ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,
comma 8, della legge della Regione siciliana 24 giugno  1986,  n.  31
(Norme per l'applicazione nella  Regione  siciliana  della  legge  27
dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennita'
degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi
per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in
materia di  ineleggibilita'  e  incompatibilita'  per  i  consiglieri
comunali,  provinciali  e  di  quartiere),  promosso  dal   Tribunale
ordinario di Palermo nel procedimento vertente tra D'A. T. e G. G. ed
altro, con ordinanza del 17  giugno  2011,  iscritta  al  n.  37  del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  D'A.  T.,  nonche'  l'atto  di
intervento della Regione siciliana; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  aprile  2013  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi gli avvocati  Domenico  Bonaccorsi  per  D'A.  T.  e  Paolo
Chiapparrone per la Regione siciliana. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario  di  Palermo,  con  ordinanza  del  17
giugno 2011, ha sollevato - in riferimento agli articoli 3 e 51 della
Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'articolo
9, comma 8, della legge della Regione siciliana 24 giugno 1986, n. 31
(Norme per l'applicazione nella  Regione  siciliana  della  legge  27
dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennita'
degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi
per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in
materia di  ineleggibilita'  e  incompatibilita'  per  i  consiglieri
comunali, provinciali e di quartiere), nella parte in cui esclude  il
diritto di aspettativa  non  retribuita  ai  lavoratori  assunti  con
contratto a tempo determinato e, quindi,  non  elimina  la  causa  di
incompatibilita' alla carica di consigliere  circoscrizionale  di  un
Comune. 
    Il Tribunale rimettente premette di  dover  giudicare  in  ordine
alla richiesta di una dipendente a tempo  determinato  della  seconda
circoscrizione del Comune di Palermo di accertare che la  stessa  non
sia incorsa nella causa di ineleggibilita' di cui agli artt. 9, comma
1, numero 7), e 10, comma 1, numero 8), della legge reg.  n.  31  del
1986 e di cui agli artt. 60, comma 1,  numero  7),  e  63,  comma  1,
numero 7), del decreto legislativo 18 agosto,  n.  267  (Testo  unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), e per  l'effetto  di
porre nel nulla la delibera n. 24 del 18 febbraio 2011 del  Consiglio
della seconda circoscrizione della citta' di Palermo con la quale  e'
stata dichiarata decaduta dalla carica. 
    Il  Tribunale  riferisce  che  la  ricorrente  e'  stata   eletta
consigliere   circoscrizionale   presso    il    secondo    Consiglio
circoscrizionale della Citta' di Palermo  a  seguito  delle  elezioni
amministrative del 13-14 maggio 2007 e che, con delibera del 22 marzo
2011, il Consiglio circoscrizionale l'ha  dichiarata  decaduta  dalla
carica di consigliere circoscrizionale ai sensi degli artt.  9  e  10
della legge reg. n. 31 del 1986 nonche' dei corrispondenti artt. 60 e
63 del d.lgs. n. 267  del  2000,  avendo  stipulato,  successivamente
all'assunzione  della  carica  di  consigliere  circoscrizionale  del
Comune di Palermo, un contratto a tempo determinato e parziale con il
Comune stesso. 
    Il rimettente evidenzia che l'art. 9, comma 1, numero  7),  della
legge reg. n. 31 del  1986,  applicabile  nell'ambito  della  Regione
siciliana - cui corrisponde l'art. 60, comma 1, numero 7), del d.lgs.
n. 267 del 2000 - relativamente all'ineleggibilita' prevede che  «Non
sono eleggibili a consigliere provinciale  comunale  e  di  quartiere
[...] i dipendenti del comune e  della  provincia  per  i  rispettivi
consigli».   Tale   disposizione,   prosegue   il   rimettente,    e'
pacificamente riferita anche  ai  consiglieri  circoscrizionali  alla
luce della previsione di cui all'art. 60 del d.lgs. n. 267 del  2000.
