno espressamente  -
che, nel contratto, siano indicati il nome del lavoratore  sostituito
e la causa della sua sostituzione. 
    1.3.  -  Il  giudice  a  quo  passa,   dunque,   a   ripercorrere
l'evoluzione giurisprudenziale in subiecta materia,  rammentando  che
la  Corte  costituzionale,  investita  illo  tempore   dallo   stesso
Tribunale di Trani delle questioni di legittimita' delle disposizioni
succitate in relazione agli artt. 76 e 77,  primo  comma,  Cost.,  ne
aveva ritenuto la non fondatezza (sentenza n. 214 del  2009,  seguita
dalle ordinanze n. 325 del 2009 e n. 65 del 2010), in quanto  l'onere
di specificazione previsto dall'art. 1 del d.lgs.  n.  368  del  2001
implica che, ogni qual volta l'assunzione a tempo determinato avvenga
per soddisfare ragioni di carattere  sostitutivo,  debbano  risultare
per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della
sua sostituzione.  Ed  infatti  secondo  il  giudice  delle  leggi  -
continua il rimettente - poiche' per «ragioni sostitutive» si  devono
intendere motivi connessi con l'esigenza di  sostituire  uno  o  piu'
lavoratori,  la  specificazione   di   tali   motivi   impone   anche
l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire  e  delle
cause della loro sostituzione, onde realizzare la finalita',  sottesa
all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 368 del  2001,  di  assicurare  la
trasparenza e la veridicita' della causa dell'apposizione del termine
e l'immodificabilita' della stessa  nel  corso  del  rapporto.  Donde
l'insussistenza della violazione dell'art. 77 Cost., non  avendo  gli
impugnati artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 innovato,
sotto questo profilo, rispetto alla disciplina contenuta nella  legge
n. 230 del 1962, ed essendo stato il Governo autorizzato -  dall'art.
2, comma 1, lettera b), della legge di delega 29  dicembre  2000,  n.
422   (Disposizioni   per   l'adempimento   di   obblighi   derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2000)  -  ad  apportare  modifiche  o  integrazioni  alle
discipline vigenti nei singoli settori interessati dalla normativa da
attuare, al fine di evitare disarmonie tra  le  norme  introdotte  in
sede di attuazione delle direttive  comunitarie  e,  appunto,  quelle
gia' vigenti. Solo cosi' si sarebbe garantita la piena coerenza della
nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico,  in  conformita'
con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1,  lettera  b),  della
legge di delega. 
    Neppure la  denunciata  lesione  dell'art.  76  Cost.  era  stata
riscontrata, poiche' - secondo la valutazione della Corte - le  norme
censurate, limitandosi a riprodurre  la  disciplina  previgente,  non
determinano  alcuna  diminuzione  della  tutela  gia'  garantita   ai
lavoratori dal precedente regime  e,  pertanto,  non  si  pongono  in
contrasto con la clausola n. 8.3 dell'accordo-quadro  recepito  dalla
direttiva 1999/70/CE, secondo la  quale  l'applicazione  dell'accordo
non avrebbe potuto  costituire  un  motivo  per  ridurre  il  livello
generale di tutela gia' goduto dai lavoratori. Dopo  queste  pronunce
interpretative di rigetto del Giudice delle leggi che sembravano aver
risolto ogni problema ermeneutico - prosegue il rimettente - la Corte
di cassazione, con due sentenze del 26 gennaio 2010  (n.  1576  e  n.
1577),   ha   ritenuto   di   poter   «interpretare»   la    sentenza
«interpretativa di rigetto» del Giudice delle leggi e, sulla base  di
questa, di essere abilitata ad operare un distinguo, nel senso  «che,
nella illimitata  casistica  che  offre  la  realta'  concreta  delle
fattispecie aziendali, accanto a fattispecie  elementari  in  cui  e'
possibile individuare fisicamente il lavoratore  o  i  lavoratori  da
sostituire,  esistono  fattispecie  complesse  in   cui   la   stessa
indicazione non e' possibile e "l'indicazione del  lavoratore  o  dei
lavoratori"    deve    passare    necessariamente    attraverso    la
"specificazione dei motivi", mediante l'indicazione di  criteri  che,
prescindendo dall'individuazione delle persone,  siano  tali  da  non
vanificare il criterio selettivo che richiede la norma». Con sentenza
28 aprile 2010, n. 10175, la Suprema Corte ha  ribadito  il  suddetto
orientamento (ulteriormente confermato da Cass. 7 febbraio  2011,  n.
2990), aggiungendo che il contratto  a  termine  «in  una  situazione
aziendale complessa e' configurabile come  strumento  di  inserimento
del lavoratore assunto in un processo  in  cui  la  sostituzione  sia
riferita non ad una singola persona, ma ad  una  funzione  produttiva
specifica che sia occasionalmente scoperta; in quest'ultimo caso,  il
requisito della specificita' puo'  cosi'  ritenersi  soddisfatto  non
tanto con l'indicazione nominativa del lavoratore  o  dei  lavoratori
sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza  quantitativa
tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine  per  lo
svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture  che,  per
quella  stessa  funzione,  si  sono   realizzate   per   il   periodo
dell'assunzione». 
