LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza: sul ricorso n. 589/12 depositato il 24 ottobre 2012, avverso cartella di pagamento n. 02702720110001445087003 registro, contro: Agenzia delle entrate - Direzione provinciale - Ufficio controlli Campobasso, proposto da ricorrente: De Paola Ottavio, via Monsignor Bologna n. 23 - 86100 Campobasso, difeso da Studio legale Cima e Colucci, via Zurlo n. 8 - 86100 Campobasso. Visto il ricorso proposto da De Paola Ottavio avverso la cartella di pagamento emessa dall'Equitalia Sud S.p.a., cartella in epigrafe compiutamente indicata e notificata in data 20 settembre 2012, con cui si richiede al ricorrente di versare la complessiva somma di € 16.506,00 conseguente a precedente avviso di liquidazione per imposta di registro, imposta ipotecaria e imposta catastale, oltre sanzioni, interessi e spese; Visto l'atto di costituzione dell'A.F. che ha pregiudizialmente sollevato l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per violazione dell'art. 17-bis del decreto legislativo n. 546/1992 non avendo il ricorrente presentato il preventivo reclamo obbligatorio e vertendosi nella specie di impugnazione della cartella per contestare la pretesa tributaria derivante dal ruolo, essendo stata contestata la definitivita' del presupposto avviso di liquidazione; Considerato che deve pregiudizialmente essere esaminata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per omissione del preventivo reclamo sollevata dall'A.F.; Ritenuto tuttavia che, ad avviso di questo collegio giudicante, sussistono seri dubbi sulla costituzionalita' dell'art. 17-bis del decreto legislativo n. 546/1992, per contrasto della detta disposizione con gli articoli 3, 24, 25, 111 e 113 della Costituzione; Considerato che la predetta questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 17-bis del decreto legislativo n. 546/1992 e' indubbiamente rilevante poiche' della predetta disposizione deve necessariamente farsi applicazione nel presente giudizio sia ai fini della ammissibilita' del ricorso che relativamente ad aspetti sostanziali dello stesso; Considerato altresi' che la detta questione e' da ritenere non manifestamente infondata per i motivi di seguito esposti; Osserva Il reclamo obbligatorio (che puo' contenere o meno anche la richiesta di mediazione) e' previsto dall'art. 17-bis del decreto legislativo n. 546/1992 (introdotto dal decreto-legge n. 98/2011 convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011) per le controversie di valore non superiore ad € 20.000 (valore da determinare ex art. 12/5 del decreto legislativo n. 546/1992) relative a provvedimenti emessi dall'Agenzia delle entrate e notificati a decorrere dal 1° aprile 2012. Esso ha natura tipicamente amministrativa, come si evince non solo dalla sua collocazione sistematica nel corpo del decreto legislativo n. 546/1992 (in cui l'art. 17-bis predetto costituisce l'ultima disposizione del titolo I, capo II, ovvero del titolo che precede quello contenente la disciplina della trattazione del processo), ma anche dal testuale disposto del comma 2 dello stesso art. 17-bis, che indica il reclamo come condizione di ammissibilita' del ricorso, dal quale e' evidentemente nettamente diversificato, nonche' dal comma 9 che chiarisce bene che il reclamo produce gli effetti del ricorso (ovvero si trasforma in ricorso) solo «decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l'accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione» (richiesta facoltativamente dal contribuente o, in mancanza, obbligatoriamente dall'A.F.) o anche antecedentemente dalla notifica del diniego espresso o dell'accoglimento solo parziale. Esso reclamo si configura come rimedio amministrativo di secondo grado, in quanto successivo al procedimento amministrativo conclusosi col provvedimento impugnato dal contribuente, volto a definire la questione nell'ambito della pubblica amministrazione, con assoluta esclusione dell'intervento dell'organo giurisdizionale, ma previsto come filtro obbligatorio del processo tributario (limitatamente agli atti sopra indicati), con esclusione (art. 17-bis, comma 4) per le controversie relative al recupero di aiuti di Stato illegittimi, filtro