ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,  comma
10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di  semplificazioni   tributarie,   di   efficientamento   e
potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 26 aprile  2012,  n.  44,  promosso  dalla
Regione Veneto, con ricorso notificato il 27 giugno 2012,  depositato
in cancelleria il 5 luglio 2012 ed iscritto al n.  102  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 26 marzo 2013 il Giudice relatore
Aldo Carosi; 
    uditi gli avvocati Daniela Palumbo e Luigi Manzi per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Lorenzo D'Ascia per il Presidente del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Regione Veneto, con ricorso notificato il 27 giugno  2012,
ha promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,
comma 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti
in  materia  di  semplificazioni  tributarie,  di  efficientamento  e
potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44. Detta  disposizione
prevede  che  «A  decorrere  dal  1°  luglio  2012,  non  si  procede
all'accertamento, all'iscrizione  a  ruolo  e  alla  riscossione  dei
crediti relativi ai tributi erariali,  regionali  e  locali,  qualora
l'ammontare  dovuto,  comprensivo  di   sanzioni   amministrative   e
interessi, non superi, per ciascun credito, l'importo di euro 30, con
riferimento ad ogni periodo d'imposta». 
    Le questioni sono promosse in riferimento: a) all'art. 117, terzo
comma, della Costituzione, sotto il profilo del  coordinamento  della
finanza pubblica e del sistema tributario; b) all'art. 119 Cost.,  in
combinato disposto con gli artt. 97 e 118 Cost., e con l'art. 11  del
decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia  di
autonomia di entrata  delle  regioni  a  statuto  ordinario  e  delle
province, nonche'  di  determinazione  dei  costi  e  dei  fabbisogni
standard nel settore sanitario), quale norma interposta; c)  all'art.
120 Cost., sotto il profilo del principio di leale collaborazione. 
    1.1.- Con riguardo alla questione sub a), la ricorrente  premette
che  la  previgente  normativa  stabiliva  che  non   si   procedesse
all'accertamento dei tributi erariali, regionali  e  locali,  qualora
l'ammontare dovuto, per ciascun  credito,  con  riferimento  ad  ogni
periodo di imposta, non superasse l'importo  stabilito,  fino  al  31
dicembre 1997, di lire trentaduemila (corrispondenti ad euro  16,53);
somma che rappresentava la soglia al di sotto della quale il  credito
era qualificato di «modesta entita'» e, pertanto, non era  esigibile,
i versamenti non erano dovuti e non erano effettuati i rimborsi (art.
1 del d.P.R. 16 aprile 1999, n.  129,  recante  «Regolamento  recante
disposizioni in materia di crediti tributari di  modesta  entita',  a
norma dell'articolo 16, comma 2, della legge 8 maggio 1998, n.  146»,
emesso in attuazione dell'art. 16, comma  2,  della  legge  8  maggio
1998,  n.  146,  a   sua   volta   recante   «Disposizioni   per   la
semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario  e  per
il   funzionamento    dell'Amministrazione    finanziaria,    nonche'
disposizioni  varie  di  carattere  finanziario»).  La   disposizione
impugnata - prosegue la Regione - e' intervenuta dopo la riforma  del
Titolo V della Parte II  della  Costituzione  apportata  dalla  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione), quando era ormai  venuta  meno  la
competenza legislativa esclusiva dello Stato a provvedere in  materia
di tributi regionali e locali. La ricorrente ne trae  la  conclusione
dell'illegittimita' del  suddetto  innalzamento  della  soglia  della
«modesta entita'» dei crediti tributari da euro 16,53 ad euro  30,00,
in quanto la norma statale censurata che lo dispone  integra  non  un
«principio fondamentale di coordinamento del sistema tributario»,  ma
una statuizione di dettaglio di immediata applicazione nei  confronti
delle Regioni e degli enti locali,  come  tale  non  consentita  allo
Stato nella suddetta materia di potesta' legislativa concorrente. 
    A sostegno di questa conclusione, la Regione  invoca  l'autorita'
della sentenza  n.  30  del  2005,  con  la  quale  questa  Corte  ha
dichiarato l'illegittimita', per violazione dell'articolo 117,  terzo
comma, Cost., di una normativa che la ricorrente  ritiene  analoga  a
quella in esame, cioe' dell'articolo 25 della legge 27 dicembre 2002,
n. 289  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), nella parte in cui
prevedeva che, con appositi decreti ministeriali, fosse  regolata  la
riscossione dei crediti di modesto ammontare e di  qualsiasi  natura,
anche tributaria, benche' di  competenza  di  altre  amministrazioni.
Secondo  la  ricorrente,  detta  normativa  e'  stata  dichiarata  in
contrasto con la Costituzione in quanto di dettaglio e  di  immediata
applicazione nei confronti delle  Regioni  e  degli  enti  locali  e,
percio', non integrante un principio fondamentale nella  materia,  di
competenza legislativa concorrente, del «coordinamento della  finanza
pubblica e del sistema tributario». 
