ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  78,
comma 6, primo periodo, del decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito  in  legge,  con  modificazioni,
dall'art.  1,  comma  1,  della  legge  6  agosto  2008,  n.  133,  e
dell'articolo 4, comma 8-bis, ultimo periodo,  del  decreto-legge  25
gennaio 2010, n. 2 (Interventi  urgenti  concernenti  enti  locali  e
regioni), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,  comma
1, della legge 26 marzo 2010, n. 42, promossi dal Consiglio di  Stato
con ordinanza del 6  ottobre  2011  e  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio con ordinanza del 26  luglio  2012,  iscritte,
rispettivamente, al n. 265 del registro ordinanze 2011 ed al  n.  252
del registro ordinanze 2012 e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 2011 e n. 45,
prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di costituzione della Societa' Consorcasa  Regione
Lazio coop a r.l. ed altri, di Roma Capitale (gia' Comune  di  Roma),
della Societa' Bindi  Pratopronto  s.a.s.  di  Michele  Bindi  &  C.,
nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 2013 il Giudice relatore
Gaetano Silvestri; 
    uditi gli avvocati Andrea Scafa per la Societa' Bindi Pratopronto
s.a.s. di Michele Bindi & C., Andrea Magnanelli e Domenico Rossi  per
Roma Capitale (gia' Comune di Roma) e l'avvocato dello Stato  Antonio
Tallarida per il Presidente del Consiglio dei Ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 ottobre 2011, il Consiglio  di  Stato  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo  78,
comma 6, primo periodo, del decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 6 agosto  2008,  n.  133,  nella  parte  in  cui
prevede l'applicazione  dell'art.  248  del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti   locali)   alle   obbligazioni   rientranti   nella    gestione
commissariale del Comune di Roma, e dell'art. 4, comma 8-bis,  ultimo
periodo, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi  urgenti
concernenti enti locali e regioni),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010, n. 42,  nella  parte
in cui prevede, «ai fini di una corretta  imputazione  del  piano  di
rientro», che il primo periodo del comma 3 dell'articolo 78 del  d.l.
n.  112  del  2008  «si  interpreta  nel  senso   che   la   gestione
commissariale del comune assume, con  bilancio  separato  rispetto  a
quello della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni  derivanti  da
fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche
qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti liquidati  con
sentenze pubblicate successivamente alla medesima data». 
    Le questioni sono sollevate in riferimento agli artt. 2,  3,  24,
41, primo comma, 42, terzo comma, 97, primo  comma,  101,  102,  103,
104, 108, secondo comma, 113, 114, 117,  primo  comma  (in  relazione
all'art.  6,  comma  1,  e  all'art.  13  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e  resa  esecutiva  in
Italia dalla legge 4  agosto  1955,  n.  848,  nonche'  in  relazione
all'art.  1  del   primo   Protocollo   addizionale   alla   medesima
Convenzione, firmato a Parigi il 20 marzo  1952),  118  e  119  della
Costituzione. 
    1.1.- Riferisce il rimettente che il procedimento  principale  e'
stato introdotto  con  ricorso  proposto  dalla  societa'  Consorcasa
Regione Lazio coop. a r.l. ed altri avverso la sentenza del TAR Lazio
5 novembre 2010, n. 33208, e nei confronti di Roma Capitale. 
    La pronuncia appellata ha accolto, «nei limiti e nei  termini  di
cui in motivazione», il ricorso in  ottemperanza  avente  ad  oggetto
l'esecuzione del  giudicato  formatosi  sulla  sentenza  della  Corte
d'appello di Roma 10 novembre  2008,  n.  4565,  che  ha  determinato
l'indennita' spettante ai ricorrenti per  un'espropriazione  avvenuta
molti anni addietro. 
    In particolare, il giudice di primo grado ha ordinato  al  Comune
di Roma di dare esecuzione alle statuizioni contenute nella  sentenza
di  condanna,  pagando  la  somma  corrispondente  al   credito   ivi
accertato, comprensivo delle  spese  legali,  previa  verifica  della
disponibilita', nel bilancio  dell'Ente,  delle  risorse  necessarie,
ovvero, in caso di esito negativo della verifica indicata, procedendo
all'inserimento dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e
spese nella massa passiva della gestione commissariale. 
    1.2.- Gli appellanti hanno  chiesto  al  Consiglio  di  Stato  di
disporre concretamente  l'ottemperanza  della  sentenza  della  Corte
d'appello di Roma, imponendo all'Ente debitore di pagare le somme ivi
liquidate entro un termine prefissato, e provvedendo, da subito, alla
nomina di un commissario ad acta. 
    In subordine, per l'ipotesi di ritenuta applicabilita'  dell'art.
78 del d.l. n. 112 del 2008, «come modificato ed integrato» dall'art.
4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010, gli stessi  appellanti  hanno
eccepito l'illegittimita' costituzionale delle indicate disposizioni,
per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 41, 100, 101,  102,  103,  104,
108 e 113 Cost. 
    Nel giudizio principale, si e'  costituita  Roma  Capitale  (gia'
Comune  di  Roma)  ed  ha  chiesto  che  l'appello   sia   dichiarato
inammissibile,  atteso  «il  venir  meno  della  titolarita'  di  una
posizione debitoria di Roma Capitale con riferimento al  credito  per
cui  si  procede»,  e  nel  merito  ha  concluso   per   il   rigetto
dell'appello. 
    1.3.- Il giudice a quo da' atto di avere parzialmente deliberato,
in accoglimento dell'appello (sentenza  10  agosto  2011,  n.  4772),
facendo applicazione dei principi enunciati dalla  sentenza  n.  8363
del  2010  del  Consiglio  di  Stato,  secondo  cui,   in   sede   di
ottemperanza, ed a fronte di una disciplina che richiama quella degli
enti locali in dissesto, il giudice deve  innanzitutto  accertare  il
momento in cui e' sorta l'obbligazione,  al  fine  di  attribuire  la
qualifica di debitore all'ente  o  alla  gestione  commissariale.  In
questa  seconda  ipotesi,  lo  stesso  giudice  «non  puo'   emettere
pronuncia che obblighi la gestione commissariale, o tanto meno l'ente
locale, ad eseguire la sentenza ne' puo', di  conseguenza,  procedere
alla nomina di un commissario ad acta». 
    Nel caso di  specie,  osserva  il  rimettente,  a  fronte  di  un
giudicato che ha determinato l'indennita' di espropriazione spettante
agli appellanti,  il  giudice  di  primo  grado  non  avrebbe  dovuto
procedere,  come  invece  ha  fatto,  all'accoglimento  del  ricorso,
imponendo all'Amministrazione  condannata  un  obbligo  di  fare  non
satisfattorio della posizione giuridica dei ricorrenti. 
    Lo  stesso  rimettente  precisa  di  avere  riconosciuto,   nella
sentenza parziale, sia il diritto degli  appellanti  ad  ottenere  lo
svincolo  delle  somme   relative   all'indennita'   provvisoria   di
espropriazione, giacenti presso il Ministero  dell'economia  e  delle
finanze - costituendo tali somme «un debito gia' assolto»,  anche  se
antecedente al 28 aprile 2008, e dunque «estraneo alla  tematica  del
riparto tra Comune e gestione commissariale» -,  sia  il  diritto  ad
ottenere da Roma Capitale le somme liquidate a titolo di spese legali
dalla sentenza oggetto di ottemperanza, trattandosi  di  obbligazione
sorta al momento del deposito  della  sentenza,  e  quindi  in  epoca
successiva al 28 aprile 2008. 
    Il Consiglio di Stato ha ritenuto di  non  poter  pervenire  alle
medesime  conclusioni,  cioe'  alla   condanna   di   Roma   Capitale
all'ottemperanza, con riguardo alla statuizione principale  contenuta
nella sentenza della Corte d'appello di Roma, di  liquidazione  della
somma dovuta a titolo di indennita' di espropriazione, con i relativi
interessi legali, sul rilievo che «in questo caso, appare  del  tutto
evidente che il diritto di credito (e la corrispondente  obbligazione
di Roma Capitale) e' sorto ben prima del 28 aprile 2008, assumendo  -
a fronte di cio' -  la  sentenza  esclusivamente  valore  accertativo
della sussistenza ed entita' del diritto di credito (gia' esistente),
con conseguente  condanna  dell'amministrazione  al  pagamento  della
somma accertata».  L'obbligazione  corrispondente  al  credito  cosi'
accertato, in applicazione degli artt. 78 del d.l. n. 112 del 2008  e
4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010, rientrerebbe  nella  gestione
commissariale, con la conseguenza che il giudizio di ottemperanza, in
parte qua, dovrebbe essere dichiarato impromovibile. 
    Tuttavia, il  Consiglio  di  Stato  dubita  della  compatibilita'
costituzionale delle disposizioni  indicate  e  solleva  le  relative
questioni,  evidenziando  che   il   giudizio   principale   potrebbe
concludersi con pronuncia di merito soltanto ove le  norme  censurate
fossero dichiarate costituzionalmente illegittime. 
    1.4.-  Le  questioni,  prospettate  in  riferimento  a   numerosi
parametri, possono essere sintetizzate per nuclei tematici. 
    1.4.1.- Il primo blocco di censure muove dalla ricognizione della
giurisprudenza costituzionale in tema di norme interpretative,  e  fa
riferimento all'art. 4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010,  che  e'
intervenuto sulla disciplina configurata dall'art. 78 del d.l. n. 112
del 2008. 
    Dopo  avere  premesso  che,   «indipendentemente   dalla   natura
innovativa  con   efficacia   retroattiva   (come   sostenuto   dagli
appellanti) ovvero di interpretazione autentica, del citato  art.  4,
comma 8-bis», il problema da affrontare  riguarda  i  limiti  che  la
portata  retroattiva  della  disposizione  incontra  alla  luce   del
principio di ragionevolezza, il rimettente segnala le pronunce  della
Corte costituzionale a proposito  della  qualificazione  delle  norme
come interpretative (sentenze n. 155 del 1990 e n. 233 del 1988).  E'
esaminata in particolare la sentenza n. 291 del 2003, nella quale  la
Corte costituzionale ha precisato  che  «il  legislatore  puo'  porre
norme che retroattivamente precisino il significato  di  altre  norme
preesistenti, ovvero impongano una delle possibili varianti di  senso
del testo originario, purche' compatibile con il tenore letterale  di
esso (sentenze n. 421 del 1995, n. 376 del 1995, n. 15 del  1995,  n.
397 del 1994)». In tali casi, aggiunge il rimettente, il problema  da
affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto
i limiti che la sua  portata  retroattiva  incontra,  alla  luce  del
principio di ragionevolezza (sono richiamate le sentenze n.  525  del
2000 e n. 299 del 1999). 
    Su  questa  premessa,  il  rimettente  censura  le   disposizioni
contenute nell'art. 78, comma 6, primo periodo, del d.l. n.  112  del
2008 e nell'art. 4, comma 8-bis, ultimo periodo, del d.l.  n.  2  del
2010, in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 114,  118  e  119
Cost., rilevando come, per effetto di tali previsioni,  sia  impedita
la  «puntuale  e  temporalmente  definita  ricognizione  dello  stato
debitorio   propriamente   inteso,   da   assegnare   alla   gestione
commissariale». 