L'art. 10, comma 1, numero 8), della legge reg. n. 31 del 1986 -  cui
corrisponde l'art. 63, comma 1, numero 7), del d.lgs. n. 267 del 2000
- relativamente all'incompatibilita' prevede che «Non puo'  ricoprire
la carica di consigliere provinciale comunale o  di  quartiere  [...]
colui che nel corso del mandato viene a trovarsi in una condizione di
ineleggibilita' prevista nel precedente articolo». 
    L'art. 9, comma 2,  della  legge  reg.  n.  31  del  1986  -  cui
corrisponde l'art. 60, comma 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 -  prevede
che le cause di ineleggibilita', tra cui quella di cui al  punto  7),
non hanno effetto se l'interessato viene  collocato  in  aspettativa.
Pertanto, in  relazione  alle  cause  di  ineleggibilita',  a  fronte
dell'opzione tra la carica elettiva e il rapporto di lavoro  a  tempo
indeterminato, vi e' la possibilita'  per  il  lavoratore  di  essere
posto in aspettativa non retribuita, non operando quindi la causa  di
ineleggibilita'. Il Tribunale osserva che, nell'ipotesi  in  cui  nel
corso del mandato sopravvenga una causa di ineleggibilita', questa si
viene a sostanziare come causa di  incompatibilita',  e,  dunque,  in
questo caso, deve ritenersi operante il disposto di cui  all'art.  9,
comma 2, della legge reg. n.  31  del  1986,  potendo  il  dipendente
essere posto in aspettativa. 
    Il rimettente, premesso che a fronte  di  un  contratto  a  tempo
indeterminato  il  dipendente  puo'   godere   dell'aspettativa   non
retribuita,     non     operando,     quindi,     la     causa     di
ineleggibilita'/incompatibilita'   sopra   indicata,   ritiene    non
manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e  51  Cost.,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 8,  della
legge reg. n. 31 del 1986 - cui corrisponde l'art. 60, comma  8,  del
d.lgs. n. 267 del  2000  -  che  statuisce  che  non  possono  essere
collocati in aspettativa i dipendenti assunti a tempo determinato 
    Con riferimento all'art. 3 Cost., il rimettente osserva che,  dal
punto di vista strutturale, i1 contratto a tempo determinato  non  si
differenzia  dal  contratto  a  tempo  indeterminato   se   non   per
l'apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro subordinato;
elemento, questo, che non giustifica una disparita' di trattamento in
relazione al riconoscimento dell'aspettativa non retribuita nel  caso
di esercizio di carica elettiva. 
    Secondo il Tribunale  ordinario  di  Palermo,  non  e'  possibile
rinvenire nel contratto a tempo determinato esigenze particolari, che
verrebbero frustrate nell'ipotesi di riconoscimento  dell'aspettativa
non  retribuita,  che  lo  differenzino   dal   contratto   a   tempo
indeterminato in cui non vi sarebbero tali specifiche esigenze. Tanto
piu', aggiunge il rimettente, che attualmente vi e'  la  possibilita'
di stipulare contratti a tempo determinato con un termine  di  durata
cosi' lungo da far  venir  meno  qualsiasi  differenziazione  con  il
contratto  a  tempo  indeterminato  sotto  il   profilo   finalistico
dell'apporto dato dal lavoro del singolo  all'organizzazione  in  cui
viene inserito, come nel caso di specie, dove  il  contratto  ha  una
durata  quinquennale,  tale  da  escludere  la  rispondenza  ad   una
specifica e transitoria esigenza della pubblica amministrazione. 
    Per quanto attiene poi  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione riferita all'art. 51, terzo  comma,  Cost.,  il  rimettente
rileva che il disposto costituzionale attribuisce a chi e' chiamato a
funzioni pubbliche elettive il diritto alla conservazione  del  posto
di lavoro. Secondo la consolidata giurisprudenza  costituzionale,  il
terzo comma dell'art. 51 Cost. va interpretato nel senso che in  esso
e' prevista una  garanzia  strumentale  all'attuazione  del  precetto
contenuto nel primo comma, consistente nell'affermazione del  diritto
di chi e' chiamato  ad  esercitare  funzioni  pubbliche  elettive  di
disporre del tempo necessario per l'adempimento dei compiti  inerenti
al mandato e  del  diritto  di  mantenere  il  posto  di  lavoro.  Ne
consegue, secondo il rimettente, che costituisce violazione dell'art.