la cui omessa attivazione e' sanzionata con la inammissibilita' del ricorso «rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo». L'istituto del reclamo, che e' compatibile con la richiesta di autotutela ante causam e con la richiesta di accertamento con adesione (decreto legislativo n. 218/1997), ma non con la conciliazione giudiziale (espressamente esclusa dal comma 1 dell'art. 17-bis cit.), oltre a costituire una inutile duplicazione di rimedi transattivi preprocessuali, con evidente allungamento dei tempi di definizione del contenzioso, presenta vari profili di incostituzionalita' per violazione delle norme di cui agli articoli 3,24, 25, 111 e 113 della Costituzione. Va innanzitutto rilevato, quanto alla violazione dell'art. 24 Cost. (diritto di agire in giudizio e inviolabilita' del diritto di difesa), che la sanzione dell'inammissibilita' del ricorso per la omessa presentazione del reclamo, ovvero la perdita definitiva del diritto di adire il giudice per la omessa attivazione di un rimedio amministrativo, e' stata piu' volte censurata dal giudice delle leggi per violazione dell'art. 24 Cost. E' da premettere che all'attribuzione della titolarita' di un diritto soggettivo deve sempre accompagnarsi il riconoscimento del potere di far valere il diritto innanzi al giudice in un procedimento giurisdizionale. Trattasi della c.d. inscindibilita' diritto-azione. Tuttavia detta inscindibilita' fu mitigata gia' dalla sentenza n. 47/64 della Corte costituzionale nella quale si affermo' che l'art. 24, primo comma, Cost. «non impone una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilita'», a condizione, pero', che ricorrano due ipotesi, ovvero le esigenze di ordine generale e le superiori finalita' di giustizia. In varie occasioni e' stato affermato che, pur dovendosi riconoscere, in via di principio, la legittimita' di forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo, va dichiarata, sopratutto in riferimento all'art. 24 della Costituzione, l'illegittimita' di tali previsioni «quando esse comportino una compressione penetrante del diritto di azione, ostacolandone o rendendone difficoltoso l'esercizio, in particolare comminando la sanzione della decadenza. Ne deriva cosi' la definitiva perdita del diritto» (Corte Cost. sentenze n. 530/89 e n. 15/91). Piu' in generale puo' rilevarsi che spesso la Corte costituzionale ha ritenuto sussistere la violazione degli articoli 24, 113 e 3 della Costituzione in vari casi in cui il previo esperimento di rimedi amministrativi condizionavano l'accesso alla giurisdizione tributaria, comprimendo il diritto di difesa, reso eccessivamente difficoltoso o ostacolato dall'omesso esercizio della procedura amministrativa (v. Corte costituzionale sentenza n. 406/93: azione giudiziaria subordinata a ricorso gerarchico - sentenze n. 360/94 e n. 56/95: imposta sugli spettacoli, art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 640/1972, e tassa sulle societa', art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 641/1972). Il differimento dell'azione giudiziaria, come si e' gia' detto, e' stato generalmente ritenuto legittimo solo nella ricorrenza di «esigenze di ordine generale e superiori finalita' di giustizia» (esigenze quanto meno discutibili nel caso che ne occupa attesa la preesistenza di vari filtri amministrativi), ma comunque giammai e' stato ritenuto legittimo condizionare addirittura l'ammissibilita' dell'azione giudiziaria al previo esperimento di un rimedio amministrativo, poiche' anche in presenza delle due predette circostanze e' stato ritenuto che il legislatore ha pur sempre l'obbligo di «osservare il limite imposto dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa ovvero di non differirla irrazionalmente e sine die» (Corte costituzionale sentenza n. 82/92). Il legislatore, invero, puo' certamente imporre degli oneri per l'esperimento dei rimedi giurisdizionali, come la previa proposizione di un ricorso amministrativo, oneri finalizzati alla salvaguardia di interessi generali, quali il sovraccarico giudiziario e le conseguenti difficolta' per il suo funzionamento, ma giammai puo' sacrificare eccessivamente il diritto di azione, potendo la tutela