    In particolare, la  disposizione  contenuta  nell'art.  4,  comma
8-bis, del d.l. n. 2 del 2010, anziche' introdurre un criterio per la
definizione della massa debitoria, agirebbe esclusivamente  ex  post,
attribuendo alla gestione commissariale le obbligazioni  sorte  prima
del 28 aprile 2008, «ma nel momento in cui sopravviene l'accertamento
con  sentenza».  Si  tratterebbe,  dunque,  non  di  un  criterio  di
ricognizione attuale del debito, bensi' di un criterio successivo  di
imputazione dello stesso, oltretutto in deroga  alla  disciplina  sul
dissesto degli enti locali contenuta nell'art. 254 del d.lgs. n.  267
del 2000, che prevede la pubblicazione di un avviso ai creditori,  ai
fini della insinuazione dei crediti  e,  quindi,  della  ricognizione
della massa passiva. 
    Tale criterio non consentirebbe di raggiungere  la  certezza  del
presupposto (l'indebitamento) che ha determinato l'introduzione della
disciplina  eccezionale,   donde   l'irragionevolezza   della   norma
censurata ed il contrasto della  stessa  con  il  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione. 
    L'incertezza    sulla    consistenza    dell'indebitamento     si
rifletterebbe  sulla  «indeterminatezza  temporale   della   gestione
commissariale»,  cosi'  evidenziandosi  un   ulteriore   profilo   di
irragionevolezza della normativa censurata, che avrebbe prodotto «una
non giustificabile deroga e compressione (temporalmente non definite)
all'autonomia dell'ente locale,  come  precisata  a  garantita  dagli
artt. 114, 118 e 119 Cost.». 
    1.4.2.- Con un secondo  gruppo  di  censure,  e'  prospettato  il
contrasto tra le norme oggetto e gli artt. 2, 3, 24, 103, 113 e  117,
primo  comma,  Cost.,  con   l'interposizione,   in   riferimento   a
quest'ultimo  parametro,  degli  artt.  6,  comma  1,  e   13   della
Convenzione EDU. 
    Il legislatore, disponendo che i diritti di credito accertati  in
sede giurisdizionale, «ma riferiti a fatti o  atti  anteriori  al  28
aprile 2008», sono  ricompresi  tra  quelli  per  i  quali  non  sono
consentite azioni esecutive, avrebbe inciso «retroattivamente,  senza
alcuna ragionevolezza», su diritti riconosciuti con sentenze  passate
in giudicato prima dell'entrata in vigore del d.l.  n.  2  del  2010,
come avvenuto nel caso oggetto del giudizio principale. 
    Il rimettente richiama la sentenza n. 155 del  1990  della  Corte
costituzionale, secondo cui una norma interpretativa  «non  viola  di
per se' gli artt. 101, 102 e 104 Cost. [...], a  meno  che  essa  non
leda il giudicato gia' formatosi o non sia  intenzionalmente  diretta
ad  incidere  sui  giudizi  in  corso»,  ritenendo  che  si  dovrebbe
pervenire alla medesima conclusione anche nel caso in cui  una  norma
interpretativa,  pur  non  disconoscendo  il  diritto  accertato  dal
giudice, ne' incidendo sul suo contenuto, agisca  sul  diverso  piano
della effettivita' della tutela giurisdizionale, in sede esecutiva. 
    Per queste ragioni, le  disposizioni  censurate  contrasterebbero
con l'art. 3 Cost., per la manifesta irragionevolezza  «in  relazione
al principio  di  eguaglianza  dei  cittadini  dinanzi  alla  legge»,
nonche' con gli artt. 2, 24, 103 e 113  Cost.,  che  garantiscono  il
diritto inviolabile alla tutela giurisdizionale. 
    Il Consiglio di Stato ritiene altresi' violato l'art. 117,  primo
comma, Cost., in  relazione  agli  artt.  6,  comma  1,  e  13  della
Convenzione EDU, i quali sanciscono, rispettivamente, il  diritto  ad
un equo processo, da celebrare in tempi ragionevoli,  dinanzi  ad  un
tribunale indipendente ed imparziale costituito  per  legge,  per  la
determinazione dei diritti e dei doveri di carattere  civile,  ed  il
diritto di poter  esperire  «un  ricorso  effettivo  davanti  ad  una
istanza nazionale», nel caso  di  violazione  delle  liberta'  e  dei
diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione. 
    Le norme convenzionali citate ed i principi da  esse  desumibili,
che costituiscono,  ai  sensi  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
altrettanti limiti alla potesta' legislativa, risulterebbero  violati
in quanto le norme censurate,  mediante  il  richiamo  all'art.  248,
comma 2, del d.lgs. n.  267  del  2000,  negano  la  possibilita'  di
intraprendere o proseguire azioni esecutive nei  confronti  dell'ente
locale «per i  debiti  che  rientrano  nella  competenza  dell'organo
straordinario di liquidazione». 
    1.4.3.- Con  il  terzo  gruppo  di  censure,  il  giudice  a  quo
prospetta un contrasto tra le norme oggetto del giudizio e gli  artt.
101, 102, 104 e 108, secondo comma, Cost. 
    Si assume, in particolare, che l'intervento  legislativo  avrebbe
compresso  ex  post  l'autonomia  e   l'indipendenza   dell'autorita'
giudiziaria, incidendo sulla  effettivita'  delle  pronunce  da  essa
rese. 
    E' richiamata in proposito la sentenza  n.  364  del  2007  della
Corte   costituzionale,   che    ha    dichiarato    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 7-quater del decreto-legge 31 gennaio  2005,
n. 7 (Disposizioni urgenti per l'universita' e la ricerca, per i beni
e le attivita' culturali, per il  completamento  delle  grandi  opere
strategiche,  per  la  mobilita'  dei  pubblici  dipendenti   e   per
semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e  tasse  di
concessione,  nonche'  altre   misure   urgenti),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1 della legge 31 marzo 2005, n. 43. 
    La  citata  disposizione,  prosegue  il   rimettente,   stabiliva
«l'inefficacia nei confronti di un ente succeduto ad un altro - anche
nei rapporti pendenti, con istituzione di una gestione  commissariale
per i debiti del secondo - dei decreti ingiuntivi  e  delle  sentenze
emesse nei confronti del primo ente per debiti relativi al secondo  e
l'estinzione d'ufficio dei giudizi di ottemperanza pendenti  in  base
al medesimo titolo». 
    La Corte costituzionale ha ritenuto che tale disposto violasse le
attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria, cui spetta la
tutela  dei  diritti,  non  essendo  dubitabile  che  l'emissione  di
provvedimenti idonei ad acquistare autorita' di giudicato costituisca
uno dei principali strumenti per realizzare il suddetto  compito.  La
stessa Corte ha altresi' rilevato la  lesione  degli  artt.  3  e  24
Cost.,  in  quanto  le  previsioni   contenute   nella   disposizione
sottoposta  a  scrutinio  vanificavano  i  risultati   dell'attivita'
difensiva svolta, sulla cui definitivita' i creditori  potevano  fare
ragionevole affidamento. 
    Il Consiglio di Stato sottolinea il  passaggio  motivazionale  in
cui la Corte costituzionale, dopo aver ribadito che «in  materia  non
penale la legittimita'  di  leggi  retroattive  e'  condizionata  dal
rispetto di altri  principi  costituzionali  e,  in  particolare,  di
quello della tutela del ragionevole, e quindi legittimo,  affidamento
(ex plurimis, sentenze n. 446 del  2002  e  n.  234  del  2007)»,  ha
affermato che «anche se le  disposizioni  in  scrutinio  non  possono
essere  definite  retroattive  in  senso  tecnico,   tuttavia   esse,
travolgendo provvedimenti giurisdizionali definitivi ed incidendo sui
regolamenti dei rapporti in essi consacrati, finiscono per  avere  la
stessa efficacia di norme retroattive e  per  incontrare  i  medesimi
limiti costituzionali per queste enunciati». 
    1.4.4.- Ulteriori censure sono prospettate  in  riferimento  agli
artt. 3, 24 e 41, primo comma, Cost., sul rilievo che  l'applicazione
delle disposizioni censurate pregiudichi il legittimo affidamento che
i creditori del Comune di Roma hanno riposto nel positivo svolgimento
dell'attivita' difensiva, finalizzata a tutelare in giudizio i propri
interessi,  «in  tal  modo  incidendo  sulla  liberta'  di   impresa,
riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost.». 
    Le disposizioni censurate violerebbero, infine, gli  artt.  42  e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in  relazione  all'art.  1  del
primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU. 
    Ad avviso del rimettente, «per il tramite  di  un  rinvio  ad  un
termine "incertus quando", senza alcuna distinzione  in  ordine  alla
natura del credito insorto in momento anteriore al 28  febbraio  2011
[recte: 28 aprile 2008]», sarebbe leso il diritto  costituzionalmente
garantito  ad  una  effettiva   corresponsione   dell'indennita'   di
esproprio,  quale  indispensabile  presupposto  dell'esercizio  della
potesta' ablatoria. 
    E del resto, nemmeno potrebbe parlarsi di indennita' di esproprio
nell'accezione di "serio ristoro" per la  perdita  della  proprieta',
enucleata  dalla  giurisprudenza  costituzionale  (a  partire   dalla
sentenza n. 5 del 1980, fino alle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007),
nel  caso  in  cui  la  corrispondente   somma   non   possa   essere
«materialmente e celermente conseguita». 
    In questa prospettiva, risulterebbe violato  anche  il  parametro
convenzionale, che tutela la proprieta' privata. 
    2.- Con atto depositato il 27 dicembre 2011, si sono costituti in
giudizio, con unica difesa,  la  Societa'  Consorcasa  Regione  Lazio
Coop. a r.l., Fiore Verbena s.r.l.,  Pao.  Mar.  s.r.l.,  Immobiliare
Tuscolana 1976 s.r.l., Edilizia Residenziale Nomentana  s.r.l.  e  la
sig.ra Emma Natili, appellanti nel giudizio principale, per  chiedere
l'accoglimento della questione. 
    2.1.- La difesa delle  parti  private  introduce  il  tema  delle
leggi-provvedimento, ritenendo che le disposizioni censurate  debbano
qualificarsi come tali, alla luce  della  consolidata  giurisprudenza
costituzionale (e' richiamata  la  sentenza  n.  270  del  2010).  Le
predette norme inciderebbero, infatti, su  un  numero  determinato  e
limitato  di  destinatari,  presentando   contenuto   particolare   e
concreto, anche  in  quanto  ispirate  da  particolari  esigenze.  Si
imporrebbe dunque uno «scrutinio stretto di costituzionalita'». 
    2.2.- A parere della  difesa  delle  parti  private  risulterebbe
evidente la lesione dei principi di certezza giuridica e della tutela
dell'affidamento,  riconosciuti  dalla   consolidata   giurisprudenza
costituzionale a partire dalla sentenza n. 349 del 1985. 
    In particolare, e' richiamata la sentenza n. 525 del 2000,  nella
quale la Corte costituzionale ha definito l'affidamento del cittadino
nella certezza delle situazioni giuridiche come «principio che  [...]
non puo' essere leso da norme con effetti  retroattivi  che  incidano
irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti». 
    Come  puntualmente  segnalato  dal  rimettente,  le  disposizioni
censurate produrrebbero  tale  effetto,  incidendo  retroattivamente,
«senza alcuna ragionevolezza», sui diritti di credito  vantati  dagli
espropriati, accertati in sede giudiziaria, che  non  possono  essere
esercitati   perche'   le   predette   disposizioni   escludono    la
proponibilita' delle azioni esecutive. 
    L'impedimento all'azione di  ottemperanza  degli  obblighi  della
pubblica amministrazione, avrebbe «sconvolto il quadro normativo  che
regola  non  solo  i  rapporti  di  credito,  ma  anche  i   rapporti
processuali» (donde la lesione dell'art. 24  Cost.)  tra  i  soggetti
espropriati e il Comune di Roma, «frustrando il legittimo affidamento
dei privati che avevano  gia'  incardinato  i  relativi  giudizi  per
l'ottenimento del ristoro in seguito all'espropriazione». 