51  Cost.  escludere,  per   i   contratti   a   tempo   determinato,
l'aspettativa non retribuita nell'ipotesi  di  cariche  elettive.  Il
diritto alla conservazione del posto di lavoro, infatti, implica  che
il lavoratore - senza  alcuna  distinzione  tra  lavoratore  a  tempo
determinato ovvero a tempo indeterminato - non debba perdere il posto
di lavoro come alternativa all'esercizio della pubblica funzione, con
conseguente limitazione al diritto all'elettorato passivo. 
    2.- In data 3 aprile 2012 si e' costituita la Regione  siciliana,
concludendo nel senso dell'inammissibilita' o dell'infondatezza delle
questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Palermo. 
    In primo luogo, la  Regione  eccepisce  l'inammissibilita'  della
questione perche' la norma sospettata di incostituzionalita' e' stata
individuata in  maniera  perplessa  ed  inconferente  sia  nel  corpo
dell'ordinanza sia nella parte dispositiva della stessa. 
    La Regione osserva che il Tribunale remittente solleva  questione
di legittimita' costituzionale del solo art. 9, comma 8 (recte: comma
7), della legge reg. n. 31 del 1986, disposizione che e'  applicabile
alla fattispecie dedotta in giudizio in forza dell'espresso  richiamo
operato dall'art.10,  comma  1,  numero  8),  della  medesima  legge.
Pertanto, in assenza del predetto richiamo, la  norma  censurata  non
sarebbe pertinente in quanto riguardante esclusivamente le  cause  di
ineleggibilita'. 
    Sempre in ordine  alla  rilevanza  della  questione,  la  Regione
eccepisce, che l'ordinanza non consente di verificare  quale  ragione
abbia indotto il giudice a quo a sollevare la  questione  se  non  la
generica affermazione della sua rilevanza ai fini del decidere. 
    Infine, secondo la Regione, il  giudice  a  quo,  avrebbe  dovuto
valutare che «le restrizioni del contenuto del diritto di  elettorato
passivo sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari  ed
in ogni caso per motivi  adeguati  e  ragionevoli,  finalizzati  alla
tutela di un interesse generale». Nel caso  in  esame  il  remittente
avrebbe dovuto considerare che il rapporto di lavoro della ricorrente
con il Comune ha la caratteristica della temporaneita'  ed  e'  sorto
successivamente all'assunzione della carica elettiva da  parte  della
stessa,  per  determinate  esigenze  del  datore  di   lavoro   (ente
pubblico), meglio specificate dall'articolo 1 del decreto legislativo
6 settembre 2001,  n.  368  (Attuazione  della  direttiva  1999/70/CE
relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo  determinato  concluso
dall'UNICE, dal CEEP e dal CES), e,  quindi,  avrebbe  dovuto  tenere
conto e motivare  in  ordine  al  bilanciamento  fra  i  contrapposti
interessi della  ricorrente  all'esercizio  del  proprio  diritto  di
elettorato passivo  e  dell'amministrazione  comunale  ad  utilizzare
personale a tempo determinato avvalendosi del su  riportato  disposto
del citato art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 
    Il Tribunale avrebbe  anche  omesso  ogni  valutazione  circa  la
ragionevolezza  della  norma  in   esame,   che   invece   tenderebbe
inequivocabilmente  a  contemperare  i  contrapposti  interessi  allo
svolgimento del mandato di consigliere circoscrizionale senza che  si
verifichino situazioni di metus publicae  potestatis  o  di  captatio
benevolentiae. 