giurisdizionale, al limite, essere solo procrastinata, ponendosi come sanzione alla violazione dell'onere la improcedibilita' dell'azione, si' da consentire al giudice, che verifichi la omessa presentazione del reclamo, di concedere alle parti un termine per la presentazione della domanda, ma giammai si sarebbe potuto sanzionare (come e' avvenuto) la omessa presentazione del reclamo con la inammissibilita' dell'azione, ovvero con la perdita definitiva del diritto di agire in giudizio. La sanzione della inammissibilita' dell'azione giudiziaria conseguente all'omesso previo esperimento del reclamo si rivela anche in contrasto con gli articoli 3 (principi di uguaglianza e ragionevolezza) e 113 (divieto di limitare la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione per determinate categorie di atti). Non sembra dubbio, infatti, che la predetta sanzione genera una irragionevole discriminazione tra il diritto del contribuente a corrispondere il giusto tributo e la potesta' impositiva dell'amministrazione finanziaria, non essendo in alcun modo possibile ravvisare le predette «esigenze di ordine generale e superiori finalita' di giustizia» al fine di giustificare il previo reclamo in presenza di altri gia' esistenti preventivi istituti deflattivi (quali l'autotutela, l'obbligo del preventivo contraddittorio, l'accertamento con adesione), si' che il c.d. reclamo/mediazione costituisce solo un rilevante aggravio del procedimento, che, per la sua obbligatorieta', la cui violazione e' sanzionata con la inammissibilita' dell'azione giudiziaria, limita la tutela giurisdizionale solo nei confronti dei contribuenti interessati da una determinata categoria di provvedimenti dell'Agenzia delle entrate, mentre tale limite non sussiste nei confronti dei contribuenti interessati dagli altri provvedimenti emessi dalla predetta A.F. o da tutti i provvedimenti tributari emessi da altri enti impositori. Ulteriore violazione dell'art. 24 Cost. si ravvisa nella necessita' (imposta dall'art. 17-bis, comma 6, con il rinvio all'art. 18 del decreto legislativo n. 546/1992) che il contenuto del reclamo sia identico a quello del ricorso eventualmente proponibile nella fase successiva. Non puo' non rilevarsi, infatti, che la anticipata discovery della tesi difensiva del contribuente nella fase amministrativa, che obbligatoriamente deve precedere la fase del giudizio, con conseguente immodificabilita' di ulteriori prospettazioni difensive nell'eventuale giudizio in relazione ad un provvedimento ancora da valutare, costituisce grave pregiudizio difensivo per il contribuente (che, ad es.: se nella fase amministrativa aveva chiesto l'annullamento parziale del provvedimento, nella fase del giudizio non potra' richiedere l'annullamento totale). L'art. 17-bis cit. si rivela inoltre in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza posti dall'art. 3 della Costituzione anche sotto ulteriori e diversi profili. Innanzitutto per la evidente irrazionalita' e diversita' di trattamento in ordine alla concedibilita' in sede giurisdizionale della tutela cautelare. Come si desume dall'art. 47 del decreto legislativo n. 546/1992 il procedimento cautelare e' condizionato ad una valida instaurzione del contraddittorio giudiziale relativo al processo sul merito dell'atto del quale si invoca la sospensione, poiche' il predetto art. 47 al comma primo richiede che siano osservate le disposizioni di cui all'art. 22 relative alla costituzione in giudizio del ricorrente. Detta disposizione e' posta in evidente correlazione con quella di cui al sesto comma del predetto art. 47 secondo cui nei casi di sospensione dell'atto la trattazione del merito deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia, disposizione questa che sarebbe vanificata se fosse consentito al ricorrente di ottenere la sospensione del provvedimento prima di una sua efficace costituzione in giudizio, non senza considerare l'ulteriore ipotesi che in caso di ritardo o omissione della costituzione il provvedimento rimarrebbe sospeso per un tempo indeterminato. Orbene la predetta tutela cautelare immediata e' esclusa, per tutto il tempo necessario all'espletamento della fase del reclamo, solo nei