    1.2.-  Con  riguardo  alla  questione  sub  b),   relativa   alla
denunciata violazione dell'art. 119 Cost., in combinato disposto  con
gli artt. 97 e 118 Cost. e con l'art. 11 del d.lgs. n. 68  del  2011,
invocato quale parametro interposto, la  ricorrente  lamenta  che  la
norma impugnata, precludendole  la  possibilita'  di  introitare  gli
importi dovuti per crediti tributari "regionali", qualora essi  siano
di ammontare inferiore al limite stabilito, costituisce  un  ostacolo
al corretto esercizio delle attribuzioni regionali,  cosi'  invadendo
la sfera di autonomia finanziaria riconosciutale dalla Costituzione. 
    La Regione, infatti, evidenzia che l'ampiezza della  formulazione
letterale  della  impugnata  normativa  include  nella  sua   portata
applicativa anche  i  tributi  regionali  individuati  dal  comma  l,
lettera b), dell'art. 7  (rubricato  «Principi  e  criteri  direttivi
relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito
dei tributi erariali») della legge 5 maggio 2009, n.  42  (Delega  al
Governo in materia di federalismo fiscale,  in  attuazione  dell'art.
119 della Costituzione), riguardante sia i  tributi  propri  derivati
istituiti e regolati da leggi statali il cui  gettito  e'  attribuito
alle Regioni, sia le addizionali sulla basi  imponibili  dei  tributi
erariali. Per la ricorrente,  tali  tributi,  benche'  istituiti  con
legge statale, generano un gettito di  spettanza  regionale,  con  la
conseguenza che  l'innalzamento  della  soglia  di  esigibilita'  dei
corrispondenti   crediti   tributari,   stabilito   dalla   impugnata
disposizione, comporterebbe una riduzione del  suddetto  gettito.  La
ricorrente aggiunge che l'indicato effetto negativo  si  produrrebbe,
ad esempio, con le  tasse  di  concessione  regionale  relative  alla
licenza di pesca di tipo B o quelle concernenti le  farmacie  rurali.
La vigenza della disposizione impugnata, con decorrenza dal 1° luglio
2012, - soggiunge la Regione - potrebbe comportare un  minor  gettito
regionale stimabile in circa 9 milioni di euro su base annua. Da tale
riduzione delle entrate e dalla mancata previsione di  un  meccanismo
compensativo   deriverebbe,    sempre    secondo    la    ricorrente,
l'impossibilita' di fronteggiare i costi connessi all'esercizio delle
funzioni amministrative di attribuzione  regionale,  con  correlativa
lesione dell'art. 118 Cost., soprattutto nella  fase  attuale,  nella
quale non e' stata ancora pienamente attuata la capacita'  impositiva
regionale. Di conseguenza, si afferma nel  ricorso,  tale  situazione
comporta la violazione anche del principio di  buon  andamento  della
pubblica  amministrazione  di  cui  all'art.  97  Cost.,  il   quale,
richiedendo che  ciascuna  amministrazione  provveda  rapidamente  ed
efficacemente all'espletamento  delle  proprie  funzioni,  esige  che
l'esercizio di queste ultime sia adeguatamente  sorretto  da  beni  e
risorse, anche finanziarie. 
    La ricorrente, nel ribadire la necessita' che alla riduzione  del
gettito  si  accompagnino  misure  compensative  (nella  specie   non
disposte), richiama l'art. 11 del d.lgs. n. 68  del  2011,  il  quale
prevede che «gli interventi statali sulle  basi  imponibili  e  sulle
aliquote dei tributi regionali [...] sono  possibili,  a  parita'  di
funzioni amministrative conferite, solo se prevedono  la  contestuale
adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica  di
aliquota  o  attribuzione  di  altri  tributi».  Viene   citata,   in
proposito, la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  secondo  cui,  pur
potendosi  determinare  riduzioni  nella  disponibilita'  finanziaria
delle Regioni a seguito di manovre di finanza pubblica,  e'  comunque
indispensabile  che  tali  manovre  non  comportino  uno   squilibrio
incompatibile con le complessive esigenze  di  spesa  regionale,  che
renda insufficienti i mezzi finanziari  dei  quali  ciascuna  Regione
dispone per l'adempimento dei propri compiti  (sentenze  n.  145  del
2008, n. 431 e n. 381 del 2004). La Regione Veneto ribadisce  che  lo
Stato  dovrebbe  garantire  l'invarianza  delle   entrate   regionali
rispetto alla situazione precedente anche nel caso di intervento  sia
sui tributi derivati (cioe'  istituiti  con  legge  statale,  ma  con
gettito attribuito alle Regioni), sia sulle  addizionali  sulle  basi
imponibili di tributi erariali, effettuato  mediante  modifica  delle
basi imponibili o delle aliquote. 
    La medesima Regione  rileva  che  non  potrebbe  essere  ritenuto
strumento idoneo ad ovviare alla suddetta riduzione  del  gettito  di
spettanza regionale il potere delle regioni di deliberare aumenti dei
tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni
di aliquote di tributi ad esse  attribuiti  con  legge  dello  Stato,
previsto dall'art. 1, comma 7, del decreto-legge 27 maggio  2008,  n.