    Dalle sopra richiamate pronunce della  Corte  di  legittimita'  -
tutte del medesimo tenore - il Tribunale  di  Trani  desume  che  sia
tornata attuale  la  questione  di  costituzionalita'  gia'  da  esso
sollevata con ordinanza del 21 aprile 2008. Anzi,  che  siano  emersi
ulteriori profili di illegittimita' delle norme nuovamente censurate. 
    Il giudice a quo muove  dalla  premessa  che,  in  ragione  della
pluralita' delle sentenze rese  in  argomento  dalla  Suprema  Corte,
debba ormai considerarsi «diritto vivente» il principio secondo  cui,
nei contratti a tempo determinato,  con  specifico  riferimento  alle
cosiddette esigenze sostitutive, l'onere di specificita' preteso  dal
comma 2 dell'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 possa  essere  assolto
dal datore di lavoro in maniera diversa, a seconda della complessita'
o meno della struttura aziendale e  che,  quindi,  l'indicazione  del
nominativo del  lavoratore  sostituito  e  della  ragione  della  sua
assenza sia necessaria solo in una situazione  aziendale  elementare.
Tale distinguo  -  in  quanto  costituente  «diritto  vivente»  -  e'
ritenuto vincolante dal giudice a quo, che si reputa «tenuto a  farne
applicazione nel caso di specie, benche' non ve ne  sia  traccia  nei
provvedimenti della Corte costituzionale  innanzi  richiamati  e  per
quanto lo ritenga non condivisibile alla luce delle puntuali  ragioni
espresse dalla Corte d'appello di Bari (tra le tante, v. la  sentenza
n. 5546/2010)», per la quale «sembra quasi ovvio osservare che  anche
le realta' aziendali piu' complesse sono strutturate  sulla  base  di
una  articolazione  territoriale   diffusa   di   molteplici   unita'
produttive, a loro volta connesse, in via gerarchica e funzionale, ad
organismi intermedi tra le basi operative ed  il  vertice  aziendale.
Sicche' e' evidente che ciascun organismo intermedio,  attraverso  il
preposto a ciascuna sede o unita' operativa, e' in grado di conoscere
esattamente  il  lavoratore  o  i  lavoratori  (aventi  diritto  alla
conservazione del posto) e, quindi, e' ben in grado di renderlo noto,
in sede di stipula del contratto, anche al contrattista a termine». 
    1.4. - Tutto cio' premesso, il giudice a quo  rileva,  anzitutto,
la  non  manifesta   infondatezza   delle   proposte   questioni   di
legittimita'. 
    1.4.1. - Con riguardo all'art. 3 Cost., perche',  a  suo  avviso,
consentire nei contratti a termine  per  esigenze  sostitutive  forme
differenziate  di  controllo  (a  seconda  della   dimensione   della
struttura   organizzativa   aziendale)   finirebbe    per    produrre
discriminazioni assolutamente ingiustificate dal punto di  vista  dei
lavoratori, cosi' da legittimare, in alcune situazioni,  come  quella
di specie, forme di controllo solo apparenti e per  nulla  appaganti,
oltre  che  insufficienti  ad  «assicurare  la   trasparenza   e   la
veridicita'   della   causa   dell'apposizione    del    termine    e
l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto», cosi'  come
richiesto  dalla  Corte  costituzionale   nelle   pronunzie   innanzi
richiamate. 
    1.4.2. - Con riguardo all'art. 77, primo  comma,  Cost.,  perche'
nell'ordinanza con la quale lo stesso tribunale aveva gia'  sollevato
la questione di costituzionalita' e, soprattutto, nella  sentenza  n.
214 del 2009  della  Corte  costituzionale  (e  nelle  sue  ordinanze
successive), il problema che si  era  posto  era  proprio  quello  di
verificare se il legislatore  delegato  fosse  stato  autorizzato  da
quello delegante ad abrogare l'art. 1,  secondo  comma,  lettera  b),
della legge n. 230 del 1962, che consentiva l'apposizione del termine
«quando l'assunzione» avesse avuto «luogo per  sostituire  lavoratori
assenti  e  per  i  quali»  fosse   sussistito   «il   diritto   alla
conservazione  del  posto,  sempreche'  nel  contratto  di  lavoro  a
termine» fosse stato «indicato il nome del lavoratore sostituito e la
causa  della  sua  sostituzione».  Di  fronte   a   tale   questione,
l'interpretazione «vivente» del giudice di  legittimita',  ad  avviso
del giudice a quo, avrebbe ignorato che la Corte costituzionale aveva
adottato un'interpretazione "conservativa" (nel senso che  nulla  era
cambiato rispetto al  passato)  proprio  perche'  altrimenti  (avendo
posto la premessa che il legislatore delegato era  tenuto,  in  parte
qua, a riprodurre la stessa norma previgente) sarebbe stata costretta
a dichiarare l'illegittimita' delle norme scrutinate per mancanza  di
delega. Anche perche' la direttiva comunitaria  che  il  Governo  era
stato delegato ad attuare non imponeva certamente di abrogare  l'art.
1, comma 2, lettera b), della legge n.  230  del  1962,  limitandosi,
invece, a richiedere  d'intervenire  solo  su  alcuni  aspetti  delle
normative interne in tema di contratto a termine,  peraltro  estranei
ai presupposti per l'apposizione della clausola al primo contratto di
lavoro a tempo determinato. 