confronti dei soggetti ai quali sono stati notificati provvedimenti emessi dall'Agenzia delle entrate e relativi a controversie non superiori ad € 20.000,00, mentre e' generalmente prevista per tutti gli altri soggetti destinatari di provvedimenti tributari emessi dall'Agenzia delle entrate o da altri enti impositori, ovvero per tutte le materie riservate alla giurisdizione tributaria. Trattasi di esclusione gravemente lesiva dei diritti del contribuente poiche' del tutto irrazionale, contraria al principio di uguaglianza e assolutamente non giustificabile trattandosi della tutela giurisdizionale di posizioni giuridiche soggettive che devono essere garantite in modo particolare in presenza della immediata esecutivita' degli avvisi di accertamento (art. 29 del decreto-legge n. 78/2010) o in caso di ricorso avverso cartelle esattoriali (ex art. 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 o 54-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972 o in caso di ricorso avverso il ruolo). La predetta esclusione della tutela cautelare rileva anche sotto il profilo della violazione degli articoli 24 e 25 Cost. (diritto di difesa e divieto di distrazione dal giudice naturale), poiche', come si e' gia' detto, solo dopo la presentazione del ricorso, ovvero successivamente all'inutile esperimento della procedura amministrativa conseguente al reclamo, il contribuente potra' rivolgersi al proprio giudice naturale per ottenere un provvedimento cautelare, il che comporta che, nelle more del procedimento amministrativo del reclamo, il contribuente, in presenza di un danno grave e irreparabile ( si ricorda che il limite di € 20.000,00 va inteso al netto di interessi e sanzioni, il che comporta che la richiesta complessiva puo' anche superare il doppio), e' privato della tutela cautelare giurisdizionale, potendo nelle more usufruire unicamente della autotutela sospensiva concessa dalla A.F. che ha in materia ampio potere discrezionale. Ulteriore profilo di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ovvero con i principi di uguaglianza e ragionevolezza, si ravvisa nella regolamentazione delle spese del procedimento, regolamentazione prevista solo per la eventualita' che si pervenga alla fase giurisdizionale. Come e' noto, ex art. 12 del decreto legislativo n. 546/1992, solo per le controversie di valore inferiore ad € 2.582,28 il contribuente puo' stare in giudizio senza assistenza di difensore, mentre per tutte quelle di importo superiore (o comunque anche per le prime se esercita il diritto di essere assistito da difensore) egli ha l'obbligo di munirsi di un difensore. Orbene, poiche' il reclamo deve avere, come si e' visto, lo stesso contenuto del ricorso in cui e' destinato a tramutarsi (per l'ipotesi che il reclamo non vada a buon fine) e' indubbio che il contribuente, poiche' obbligato dalla legge oppure poiche' intende esercitare il diritto di avvalersi di un difensore (per le cause in cui potrebbe difendersi da solo), deve avvalersi dell'assistenza di un difensore per l'assistenza tecnica. Egli pertanto deve sostenere spese per la remunerazione del difensore, spese che non gli saranno mai rimborsate in caso di anticipato annullamento del provvedimento in esito al reclamo, mentre l'A.F. beneficia del risparmio delle spese del giudizio che non sara' instaurato. L'obbligo predetto di sostenere le spese non piu' rimborsabili, in caso di annullamento del provvedimento nella obbligatoria fase amministrativa del reclamo, si rivela in contrasto anche con il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. poiche' nella predetta ipotesi il diritto di difesa non viene garantito nella sua interezza ma solo previa la detrazione delle spese per l'assistenza tecnica. L'istituto del reclamo, infine, si rivela in contrasto con l'art. 111, primo comma, ultima parte, della Costituzione che fa obbligo al legislatore di assicurare la ragionevole durata del processo. Invero, premesso che, come si e' gia' detto, l'istituto del reclamo e' compatibile con l'accertamento con adesione, e tenuto conto della eventuale sospensione dei termini feriali applicabile al predetto accertamento con adesione, puo' verificarsi che, in caso di preventiva