93 (Disposizioni urgenti per  salvaguardare  il  potere  di  acquisto
delle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio
2008,  n.  126,  articolo  recentemente  ripristinatosi  per  effetto
dell'abrogazione dell'art. 77-ter, comma  19,  del  decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica  e  la  perequazione  tributaria),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,  che  aveva  invece
sospeso temporaneamente l'esercizio di tale potere «per  il  triennio
2009-2011, ovvero sino  all'attuazione  del  federalismo  fiscale  se
precedente all'anno 2011». Infatti, questo  «potere  delle  regioni»,
prosegue la ricorrente, costituisce una  mera  facolta'  e  la  norma
impugnata non potrebbe trasformarlo sostanzialmente in un obbligo per
le Regioni, costrette ad esercitarlo per ovviare  al  decremento  del
gettito  complessivo:  in  tal  modo  verrebbe  menomato  un   tratto
determinante dell'autonomia regionale costituzionalmente  tutelata  e
garantita. Si sottolinea nel ricorso che - per effetto dell'impugnata
normativa  -  la  soglia  della  «modesta   entita'»   del   credito,
autonomamente fissata dalla Regione Veneto  in  euro  16,53  (art.  7
della legge della Regione Veneto 21 dicembre  2006,  n.  27,  recante
«Disposizioni in materia di tributi regionali») non puo' piu'  essere
applicata a decorrere dal 1° luglio 2012, con gravissimo  pregiudizio
finanziario per l'amministrazione  regionale.  Analogo  discorso,  si
soggiunge, vale per le  altre  Regioni  che  hanno  disciplinato  con
proprie  leggi  i  «crediti  di  modesta   entita'»   (sono   citati,
esemplificativamente: l'art. 29 della legge della Regione Piemonte 11
aprile 2001, n.  7,  recante  «Ordinamento  contabile  della  Regione
Piemonte»; l'art. 42 della legge della  Regione  Marche  11  dicembre
2001, n. 31, recante «Ordinamento contabile della  Regione  Marche  e
strumenti di programmazione»; l'art. 14  della  legge  della  Regione
Toscana 18 febbraio 2005, n. 31, recante «Norme generali  in  materia
di  tributi  regionali  relativa  ai  crediti  tributari  di  modesto
ammontare»). 
    1.3.-  Con  riguardo  alla  questione  sub  c),  concernente   la
violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art.  120
Cost., la Regione Veneto deduce  che  la  decisione  dello  Stato  di
estendere anche ai  tributi  regionali  la  medesima  disciplina  dei
tributi statali in tema di crediti di "modesta entita'"  e'  avvenuta
inopinatamente e senza alcun raccordo con  la  Regione,  non  essendo
stato previsto ed adottato  (diversamente  da  altre  leggi  statali)
alcun momento di concertazione (come la Conferenza permanente per  il
coordinamento della finanza pubblica prevista dagli artt. 2, comma 2,
lettera t), e 5 della legge delega n. 42 del 2009). 
    1.4.- La ricorrente, infine, chiede in via cautelare -  ai  sensi
dell'art.  35  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale)  -  la
sospensione dell'esecuzione della norma impugnata  in  considerazione
del pregiudizio finanziario grave  ed  irreparabile  derivante  «alla
cittadinanza veneta» per l'impossibilita'  di  riscuotere  i  crediti
tributari regionali di importo fino a 30 euro. 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo dichiararsi non fondata la questione. 
    2.1.- Il Presidente del Consiglio - citando la sentenza di questa
Corte n. 123 del 2010 e  la  giurisprudenza  costituzionale  in  essa
menzionata - premette  che,  in  forza  del  combinato  disposto  del
secondo comma, lettera e), del terzo e del quarto comma dell'art. 117
Cost., nonche' dell'art. 119  Cost.:  a)  la  piena  esplicazione  di
potesta' regionali autonome  in  materia  tributaria  presuppone  una
legislazione  statale  di  coordinamento;  b)  in  difetto  di   tale
legislazione e' precluso  alle  Regioni  il  potere  di  istituire  e
disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi
dello Stato  e  di  legiferare  sui  tributi  esistenti  istituiti  e
regolati da leggi statali; c)  va  considerato  statale  e  non  gia'
"proprio" della Regione, nel senso di cui al vigente art. 119  Cost.,
il tributo istituito e regolato da una legge  statale,  ancorche'  il
relativo gettito sia devoluto alla Regione stessa; d) la  disciplina,
anche di dettaglio, dei  tributi  statali  e'  riservata  alla  legge
statale e l'intervento del legislatore regionale e' precluso, se  non
nei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa. 
    Il Presidente del Consiglio premette, altresi',  che  la  Regione
Veneto non ha istituito  tributi  propri  e  che,  pertanto,  le  sue
entrate tributarie derivano da tributi regionali derivati,  cioe'  da
tributi istituiti e disciplinati da legge statale ed il  cui  gettito
e' attribuito alle Regioni. 