    2.3.- Dopo aver esaminato nel dettaglio le questioni,  la  difesa
delle parti private argomenta a sostegno di tutti profili di  censura
formulati dal rimettente, e conclude chiedendo  l'accoglimento  delle
questioni. 
    3.- Con atto depositato il 3  gennaio  2012,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. 
    3.1.- Preliminarmente, la  difesa  statale  descrive  il  sistema
creato dal legislatore per affrontare  il  dissesto  finanziario  del
Comune di Roma. 
    L'art. 78 del d.l. n. 112 del 2008 ha previsto, al  comma  1,  la
nomina del Sindaco di Roma a Commissario straordinario del Governo ai
fini della «ricognizione della situazione  economico-finanziaria  del
Comune e delle societa' da esso partecipate [non quotate]  e  per  la
predisposizione   ed   attuazione   di   un    piano    di    rientro
dell'indebitamento pregresso». Il comma 3 dello  stesso  art.  78  ha
quindi stabilito che «la gestione commissariale assume, con  bilancio
separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate
e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile  2008»  e  il
comma 6 ha previsto che, per le predette obbligazioni si applicano le
disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 dell'art. 248, e di cui al comma
12 dell'art. 255 del d.lgs. n. 267 del 2000. 
    Il successivo art. 4, comma 8-bis, del d.l.  n.  2  del  2010  ha
precisato, con interpretazione autentica, che ricadono  nel  bilancio
separato tutte le obbligazioni anteriori al 28  aprile  2008,  «anche
qualora le  stesse  siano  accertate  ed  i  relativi  crediti  siano
liquidati  con  sentenze  pubblicate  successivamente  alla  medesima
data». 
    Tale ultima disposizione ha  inoltre  separato  la  funzione  del
Commissario straordinario da quella di  Sindaco,  affidandola  ad  un
Commissario governativo  da  nominarsi  con  successivo  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.2.- Cio'  posto,  l'Avvocatura  eccepisce  la  carenza  di  una
adeguata valutazione del requisito  della  rilevanza,  da  parte  del
giudice a quo. 
    Le norme censurate non avrebbero  posto  alcun  impedimento  alla
promozione di giudizi di ottemperanza,  avendo  vietato  soltanto  le
«azioni esecutive», e cioe' le azioni che incidono  direttamente  sul
patrimonio  del  debitore.  Il  giudizio  di  ottemperanza,   invece,
investirebbe  in  primo   luogo   l'attivita'   dell'ente   pubblico,
determinandone  i  comportamenti,  e  non  sarebbe   in   ogni   caso
parificabile a un giudizio di espropriazione mobiliare, tanto che per
la sua promozione  non  e'  necessaria  l'apposizione  della  formula
esecutiva (art. 115, comma 3, decreto legislativo 2 luglio  2010,  n.
104, recante «Codice del processo amministrativo»). 
    Il giudizio di ottemperanza non  sarebbe  dunque  impedito  dalla
normativa sugli enti locali in dissesto, richiamata dall'art. 78  del
d.l. n. 112 del 2008 per il commissariamento del Comune di Roma,  pur
risultando diverse le modalita' di attuazione del giudicato a  fronte
dello stato particolare in cui versa l'ente locale. 
    Pertanto, il rimettente avrebbe dovuto esaminare la  possibilita'
di una  diversa  interpretazione  delle  norme  censurate,  e  quindi
valutare la sussistenza o non di «un interesse del creditore al  bene
della vita che puo' conseguire  da  una  statuizione  di  inserimento
nella  massa  passiva  dell'importo  dovuto  a  titolo  di  capitale,
accessori e spese (art. 248 TUEL)», nei termini in cui ha disposto il
TAR Lazio, giudice dell'ottemperanza in primo grado. 
    3.3.- Nel merito, le questioni sarebbero infondate. 
    3.3.1.- Con riferimento alla prospettata violazione  degli  artt.
3, 97, 114, 118 e 119 Cost., la  difesa  statale  osserva  che,  «per
quanto e' dato comprendere», il contrasto tra le norme  oggetto  e  i
parametri evocati risiederebbe nella irragionevolezza della scelta di
demandare i debiti anteriori al 28 aprile 2008 alla gestione separata
commissariale, in deroga anche alla disciplina degli enti locali, che
impone  la   pubblicazione   di   un   avviso   pubblico,   ai   fini
dell'insinuazione al passivo, e  senza  un  delimitazione  temporale,
cosi' violando anche l'autonomia dell'ente. 
    L'Avvocatura evidenzia come, al contrario, nel momento in cui  si
e' proceduto  all'istituzione  di  Roma  Capitale,  con  il  relativo
ordinamento (decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156,  titolato
«Disposizioni recanti  attuazione  dell'articolo  24  delle  legge  5
maggio 2009,  n.  42,  e  successive  modificazioni,  in  materia  di
ordinamento transitorio di Roma Capitale»), in  attuazione  dell'art.
114, terzo comma, Cost., non si potesse far nascere il nuovo Ente  in
condizione di dissesto finanziario per il peso dei debiti  pregressi.
Era stato percio' necessario prevedere «da subito» che,  a  decorrere
dalla data di istituzione della  gestione  commissariale  (28  aprile
2008), tutte le obbligazioni assunte in epoca antecedente  gravassero
sul bilancio  separato  della  predetta  gestione.  In  questo  modo,
soltanto, si poteva  consentire  al  nuovo  Ente  di  «realizzare  il
raggiungimento di quegli obiettivi strutturali  di  risanamento»,  al
quale e' finalizzata la normativa dettata dall'art. 78  del  d.l.  n.
112 del 2008. Non sussisteva peraltro la necessita' di pubblicare  un
avviso per i creditori, in quanto la gestione commissariale era stata
istituita con legge, ne' di individuare un termine ulteriore rispetto
a quello di approvazione del piano di rientro (art. 78, comma 4) e di
durata della gestione commissariale (art. 78, comma 5). 
    La difesa statale osserva inoltre che, per  effetto  della  netta
separazione tra la gestione  commissariale  ed  il  nuovo  Ente,  non
sarebbe  ravvisabile  alcuna  compressione  dell'autonomia  comunale,
tanto piu' che il  legislatore  ha  avuto  cura  di  prevedere  nuovi
termini per la deliberazione del bilancio di  previsione  per  l'anno
2010, per l'approvazione del rendiconto relativo all'esercizio  2009,
e per l'adozione  della  delibera  di  ricognizione  sullo  stato  di
attuazione dei programmi (art. 4, comma 8-bis,  del  d.l.  n.  2  del
2010). Del resto, l'art. 78, comma  3,  del  d.l.  n.  112  del  2008
prevede che le disposizioni dei commi precedenti «non incidono  sulle
competenze  ordinarie  degli  organi  comunali   relativamente   alla
gestione del periodo successivo alla data del 28 aprile 2008». 
    3.3.2.- Prive  di  fondamento  risulterebbero  anche  le  censure
prospettate in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 101, 102,  103,  104,
117 Cost., per violazione  dei  diritti  riconosciuti  dall'autorita'
giudiziaria con sentenza passata in giudicato prima  dell'entrata  in
vigore del d.l. n. 2 del 2010. 
    L'art. 4, comma 8-bis, del citato decreto  non  avrebbe  aggiunto
nulla  a  quanto  gia'  poteva  evincersi  dalla  norma  oggetto   di
interpretazione, e cioe' dall'art. 78, comma 3, del d.l. n.  112  del
2008, che faceva riferimento al momento  genetico  dell'obbligazione,
non a quello dell'accertamento giudiziale, ai  fini  dell'imputazione
del debito alla gestione straordinaria. 
    3.3.3.- Analogamente, non sarebbe ravvisabile  la  lesione  degli
artt. 101, 102, 104 e 108  Cost.,  prospettata  sull'assunto  che  le
norme   oggetto,   incidendo   sull'effettivita'   della    pronuncia
giurisdizionale,   comprimerebbero   l'autonomia   e   l'indipendenza
dell'autorita' giudiziaria. 
    L'Avvocatura  contesta  il  presupposto  del   ragionamento   del
rimettente, e cioe' che il legislatore avrebbe vanificato ovvero reso
inefficaci pronunce  giurisdizionali,  come  avvenuto  con  la  norma
dichiarata illegittima dalla sentenza n. 364  del  2007  della  Corte
costituzionale, richiamata dallo stesso rimettente. 
    In realta', nel caso in esame la pronuncia ottenuta  dalle  parti
private rimane  valida  ed  operante,  con  il  limite,  dovuto  alla
situazione di dissesto dell'ente debitore,  del  rispetto  della  par
condicio creditorum, in termini analoghi a quanto avviene nel caso in
cui, successivamente all'insorgere del  credito,  il  debitore  venga
dichiarato fallito. D'altra parte, lo stesso giudice  a  quo  avrebbe
riconosciuto che le disposizioni oggetto  di  scrutinio  non  possono
essere definite retroattive in senso tecnico. 
    3.3.4. - La difesa statale esamina, infine, le censure  formulate
in riferimento sia agli artt. 3, 24 e 41 Cost.,  per  il  pregiudizio
arrecato al legittimo affidamento dei creditori del Comune  di  Roma,
sia agli artt. 42 e 117, primo  comma,  Cost.,  per  la  lesione  del
diritto all'indennita' di espropriazione. 
    Quanto  al  primo  profilo,  si  evidenzia  come   il   legittimo
affidamento sia  salvaguardato  dalla  previsione  che  devolve  alla
gestione commissariale «tutte le  entrate  di  competenza»,  oltre  a
tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008. 
    Tra le obbligazioni che entrano a far parte della  massa  passiva
della  gestione   commissariale   vi   e'   anche   l'indennita'   di
espropriazione, che deve soggiacere al principio generale  della  par
condicio creditorum, a differenza  dell'indennita'  provvisoria  -  a
disposizione degli espropriati sin dal tempo dell'esproprio - e degli
interessi legali maturati dalla data di pubblicazione della  sentenza
determinativa dell'indennita', i quali, essendo sorti successivamente
al 28 aprile 2008, gravano sul nuovo Ente. 
    4.- Con atto depositato il 9 gennaio 2012, si  e'  costituita  in
giudizio Roma Capitale (gia' Comune di Roma), in persona del  Sindaco
pro-tempore, chiedendo che le questioni  sollevate  siano  dichiarate
manifestamente infondate. 
    4.1.- La difesa  di  Roma  Capitale  si  sofferma  sul  contenuto
dell'ordinanza di rimessione, e in  particolare  sull'interpretazione
delle norme censurate proposta dal Consiglio di Stato. 
    La difesa dell'Ente contesta l'assunto da cui muove, a suo  dire,
il rimettente,  secondo  cui  le  norme  censurate  «comportano,  ove
applicate, il mancato reale conseguimento dell'utilita'  riconosciuta
agli appellanti a seguito della sentenza  della  Corte  d'appello  n.
4565/2008». In altre parole, dal punto di vista del giudice a quo, le
norme istitutive della gestione commissariale non  garantirebbero  il
pagamento dei debiti assunti dall'ente locale in  crisi  finanziaria,
costituendo, invece, un modo per evitare  di  dare  soddisfazione  ai
creditori. 
    Tale assunto, sul quale, in definitiva, si fonderebbero tutte  le
censure prospettate dal rimettente, sarebbe  frutto  di  una  visione
distorta del sistema commissariale e degli interessi pubblici ad esso
sottesi. 