    1.5. - Secondo il  tribunale  rimettente,  infine,  la  questione
sarebbe  da  ritenere  rilevante  nel  giudizio  a  quo,  in   quanto
l'eventuale espunzione dal nostro ordinamento giuridico degli artt. 1
e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, siccome comportante la  reviviscenza
dell'art. 1, comma 2, lettera  b),  della  legge  n.  230  del  1962,
rifluirebbe certamente nel giudizio promosso dal ricorrente,  essendo
in grado, ex se, di produrre l'illegittimita' del termine apposto  al
contratto di lavoro controverso, stante la mancata  indicazione,  nel
documento negoziale, dei lavoratori sostituiti, nonche' della ragione
per la  quale  questi  sarebbero  rimasti  assenti  dal  lavoro.  Nel
contempo, il quadro normativo, interpretato nei  termini  prospettati
dalla Corte di cassazione, se ed in quanto confermato, imporrebbe  al
giudice a quo di non tenere conto, ai fini  della  delibazione  della
legittimita' del termine, della carenza nel  documento  negoziale  di
qualsiasi riferimento al nominativo del lavoratore  sostituito  e  al
motivo della sua assenza. 
    2. - Con memoria depositata il 12 settembre 2011 si e' costituito
G.M., chiedendo che la Corte dichiari l'illegittimita' costituzionale
degli artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, con  riferimento  agli
artt. 3 e 77, primo comma, Cost. ed argomentando ampiamente  ai  fini
dell'accoglimento delle questioni proposte dal Tribunale di Trani con
l'ordinanza succitata. 
    2.1. - Il ricorrente nel giudizio a quo,  dopo  aver  ricostruito
dettagliatamente tutto il pregresso quadro giurisprudenziale, interno
ed  europeo,  stigmatizza  l'orientamento  accolto  dalla  Corte   di
cassazione, perche', a suo avviso, «limitarsi a richiedere,  in  caso
di  assunzioni  per  esigenze  sostitutive   l'area   geografica   di
operativita', la qualifica di appartenenza (senza  alcun  riferimento
allo specifico settore  di  operativita')  e  limitare  il  controllo
giudiziale al raffronto tra assenti (a tempo indeterminato) e assunti
(a tempo determinato) significa consentire  all'azienda  di  assumere
una quota "fissa" di lavoratori "precari" destinati a  sostituire  in
pianta stabile le ordinarie assenze del  personale  dovute  a  ferie,
malattia, maternita', ecc... ». Annota  criticamente  taluni  arresti
della Suprema Corte in questa materia sino al  punto  di  mettere  in
discussione il ruolo stesso della nomofilachia. Apprezza, invece,  la
giurisprudenza  di  merito,  anche  a   livello   di   alcune   corti
territoriali, secondo cui - come  nella  sentenza  del  Tribunale  di
Trani del 4 ottobre 2010, che ha fatto seguito  alla  sentenza  della
Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 24 giugno 2010,  in  causa
C-98/09, gia' dal predetto giudice sollecitata nel  medesimo  caso  -
«l'assenza del/i nominativo/i del/i lavoratore/i e della causa  della
sostituzione non consente di affermare  che  la  "motivazione"  possa
ritenersi specificata in modo chiaro ed esaustivo,  per  cui  non  si
puo' ritenere assolto il requisito formale  di  cui  all'art.  l  del
d.lgs. n. 368 del 2001  in  ordine  all'individuazione  per  iscritto
delle ragioni dell'apposizione del termine». 
    Conclusivamente, la suddetta parte privata evidenzia non  potersi
comprendere la corrispondenza logica e la  congruenza  interpretativa
tra la trasparenza e immodificabilita', pretese ex ante  dalla  Corte
costituzionale nella sentenza n. 214 del 2009 e dalla stessa Corte di
cassazione nelle sentenze n. 12985 del 2008, n. 2279 del  2010  e  n.
10033 del  2010,  della  rigorosa  motivazione  dell'apposizione  del
termine, da un lato, e la prova a carico del datore di lavoro in sede
giudiziale di  giustificare  l'esistenza  delle  ragioni  eccezionali
(fino al 20 giugno 2008), indi comunque  temporanee  (dal  21  giugno
2008 all'attualita') gia' rappresentate nella lettera di  assunzione,
tenuto conto del fatto che le ragioni sostitutive, a  suo  dire,  non
consentono (perche' da esplicitare, pena la  conversione,  prima  che
inizi  il  rapporto  a  termine)  di  integrare  "indirettamente"  la
motivazione generica. 
    3. - Con memoria depositata il 13 settembre 2011 si e' costituita
la  s.p.a.   Poste   Italiane,   deducendo   l'inammissibilita'   e/o
infondatezza di tutti i profili di sospetta illegittimita' denunciati
dal rimettente. 
    3.1.   -   La   predetta    societa'    eccepisce    in    limine
l'inammissibilita' delle questioni sollevate dal Tribunale  di  Trani
per difetto di rilevanza sotto due profili. 
    3.1.1. - In primo luogo, lamenta, in particolare, che il  giudice
a quo non abbia minimamente  verificato  -  e,  comunque,  non  abbia
adeguatamente motivato - se, in concreto, l'applicazione al  caso  di
specie del diritto vivente censurato potesse determinare  il  rigetto
del ricorso. Solo in tal caso, infatti, la soluzione della  questione
sollevata sarebbe stata, a suo avviso,  effettivamente  rilevante  ai
fini della decisione del giudizio principale. 