    Poste tali  premesse,  la  difesa  dello  Stato  osserva  che  la
normativa impugnata - nell'elevare la soglia dei crediti di  «modesta
entita'» (in precedenza disciplinata dall'art. 12-bis del  d.P.R.  29
settembre 1973, n. 602, recante «Disposizioni sulla riscossione delle
imposte sul reddito»,  e,  successivamente,  dal  combinato  disposto
dell'art. 16 della legge n. 146 del 1998 e  del  d.P.R.  n.  129  del
1999),  in  considerazione  del  fisiologico  incremento  dei   costi
complessivi dell'attivita' di  controllo  e  riscossione  -  persegue
l'obiettivo  di  evitare,  in  un'ottica  di  risparmio  della  spesa
pubblica, che i costi  di  riscossione  ed  accertamento  superino  i
benefici dell'entrata nelle casse della pubblica amministrazione:  la
misura di tale soglia dovrebbe, cioe', contemperare l'interesse degli
enti creditori a  riscuotere  quanto  dovuto  con  la  necessita'  di
contenere i costi di gestione. Tale esigenza, secondo  il  Presidente
del Consiglio, prescinderebbe dall'assetto federalista  dei  rapporti
tra Stato, Regioni ed autonomie: la disposizione in  esame,  infatti,
sancirebbe un principio fondamentale nell'armonizzazione dei  bilanci
pubblici  e  nel  coordinamento  della  finanza  pubblica,   trovando
applicazione anche per quei tributi derivati che,  seppur  produttivi
di un gettito di spettanza regionale, sono stati istituiti  e  devono
essere disciplinati con  legge  statale.  Inoltre,  ad  avviso  della
medesima parte resistente, il censurato art. 3, comma 10, del d.l. n.
16 del 2012 sarebbe coerente anche con i principi  dettati  dall'art.
2, comma 2, lettera c), della legge n. 42 del 2009, tra i cui criteri
direttivi sono indicati  la  «razionalita'  e  coerenza  dei  singoli
tributi e del sistema tributario nel suo complesso»  e  l'«efficienza
nell'amministrazione dei tributi». 
    La difesa dello Stato afferma, poi, che - contrariamente a quanto
sostenuto dalla ricorrente - non e' pertinente al caso  in  esame  la
sentenza di questa Corte n. 30 del 2005,  la  quale  ha  motivato  la
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  25  della
legge n. 289 del 2002,  in  materia  di  riscossione  di  crediti  di
modesto  ammontare,  non  con  la  natura  di   dettaglio   di   tale
disposizione, ma con l'illegittimita' del rinvio da essa operato,  in
materia  di  potesta'  legislativa  concorrente,  a  regolamenti   di
delegificazione  per  determinare  la  misura  minima   dei   crediti
esigibili. Anzi, prosegue l'Avvocatura generale dello Stato,  proprio
in tale sentenza la Corte ha riconosciuto  che  lo  stesso  art.  25,
nella parte in cui stabiliva che,  in  sede  di  prima  applicazione,
1'importo minimo non poteva essere inferiore a euro 12,00, costituiva
"norma di principio" e, quindi,  era  riconducibile  alla  competenza
statale,  con  conseguente  non   fondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  sollevata  sul  punto.  Nella   specie,
1'impugnato art. 3, comma 10, del d.l. n. 16 del  2012,  nell'elevare
la "soglia" di  esigibilita'  dei  crediti,  si  sarebbe  limitato  a
modificare direttamente un principio fondamentale  di  coordinamento,
senza rinviare ad alcun regolamento  di  delegificazione  e,  quindi,
senza incorrere nell'illegittimita' rilevata in quella sentenza. 
    2.2.- Quanto alla dedotta violazione dell'art. 11 del  d.lgs.  n.
68 del 2011, per la mancata previsione nella legge statale di  misure
compensative  della  riduzione  delle   entrate   regionali   causata
dall'applicazione della norma impugnata, la difesa dello Stato rileva
che non ricorrono i presupposti per l'applicazione di detto articolo,
in quanto la norma  statale  impugnata  non  interviene  «sulle  basi
imponibili e sulle  aliquote  dei  tributi  regionali»,  come  invece
richiesto dal citato  art.  11.  Inoltre,  sempre  secondo  la  parte
resistente, la Regione Veneto non avrebbe dimostrato che la riduzione
delle entrate regionali derivante  dalla  disposizione  impugnata  ha
provocato uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di
spesa regionale (viene citata la sentenza di questa Corte n. 289  del
2009), tanto piu' che, anche a  volere  considerare  l'entita'  della
riduzione di gettito  indicata  dalla  ricorrente  (nove  milioni  di
euro), la parte non ha tenuto conto ne' del risparmio  dei  costi  di
accertamento e riscossione  ne'  del  notevole  importo  del  gettito
complessivo della Regione  Veneto  (circa  16  miliardi  di  euro  di
entrate tributarie in base  al  bilancio  di  previsione  per  l'anno
2012). 
    2.3.- Infine, il Presidente del Consiglio afferma l'insussistenza
della dedotta violazione del principio di leale collaborazione di cui
all'art.  120  Cost.  ed  osserva  al  riguardo   che,   secondo   la
giurisprudenza costituzionale, l'esercizio dell'attivita' legislativa
sfugge alle procedure di leale  collaborazione  (sono  richiamate  le
sentenze n. 371 del 2008, n. 222 del 2008, n. 401 del 2007). In  ogni
caso, rileva che la disposizione censurata, in quanto contenuta in un
decreto-legge emanato in presenza di casi straordinari di  necessita'
e  urgenza  art.  77  Cost.),  non  poteva  essere  preceduta  da  un
coinvolgimento delle Regioni. 