    Secondo la parte resistente, nella materia in esame, non  sarebbe
possibile neanche una pronuncia additiva perche' il bilanciamento tra
il diritto di accesso alle cariche elettive  (art.  51  Cost.)  e  il
principio di buon andamento  dei  pubblici  uffici  (art.  97  Cost.)
spetterebbe esclusivamente al legislatore. 
    Pertanto, l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  della  questione
deriverebbero, da un  lato,  dall'incompletezza  della  ricostruzione
normativa posta dal giudice  a  quo  a  fondamento  della  denunciate
lesioni  sia  del  principio  di  eguaglianza  sia  del  diritto   di
elettorato passivo; dall'altro,  dalla  richiesta  di  un  intervento
manipolativo a contenuto non costituzionalmente obbligato che  sembra
esorbitare dai poteri della Corte. 
    La  Regione  conclude  rilevando  che  i  contenuti  della  norma
regionale sospettata di incostituzionalita' sono  identici  a  quelli
dell'analoga disposizione statale recata dall'art. 60, comma  8,  del
d.lgs. n. 267 del 2000 in combinato disposto con l'art. 63, comma  1,
numero 7), del medesimo decreto legislativo, nei confronti dei  quali
il remittente non prospetta alcuna censura, benche'  suscettibile  di
trovare applicazione alla fattispecie nel caso di mancato  intervento
in materia della legislazione regionale. 
    3.- In data 16 marzo 2012 si e' costituita la parte del  giudizio
a  quo,  concludendo  nel  senso  dell'accoglimento  della  questione
sollevata dal Tribunale civile di Palermo. 
    Secondo  la  difesa  della  parte  privata,   l'aspettativa   non
retribuita non fa venir meno il rapporto di lavoro: sicche'  si  deve
ritenere che non sia  il  rapporto  di  lavoro,  in  se'  e  per  se'
considerato, a rendere ineleggibile-incompatibile  il  cittadino,  ma
solo l'effettivo svolgimento del rapporto di lavoro  nell'ambito  del
territorio  in  cui  il  dipendente  e'  chiamato  ad  operare  quale
consigliere. 
    Infatti l'art. 60, comma l, numero 7),  del  d.lgs.  n.  267  del
2000, nonche' l'art. 9, comma l, numero 7), della legge  reg.  n.  31
del  1986  attribuiscono  rilievo  esclusivamente  all'esistenza  del
rapporto di lavoro subordinato e la  norma  sull'ineleggibilita'  del
dipendente comunale non distingue tra lavoratore a tempo  determinato
e lavoratore a tempo indeterminato. Tuttavia, solo a  quest'ultimo  -
come detto - e' consentito di collocarsi in aspettativa  al  fine  di
rimuovere la condizione d'ineleggibilita'  (art.  60,  comma  8,  del
d.lgs. n. 267 del 2000 ed art. 9, comma 8, della legge reg. n. 31 del
1986). 
    In questo senso la norma  violerebbe  l'art.  3  Cost.  sotto  il
profilo della irragionevole disparita' di trattamento, non essendovi,
infatti, ragione alcuna perche' l'art. 60, comma 3, del d.lgs. n. 267
del 2000 e l'art. 9, comma 2,  della  legge  reg.  n.  31  del  1986,
trattino differentemente il lavoratore dipendente del comune a  tempo
indeterminato e quello a tempo determinato: entrambi sono  legati  da
un rapporto di lavoro subordinato, che in nulla differisce se non per
la  circostanza  che  all'uno  non  e'  apposto  un  termine,  mentre
all'altro tale termine viene apposto.  Questa  differenza,  tuttavia,
non e' tale da giustificare una disparita' di trattamento. 
    Nell'atto di costituzione viene richiamato, poi, l'art. 51, terzo
comma, Cost. nella parte in cui  dispone  espressamente  che  chi  e'
chiamato a funzioni pubbliche elettive ha  diritto  di  disporre  del
tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto  di
lavoro, senza alcuna distinzione tra rapporto di lavoro subordinato a
tempo  indeterminato  e  rapporto  di  lavoro  subordinato  a   tempo
determinato, ma ponendo l'accento esclusivamente  sull'esistenza  del
rapporto di lavoro dell'eletto e sul diritto di quest'ultimo alla sua
conservazione. 