    Al contrario, secondo Roma Capitale, il  credito  azionato  dagli
appellanti nel giudizio a quo, riconosciuto con sentenza  passata  in
giudicato, e' espressione di un interesse particolare, che  non  puo'
prevalere  «sull'interesse   generale   al   corretto   funzionamento
dell'Ente locale ed all'integrale soddisfacimento di tutti  i  debiti
pregressi mediante reperimenti  di  risorse  "speciali"  tramite  una
gestione governativa». 
    4.2.- La medesima difesa  illustra  la  vicenda  storica  che  ha
segnato il commissariamento del Comune di  Roma,  attraverso  l'esame
delle norme censurate e di quelle in esse richiamate, precisando che,
con il divieto di azioni  esecutive  individuali  nei  confronti  dei
debiti rientranti  nel  bilancio  commissariale,  il  legislatore  ha
definito  lo  «sdoppiamento»  della  gestione  ordinaria  da   quella
commissariale e che, a differenza di quanto previsto  dal  d.lgs.  n.
267 del 2000 per il dissesto degli enti locali, nel caso in esame non
vi e' stata «successione temporale di bilanci», ma coesistenza,  fino
alla  chiusura  di  quello  commissariale  con   l'approvazione   del
rendiconto finale. 
    Il Commissario straordinario ha provveduto alla formazione  dello
stato passivo - previa ricognizione di ogni passivita'  riconducibile
ad epoca antecedente al 28 aprile 2008  -  e  quest'ultimo  e'  stato
approvato con d.P.C.m. 5 dicembre 2008. 
    4.3.- La difesa dell'Ente ricorda che  la  Corte  costituzionale,
con la sentenza n. 155 del 1994, ha gia' affrontato e risolto il tema
della  compatibilita'  costituzionale  del  sistema  configurato  dal
legislatore  per  gestire  il  dissesto  degli   enti   locali,   con
riferimento all'antecedente storico dell'art. 248 del d.lgs.  n.  267
del 2000, e cioe' all'art. 21 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di   finanza   derivata   e   di
contabilita' pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 19
marzo 1993, n. 68. 
    I principi enunciati nella citata pronuncia varrebbero a definire
le questioni odierne nel senso della  manifesta  infondatezza,  avuto
riguardo sia alla scelta di creare una gestione separata, finalizzata
al pagamento dei debiti pregressi, sia al divieto di azioni esecutive
individuali sul patrimonio dell'ente. 
    La gestione separata, infatti, e'  per  definizione  ispirata  al
principio  della  concorsualita',  il  cui   fine   fondamentale   e'
l'attuazione della par condicio creditorum, che implica, a sua volta,
il divieto di azioni esecutive individuali. 
    Lo scopo ultimo e' il risanamento finanziario dell'ente, che  non
puo' cessare di esistere in quanto espressione dell'autonomia locale,
ne' puo' vedere paralizzata la propria attivita' per  soddisfare  una
«adombrata,  ma  in  realta'  insussistente,   intangibilita'   delle
posizioni dei creditori», i cui diritti non risultano  affatto  lesi,
se solo si considera che la  procedura  di  liquidazione  prevede  la
formazione di una massa attiva, destinata a soddisfare i creditori in
misura e con modalita' piu' favorevoli di quanto  avverrebbe  in  una
normale procedura esecutiva individuale. 
    A tale ultimo proposito, la difesa di Roma Capitale  precisa  che
nella massa attiva rientrano non soltanto il ricavato  dell'attivita'
di realizzo posta in essere dal commissario, indicata nel  cosiddetto
piano di rientro, ma anche, (e soprattutto), eventuali  finanziamenti
straordinari   nel   quadro   degli    interventi    di    attuazione
dell'ordinamento di Roma  Capitale,  previsti  dall'art.  114,  terzo
comma, della Costituzione. 
    Sono richiamati i precedenti casi di «sdoppiamento  di  gestioni»
configurati con  legge,  nei  quali  e'  stata  prevista  una  doppia
gestione di bilancio: quella  ordinaria,  per  lo  svolgimento  delle
funzioni  istituzionali,  e  quella  «stralcio  o   commissariale   o
liquidatoria», per  l'amministrazione  e  liquidazione  dei  rapporti
pregressi. 
    Negli stessi casi e' stato  altresi'  disposto  il  blocco  delle
azioni  esecutive  individuali  e  dei  pignoramenti,  nonche'  della
decorrenza di interessi e rivalutazione per il periodo della gestione
liquidatoria,  nel  rispetto  del  principio   della   par   condicio
creditorum. 
    4.4.- La difesa di Roma Capitale esamina, quindi, l'art. 4, comma
8-bis, del d.l. n. 2  del  2010,  censurato  dal  rimettente  perche'
inciderebbe  retroattivamente  su  provvedimenti  giurisdizionali,  a
prescindere dalla natura  di  norma  a  contenuto  innovativo  ovvero
interpretativa. Diversamente da quanto affermato dal  rimettente,  la
qualificazione della norma sarebbe dirimente. 
    Dopo aver richiamato alcune pronunce della  Corte  costituzionale
sul tema (sentenze n. 155 del 1990,  n.  233  del  1988),  la  difesa
dell'Ente locale afferma che, se anche non esistesse l'art. 4,  comma
8-bis, del  d.l.  n.  2  del  2010,  il  criterio  di  riparto  delle
obbligazioni, tra gestione commissariale e gestione ordinaria di Roma
Capitale, non risulterebbe diverso da quanto  in  detta  disposizione
precisato.  Nel  bilancio  della  gestione  commissariale,   infatti,
rientrano tutte le obbligazioni sorte in data anteriore al 28  aprile
2008, ne' si potrebbe dubitare che le fonti delle obbligazioni  siano
quelle indicate nell'art. 1173 del codice civile, e non  le  pronunce
giurisdizionali che le accertano e le rendono liquide ed esigibili. 
    A riprova di quanto affermato, l'art. 78, comma 4,  del  d.l.  n.
112 del 2008 espressamente include  nella  gestione  commissariale  i
debiti  non  ancora  liquidi  al  momento  della  ricognizione  delle
passivita' (28 aprile 2008), prevedendo  che  «il  piano  di  rientro
[...] assorbe, anche in deroga a  disposizioni  di  legge,  tutte  le
somme derivanti da obbligazioni contratte, a qualsiasi titolo,  [...]
anche non scadute e contiene misure idonee a garantire  il  sollecito
rientro dall'indebitamento». 
    Nel caso di specie, l'obbligazione di corrispondere  l'indennita'
di espropriazione e' sorta nel momento in  cui  e'  stato  emesso  il
relativo  decreto,  tant'e'  che  la  Corte  d'appello  di  Roma   ha
riconosciuto la spettanza degli interessi  legali  da  quel  momento.
Discorso analogo varrebbe per i giudizi di  risarcimento  danni,  nei
quali l'obbligazione nasce al momento del fatto lesivo e non  con  la
pubblicazione della sentenza di  condanna,  che  ha  natura  soltanto
dichiarativa. 
    In tal senso militerebbero le disposizioni  generali  del  codice
civile contenute negli artt. 1173 e 2043, nonche' nell'art. 1219,  ai
sensi  del  quale  la  costituzione  in  mora  del  debitore  non  e'
necessaria quando il debito deriva da fatto illecito (sono richiamate
le sentenze della Corte di cassazione 20 aprile  2009,  n.  9338;  25
settembre 1997, n. 9415; 27 gennaio 1996, n. 637). 
    In definitiva, la data  in  cui  viene  emessa  la  sentenza  che
riconosce e liquida l'obbligazione a carico dell'ente locale  sarebbe
del tutto ininfluente ai fini dell'inserimento  del  relativo  debito
nel bilancio  della  gestione  commissariale  ovvero  della  gestione
ordinaria di Roma Capitale. 
    4.5.- La difesa dell'ente  esamina  nel  dettaglio  le  questioni
prospettate  dal  rimettente,  per  contestarne   specificamente   la
fondatezza, in prevalenza sulla base  delle  argomentazioni  sin  qui
sintetizzate. 
    In particolare, la denunciata irragionevolezza  della  disciplina
censurata sarebbe frutto di  erronea  interpretazione  della  stessa,
essendo vero, al contrario, che il criterio di riparto  -  costituito
dal momento genetico dell'obbligazione, all'interno di un sistema nel
quale il bilancio  commissariale  e  quello  ordinario  coesistono  -
consente di rispettare il principio di uguaglianza dei creditori. 
    Non  rivestirebbe  significato  la   mancata   previsione   della
pubblicazione dell'avviso  pubblico  per  l'inserimento  dei  crediti
nella massa passiva, posto che «tale  inserimento  avviene  [...]  in
modo automatico e discende dal dato  temporale  che  caratterizza  la
nascita dell'obbligazione». 
    Non vi sarebbe neppure alterazione dei poteri dell'ente locale  o
compressione dell'autonomia dello stesso, a  meno  di  confondere  il
sistema liquidatorio previsto appositamente per  il  Comune  di  Roma
dall'art. 78 del d.l. n. 112 del 2008 con la disciplina del  dissesto
degli enti locali, nella quale, in  effetti,  la  gestione  ordinaria
dell'ente  dichiarato  in  dissesto  e'  interrotta  dalla   gestione
commissariale. 
    Le  norme  censurate  non   inciderebbero   sui   giudicati   che
incorporano altrettante obbligazioni del Comune  di  Roma,  essendosi
limitate a vietare le azioni esecutive individuali a  garanzia  dello
svolgimento corretto della procedura concorsuale  instaurata  per  il
pagamento dei debiti antecedenti al 28  aprile  2008  (e'  richiamata
nuovamente la sentenza della Corte costituzionale n. 155 del 1994). 
    Per le stesse ragioni, il divieto di azioni esecutive individuali
non sarebbe lesivo dei diritti fondamentali riconosciuti dagli  artt.
6 e 13 della  Convenzione  EDU,  richiamati  dal  rimettente  per  il
tramite dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    La relativa questione sarebbe mal posta,  prima  ancora  che  non
fondata, giacche', per  un  verso,  gli  atti  posti  in  essere  dal
Commissario  liquidatore  possono  essere  sottoposti   all'autorita'
giudiziaria, e, per altro verso, gli interessi pubblici sottesi  alla
procedura concorsuale giustificano lo  svolgimento  della  stessa  in
ambito amministrativo, come affermato dalla gia' richiamata  sentenza
n. 155 del 1994 a proposito della disciplina del dissesto degli  enti
locali. 
    Del  resto,  sin  dalla  sentenza  n.  115  del  1994,  la  Corte
costituzionale ha chiarito che, ove sorga l'esigenza di una procedura
concorsuale, non necessariamente questa deve svolgersi  nel  contesto
di  un  procedimento  giurisdizionale,  ben  potendo  il  legislatore
prevedere  un  procedimento  amministrativo,  tanto  piu'   se   sono
coinvolti interessi pubblici. Nondimeno, tale assetto della procedura
di liquidazione non  potrebbe  mai  incidere  sulla  giustiziabilita'
delle  posizioni  soggettive  in  essa  coinvolte,  con   conseguente
sacrificio  del  principio  supremo  dell'ordinamento  costituzionale
costituito dal diritto alla tutela giurisdizionale  (sono  richiamate
le sentenze della Corte costituzionale n. 392 del 1992 e  n.  18  del
1982). 
    Prive di fondamento risulterebbero anche le  censure  prospettate
in riferimento agli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost., sul rilievo  che
il  legislatore  avrebbe  compresso  l'autonomia   e   l'indipendenza
dell'autorita'  giudiziaria,  con  un  intervento  irragionevole  che
incide, ex post, sulla effettivita' delle pronunce giurisdizionali. 