    3.1.2. -  In  secondo  luogo,  contesta  la  configurabilita'  di
un'interpretazione  giurisprudenziale  qualificabile   come   diritto
vivente  alla  luce  dei  principi  espressi   dalla   stessa   Corte
costituzionale. 
    3.2. - Nel merito, la predetta societa' argomenta diffusamente  a
sostegno della non fondatezza delle questioni proposte dal giudice  a
quo. 
    Premessa la  continuita'  della  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione rispetto a quanto affermato sul piano interpretativo dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 214 del 2009 e nelle  due  sue
successive ordinanze conformi, evidenzia che anche  l'interpretazione
di (ritenuto) diritto vivente  della  prima,  richiedente,  a  titolo
esemplificativo,   l'indicazione   dell'«ambito    territoriale    di
riferimento»,  del  «luogo  della  prestazione   lavorativa»,   delle
«mansioni del lavoratore (o dei lavoratori) da  sostituire»,  sarebbe
volta  a  salvaguardare,  come  l'indicazione  del   nominativo   del
lavoratore sostituito, la finalita' della  specificazione,  destinata
ad  «assicurare  la  trasparenza  e  la   veridicita'   della   causa
dell'apposizione del termine e l'immodificabilita' della  stessa  nel
corso del rapporto». 
    3.2.1. - Pertanto, a parere della societa' convenuta nel giudizio
a quo, non vi  sarebbe  alcuna  violazione  dell'art.  3  Cost.,  non
potendosi ravvisare alcuna  apprezzabile  differenza,  dal  punto  di
vista del livello di garanzia del lavoratore assunto a  termine,  tra
le ipotesi in cui  il  lavoratore  sostituto  viene  assunto  in  una
piccola o media impresa  e  dev'essere  indicato  il  nominativo  del
lavoratore da sostituire e  quelle  ipotesi  in  cui  lo  stesso  sia
reclutato in imprese di dimensioni maggiori e devono, quindi,  essere
indicati elementi ulteriori egualmente idonei alla individuazione dei
lavoratori cui supplire, ancorche' non  identificati  nominativamente
(ambito  territoriale  di  riferimento,  luogo   della   prestazione,
mansioni dei lavoratori da sostituire e  diritto  degli  stessi  alla
conservazione del posto). 
    In entrambi i casi, solo il  datore  di  lavoro  sarebbe  gravato
dall'onere di provare  effettivamente  la  ricorrenza  delle  ragioni
sostitutive, sollecitando sempre e comunque il giudice  a  verificare
l'effettiva sussistenza del presupposto di legittimita' prospettato. 
    Ad  avviso  di  detta  parte  privata,  inoltre,   pur   offrendo
l'orientamento della Corte di cassazione «equivalenti  e  ragionevoli
strumenti di controllo» a tutti i lavoratori interessati assunti  per
ragioni di carattere sostitutivo, sarebbe, in  ogni  caso,  dirimente
l'insegnamento della Corte costituzionale, impartito nello  scrutinio
della normativa in tema di licenziamenti, per cui  la  previsione  di
discipline  differenziate  in  base  al  criterio  della   dimensione
dell'impresa e' conforme al principio di uguaglianza di cui  all'art.
3 Cost., sul fondamento che la componente  numerica  dell'azienda  ha
riflessi sul modo di essere e  di  operare  del  rapporto  di  lavoro
organizzato. Donde l'immunita' da  vizi  d'incostituzionalita'  e  la
razionalita' della delimitazione di categorie di datori di  lavoro  a
seconda della forza lavoro impiegata e delle strutture  organizzative
adottate. 
    3.2.2. - Quanto poi alla conformita'  degli  artt.  1  e  11  del
d.lgs. n. 368 del 2011 all'art. 77 Cost., la societa' Poste  Italiane
osserva che la legge delega n. 422 del 2000 (sub  art.  2,  comma  1,
lettera b) aveva autorizzato espressamente il  Governo  ad  apportare
modifiche  o  integrazioni  alle  discipline  vigenti  -  e  cosi'  a
prevedere, altresi', disposizioni innovative, non solo  ripetitive  -
al fine di evitare disarmonie del complessivo quadro normativo,  come
gia' rilevato  nella  gia'  menzionata  sentenza  n.  214  del  2009.
Sicche', la focalizzazione  della  normativa  di  diretta  attuazione
della direttiva comunitaria su taluni aspetti (quali  il  divieto  di
discriminazioni a carico dei lavoratori assunti a termine o le misure
di contrasto all'abuso dell'istituto derivante dalla reiterazione dei
contratti di durata temporanea)  avrebbe  non  solo  autorizzato,  ma
addirittura  reso  necessario  assoggettare  all'"armonizzazione"  la
legge n. 230 del 1962. E cio', anche alla luce del  valore,  esaltato
dal  diritto  europeo,  della  riservatezza,   con   cui   l'abrogata
disciplina, comportando  la  comunicazione  ad  un  terzo  (quale  il
lavoratore assunto a termine) di  informazioni  sensibili  attinenti,
non solo all'assenza di altro lavoratore, ma anche  al  motivo  della
sua assenza, si sarebbe posta altrimenti in attrito. 