    3.- Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza  pubblica,
la Regione Veneto ha replicato alla difesa dello Stato. 
    In primo luogo, la Regione,  con  riferimento  alla  sentenza  di
questa Corte n. 30 del 2005, osserva che: a) mentre l'art.  25  della
legge n. 289 del 2002, oggetto della suddetta sentenza, si riferiva a
crediti di qualsiasi natura, compresi quelli tributari,  e  rientrava
nella materia, di competenza legislativa concorrente, «armonizzazione
dei bilanci pubblici e coordinamento della  finanza  pubblica»  (come
affermato in detta sentenza), la  disciplina  impugnata,  invece,  fa
riferimento ai soli crediti tributari e, pertanto, dovrebbe ritenersi
rientrare  nella  materia,  anch'essa   di   competenza   legislativa
concorrente, «coordinamento del sistema tributario»; b)  la  sentenza
ha riconosciuto che  l'entita'  della  "modestia  del  credito"  puo'
essere stabilita con intervento regolamentare  per  lo  Stato  e  con
legislazione concorrente  («armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e
coordinamento  della  finanza  pubblica»)  per  le  Regioni   ed   ha
attribuito carattere di principio al comma 4 del predetto art. 25, il
quale stabiliva che, in sede di  prima  applicazione,  1'importo  dei
crediti  "modesti"  non  poteva  essere  inferiore  a  euro  12,00  e
consentiva, percio', alle Regioni di fissare limiti piu' elevati;  c)
dalla sentenza si desume, percio', la  competenza  della  Regione  ad
emanare atti esecutivi attuativi  della  citata  norma  di  principio
contenuta nel menzionato comma 4 dell'art.  25;  d)  la  disposizione
impugnata, a differenza  del  ricordato  art.  25,  non  lascia  alla
Regione  alcun  margine  per  l'eventuale  esercizio  della  potesta'
legislativa di dettaglio ed impone un  mero  limite  contabile,  come
tale avulso da qualsiasi margine di apprezzamento decisionale  (viene
citata, per analogia, la sentenza di questa Corte n.  156  del  2010,
che  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale,   perche'   di
dettaglio, dell'art. 9, comma  1-bis,  del  decreto-legge  1°  luglio
2009, n. 78, recante «Provvedimenti  anticrisi,  nonche'  proroga  di
termini», in  materia  di  «armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e
coordinamento della finanza pubblica»). 
    In  secondo  luogo,  la  ricorrente  rileva  che  la  ratio   del
denunciato art. 3, comma 10, del d.l. n. 16 del  2012,  indicata  dal
resistente nel  risparmio  della  spesa  pubblica  derivante  da  una
disciplina che eviti  l'eccedenza  dei  costi  di  riscossione  e  di
accertamento rispetto all'entrata tributaria, vale anche per l'art. 7
della legge reg. Veneto n. 27 del 2006, che,  appunto,  individua  la
soglia del credito di modesta entita' in euro 16,53. 
    In terzo luogo, nella memoria depositata, viene sottolineato  che
la riduzione del gettito derivante dalla norma impugnata corrisponde,
in sostanza, alla riduzione derivante dagli interventi statali  sulle
basi imponibili o aliquote dei  tributi  previsti  dall'art.  11  del
d.lgs. n. 68 del 2011. 
    In quarto luogo, in riferimento alla quantificazione dell'impatto
che la disposizione impugnata genererebbe sulle  risorse  finanziarie
regionali  della  ricorrente,  la  Regione  produce  una  nota  della
Direzione regionale delle risorse finanziarie, datata 1° marzo  2013,
nella quale si espongono in dettaglio,  in  relazione  al  denunciato
assetto normativo, l'ammontare delle minori entrate per l'anno  2011,
il  depauperamento  del  gettito  disponibile   ed   il   consistente
incremento della quota riservata allo Stato (in difetto di  qualsiasi
misura di compensazione). 
    In quinto luogo, infine, con riguardo alla denunciata lesione del
principio di leale collaborazione, la Regione ribadisce che  la  mera
attivita'  consultiva  svoltasi  presso   le   sedi   dedicate   alla
concertazione durante l'iter di  conversione  del  decreto-legge  non
rispetta  l'indicato  principio,  il  quale   -   in   considerazione
dell'attuale riparto costituzionale delle competenze legislative  tra
Stato e Regioni - richiederebbe un'intesa in sede di attuazione della
normativa statale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto  ha  impugnato  l'art.  3,  comma  10,  del
decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento  delle
procedure di  accertamento),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 26 aprile 2012, n. 44, secondo cui «A decorrere dal  1°  luglio
2012, non si procede all'accertamento, all'iscrizione a ruolo e  alla
riscossione dei crediti relativi ai  tributi  erariali,  regionali  e
locali,  qualora  l'ammontare   dovuto,   comprensivo   di   sanzioni
amministrative  e  interessi,  non  superi,  per   ciascun   credito,
l'importo di euro 30, con riferimento ad ogni periodo d'imposta». 