    La difesa di Roma Capitale osserva come il richiamo, operato  dal
rimettente, alla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 2007,
sia del tutto inconferente. 
    Quanto, infine, alla censura riferita alla violazione del diritto
degli espropriati a ricevere una indennita' che costituisca un  serio
ristoro della perdita subita, la difesa di  Roma  Capitale  evidenzia
che  la  nozione   elaborata   dalla   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007, n. 5 del 1980)  ha
riguardo alla quantificazione dell'indennita' di esproprio, non anche
alla riscossione della stessa. 
    5.- In data 14 febbraio 2013, la difesa dello Stato ha depositato
memoria con la quale insiste nelle conclusioni gia' rassegnate. 
    In  via  preliminare,   l'Avvocatura   reitera   l'eccezione   di
inammissibilita' delle questioni  per  omesso  compiuto  esame  della
rilevanza, sull'assunto che il giudice a quo avrebbe identificato  il
giudizio  di  ottemperanza  con  le  azioni  esecutive,  laddove  gli
istituti non sarebbero del tutto coincidenti, in quanto  il  giudizio
di ottemperanza  presenta  contenuto  composito,  come  ripetutamente
affermato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza  n.
2 del 2013, sentenze nn. 2, 18 e 24 del 2012). 
    Nel merito, la  difesa  statale  ribadisce  l'infondatezza  delle
questioni sollevate, nel solco delle argomentazioni gia'  svolte  con
l'atto di intervento. 
    6.- In data 10  maggio  2013,  la  difesa  di  Roma  Capitale  ha
depositato  memoria  con  la  quale  innanzitutto  segnala  che,  nel
giudizio principale, le parti appellanti hanno depositato «brevi note
per  la  cessazione  della  materia  del   contendere»,   a   seguito
dell'avvenuto soddisfacimento del  credito  oggetto  del  ricorso  in
ottemperanza. 
    Nel  merito,  la   difesa   dell'Ente   pubblico   ribadisce   le
argomentazioni gia' svolte nel  senso  della  manifesta  infondatezza
delle questioni. 
    Si precisa, dalla stessa difesa, che le  norme  censurate,  lungi
dal negare la soddisfazione  dei  debiti  rientranti  nella  gestione
commissariale,  sarebbero  finalizzate  ad  assicurarne   l'integrale
soddisfacimento,  mediante  il  reperimento  di   risorse   ulteriori
rispetto a quelle sulle quali, normalmente, l'Ente puo' contare. 
    La procedura di liquidazione, riguardante i debiti assunti  prima
del 28 aprile 2008, sarebbe configurata in modo  tale  da  alimentare
«la  massa  attiva,  destinata  a  soddisfare  i  creditori  di  Roma
Capitale», con fonti di finanziamento straordinario,  come  precisato
nel piano di rientro, e dunque, diversamente da quanto avviene  nelle
procedure  esecutive   individuali,   non   soltanto   dal   ricavato
dell'attivita' di realizzo dei beni del debitore. 
    7.- In data  13  maggio  2013,  la  difesa  delle  parti  private
costituite, Soc. Consorcasa Regione Lazio Coop. a r.l. ed  altri,  ha
depositato un documento contenente  «brevi  note  per  la  cessazione
della materia del contendere», notificate a Roma Capitale il 22 marzo
2013 e depositate al Consiglio di Stato il 2 aprile 2013. 
    Le parti private danno atto che  Roma  Capitale  ha  adempiuto  a
quanto ordinato dal Consiglio di Stato, con la sentenza  parziale  10
agosto 2011, n. 4772, e che, quanto all'obbligazione  principale,  di
corresponsione dell'indennita'  di  espropriazione  definitiva,  «con
determinazione dirigenziale n. 1135 del 6 novembre 2011 -  emessa  ai
sensi dell'art.  78,  comma  3,  del  d.l.  n.  112  del  2008,  come
modificato dall'art. 1, comma 26, del d.l. n. 128  del  2011  [recte:
d.l. n. 138 del 2011] - Roma Capitale ha  operato  il  riconoscimento
del debito fuori bilancio attinente  alla  Gestione  Commissariale  e
discendente dalla sentenza della Corte d'appello di Roma n. 4565  del
2008». 
    Alla predetta determinazione «ha fatto  seguito  la  stipula,  in
data 6 febbraio 2013, dell'atto di transazione tra le appellanti e il
Commissario straordinario del  Governo  (nominato  per  il  piano  di
rientro dal debito pregresso di Roma  Capitale),  avente  ad  oggetto
l'estinzione  parziale,  da  parte  di   quest'ultimo,   del   debito
riconosciuto». 
    Le  parti  private  dichiarano  di  avere   percepito   l'importo
concordato nell'atto di transazione e  di  essersi  impegnate  a  non
vantare ulteriori pretese nei confronti  di  Roma  Capitale  e  della
gestione commissariale, con la conseguenza che e'  venuta  meno  ogni
ragione di contenzioso. 
    8.- Con ordinanza del 26 luglio 2012, il Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio, ha sollevato - in riferimento agli  artt.  2,
3, 24, 25, primo comma, 41, primo comma, 42, secondo e  terzo  comma,
97, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108, secondo  comma,  113,  114,
117, primo comma, (in relazione all'art. 6, comma 1,  e  all'art.  13
della  Convenzione  EDU,  nonche'  in  relazione  all'art.  1  del  I
Protocollo addizionale alla medesima Convenzione), 118 e 119 Cost.  -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 78, comma 6, primo
periodo, del d.l. n.  112  del  2008,  nella  parte  in  cui  prevede
l'applicazione  dell'art.  248  del  d.lgs.  n.  267  del  2000  alle
obbligazioni rientranti nella gestione commissariale  del  Comune  di
Roma, e dell'art. 4, comma 8-bis, ultimo periodo, del d.l. n.  2  del
2010,  nella  parte  in  cui  prevede,  «ai  fini  di  una   corretta
imputazione del piano di rientro», che il primo periodo del  comma  3
dell'art. 78 del d.l. n. 112 del 2008 «si interpreta nel senso che la
gestione commissariale  del  comune  assume,  con  bilancio  separato
rispetto a quello della gestione  ordinaria,  tutte  le  obbligazioni
derivanti da fatti o atti posti in  essere  fino  alla  data  del  28
aprile 2008, anche qualora le stesse siano  accertate  e  i  relativi
crediti  liquidati  con  sentenze  pubblicate  successivamente   alla
medesima data». 
    8.1.- Le  questioni  sono  in  larga  parte  identiche  a  quelle
sollevate dal Consiglio di Stato con l'ordinanza registrata al numero
265 del 2011, richiamata espressamente dal rimettente. 
    Quest'ultimo  riferisce  di  essere  investito  del  ricorso  per
l'ottemperanza della sentenza del TAR Lazio 26 giugno 2009, n. 13834,
che  ha  condannato  il  Comune  di  Roma  a  risarcire  alla   Bindi
Pratopronto s.a.s. di Michele Bindi & C. il danno da  responsabilita'
precontrattuale, da liquidarsi ai sensi dell'art. 35,  comma  2,  del
decreto legislativo 31 marzo  1998,  n.  80  (Nuove  disposizioni  in
materia  di  organizzazione   e   di   rapporti   di   lavoro   nelle
amministrazioni pubbliche, di  giurisdizione  nelle  controversie  di
lavoro e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in  attuazione
dell'articolo 11, comma  4,  della  legge  15  marzo  1997,  n.  59),
mediante  offerta  di  una  somma   da   parte   dell'Amministrazione
condannata, oltre alle spese legali. 
    Il rimettente precisa che la societa' ricorrente ha  invitato  il
Comune di Roma a dare esecuzione alla sentenza, senza ricevere alcuna
offerta di risarcimento. 
    E' richiamata, quindi, l'ordinanza 31 maggio 2011, n.  5492,  con
la quale il Consiglio di Stato, in relazione a  fattispecie  analoga,
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale della normativa
che disciplina la sorte  dei  crediti  accertati  nei  confronti  del
Comune di Roma, derivanti da fatti o atti antecedenti  al  28  aprile
2008. 
    Osserva il TAR  Lazio  che  il  credito  vantato  dalla  societa'
ricorrente «trova titolo in fatti avvenuti nel  2004,  e  quindi  ben
prima del 28 aprile 2008», sicche', in applicazione degli  artt.  78,
comma 6, primo periodo, del d.l. n. 112 del 2008 e  4,  comma  8-bis,
del d.l. n. 2 del 2010, «la domanda giudiziale proposta nei confronti
del Comune di Roma [...] dovrebbe essere dichiarata inammissibile». 
    8.2.- Con  riferimento  alla  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni, il  rimettente  riepiloga  le  argomentazioni  svolte  dal
Consiglio di Stato, affermando di condividerne il contenuto e di fare
rinvio alle stesse, e poi procede ad illustrare ulteriori ragioni  di
contrasto delle norme oggetto con «gli artt. 41 e 42, 24 e 25 e  113,
nonche' 97 della Costituzione». 
    8.2.1.- In particolare, il giudice  a  quo  ritiene  violato  «il
regime di garanzie  costituzionali  volto  ad  assicurare  il  libero
esercizio dell'attivita'  economica»,  configurato  dagli  artt.  41,
primo comma, e 42, secondo e  terzo  comma,  Cost.,  all'interno  del
quale «un credito certo,  liquido  ed  esigibile  e  che  sia  dotato
dell'efficacia di titolo  esecutivo  costituisce  un  bene  che  puo'
essere oggetto di  diritto  di  proprieta'  (tanto  e'  vero  che  e'
cedibile e negoziabile sul mercato)». Di qui la conseguenza  che  «un
atto che toglie valore al titolo esecutivo rendendo l'Amministrazione
debitrice sostanzialmente immune dal potere del  creditore,  equivale
ad una vera e propria "espropriazione"». 
    8.2.2.-  Il  meccanismo  introdotto  dalla  normativa   censurata
violerebbe anche il sistema di garanzie processuali configurato dagli
artt. 24, primo comma, 25, primo comma, e 113 Cost. 
    Per un verso, infatti, i creditori anche in  possesso  di  titoli
esecutivi per obbligazioni sorte, nei confronti del Comune  di  Roma,
anteriormente alla data del 28 aprile  2008,  verrebbero  a  trovarsi
nell'anomala situazione  di  non  poter  agire  in  giudizio  per  la
realizzazione e soddisfazione dei propri diritti, e, per altro verso,
il giudice che sarebbe  naturalmente  competente  a  rispondere  alla
relativa domanda di giustizia - cioe' il  giudice  dell'esecuzione  -
dovrebbe  dichiarare  estinta  la  procedura  esecutiva,  «nonostante
sussistano tutte le condizioni per procedere  (e  nessuna  condizione
sostanziale   per    dichiarare    l'intervenuta    estinzione    del
procedimento)». 
    Tutto cio' avverrebbe  al  solo  scopo  di  escludere  la  tutela
giurisdizionale nei confronti di una pubblica amministrazione,  cioe'
il Comune di Roma, con riferimento ad una  determinata  categoria  di
atti (quelli esecutivi per debiti contratti entro  una  certa  data),
donde l'evidente violazione dell'art. 113 Cost. 
    8.2.3.- La normativa in esame si porrebbe in contrasto anche  con
l'art. 97, primo comma,  Cost.,  giacche'  l'immunita'  dalle  azioni
esecutive   e   la    riduzione    di    responsabilita'    accordati
all'Amministrazione, «finisce con il premiare -  con  violazione  del
principio  del  buon  andamento  dell'amministrazione  -  l'organismo
pubblico inadempiente che abbia mal gestito le sue risorse». Inoltre,
in   violazione   del   principio   di   imparzialita'    dell'azione
amministrativa, si sarebbe creata una disparita' ex lege tra titolari
di diritti di credito sorti prima o dopo una certa data. 