    4. - Con atto depositato il 13 settembre 2011 e' intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  Ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  instando   per   la
dichiarazione d'inammissibilita' e,  comunque,  d'infondatezza  delle
questioni proposte dal Tribunale di Trani con l'ordinanza succitata. 
    4.1. - In primo luogo, ad avviso della  difesa  dello  Stato,  le
questioni dovrebbero essere considerate inammissibili per difetto  di
motivazione sulla rilevanza, perche' il  giudice  rimettente  avrebbe
dovuto accertare previamente la  ricorrenza  di  condizioni  concrete
tali da rendere impossibile  la  specificazione  del  nominativo  del
lavoratore sostituito, senza trascurare di verificare  l'enunciazione
di  altri  criteri  che,  prescindendo   dall'identificazione   delle
persone, fossero idonei a non vanificare l'interesse  tutelato  dalla
norma,  come  quelli,  particolarmente  rigorosi,   enucleati   dalla
giurisprudenza della Corte di cassazione. 
    4.2. - Nel merito, le questioni dovrebbero  essere  ritenute  non
fondate. 
    4.2.1. - Contro  la  denunciata  violazione  dell'art.  3  Cost.,
rileva la difesa dello Stato  che  il  principio  di  eguaglianza  in
materia di lavoro non puo' essere considerato solo in funzione  della
posizione di taluni prestatori d'opera rispetto  agli  altri,  ma  va
visto anche in relazione alla  situazione  degli  imprenditori.  Tale
principio  trova  ampia  declinazione  nel   diritto   positivo,   in
particolare nelle diverse  disposizioni  che  introducono  discipline
differenti per le grandi e le piccole  imprese,  confermando  che  le
esigenze funzionali che le caratterizzano  non  possono  non  reagire
anche  sul  rapporto  di  lavoro,  imprimendo  a   questo   caratteri
differenziati.  Da  questo  punto  di  vista,  la  ratio  ispiratrice
dell'interpretazione della Corte di  cassazione  sarebbe  identica  a
quella   sottesa   alla   giurisprudenza   costituzionale,   costante
nell'ammettere che la componente numerica possa  avere  riflessi  sul
modo di essere e di operare del rapporto di  lavoro  organizzato  (ex
plurimis,  sentenza  n.  2  del   1986),   tenuto   conto   che   «la
diversificazione,  per   determinati   effetti,   a   seconda   delle
dimensioni, maggiori o minori, che il datore di lavoro  imprime  alla
organizzazione della sua attivita', e' un dato aderente alla  realta'
economica, di comune esperienza» (sentenza n. 81 del 1969). 
    4.2.2. - Quanto poi alla circostanza che il legislatore  delegato
avrebbe superato i limiti della delega,  perche'  questa  si  sarebbe
limitata al recepimento  della  direttiva  (e  tale  recepimento  non
avrebbe richiesto alcun intervento sull'art. l della legge n. 230 del
1962, che  stabiliva  i  requisiti  di  validita'  dell'assunzione  a
termine), osserva la difesa dello Stato che il contenuto della delega
non era circoscritto  al  recepimento  della  direttiva  -  al  quale
alludeva l'art. l, comma l, della legge n.  422  del  2000  -  ma  si
estendeva alle modificazioni ed integrazioni delle discipline vigenti
per  i  singoli  settori  interessati  dalla  normativa  da  attuare,
occorrenti ad evitare disarmonie (e' citato, al riguardo,  l'art.  2,
comma l, lettera b), della predetta legge). Con la conseguenza che il
legislatore delegato del 2001 non avrebbe affatto ecceduto dai limiti
della delega, ma  si  sarebbe  mosso  nel  pieno  rispetto  di  essa,
recependo correttamente la direttiva (conformandosi alle  indicazioni
della stessa in tema di  prevenzione  di  abusi,  relativamente  alle
ipotesi  di  successione  di  piu'  contratti   e   al   divieto   di
discriminazione)  ed  attuando,  per  altro  verso,  l'armonizzazione
prevista dal citato art. 2 della legge n. 422 del 2000. 
    5. - Con memorie depositate in prossimita' dell'udienza le  parti
private hanno insistito nelle conclusioni gia'  rassegnate,  ciascuna
argomentando ulteriormente le proprie rispettive posizioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con ordinanza iscritta al n. 173 del registro ordinanze  del
2011 il Tribunale di Trani  ha  proposto  questioni  di  legittimita'
costituzionale, in relazione agli articoli 3 e 77, primo comma, della
Costituzione, degli articoli 1 e 11 del d.lgs. 6 settembre  2001,  n.
368  (Attuazione  della  direttiva  1999/70/CE  relativa  all'accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e
dal CES). In particolare, l'art. 11 del d.lgs. n. 368 del  2001  reca
l'abrogazione  della  precedente  legge  18  aprile  1962,   n.   230
(Disciplina del contratto di lavoro a tempo  determinato),  la  quale
prevedeva che l'assunzione a tempo determinato fosse  consentita  per
sostituire un lavoratore assente con diritto alla  conservazione  del
posto, ma aggiungeva esplicitamente che, in tal caso, era  necessario
indicare il nome del lavoratore sostituito (art. 1, comma 2,  lettera
b). La necessita' di una simile esplicita indicazione non  e'  invece
espressamente ripetuta nell'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 che  si
limita ad enunciare, al comma 1,  che  un  termine  al  contratto  di
lavoro  puo'  essere  fissato  «a  fronte  di  ragioni  di  carattere
sostitutivo» (oltre che tecnico,  produttivo  ovvero  organizzativo),
purche'  specificate  in   atto   scritto,   a   pena   d'inefficacia
dell'apposizione del termine (comma 2). 