    La ricorrente premette che detta disposizione  si  inserisce  nel
quadro normativo costituito dall'art. 16,  comma  2,  della  legge  8
maggio 1998,  n.  146  (Disposizioni  per  la  semplificazione  e  la
razionalizzazione del  sistema  tributario  e  per  il  funzionamento
dell'Amministrazione  finanziaria,  nonche'  disposizioni  varie   di
carattere finanziario), e dall'art. 1 del d.P.R. 16 aprile  1999,  n.
129 (Regolamento recante disposizioni in materia di crediti tributari
di modesta entita', a norma dell'articolo 16, comma 2, della legge  8
maggio 1998, n. 146). In particolare,  l'art.  16  prevedeva  che  un
apposito  regolamento  ministeriale,  tenuto  conto  dei  costi   per
l'accertamento e la riscossione, stabilisse gli importi minimi al  di
sotto dei quali i versamenti non erano dovuti e non erano  effettuati
i rimborsi. Tale regolamento, all'art. 1 del predetto d.P.R.  n.  129
del 1999,  stabiliva  che  non  si  procedesse  all'accertamento  dei
tributi erariali, regionali e locali, qualora l'ammontare dovuto  per
ciascun credito, con riferimento ad  ogni  periodo  di  imposta,  non
superasse l'importo stabilito, fino al 31  dicembre  1997,  di  «lire
trentaduemila»   (corrispondenti   ad   euro   16,53);   somma    che
rappresentava la soglia al di  sotto  della  quale  l'importo  poteva
essere qualificato di «modesta entita'» e, come tale, non esigibile. 
    Secondo la Regione Veneto, la norma impugnata, nell'innalzare  la
soglia  della  «modesta  entita'»  dei  crediti  tributari  da  «lire
trentaduemila» (euro 16,53) ad «euro 30», violerebbe: a) l'art.  117,
terzo comma, della Costituzione, sotto il profilo  del  coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario; b) l'art. 119 Cost.,
in combinato disposto con gli artt. 97 e 118  Cost.  e,  quale  norma
interposta, con l'art. 11 del decreto legislativo 6 maggio  2011,  n.
68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario); c) l'art. 120
Cost., sotto il profilo del principio di leale collaborazione. 
    La ricorrente chiede altresi', in via cautelare,  la  sospensione
dell'esecuzione  della  norma   impugnata   in   considerazione   del
pregiudizio finanziario grave  ed  irreparabile  che  le  deriverebbe
dall'applicazione di detta norma. 
    2.- Nessuno di  tali  tre  motivi  di  impugnazione  puo'  essere
accolto e, pertanto, le corrispondenti questioni vanno dichiarate non
fondate, con assorbimento dell'istanza cautelare. 
    2.1.- Con la prima questione, la ricorrente deduce la  violazione
dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in  quanto  la   disposizione
impugnata conterrebbe non un «principio fondamentale di coordinamento
del sistema tributario», ma una statuizione di dettaglio di immediata
applicazione nei confronti delle Regioni e  degli  enti  locali,  non
rientrante nella competenza dello Stato  nella  suddetta  materia  di
potesta' legislativa concorrente. 
    La questione non e' fondata. 
    2.1.1.- Al riguardo, va preliminarmente rilevato che  l'impugnato
comma 10 dell'art. 3 del d.l. n. 16 del 2012 riguarda  esclusivamente
i «crediti tributari» e  che  il  ricorso  della  Regione  Veneto  si
riferisce soltanto alla riduzione che l'applicazione  di  tale  comma
apporterebbe  al  gettito  sia  dei  tributi   regionali   cosiddetti
«derivati» (cioe' istituiti e disciplinati dalla legge statale ed  il
cui gettito  e'  attribuito  alle  Regioni),  sia  delle  addizionali
regionali (e locali) sulle basi imponibili di tributi definibili come
erariali in senso stretto (nel senso di tributi  il  cui  gettito  e'
attribuito allo Stato). Sotto il primo profilo, la natura  tributaria
dei  crediti  si  desume  dall'inequivoco  tenore   letterale   della
disposizione («crediti tributari»).  Sotto  il  secondo  profilo,  la
limitazione della richiesta della ricorrente  si  evince  chiaramente
dal contenuto del ricorso, nel quale  si  lamenta  la  riduzione  del
gettito - nell'ambito dei «tributi delle regioni» di cui al comma  l,
lettera b), dell'art. 7 della legge 5 maggio 2009, n. 42  (Delega  al
Governo in materia di federalismo fiscale,  in  attuazione  dell'art.
119 della Costituzione) - solo dei «tributi propri derivati istituiti
e regolati da leggi  statali,  il  cui  gettito  e'  attribuito  alle
Regioni» (lettera b,  numero  1)  e  delle  «addizionali  sulle  basi
imponibili dei tributi erariali» (lettera b, numero 2), nel senso  di
addizionali regionali (e locali), senza che venga fatta menzione  dei
«tributi  propri  istituiti  dalle  regioni  con  proprie  leggi   in
relazione  ai  presupposti  non  gia'  assoggettati  ad   imposizione
erariale» (lettera b, numero 3). 
    2.1.2.- Cosi' delimitato il thema decidendum, deve osservarsi che
e' erroneo il presupposto interpretativo da cui muove la  ricorrente,
secondo il quale  la  disciplina  dei  crediti  relativi  a  «tributi
regionali  derivati»  e'  ascrivibile  alla  materia,  di  competenza
legislativa concorrente, «coordinamento del  sistema  tributario»  di
cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. 