    La parte privata richiama anche l'art. 3, secondo  comma,  Cost.,
ritenendo che si riferisca  anche  all'elettorato  passivo  (art.  51
Cost.): tale diritto, infatti, costituisce  condizione  necessaria  e
sufficiente   al   fine   della   partecipazione    del    lavoratore
all'organizzazione politica del Paese. 
    Nella restante parte dell'atto di costituzione vengono richiamati
argomenti analoghi a quelli dell'ordinanza di rimessione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 9,  comma  8,  della  legge
della  Regione  siciliana  24  giugno  1986,   n.   31   (Norme   per
l'applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre  1985,
n.  816,  concernente  aspettative,  permessi  e   indennita'   degli
amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i
componenti delle  commissioni  provinciali  di  controllo.  Norme  in
materia di  ineleggibilita'  e  incompatibilita'  per  i  consiglieri
comunali, provinciali e di quartiere), nella parte in cui esclude  il
diritto di aspettativa  non  retribuita  ai  lavoratori  assunti  con
contratto a tempo determinato e, quindi,  non  elimina  la  causa  di
incompatibilita' alla carica di consigliere  circoscrizionale  di  un
Comune. 
    Secondo il rimettente, la norma violerebbe gli artt. 3 e 51 della
Costituzione che riconoscono il diritto alla conservazione del  posto
di  lavoro  -  senza  alcuna  distinzione  tra  lavoratore  a   tempo
determinato e lavoratore a tempo indeterminato - per coloro che  sono
chiamati a funzioni pubbliche elettive. Sarebbe, percio', illegittima
la limitazione del diritto all'elettorato passivo ed  illegittimo  il
trattamento differenziato di fattispecie  identiche,  quali  oggi  si
devono ritenere i rapporti di lavoro a tempo indeterminato e quelli a
tempo determinato. 
    2.- A prescindere dalla possibile incidenza che, nel  giudizio  a
quo, potrebbe  avere  l'omessa  censura  della  corrispondente  norma
statale - sulla quale anche si basa il provvedimento impugnato e  che
continuerebbe ad applicarsi ai sensi di plurime  pronunce  di  questa
Corte (dalla sentenza n. 105 del 1957 alle sentenze n. 283 e  n.  143
del 2010) ove venisse meno la disposizione legislativa regionale - la
questione non e' fondata. 
    In primo luogo, occorre verificare se possa ritenersi sussistente
la denunciata  lesione  dell'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  del
contrasto  tra  la  norma  censurata  ed  il  tertium   comparationis
costituito dalla disciplina relativa all'aspettativa  elettorale  per
il lavoratore a tempo indeterminato. 
    Secondo il rimettente, i1  contratto  a  tempo  determinato,  dal
punto di vista strutturale, non si differenzia dal contratto a  tempo
indeterminato in quanto entrambi danno luogo ad un rapporto di lavoro
subordinato che si distingue solo per  l'apposizione  di  un  termine
finale. L'apposizione del termine finale non  costituirebbe  elemento
di  differenziazione  tale  da   giustificare   una   disparita'   di
trattamento  in  relazione  al  riconoscimento  dell'aspettativa  non
retribuita nel caso di esercizio di carica elettiva. 
    Il  giudice  del  Tribunale  ordinario  di  Palermo  sembra   far
riferimento, seppure non richiamandolo espressamente, al principio di
non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a
tempo indeterminato sancito dall'art. 6  del  decreto  legislativo  6
settembre  2001,  n.  368  (Attuazione  della  direttiva   1999/70/CE
relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo  determinato  concluso
dall'UNICE, dal CEEP e dal CES), secondo il quale «Al  prestatore  di
lavoro con contratto a tempo  determinato  spettano  le  ferie  e  la
gratifica natalizia o la tredicesima mensilita',  il  trattamento  di
fine rapporto e ogni altro trattamento in  atto  nell'impresa  per  i
lavoratori con  contratto  a  tempo  indeterminato  comparabili».  Il
citato art. 6, tuttavia, riconosce esplicitamente che tale  principio
trova uno  specifico  limite  nella  obiettiva  incompatibilita'  del
trattamento richiesto con la natura del contratto a termine. 