    2. - Premette il rimettente che la  norma  censurata,  alla  luce
dell'interpretazione  del  diritto  vivente  risultante  da  un'ormai
consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, regolerebbe  in
modo non uniforme le  assunzioni  a  tempo  determinato  per  ragioni
sostitutive. Nelle  fattispecie  elementari,  ove  sarebbe  possibile
individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori  da  sostituire,
occorrerebbe indicarli nominativamente nel  contratto,  mentre  nelle
fattispecie complesse, laddove  la  stessa  indicazione  non  sarebbe
possibile, la specificazione dei motivi dell'apposizione del  termine
potrebbe essere assolta mediante l'indicazione di  criteri  che,  pur
prescindendo dall'individuazione delle persone da sostituire,  siano,
comunque, tali da non  vanificare  il  criterio  selettivo  richiesto
dalla norma. 
    In  tal  modo,  ad  avviso  del  rimettente,  si  determinerebbe,
anzitutto, un'inammissibile discriminazione tra lavoratori dipendenti
a tempo determinato in relazione alla dimensione  delle  aziende  ove
siano volta per volta assunti per ragioni sostitutive, in  violazione
dell'art. 3 Cost. 
    In secondo luogo, vi  sarebbe  contrasto  con  l'art.  77,  primo
comma, Cost., perche' secondo il giudice a  quo,  avuto  riguardo  ai
principi e criteri direttivi della legge delega 29 dicembre 2000,  n.
422   (Disposizioni   per   l'adempimento   di   obblighi   derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2000), una interpretazione dell'art. l del d.lgs. n.  368
del 2001 che avesse  ipotizzato,  per  le  causali  sostitutive,  una
disciplina anche solo  parzialmente  difforme  da  quella  precedente
sarebbe «fuori delega». 
    2.1. - La parte privata s.p.a. Poste Italiane e la  difesa  dello
Stato  hanno  eccepito   preliminarmente   l'inammissibilita'   delle
questioni  per  difetto  di   (motivazione   sulla)   rilevanza.   In
particolare, il giudice rimettente avrebbe trascurato  di  verificare
la rispondenza della  causale  sostitutiva  enunciata  nel  contratto
portato al suo esame ai criteri di specificita' recepiti dal  diritto
vivente. Infatti, se la clausola appositiva del termine fosse viziata
anche seguendo l'impostazione della Suprema Corte - in quanto carente
dei criteri di specificazione della causale che la  stessa  esige  in
alternativa alla indicazione del nome del lavoratore sostituito -, il
dubbio di  legittimita'  della  normativa  in  oggetto  alla  stregua
dell'interpretazione  censurata  non  avrebbe  alcuna  influenza  nel
giudizio a quo. 
    L'eccezione dev'essere rigettata. 
    Il giudice  rimettente  ha  descritto  in  modo  sufficientemente
preciso  la  fattispecie  sottoposta  al  suo   scrutinio   (relativa
all'assunzione di un lavoratore a  termine  per  ragioni  sostitutive
senza l'indicazione del nome del lavoratore sostituito). Ha,  quindi,
dedotto puntualmente di dovere  applicare  la  normativa  regolatrice
della  materia  alla  stregua  della  interpretazione  sospettata  in
contrasto con la Costituzione (art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001,  in
combinato disposto con il successivo art. 11).  Tale  motivazione  e'
sufficiente a palesare la rilevanza delle questioni sollevate ai fini
della definizione del giudizio principale. 
    2.2. - La societa' convenuta nel giudizio principale ha eccepito,
inoltre, l'inesistenza di un diritto vivente, tale non potendo essere
qualificato - a suo avviso - l'orientamento adottato dalla  Corte  di
cassazione. 
    Neppure tale eccezione e' fondata, perche' la  giurisprudenza  di
legittimita', come dimostrano una serie di decisioni della  Corte  di
cassazione, sezione lavoro, tutte dello stesso segno (dalle  sentenze
26 gennaio 2010, n. 1576 e n. 1577 alla sentenza 11 febbraio 2013, n.
3176), si e' ormai fermamente attestata sulle posizioni censurate dal
giudice a quo, cosi' da assumere i caratteri di  un  vero  e  proprio
diritto vivente. 
    2.3. - Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    2.3.1. - Erroneamente il Tribunale di Trani ritiene che la  Corte
di cassazione avrebbe stravolto l'interpretazione delle  disposizioni
censurate che questa Corte ha fornito con la sentenza n. 214 del 2009
(seguita dalle ordinanze n. 325 del 2009 e n. 65 del 2010). 
    Il legislatore,  prescrivendo  l'onere  di  specificazione  delle
ragioni  sostitutive  per   poter   assumere   lavoratori   a   tempo
determinato, ha imposto una  regola  di  trasparenza.  Ha  precisato,
cioe',  che  occorre  dare  giustificazione  della  sostituzione  del
personale assente con diritto alla conservazione del  posto  con  una
chiara indicazione della causa. 