    In base alla costante giurisprudenza di questa Corte, infatti,  i
suddetti tributi regionali derivati e  le  indicate  addizionali,  in
quanto istituiti e regolati  dalla  legge  statale,  rientrano  nella
materia «ordinamento tributario dello Stato», che l'art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. riserva alla competenza legislativa statale,
a nulla rilevando che il gettito sia attribuito  alle  Regioni.  Puo'
qui soggiungersi (anche se il  punto  non  rientra  strettamente  nel
thema decidendum) che osservazioni analoghe  valgono  per  i  tributi
locali «derivati», istituiti e regolati dalla legge statale ed il cui
gettito e' attribuito agli enti locali. La  disciplina  dei  suddetti
tributi  «derivati»  -  analogamente  a  quella   delle   addizionali
regionali, istituite con leggi  statali,  sulle  basi  imponibili  di
tributi erariali - e' riservata, dunque, alla legge statale,  con  la
conseguenza che, da un lato, il legislatore statale  puo'  introdurre
norme non solo di principio, ma anche di  dettaglio,  e,  dall'altro,
l'intervento  del  legislatore   regionale   puo'   integrare   detta
disciplina solo entro i limiti stabiliti dalla  legislazione  statale
stessa (sentenze n. 123 del 2010, n. 298 e n. 216 del 2009, n. 2  del
2006, n. 397 del 2005, n. 241 e n. 37 del 2004, n. 311, n. 297  e  n.
296   del   2003).   Dall'erroneita'   del    suddetto    presupposto
interpretativo della ricorrente  discende  la  non  fondatezza  della
censura in esame. 
    2.1.3.- A sostegno di una diversa  conclusione  non  puo'  essere
invocata - come invece fa la Regione Veneto - la sentenza  di  questa
Corte n. 30 del 2005. 
    Va innanzitutto rilevato che tale pronuncia ha ad oggetto  l'art.
25 della  legge  27  dicembre  2002,  n.  289  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2003), nella parte in cui  prevedeva  che,  con  appositi
decreti ministeriali (costituenti  regolamenti  di  delegificazione),
fosse regolata la riscossione dei crediti "di modesto  ammontare"  di
qualsiasi natura, anche tributaria, benche' di  competenza  di  altre
amministrazioni. Detto art.  25  fissava  direttamente  anche  alcuni
criteri per la riscossione di tali crediti e, in particolare, con  il
comma 4 disponeva che, in sede di prima applicazione,  1'importo  dei
crediti "di modesto ammontare" non poteva essere  inferiore  ad  euro
12,00, consentendo cosi' alle Regioni di fissare limiti piu' elevati.
La sentenza n. 30 del 2005, nel riferirsi ad una norma riguardante  i
crediti di qualsiasi natura, deve qui essere esaminata  limitatamente
alle sue affermazioni in tema di crediti tributari.  Nella  pronuncia
si precisa, quanto alla disciplina dei  tributi  «dello  Stato»,  che
questa rientra nella potesta' legislativa esclusiva statale, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e si afferma, quanto
alla disciplina dei tributi «degli altri enti», che per essa non puo'
«che venire in considerazione la materia "[...]  coordinamento  della
finanza pubblica"» (evidentemente intesa in senso ampio,  comprensiva
del  «coordinamento  del  sistema  tributario»),   rientrante   nella
potesta' legislativa concorrente di cui all'art.  117,  terzo  comma,
Cost. Ne segue che la pronuncia in discorso, la' dove considera norma
di principio la parte dell'art.  25  della  legge  n.  289  del  2002
secondo cui 1'importo dei crediti "di modesto ammontare"  non  poteva
essere inferiore ad euro 12,00, si riferisce chiaramente alla materia
di competenza  legislativa  concorrente  «coordinamento  del  sistema
tributario» e, quindi, riguarda - per quanto attiene  ai  crediti  di
natura tributaria - la disciplina dei tributi non «dello  Stato»,  ma
«degli altri enti». 
    Poiche' oggetto del presente giudizio di costituzionalita' e' una
norma  relativa  ai  tributi  «derivati»   e,   quindi,   a   tributi
indubbiamente «dello Stato» (cioe' istituiti e regolati dallo Stato),
la disciplina  dei  quali  e'  di  competenza  legislativa  esclusiva
statale, non e' pertinente (contrariamente a quanto  affermato  dalla
ricorrente) il richiamo alla citata sentenza n. 30  del  2005,  nella
parte in cui si riferisce a tributi non statali e ad  una  competenza
legislativa concorrente. 
    Per le  stesse  ragioni  non  e'  pertinente  il  richiamo  della
medesima  sentenza  la'   dove   questa   dichiara   l'illegittimita'
costituzionale del sopra menzionato art. 25 della legge  n.  289  del
2002, nella parte in cui tale articolo rinvia, in materia di potesta'
legislativa concorrente, a regolamenti  di  delegificazione  (decreti
ministeriali) la  determinazione  della  misura  minima  dei  crediti
esigibili. Anche in questo caso, infatti, la sentenza si riferisce ad
una ipotesi di competenza  legislativa  concorrente  e,  quindi,  con
riguardo ai crediti tributari, a tributi non dello Stato, istituiti e
regolati da leggi regionali, cioe' ad un tema estraneo a  quello  del
presente giudizio di costituzionalita'. 