richiesta di accertamento con adesione, il termine di novanta giorni (previsto dall'art. 6 del decreto legislativo n. 218/1997), al quale puo' sommarsi il termine di quarantacinque giorni per la sospensione feriale, si potra' ulteriormente sommare al termine di sessanta giorni previsto per il reclamo, al quale potra' altresi' aggiungersi, in caso di silenzio dell'A.F. sul reclamo, l'ulteriore termine di novanta giorni, per un totale di 285 giorni, ovvero oltre nove mesi (senza contare il termine di trenta giorni per la costituzione del ricorrente, ex art. 22 richiamato dall'art. 17-bis cit.), si' che il processo tributario potrebbe essere instaurato solo dopo il predetto termine, onde non e' in alcun modo possibile ritenere che con l'introduzione dell' istituto del reclamo il legislatore abbia rispettato il principio posto dall'art. 111 della Costituzione. Il predetto principio di cui all'art. 111 Cost. dovrebbe ritenersi altresi' violato dalla complicazione processuale per il caso che il contribuente intenda proporre un ricorso cumulativo. Come e' noto la possibilita' di presentare un solo ricorso per l'impugnazione di piu' provvedimenti (specie in caso di connessione soggettiva) prevista dall'art. 104 c.p.c. puo' essere estesa al giudizio tributario (Cass. 7359/2002 e 19666/2004) ove si presenta di certo piu' semplice, sia perche' in esso giudizio non esiste il limite della competenza per valore sia perche' e' ivi piu' agevole la trattazione contestuale dei provvedimenti, specie quando si tratta della stessa imposta (riferita a piu' anni) o di imposte tra loro collegate. La unitaria trattazione dei diversi ricorsi evita il formarsi, anche solo logicamente, di giudicati contraddittori, assicura una migliore formazione del convincimento del giudice e realizza l'economia di attivita' processuali. Tuttavia la necessita' di rispettare il termine di impugnazione, per ciascuno dei diversi provvedimenti da impugnare, comporta evidente complicazione nella ipotesi che entro lo stesso termine debbano essere impugnati piu' provvedimenti dei quali alcuni (di valore inferiore ad € 20.000) devono seguire la procedura del reclamo obbligatorio di cui all'art. 17-bis mentre altri (di importo superiore) devono seguire il corso ordinario. Non sembra dubbio che in tal caso la evidente complicazione processuale, dovuta alla diversita' del termine per la costituzione in giudizio del ricorrente, con conseguente rischio di inammissibilita' del ricorso, indurra' il contribuente a presentare distinti ricorsi con conseguente vanificazione dei benefici processuali derivanti dalla presentazione del ricorso cumulativo. Non sembra superfluo ricordare, ancora una volta, che le limitazioni alla tutela giurisdizionale effettiva sono state ritenute ammissibili allorquando realizzino un alleggerimento del sovraccarico dell'apparato giudiziario ed il soddisfacimento piu' immediato delle situazioni sostanziali controverse, a condizione pero' che assumano carattere ragionevole, ma anche in tal caso la misura ritenuta idonea e' stata pur sempre configurata come condizione di procedibilita' della domanda e giammai come definitiva inammissibilita' della stessa. Anche nel diritto comunitario le restrizioni della tutela giurisdizionale con misure di conciliazione extragiudiziale sono state ritenute ammissibili solo quando corrispondano ad «obiettivi di interesse generale» e purche' non si traducano «in un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza dei diritti cosi' garantiti» (Corte di giustizia, causa C-28/05 e Corte europea sentenza Fogary contro Regno Unito, 21 novembre 2011). Piu' precisamente il giudice comunitario, pur dopo avere ammesso la legittimita' di una normativa nazionale che abbia introdotto l'obbligatorieta' di una procedura di conciliazione extragiudiziale prima del ricorso ad un organo giurisdizionale, purche' essa non sia «tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti ai singoli», ha precisato che cio' che conta e' che la procedura «non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi per le parti ... e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone» (sentenza 18 marzo 2010, C-317/08, C-318/08, C-319/08, C-320/08).