    In tale prospettiva, il criterio della identificazione nominativa
del personale sostituito e' da ritenere certamente il piu' semplice e
idoneo a soddisfare l'esigenza di  una  nitida  individuazione  della
ragione sostitutiva, ma non l'unico. 
    Non si  puo'  escludere,  infatti,  la  legittimita'  di  criteri
alternativi di specificazione, sempreche'  essi  siano  rigorosamente
adeguati allo stesso fine e  saldamente  ancorati  a  dati  di  fatto
oggettivi. E cosi', anche quando ci si trovi - come  ha  rilevato  la
Corte di  cassazione  -  di  fronte  ad  ipotesi  di  supplenza  piu'
complesse,  nelle  quali  l'indicazione  preventiva  del   lavoratore
sostituito  non  sia   praticabile   per   la   notevole   dimensione
dell'azienda  o  per  l'elevato  numero  degli   avvicendamenti,   la
trasparenza  della  scelta  dev'essere,  nondimeno,   scrupolosamente
garantita. In altre parole, si deve assicurare in ogni  modo  che  la
causa della sostituzione di personale sia effettiva,  immutabile  nel
corso del rapporto e verificabile, ove revocata in dubbio. 
    La giurisprudenza di legittimita', muovendo da tale  assunto,  ha
preso solo atto della «illimitata  casistica  che  offre  la  realta'
concreta delle fattispecie aziendali» e ne ha desunto  la  necessita'
di  tenere  conto  delle   peculiarita'   dei   molteplici   contesti
organizzativi ai fini  dell'assolvimento  dell'onere  del  datore  di
lavoro di specificare le esigenze sostitutive nel contratto di lavoro
a tempo determinato. In conseguenza, l'apposizione  del  termine  per
"ragioni sostitutive" e' stata ritenuta legittima anche quando, avuto
riguardo   alla   complessita'   di   certe   situazioni   aziendali,
l'enunciazione dell'esigenza di sopperire all'assenza  momentanea  di
lavoratori a tempo indeterminato sia  accompagnata  dall'indicazione,
in luogo del  nominativo,  di  elementi  differenti,  quali  l'ambito
territoriale dell'assunzione, il luogo della prestazione  lavorativa,
le mansioni e il diritto alla conservazione del posto dei  dipendenti
da sostituire, che permettano ugualmente  di  verificare  l'effettiva
sussistenza e di determinare il numero di questi ultimi (ex plurimis,
Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze n. 1576 e n.  1577  del
2010, cit.). 
    In tal senso, le sentenze della Corte di  cassazione  hanno  dato
una lettura coerente con le decisioni di questa Corte. Con esse si e'
voluto soltanto garantire pienamente la trasparenza e la  veridicita'
della  causale  e  la  sua  successiva  verificabilita'  in  caso  di
contestazione. 
    Ne deriva che la denunciata violazione dell'art. 77, primo comma,
Cost. per  mancanza  di  delega  non  sussiste  e  che  la  questione
sollevata sul punto non e' fondata. 
    Secondo la legge delega n. 422 del 2000,  i  principi  e  criteri
direttivi del d.lgs. n. 368 del  2001  devono  essere  rinvenuti:  a)
nella  direttiva  28  giugno  1999,  n.  1999/70/CE  (Direttiva   del
Consiglio relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro  a
tempo determinato) di cui il citato d.lgs. costituisce attuazione, ai
sensi dell'art. 2, comma  1,  della  legge  di  delegazione;  b)  nel
successivo comma 2, lettera b), dell'art. 2 della medesima  legge  di
delega, che autorizza il Governo,  «per  evitare  disarmonie  con  le
discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla  normativa
da attuare, [ad introdurre] le occorrenti  modifiche  o  integrazioni
alle discipline stesse». 
    Tali criteri direttivi sono stati puntualmente osservati. 
    Sotto  il  primo  profilo,  la  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea,  esprimendosi   sulla   compatibilita'   comunitaria   della
normativa in oggetto (sentenza del 24 giugno 2010, in causa C-98/09),
ha riaffermato il principio che anche il primo ed unico  contratto  a
termine  rientra  nell'ambito   di   applicazione   della   direttiva
1999/70/CE e dell'accordo quadro ad essa allegato.  Correlativamente,
la stessa Corte di giustizia ha riconosciuto che  un  intervento  del
legislatore nazionale come  quello  in  questione,  ancorche'  (nella
prospettiva accolta dalla Corte di Lussemburgo)  elimini  addirittura
l'obbligo datoriale d'indicare nei  contratti  a  tempo  determinato,
conclusi  per  sostituire  lavoratori  assenti,  il  nome   di   tali
lavoratori e i motivi della loro sostituzione  e  prescriva,  in  sua
vece, la specificazione per iscritto  delle  ragioni  del  ricorso  a
siffatti contratti, non solo e' possibile, ma neppure viola (in linea
di principio) la clausola della direttiva  n.  8.3.,  che  vieta  una
riduzione del livello generale di tutela gia' goduto dai lavoratori. 
    Sotto il secondo profilo, questa Corte ha gia' riconosciuto nella
sentenza n. 214 del 2009 la legittimita' di disposizioni che, pur non
essendo perfettamente riproduttive  di  quelle  preesistenti,  siano,
pero', finalizzate ad  assicurare  «la  piena  coerenza  della  nuova
disciplina anche sotto il profilo sistematico». 