    9.- Con atto depositato il 28 novembre 2012, si e' costituita  in
giudizio  la  societa'  Bindi  Pratopronto  s.a.s.,  ricorrente   nel
procedimento principale, per chiedere l'accoglimento delle questioni. 
    9.1.- La difesa della parte privata, pur  osservando  che,  nella
vigenza delle norme censurate, il rimettente avrebbe potuto procedere
alla quantificazione del risarcimento e a disporre in suo  favore  il
pagamento delle spese di lite,  nondimeno  concorda  con  il  rilievo
dello stesso rimettente, secondo cui la «piena  ed  immediata  tutela
del creditore puo' ritenersi effettiva soltanto nell'ipotesi  in  cui
possa essere nominato un commissario ad acta, che si  sostituisca  in
tutto e  per  tutto  a  Roma  Capitale,  ivi  compreso  il  pagamento
dell'intero credito ed entro i termini previsti dall'ordinamento (120
giorni  dalla  notificazione  del  titolo  esecutivo)».  Di  qui   la
rilevanza delle questioni, giacche' solo  la  neutralizzazione  delle
norme  censurate  consentirebbe  la  realizzazione  del  credito  nei
termini indicati. 
    9.2.-  Nel  merito,  le   questioni   sarebbero   fondate,   come
emergerebbe dall'esame  delle  pronunce  della  Corte  costituzionale
sulla disciplina del dissesto degli enti locali (sono richiamate,  in
particolare, le sentenze n. 242 e n. 155 del 1994). 
    Le  norme  censurate  avrebbero   configurato   una   fattispecie
giuridica nuova che, per un verso, si sovrappone a quella dettata  in
materia di dissesto degli enti locali dagli artt. 264 e seguenti  del
d.lgs. n. 267 del 2000 e, per altro verso, ne esclude  l'applicazione
se non nei limiti delle norme espressamente richiamate, che sono - in
sostanza - quelle piu' favorevoli all'amministrazione. 
    La difesa della parte privata sottolinea il mancato richiamo alle
disposizioni dettate per il dissesto degli enti locali riguardo  alla
costituzione della  massa  attiva,  necessario  per  fare  fronte  al
pagamento dei debiti, con la previsione, di segno contrario,  secondo
cui «tutte le entrate di competenza dell'anno  2008  sono  attribuite
alla  gestione  corrente  di  Roma  Capitale,  ivi  comprese   quelle
riferibili  ad  atti  e  fatti  antecedenti  all'anno  2008,  purche'
accertate successivamente al 31 dicembre 2007». 
    Il sistema cosi' delineato risulterebbe illegittimo  quanto  meno
per contrasto con gli artt. 3, 41, e 42 Cost. 
    9.3.- Discorso a se', poi, varrebbe per la disposizione contenuta
nell'art. 4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010, che avrebbe  natura
di legge provvedimento, innovativa con efficacia retroattiva. 
    La ratio legis  della  norma  sarebbe  chiaramente  individuabile
nella  tutela  di  un  interesse   particolare,   quello   dell'Ente,
«incidendo intenzionalmente su un numero limitato  di  soggetti  (tra
tutti i creditori del Comune di Roma, gia' hortus clausus, quelli che
non hanno visto il loro credito  all'interno  del  piano  di  rientro
approvato con dPCm del 5 dicembre 2008 perche' a tale data non ancora
accertato giudizialmente o comunque liquidato), sui giudizi in  corso
e sui diritti di  credito  accertati  in  giudizio  prima  della  sua
entrata in vigore». 
    10.- Con atto depositato il 4 dicembre 2012, si e' costituita  in
giudizio Roma Capitale, in persona  del  sindaco  pro-tempore,  e  ha
concluso per il rigetto delle questioni, con argomentazioni in  tutto
identiche a quelle svolte nell'atto di  costituzione  depositato  nel
giudizio r.o. n. 265 del 2011, alla cui sintesi si puo' rinviare. 
    11.- Con atto depositato il 4 dicembre 2012,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ed  ha  chiesto  che  le
questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. 
    11.1.- La difesa statale riepiloga  le  censure  prospettate  dal
rimettente  e,  con  riguardo  a  quelle  formulate  per   relationem
all'ordinanza n. 5492 del 2011 del Consiglio di Stato  (r.o.  n.  265
del 2011), richiama le osservazioni e  le  deduzioni  depositate  nel
giudizio incidentale introdotto  dalla  citata  ordinanza,  allegando
copia del relativo atto difensivo. 
    11.2.- Quanto alle ulteriori questioni prospettate dal TAR  Lazio
in riferimento agli artt. 41, primo e secondo comma,  e  42,  secondo
comma, Cost.,  la  difesa  statale  evidenzia  che  la  premessa  del
ragionamento svolto dal rimettente  sarebbe  smentita  proprio  dalle
affermazioni contenute nell'ordinanza del Consiglio di Stato, secondo
cui, con la normativa censurata, «non si attua un disconoscimento del
diritto, accertato dal giudice, ne' una incisione sul suo contenuto». 
    Le norme censurate avrebbero  introdotto,  infatti,  una  diversa
modalita' di esercizio del diritto, che, seppure piu' gravosa  per  i
creditori, non potrebbe essere ritenuta di per se' irragionevole,  in
quanto finalizzata ad assicurare il  raggiungimento  degli  obiettivi
strutturali di risanamento della finanza dell'Ente (e' richiamata  la
sentenza n. 155 del 1994 della Corte costituzionale). 
    11.3.- A  parere  della  difesa  statale,  non  sussisterebbe  la
violazione degli artt. 24, primo comma,  25,  secondo  comma,  e  113
Cost., in quanto le norme censurate non impediscono a coloro i  quali
vantino un credito certo, liquido ed esigibile,  sorto  anteriormente
al 28 aprile 2008, di agire per ottenerne l'adempimento, ma impongono
di procedere secondo determinate modalita' e al  fine  di  consentire
all'Amministrazione una ordinata liquidazione  delle  poste  passive,
senza disperdere le energie nel fronteggiare  le  molteplici,  sparse
iniziative dei creditori. 
    Si  dovrebbe  inoltre  considerare  che,   nella   procedura   di
«esecuzione  collettiva»  nei  confronti  di  un  ente  pubblico,   i
creditori conseguono maggiori  possibilita'  di  soddisfacimento  del
credito  perche'  possono  fare  affidamento  anche  sul   contributo
concesso dallo Stato. 
    11.4.- La difesa statale contesta, infine,  la  fondatezza  della
censura prospettata in riferimento all'art.  97  Cost.,  evidenziando
come, al contrario, il principio di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione  imponga  la  temporanea   immunita'   dalle   azioni
esecutive  individuali,   per   consentire   all'amministrazione   di
raggiungere condizioni strutturali  di  riequilibrio  della  gestione
finanziaria, garantendo, al contempo, la «parita' di trattamento  tra
i  creditori  anteriori  al  momento  di  apertura   della   gestione
commissariale». 
    12.- In data 10 maggio  2013,  la  difesa  di  Roma  Capitale  ha
depositato memoria con la quale  ribadisce  quanto  gia'  evidenziato
nell'atto di costituzione,  svolgendo  argomenti  identici  a  quelli
rappresentati nella memoria depositata in pari data nel giudizio r.o.
n. 265 del 2011, alla cui sintesi si rinvia. 
    13.- In data 13 maggio 2013, la difesa  della  Bindi  Pratopronto
s.a.s. ha  depositato  memoria  illustrativa,  nella  quale  illustra
ulteriormente gli argomenti gia' svolti nell'atto di  costituzione  a
sostegno della rilevanza delle questioni sollevate per la definizione
del giudizio a quo. 
    13.1.-  La  difesa  della  societa'  ribadisce  l'anomalia  della
normativa  dettata  per  il  commissariamento  del  Comune  di  Roma,
rispetto alla disciplina sul dissesto degli enti locali, con riguardo
in particolare alla costituzione della massa attiva. 
    La nuova normativa si sarebbe limitata a demandare ad un  decreto
del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  l'individuazione  delle
coperture necessarie per  l'attuazione  del  piano  di  rientro  «nei
limiti delle risorse allo scopo destinate a legislazione vigente». 
    In questo modo, assume la stessa difesa, «ai creditori del Comune
di Roma non solo non e' consentita l'aggressione e  liquidazione  del
patrimonio   del   Comune   neppure   nell'ambito   della   procedura
concorsuale», ma non sarebbe noto  se  e  quando,  nonche'  in  quale
misura, i crediti  inseriti  nel  piano  di  rientro  possano  essere
soddisfatti. 
    Le  norme  censurate,  infatti,  non  avrebbero  stabilito  alcun
criterio,  nemmeno  temporale,  «di  trasparente   liquidazione   dei
creditori», non  richiamerebbero  il  principio  della  par  condicio
creditorum,  e,  in  definitiva,  avrebbero   reso   il   Commissario
liquidatore legibus solutus, come dimostrato dal fatto che lo  stesso
avrebbe «provveduto a liquidare i creditori in modo frammentario». 
    Il sistema cosi' configurato risulterebbe gravemente  lesivo  del
principio di uguaglianza,  «creando  disparita'  di  trattamento  tra
creditori, in conseguenza del nome del debitore e  del  fatto  se  il
credito sia o meno liquido ed esigibile», della certezza dei rapporti
giuridici e del principio di affidamento. 
    13.2.- Quanto all'art. 4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010, la
difesa  della  societa'  ribadisce  trattarsi  di  disposizione  solo
apparentemente interpretativa, che, in realta', avrebbe riscritto  la
disciplina dettata dall'art. 78 del d.l. n. 112 del 2008. 
    La stessa difesa osserva, in primo luogo, che la disposizione  in
esame e' intervenuta su una precedente legge provvedimento che  aveva
parzialmente esaurito i suoi effetti, a seguito dell'approvazione del
piano di rientro del debito operata con il d.P.C.m.  del  5  dicembre
2008, peraltro non pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. 
    In secondo luogo, la  stessa  norma  ha  previsto  la  definitiva
ricognizione del piano di rientro gia' approvato,  senza  fissare  un
termine per provvedervi (diversamente  dalla  norma  "interpretata"),
nonostante il carattere temporaneo della gestione commissariale. 
    In  terzo  luogo,  l'art.  4,   comma   8-bis,   avrebbe   esteso
l'applicazione della gestione commissariale anche  alle  obbligazioni
non contrattuali, che  l'art.  78  del  d.l.  n.  112  del  2008  non
comprendeva. 
    L'espressione «tutte le somme derivanti da obbligazioni contratte
[...] alla data del 28 aprile 2008», contenuta nell'art. 78, comma 3,
evocherebbe unicamente le obbligazioni contrattuali, ed  anche  sotto
il profilo sistematico, la previsione in capo  al  Commissario  della
facolta' di recesso «dalle  obbligazioni  contratte»  deporrebbe  nel
senso  che  l'intenzione  del  legislatore  fosse  di   circoscrivere
l'applicazione  della  gestione   commissariale   alle   obbligazioni
nascenti da contratto, dalle quali soltanto e' possibile recedere. 
    L'art. 4, comma 8-bis, nella parte in  cui  estende  la  gestione
commissariale a tutte le obbligazioni sorte in virtu' di atti o fatti
antecedenti al 28 aprile 2008, anche qualora accertate  con  sentenze
pubblicate successivamente alla medesima data, avrebbe  inoltre  reso
incerti i tempi di ricognizione del piano di rientro  ed  inciderebbe
sui giudizi pendenti. 