    Senza affrontare in via generale  la  questione  delle  possibili
differenze tra il rapporto di lavoro a tempo indeterminato e quello a
tempo  determinato,  occorre,  per  cio'  che  concerne  la  presente
questione, valutare se lo svolgimento di detto rapporto lavorativo  a
termine con l'ente locale presso cui il dipendente ricopre un mandato
elettorale costituisca  causa  di  "obiettiva  incompatibilita'"  che
giustifichi,    relativamente    alla    possibilita'    di    fruire
dell'aspettativa, il differente regime giuridico rispetto ai rapporti
di lavoro a tempo indeterminato. 
    Con  riferimento  all'aspettativa  per  motivi  elettorali,  deve
osservarsi   che   la   scelta   del   legislatore   di    escluderne
l'applicabilita'  ai  rapporti  di  lavoro  a  tempo  determinato  e'
ragionevole,    in    quanto    giustificata    dall'incompatibilita'
dell'istituto con la natura di tale tipologia di contratto di lavoro,
connotato dalla prefissione di un termine, in diretta connessione con
le specifiche ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo che debbono essere precisate  in  sede  di  pattuizione
contrattuale e che  giustificano  la  diversita'  di  disciplina  del
rapporto. Il collocamento  in  aspettativa  del  dipendente  a  tempo
determinato si porrebbe in conflitto con tale elemento essenziale del
rapporto,  giacche'  la  sospensione  della  efficacia   verrebbe   a
confliggere con la ratio stessa del contratto a  termine  di  cui  al
comma 1 dell'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, vale a dire  disporre
della prestazione del lavoratore in un determinato periodo  di  tempo
per lo svolgimento di una specifica attivita'. 
    Tra l'altro, nel caso in questione, il  rapporto  di  lavoro  col
Comune e' sorto dopo lo svolgimento delle elezioni e, quindi,  ancora
di piu' risulterebbe l'anomalia di ritenere applicabile un  istituto,
come quello dell'aspettativa che (oltre a presupporre l'esistenza  di
un rapporto di lavoro sorto con una presa di  servizio  che  potrebbe
avvenire  solo  contravvenendo   al   contenuto   sostanziale   della
disposizione   che   rende   incompatibile   la   doppia   veste   di
consigliere-dipendente) «si porrebbe in conflitto insanabile  con  la
prefissione di un termine, che e' elemento essenziale  del  rapporto,
giacche'  la  sospensione  dell'efficacia   verrebbe   ad   incidere,
prorogandola, sulla durata originariamente programmata in ragione  di
esigenze temporanee», come  afferma  una  recente  sentenza  della  I
sezione della Corte di cassazione (n. 5162 del 30 marzo 2012). 
    In altri termini, costituirebbe una palese contraddizione, da  un
lato, condizionare la  possibilita'  di  stipulare  un  contratto  di
lavoro a tempo determinato alla  sussistenza  effettiva  di  esigenze
oggettive da  specificare  ex  ante  e  contestualmente,  dall'altro,
consentire gia' nel momento genetico  del  rapporto  contrattuale  al
lavoratore la possibilita' di collocarsi in aspettativa  per  mandato
elettorale. 