    Al riguardo, occorre  considerare  che  il  regime  anteriore  al
d.lgs. n. 368 del 2001 non si esauriva nella legge n. 230  del  1962,
ma comprendeva, altresi', l'art. 23, comma 1, della legge 28 febbraio
1987, n. 56  (Norme  sull'organizzazione  del  mercato  del  lavoro).
Orbene, tale norma (che e' stata definita  una  "delega  in  bianco":
Corte  di  cassazione,  sezioni  unite,  2  marzo  2006,   n.   4588)
autorizzava i contratti  collettivi  a  prevedere  altre  ipotesi  di
assunzione a termine oltre il numero chiuso delle causali (all'inizio
tassativamente) stabilite dalla legge. Queste  ulteriori  causali  di
fonte  contrattuale,  ammissibili  anche  per  ragioni   sostitutive,
potevano  prescindere   dall'identificazione   del   nominativo   del
lavoratore al  quale  quello  assunto  a  tempo  determinato  sarebbe
subentrato. Cio' e'  accaduto  proprio  nella  contrattazione  per  i
dipendenti della societa' convenuta  nel  giudizio  a  quo,  ove,  ad
esempio, la causale  sostitutiva  per  ferie  non  richiedeva  alcuna
specificazione di tal genere (Corte di  cassazione,  sezione  lavoro,
sentenze 4 agosto 2011, n. 16987 e 2 marzo 2007,  n.  4933).  Quindi,
anche nell'ordinamento  previgente  la  regola  dell'indicazione  del
nominativo del lavoratore sostituito non era assoluta e inderogabile. 
    Il d.lgs. n. 368 del 2001 ha abrogato - sub  art.  11  -  sia  la
legge n. 230 del 1962, sia l'art. 23 della legge n. 56 del 1987 e  ha
introdotto - sub art. 1 - una disciplina generale in materia di cause
giustificatrici dell'apposizione del termine al contratto  di  lavoro
destinata  a  subentrare  a  quella  risultante  dalla   combinazione
dell'art. 1 della legge n. 230 del 1962 con l'art. 23, comma 1, della
legge  n.  56  del  1987.  Gia'  quest'ultima  disposizione,   pero',
ammetteva - come detto - che per  il  tramite  delle  clausole  della
contrattazione collettiva  potessero  essere  stipulati  contratti  a
tempo  determinato  per  esigenze  sostitutive  senza  la  necessita'
d'indicare nel  documento  negoziale  il  nominativo  del  dipendente
sostituito. Ed allora l'interpretazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 368
del 2001, come accreditata dalla Corte di cassazione  nel  solco  dei
principi enunciati da questa  Corte,  non  segna  una  inversione  di
tendenza neppure rispetto alla disciplina precedente. Essa, anzi,  si
giustifica in quell'ottica di armonizzazione e  coerenza  sistematica
cui risponde l'inserimento delle  esigenze  sostitutive  nella  nuova
previsione generale delle ragioni a fronte delle quali  il  contratto
di lavoro subordinato puo' essere stipulato a tempo determinato. 
    In conclusione, le disposizioni censurate del d.lgs. n.  368  del
2001, intervenute in un ambito regolato dall'accordo quadro  allegato
alla direttiva n. 1999/70/CE (e dall'accordo quadro ad essa allegato)
come quello del contratto a termine (anche se  primo  ed  unico)  per
armonizzarne la disciplina nell'ambito delle innovazioni apportate in
attuazione della normativa europea,  sono  certamente  contenute  nel
"programma" della legge di delegazione. 
    3.3.2 - Non sussiste neppure la denunciata  lesione  dell'art.  3
Cost. 
    Non  e',  infatti,   ravvisabile   alcuna   discriminazione   dei
lavoratori subordinati assunti a termine per esigenze sostitutive  da
imprese  di  grandi  dimensioni  rispetto  a  quelli   assunti   alle
dipendenze di piccole imprese. In entrambi i  casi,  in  applicazione
della medesima regola, il datore di lavoro deve  sempre  formalizzare
rigorosamente per iscritto le ragioni sostitutive  nella  lettera  di
assunzione a tempo determinato. Tanto e'  vero  che  il  criterio  di
specificazione in concreto adottato, anche se  alternativo  a  quello
primario  dell'indicazione  nominativa  del  lavoratore   sostituito,
dev'essere,  comunque,  talmente  preciso  da  garantire  appieno  la
riconoscibilita' e la verificabilita'  della  motivazione  addotta  a
fondamento della clausola appositiva del termine, gia' all'atto della
stipulazione del contratto. 
    Sicche', in definitiva, la diversa modulazione  del  concetto  di
specificita'   dell'esigenza   di   supplire   a    personale    solo
transitoriamente  assente  non  da'  luogo  ad  un  regime  giuridico
differenziato in base alla dimensione aziendale del datore di lavoro.
E la valutazione volta per  volta  della  rispondenza  delle  ragioni
sostitutive rappresentate per iscritto dal datore di lavoro all'onere
di specificazione di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n.  368  del
2001 e' necessariamente rimessa al prudente apprezzamento del giudice
della singola fattispecie. 
    Ne consegue la non fondatezza  della  questione  anche  sotto  il
profilo dell'asserita discriminazione.