    La  difesa   della   societa'   osserva   in   conclusione   che,
indipendentemente  dalla  natura  innovativa  o  interpretativa,   il
carattere retroattivo della  disposizione  censurata  non  troverebbe
giustificazione sul piano  della  ragionevolezza  e  si  porrebbe  in
contrasto con una serie di  valori  ed  interessi  costituzionalmente
protetti, come gia' segnalato dai giudici rimettenti. 
    Sono richiamati alcuni arresti della giurisprudenza  della  Corte
EDU (sentenza 28 ottobre 1999, Zielinsky  vs.  Repubblica  Francese),
secondo cui e' esclusa a priori la compatibilita' con l'art. 6  della
Convenzione   EDU   delle   norme   interpretative    che    incidano
retroattivamente su un numero limitato di soggetti, ovvero presentino
un  contenuto  contra  personam,  o,   ancora,   estinguano   diritti
intangibili,  cioe'  posizioni  consolidate,  anche  se  non   ancora
racchiuse  in  decisioni  definitive  (sentenza  10  novembre   2004,
Lizarraga vs. Regno di Spagna). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze di tenore analogo, il  Consiglio  di  Stato
(reg. ord. n. 265 del 2011) e il Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio (reg. ord. n. 252 del 2012) hanno sollevato questioni di
legittimita' costituzionale dell'articolo 78, comma 6, primo periodo,
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto 2008, n.  133,  nella  parte  in  cui  prevede  l'applicazione
dell'art. 248 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267  (Testo
unico  delle  leggi  sull'ordinamento   degli   enti   locali)   alle
obbligazioni rientranti nella gestione commissariale  del  Comune  di
Roma, e dell'art. 4, comma 8-bis, ultimo periodo,  del  decreto-legge
25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti  locali  e
regioni), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 26 marzo 2010, n. 42, nella parte in cui prevede, «ai  fini  di
una corretta imputazione del piano di rientro», che il primo  periodo
del comma 3 dell'articolo 78 del d.l. n. 112 del 2008 «si  interpreta
nel senso che  la  gestione  commissariale  del  comune  assume,  con
bilancio separato rispetto a quello della gestione  ordinaria,  tutte
le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere  fino  alla
data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e  i
relativi crediti liquidati con  sentenze  pubblicate  successivamente
alla medesima data». 
    1.1.- Il Consiglio di Stato assume un contrasto tra  le  predette
norme e gli artt. 2, 3, 24, 41, primo comma,  42,  terzo  comma,  97,
primo comma, 101, 102, 103, 104, 108, secondo comma, 113,  114,  117,
primo comma, (in relazione all'art. 6, comma 1, e all'art.  13  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva in Italia dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, nonche'
in  relazione  all'art.  1  del  primo  Protocollo  addizionale  alla
medesima Convenzione, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), 118  e  119
della Costituzione. 
    1.2.-  Il  TAR  Lazio  richiama  la  motivazione   dell'atto   di
promovimento del Consiglio di Stato, facendo proprie le  censure  ivi
formulate, alle quali aggiunge ulteriori ragioni di  contrasto  delle
norme in oggetto con gli artt.  24,  25,  secondo  comma,  41,  primo
comma, 42, secondo e terzo comma, 97 e 113 Cost. 
    1.3.-  Dinanzi  ai  rimettenti  pendono  altrettanti  giudizi  di
ottemperanza, aventi ad oggetto sentenze di condanna pronunciate  nei
confronti del  Comune  di  Roma,  per  obbligazioni  sorte  in  epoca
antecedente al 28 aprile 2008,  e  dunque  imputabili  alla  gestione
commissariale configurata dall'art. 78 del d.l. n. 112 del 2008. 
    Per quanto riferito dai rimettenti,  le  sentenze  azionate  sono
passate in giudicato prima dell'entrata in vigore dell'art. 4,  comma
8-bis, del d.l. n. 2 del 2010, inserito dalla legge di conversione n.
42 del 2010. 
    1.3.1.- Piu' specificamente, il Consiglio di Stato  e'  adito  in
sede di appello avverso la sentenza 5 novembre 2010, n.  33208,  resa
dal TAR Lazio sul ricorso per  l'ottemperanza  della  sentenza  della
Corte d'appello di Roma n. 4565 del 2008, che ha liquidato, a  favore
della societa' Consorcasa  Regione  Lazio  Coop.  a  r.l.  ed  altri,
l'indennita', maggiorata di interessi legali,  per  un'espropriazione
avvenuta molti anni addietro. 
    Il giudice di primo grado ha  ritenuto  di  poter  accogliere  il
ricorso in ottemperanza,  facendo  nel  contempo  applicazione  della
normativa sul commissariamento del Comune di Roma, di cui agli  artt.
78 del d.l. n. 112 del 2008 e 4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010,
e, per l'effetto, ha ordinato al Comune di Roma  di  dare  esecuzione
alle statuizioni contenute nella sentenza della  Corte  d'appello  di
Roma, previa verifica della  disponibilita'  nel  bilancio  dell'Ente
delle risorse necessarie, ovvero, in caso  di  esito  negativo  della
predetta verifica, di procedere all'inserimento dell'importo dovuto a
titolo di capitale, accessori e  spese,  nella  massa  passiva  della
gestione commissariale. 
    Le parti creditrici hanno appellato  la  sentenza,  chiedendo  al
Consiglio di Stato di  disporre  concretamente  l'ottemperanza  della
pronuncia della Corte d'appello di Roma, in particolare imponendo  al
Comune di pagare le somme ivi liquidate entro un termine  prefissato,
e provvedendo subito alla nomina di un commissario ad acta. 
    In subordine, per  l'ipotesi  di  ritenuta  applicabilita'  degli
artt. 78 del d.l. n. 112 del 2008 e 4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del
2010, gli appellanti hanno eccepito  l'illegittimita'  costituzionale
delle predette norme, per contrasto con numerosi parametri. 
    Il  Consiglio  di  Stato  ha  dapprima  proceduto   a   riformare
parzialmente  la  sentenza  appellata,  scorporando  alcune  voci  di
credito  a  suo  dire  imputabili  ratione  temporis  alla   gestione
ordinaria di Roma  Capitale  (gia'  Comune  di  Roma),  e  quindi  ha
sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale  delle   norme
indicate,  ritenendo  il  relativo   scrutinio   pregiudiziale   alla
decisione avente ad oggetto la condanna al pagamento  dell'indennita'
di espropriazione, siccome imputabile alla gestione commissariale,  e
pertanto sottratto all'esecuzione individuale. 
    Soltanto in caso di declaratoria di  illegittimita'  delle  norme
censurate sarebbe  possibile  definire  nel  merito  il  giudizio  di
ottemperanza,   dovendosi,    in    caso    contrario,    dichiararne
l'inammissibilita', stante appunto il  divieto  di  azioni  esecutive
individuali, sancito dalle stesse norme. 
    1.3.2.- Il TAR Lazio e' adito per l'ottemperanza alla sentenza n.
13834 del 2009, emessa in sede di cognizione dal medesimo TAR, con la
quale il Comune di Roma e' stato condannato al risarcimento del danno
da responsabilita' precontrattuale in favore della Bindi  Pratopronto
s.a.s. di Michele Bindi & C., da liquidarsi ai  sensi  dell'art.  35,
comma 2,  del  decreto  legislativo  31  marzo  1998,  n.  80  (Nuove
disposizioni in materia di organizzazione e  di  rapporti  di  lavoro
nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle  controversie
di lavoro e di giurisdizione amministrativa,  emanate  in  attuazione
dell'articolo 11, comma  4,  della  legge  15  marzo  1997,  n.  59),
mediante  offerta  di  una  somma   da   parte   dell'Amministrazione
condannata, oltre alle spese legali. 
    Il rimettente precisa che la societa' ricorrente ha  invitato  il
Comune di Roma a dare esecuzione alla sentenza, senza ricevere alcuna
offerta  di  risarcimento,  e  quindi  ha  promosso  il  giudizio  di
ottemperanza. 
    Lo stesso rimettente  evidenzia  che  il  credito  vantato  dalla
ricorrente trova titolo in fatti accaduti nel 2004, e dunque in epoca
antecedente al 28 aprile 2008, sicche' soltanto  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale delle norme censurate consentirebbe  di
pervenire  all'esecuzione  del  giudicato,   diversamente   dovendosi
dichiarare l'inammissibilita' del ricorso in ottemperanza. 
    2.- Quanto alla non manifesta infondatezza  delle  questioni,  il
Consiglio di  Stato  assume  che  le  disposizioni  censurate  -  nel
prevedere l'applicazione, alla gestione commissariale del  Comune  di
Roma, dell'art. 248 del d.lgs. n. 267 del 2000, e cioe'  del  divieto
di azioni esecutive individuali, per  l'adempimento  di  obbligazioni
sorte per fatti o atti avvenuti in epoca  antecedente  al  28  aprile
2008, anche se accertati con sentenze passate in giudicato  in  epoca
successiva a tale data - si  porrebbero  in  contrasto  con  numerosi
parametri costituzionali. 
    2.1.- Sarebbero violati  innanzitutto  gli  artt.  3,  97,  primo
comma, 114, 118 e 119 Cost., giacche' le  norme  censurate  avrebbero
introdotto  un  sistema  che,  irragionevolmente  e  in  deroga  alla
disciplina sul dissesto degli enti locali, prevede, in  luogo  di  un
criterio per la definizione della massa  debitoria,  un  criterio  di
imputazione ex post delle obbligazioni alla gestione commissariale. 
    In  tal  modo  non  sarebbe  possibile  raggiungere  la  certezza
sull'entita' dell'indebitamento, e la stessa  gestione  commissariale
presenterebbe una indeterminatezza  temporale  incompatibile  con  il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione, oltre che
lesiva dell'autonomia dell'ente locale. 
    2.2.- Sarebbero violati gli artt. 2, 3, 24, 103, 113 e 117, primo
comma, Cost., quest'ultimo parametro con l'interposizione degli artt.
6, comma 1, e 13 della Convenzione EDU, in quanto le norme  censurate
inciderebbero retroattivamente,  senza  giustificazione,  su  diritti
riconosciuti con sentenze passate in giudicato prima dell'entrata  in
vigore dell'art. 4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010. 
    Pur senza disconoscere  i  diritti  accertati  giudizialmente,  e
senza incidere sul contenuto dei medesimi, il divieto di procedere in
executivis per i crediti  derivanti  da  obbligazioni  che  rientrano
nella competenza della gestione commissariale  agirebbe  sul  diverso
piano della effettivita' della tutela giurisdizionale, negandola. 
    2.3.- L'incidenza sulla effettivita' della tutela giurisdizionale
determinerebbe, per un verso, la violazione degli artt. 101, 102, 104
e 108, secondo comma, Cost., a causa della lesione delle  prerogative
dell'autorita' giudiziaria, e, per altro verso, degli artt. 3,  24  e
41, primo comma, Cost.,  in  ragione  del  pregiudizio  al  legittimo
affidamento che i creditori del Comune  di  Roma  hanno  riposto  nel
positivo svolgimento dell'attivita' difensiva, finalizzata a tutelare
in giudizio i propri interessi. Il Consiglio  di  Stato  richiama  in
proposito la ratio decidendi della sentenza n. 364 del 2007 di questa
Corte. 