    2.2.- Con la seconda  questione,  la  Regione  Veneto  deduce  la
violazione dell'art. 119 Cost., in combinato disposto con  gli  artt.
97 e 118 Cost. e, quale «parametro interposto»,  con  l'art.  11  del
d.lgs.  n.  68  del  2011,  perche'  -  in  mancanza   delle   misure
compensative previste dal citato art. 11 per il caso  di  diminuzione
di entrate tributarie  -  la  disposizione  impugnata  ridurrebbe  il
gettito dei tributi regionali di un importo tale (che  la  ricorrente
indica in nove milioni di euro su base annua) da impedire il corretto
esercizio delle attribuzioni della Regione (art.  118  Cost.),  cosi'
violando  la  sua  autonomia  finanziaria  (art.  119  Cost.)  ed  il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione  (art.  97
Cost.). In particolare, l'art. 11 del d.lgs. n. 68  del  2011,  viene
evocato dalla  ricorrente  in  quanto  prevede  che  «gli  interventi
statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi  regionali
[...] sono possibili, a parita' di funzioni amministrative conferite,
solo se prevedono la contestuale adozione di misure per  la  completa
compensazione tramite modifica di aliquota o  attribuzione  di  altri
tributi» 
    Tale censura non e' fondata. 
    La Regione, infatti, non ha  fornito  la  prova  del  presupposto
della  censura,  cioe'  del  fatto  che  l'applicazione  della  norma
impugnata determinerebbe una  diminuzione  del  gettito  dei  tributi
regionali  «derivati»  (e  delle  addizionali  regionali  su  tributi
erariali), in misura tale da compromettere lo svolgimento  delle  sue
funzioni. 
    La  ricorrente,  in  particolare,  non  ha  dimostrato   che   la
riscossione dei  suddetti  crediti  tributari  regionali  di  importo
compreso tra euro 16,53 (gia' inesigibili  in  base  alla  previgente
normativa)  ed  euro  30,00  (soglia  introdotta  dalla  disposizione
impugnata) non sarebbe  antieconomica  per  l'entita'  dei  costi  di
riscossione coattiva o spontanea. E' appena il caso di  osservare,  a
titolo  esemplificativo,  che  la  ricorrente  non  ha  indicato  ne'
l'entita' e le caratteristiche del gettito di ciascun tributo, in una
con la  dinamica  delle  sanzioni  e  con  riferimento  alla  dedotta
impossibilita'  di  superare  la  soglia  della  franchigia;  ne'  la
peculiarita' delle fasi  di  accertamento  e  liquidazione  dei  vari
tributi, con particolare riguardo  ai  costi  di  accertamento  e  di
controllo;  ne'  la  serie  storica  delle  percentuali  degli  esiti
negativi delle procedure di riscossione in relazione ad ogni prelievo
fiscale regionale. Cio' implica che non risulta provato dalla  difesa
della Regione ne' l'an ne' il quantum della  riduzione  del  gettito,
restando,  cosi',  indimostrato  l'assunto  della  ricorrente   circa
l'incidenza negativa della  riduzione  del  gettito  sugli  equilibri
della finanza della Regione Veneto e  sull'esercizio  delle  funzioni
regionali. 
    L'evocazione a parametro dell'art. 11 del d.lgs. n. 68 del  2011,
poi, e' inammissibile,  perche'  tale  disposizione  non  costituisce
norma di rango costituzionale e perche',  versandosi  in  materia  di
competenza legislativa statale esclusiva  (come  sopra  evidenziato),
non costituisce neppure parametro interposto. E  cio'  a  prescindere
dal fatto che la norma impugnata non solo non comporta  la  riduzione
delle basi imponibili o delle aliquote dei tributi  regionali,  cioe'
la condizione che, sola,  legittimerebbe  l'applicazione  del  citato
art. 11; ma non ha neppure - come visto - l'effetto di provocare  una
significativa diminuzione del gettito dei medesimi tributi. 
    2.3.- Con la terza ed ultima questione, la ricorrente lamenta  la
violazione dell'art.  120  Cost.,  perche'  il  denunciato  comma  10
dell'art.  3  del  d.l.  n.  16  del  2012,  quale  convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, non e' stato preceduto  da
alcuna adeguata forma di leale collaborazione. 
    Neppure tale questione e' fondata. 
    Come e' stato sopra rilevato,  infatti,  la  norma  impugnata  e'
stata adottata nell'esercizio della competenza legislativa  esclusiva
statale in materia di «sistema tributario dello Stato», per la  quale
la  Costituzione  non  impone  alcun  coinvolgimento  delle  Regioni.
Inoltre,  come  osservato   dalla   parte   resistente,   l'esercizio
dell'attivita' legislativa sfugge, in ogni caso,  alle  procedure  di
leale collaborazione (ex plurimis, sentenze n. 371 e n. 222 del 2008,
n. 401 del 2007).