    Con riferimento  alla  pretesa  violazione  dell'art.  51,  terzo
comma, Cost. deve in questa  sede  ribadirsi  che  la  norma  esprime
l'interesse costituzionale alla possibilita' che  tutti  i  cittadini
concorrano alle cariche elettive in posizione di  eguaglianza,  anche
impedendo, se occorre, la risoluzione del rapporto  di  lavoro  o  di
impiego, con giustificato, ragionevole sacrificio dell'interesse  dei
privati datori di lavoro  (sentenza  n.  124  del  1982).  L'art.  51
assicura, dunque, un complesso minimo di garanzie di  eguaglianza  di
tutti   i   cittadini   nell'esercizio    dell'elettorato    passivo,
riconoscendo, peraltro,  al  legislatore  ordinario  la  facolta'  di
disciplinare  in  concreto  l'esercizio  dei  diritti  garantiti;  la
facolta', cioe', di fissare, a condizione che non risultino  menomati
i diritti riconosciuti, le relative modalita' di godimento,  al  fine
di agevolare  la  partecipazione  dei  lavoratori  all'organizzazione
politica ed amministrativa del Paese (sentenze n. 454  e  n.  52  del
1997, n. 158 del 1985, n. 193 del 1981). 
    L'art. 9, comma 1, numero 7), della legge reg.  n.  31  del  1986
(che riproduce il numero 7 del  comma  1  dell'art.  60  del  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali»),  prevedendo  come  causa  di
ineleggibilita' l'esistenza di un rapporto di  lavoro  del  candidato
con la Provincia, il Comune ed il  Consiglio  di  quartiere,  esprime
l'esigenza che non vi sia commistione di interessi, con il rischio di
scelte  non  finalizzate  all'interesse  pubblico,  tra  il   vertice
dell'ente locale  e  chi  presta  la  sua  opera  in  tale  struttura
amministrativa. 
    I successivi commi 2 e 3 (ed il relativo comma 3 dell'art. 60 del
d.lgs. n. 267 del 2000) attenuano il divieto prevedendo non  solo  il
caso delle dimissioni, del trasferimento e della revoca dell'incarico
e del comando, ma anche la fruizione dell'istituto  dell'aspettativa.
Si tratta di deroghe al ricordato divieto ispirate dalla volonta'  di
tutelare il diritto al lavoro dei possibili candidati che hanno pero'
come limite l'esistenza  di  un  lavoro  a  tempo  indeterminato.  La
circostanza che il comma 7 (l'8 del corrispondente art. 60 del d.lgs.
n. 267 del 2000) preveda espressamente il divieto per i dipendenti  a
tempo determinato di essere collocati in aspettativa (cioe'  che  per
loro non vale la  deroga  del  divieto)  sta  a  significare  che  il
legislatore (regionale e statale) ha effettuato un non  irragionevole
bilanciamento  tra  il  conflitto  di  interessi  che  lo  stato   di
dipendente dell'ente locale inevitabilmente determina con  la  carica
di  consigliere  dell'ente  locale  medesimo  ed  il   diritto   alla
conservazione del posto di lavoro ed ha, percio', individuato,  quale
punto di equilibrio, l'attuale disciplina. Tra l'altro, nel  caso  in
questione, il rapporto di lavoro a tempo determinato (trattandosi  di
una conversione di ineleggibilita' in incompatibilita') e' sorto dopo
lo svolgimento delle elezioni, quando cioe' il consigliere  assolveva
le sue funzioni, con l'astratta possibilita' di influire sulle scelte
dell'ente locale. 
    Il divieto di accedere all'istituto  dell'aspettativa  elettorale
nell'ambito dei rapporti di lavoro a tempo determinato, pertanto, nel
quadro dei principi sopra delineati, non si pone in contrasto con gli
artt. 3 e 51 Cost. Si tratta di una disciplina che non discrimina  il
lavoratore a tempo  determinato,  si  giustifica  in  relazione  alle
differenze tra i due diversi modelli contrattuali posti  a  raffronto
ed e' conforme ai principi di ragionevolezza e  proporzionalita'  che
devono necessariamente caratterizzare le cause di  ineleggibilita'  e
di incompatibilita', atteso che il diritto, riconosciuto  in  capo  a
colui  che  e'  chiamato  a   funzioni   pubbliche   elettive,   alla
conservazione del posto di lavoro trova  anch'esso  un  limite  nella
peculiare natura del lavoro a tempo determinato.