    2.4.- E' infine prospettato  il  contrasto  tra  le  disposizioni
censurate e gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo  in
relazione  all'art.  1  del   primo   Protocollo   addizionale   alla
Convenzione EDU, sul rilievo  che,  per  effetto  del  rinvio  ad  un
termine incerto, senza distinzioni in ordine alla natura dei  crediti
insorti in data anteriore al 28 aprile 2008, sarebbe leso il  diritto
alla   corresponsione    dell'indennita'    di    esproprio,    quale
indispensabile presupposto del  legittimo  esercizio  della  potesta'
ablatoria. Nemmeno si  potrebbe  parlare  di  serio  ristoro  per  la
perdita  della  proprieta',   a   fronte   di   una   indennita'   di
espropriazione che  non  possa  essere  «materialmente  e  celermente
conseguita». 
    3.- Il TAR Lazio prospetta  ulteriori  questioni  in  riferimento
agli artt. 41, primo comma, e 42, secondo e terzo comma, Cost. 
    Le norme censurate avrebbero sottratto valore al titolo esecutivo
che incorpora il diritto di credito, da considerarsi bene negoziabile
sul  mercato,  e  quindi   violerebbero   il   regime   di   garanzie
costituzionali  che  assicura  il  libero  esercizio   dell'attivita'
economica e la tutela della proprieta' privata. 
    3.1.- Sarebbe inoltre leso il sistema delle garanzie  processuali
configurato dagli artt. 24, primo comma, 25,  secondo  comma,  e  113
Cost., in quanto le disposizioni censurate impedirebbero  l'esercizio
del diritto di azione, al tempo stesso imponendo al giudice  naturale
di dichiarare  estinta  la  procedura  esecutiva,  con  l'effetto  di
escludere la tutela giurisdizionale dei diritti vantati nei confronti
del Comune di Roma. 
    3.2.- Sussisterebbe, infine, un contrasto tra le norme  censurate
e l'art. 97, primo comma, Cost., in quanto  il  blocco  delle  azioni
esecutive,   e   la    connessa    riduzione    di    responsabilita'
dell'amministrazione debitrice, finirebbero per premiare  l'Ente  che
ha mal gestito le proprie risorse. 
    4.-  In  ragione  della  parziale   identita'   delle   questioni
sollevate, i giudizi debbono essere riuniti per essere  definiti  con
unica decisione. 
    5.-  Preliminarmente  deve  essere   esaminata   l'eccezione   di
inammissibilita' delle questioni, sollevata dalla difesa dello  Stato
intervenuta in entrambi i giudizi incidentali. 
    Si assume  dall'Avvocatura  generale  una  carenza  motivazionale
delle ordinanze di rimessione, con riferimento alla  rilevanza  delle
questioni nei giudizi a quibus, entrambi di ottemperanza. 
    In   particolare,   i   rimettenti    avrebbero    motivato    la
pregiudizialita' delle questioni sul presupposto che  il  divieto  di
azioni  esecutive  individuali,   sancito   dalle   norme   censurate
attraverso il richiamo all'art. 248 del d.lgs. n. 267  del  2000,  si
applichi anche al giudizio di ottemperanza,  e  quindi  identificando
quest'ultimo con le azioni esecutive. 
    Viceversa, secondo la difesa statale, tale parificazione  sarebbe
erronea,  stante  la  diversita',  per  finalita'  e  struttura,  che
segnerebbe il giudizio di ottemperanza rispetto all'ordinaria  azione
esecutiva. 
    In tal senso l'Avvocatura richiama i piu' recenti  arresti  della
giurisprudenza amministrativa (Adunanza  Plenaria  del  Consiglio  di
Stato, decisione n. 2 del 2013, che richiama le decisioni n. 2, n. 18
e n. 24 del 2012), osservando come, dall'esame  della  disciplina  di
cui agli artt. 112 e seguenti del decreto legislativo 2 luglio  2010,
n. 104 (Codice del processo amministrativo), emergerebbe il contenuto
composito del giudizio di ottemperanza, nel quale  convergono  azioni
diverse, non solo di mera esecuzione  di  sentenze  di  condanna  nei
confronti della pubblica amministrazione, ma anche di cognizione. 
    Ne deriverebbe che il divieto di  azioni  esecutive  individuali,
imposto  dalla  normativa  censurata  a  tutela  della  par  condicio
creditorum, non avrebbe ragione d'essere a fronte  di  una  pronuncia
che ammettesse al passivo  della  gestione  straordinaria  i  crediti
portati dalla sentenza oggetto di ottemperanza. 
    In definitiva, ad  avviso  della  difesa  statale,  la  normativa
censurata  non  avrebbe   reso   gli   odierni   giudizi   a   quibus
inammissibili, come invece ritenuto dai rimettenti. 
    5.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    La normativa censurata, pur con varianti significative,  richiama
la disciplina sul dissesto degli enti locali, e in  particolare,  per
quello che qui rileva,  il  principio  di  concorsualita'  che  rende
effettiva l'uguaglianza tra i creditori. 
    Con orientamento consolidato,  la  giurisprudenza  amministrativa
ritiene  che  la  tutela  della  concorsualita'  comporti,  in  linea
generale, il divieto del ricorso in ottemperanza,  in  quanto  misura
coattiva di soddisfacimento individuale del creditore  (ex  plurimis,
Consiglio di Stato, sentenza n. 8363 del 2010). 
    Tale affermazione non e' incompatibile con quanto ritenuto  dalla
stessa  giurisprudenza  amministrativa  a  proposito  del   contenuto
composito del giudizio di ottemperanza, e difatti si e' affermato  da
tempo (Adunanza Plenaria, decisione n. 4 del 1998) che la  disciplina
sul dissesto degli enti locali, mentre inibisce le  azioni  esecutive
pure, ammette quelle a contenuto di cognizione,  quale,  ad  esempio,
l'azione volta a quantificare le somme effettivamente dovute in  base
ad un giudicato che si sia limitato a fissare i criteri  generali  di
determinazione del dovuto, allo scopo  di  segnalarne  l'esistenza  e
l'importo al commissario straordinario. 
    Diversamente,  a  fronte  della  richiesta  di   esecuzione   del
giudicato  di  condanna  nei  termini  rappresentati  dagli   odierni
rimettenti, il divieto di azioni esecutive non  puo'  che  comportare
l'inammissibilita' del ricorso in ottemperanza. 
    Quanto detto vale innanzitutto per il giudizio  pendente  davanti
al Consiglio di Stato, la cui definizione stragiudiziale, intervenuta
medio tempore, non incide sulla rilevanza  delle  questioni,  per  il
principio di autonomia del giudizio incidentale  (ex  plurimis  e  da
ultimo, sentenza n. 274 del 2011), ma  vale  anche  per  il  giudizio
pendente dinanzi al TAR Lazio. 
    A tale proposito va chiarito che il rimettente  ha  motivato  non
implausibilmente sulla rilevanza,  avendo  dato  atto  che  la  parte
ricorrente,  prima  di  chiedere  l'ottemperanza  della  sentenza  di
condanna generica, ha inutilmente invitato il Comune di Roma a  darvi
esecuzione, secondo quanto stabilito dal previgente art. 35, comma 2,
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove  disposizioni  in
materia  di  organizzazione   e   di   rapporti   di   lavoro   nelle
amministrazioni pubbliche, di  giurisdizione  nelle  controversie  di
lavoro e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in  attuazione
dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), ed oggi
previsto dall'art. 34, comma 4, del d.lgs. n. 104 del  2010.  Ne'  e'
consentito censurare, in sede di controllo sulla rilevanza, la scelta
del rimettente di non provvedere a quantificare l'importo dovuto,  in
base ai criteri fissati nella sentenza di condanna generica, prima di
sollevare le questioni aventi ad oggetto  norme  che  impediscono  di
dare esecuzione al giudicato di condanna. 
    6.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 78, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 112 del 2008 non e'
fondata. 
    6.1.- I rimettenti censurano la norma indicata relativamente alla
sola previsione che sancisce - mediante il  rinvio  agli  artt.  248,
commi 2, 3 e 4, e 255, comma 12, del d.lgs. n.  267  del  2000  -  il
divieto di azioni esecutive individuali, e l'art. 4, comma 8-bis, del
d.l. n. 2 del 2010, nella parte in cui interpreta l'art. 78, comma 3,
del d.l. n. 112 del 2008, nel senso che sono imputate  alla  gestione
straordinaria del Comune di Roma le obbligazioni nascenti da  atti  o
fatti precedenti al 28 aprile 2008, anche se accertate  con  sentenze
diventate definitive successivamente a tale data. 
    I rimettenti danno atto, altresi', che i crediti accertati  dalle
sentenze oggetto di ottemperanza nei rispettivi  giudizi  sono  sorti
prima del 28 aprile 2008,  mentre  i  rispettivi  giudicati  si  sono
formati prima  dell'entrata  in  vigore  della  norma  interpretativa
(inserita dalla legge di  conversione  n.  42  del  2010).  L'oggetto
centrale delle censure e' quindi l'estensione del divieto  di  azioni
esecutive individuali ai crediti accertati con  sentenze  passate  in
giudicato prima del 26 marzo 2010. Vi sarebbe stata dunque violazione
del giudicato, in quanto la norma contenuta nell'art. 4, comma 8-bis,
del d.l. n. 2 del  2010,  definita  dalla  stessa  disposizione  come
interpretativa, avrebbe in realta'  natura  innovativa  ed  efficacia
retroattiva. 
    Oggetto di censura  e',  piu'  in  generale,  l'intera  procedura
commissariale,   ritenuta   irragionevole,   anche   per   l'asserita
indeterminatezza  temporale  della  stessa  e   per   la   violazione
dell'effettivita' della tutela giurisdizionale dei crediti. 
    6.2.- In particolare, i rimettenti pongono  in  rilievo  in  modo
critico la deroga, contenuta nella normativa censurata, all'art.  254
del d.lgs. n. 267 del 2000, e  cioe'  la  mancata  previsione  di  un
avviso pubblico ai fini della ricognizione dei debiti. 
    Si  deve  osservare   che   la   deroga   trova   giustificazione
nell'introduzione con legge - atto munito di  pubblicita'  legale  ed
assistito da presunzione di conoscenza - della gestione commissariale
del debito pregresso del Comune di Roma, in luogo della dichiarazione
di dissesto, assunta, nella generalita' dei casi,  con  delibera  del
consiglio comunale, atto  privo  delle  medesime  caratteristiche  di
pubblicita' della legge. 
    6.3.- Con riferimento alla "singolarita'"  della  disciplina  sul
risanamento del Comune  di  Roma,  occorre  rilevare  che  la  stessa
presenta profili derogatori  rispetto  alla  normativa  generale  sul
dissesto degli enti locali in ragione della peculiarita' del suddetto
Ente, quale «capitale della Repubblica», sancita dall'art. 114, terzo
comma, Cost., che ha trovato attuazione nei  decreti  legislativi  17
settembre 2010, n. 156 (Disposizioni recanti attuazione dell'articolo
24 della legge 5 maggio 2009, n. 42 e  successive  modificazioni,  in
materia di ordinamento transitorio di  Roma  Capitale)  e  18  aprile
2012, n. 61 (Ulteriori disposizioni recanti attuazione  dell'art.  24
della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento  di  Roma
Capitale). 
    Il legislatore ha inteso evitare una  dichiarazione  di  dissesto
che  investisse,  puramente  e  semplicemente,  il  Comune  di   Roma
Capitale, optando per una procedura di risanamento da porre in essere
mediante  una  gestione  straordinaria   dell'ingente   indebitamento
pregresso, da espletarsi in modo contestuale all'attivita'  ordinaria
dell'ente. Cio' allo scopo di non incidere, nei limiti del possibile,
sul livello dei servizi della Capitale,  senza  tuttavia  creare  una
situazione deteriore per i creditori del Comune di Roma,  rispetto  a
quelli di altri Comuni d'Italia dichiarati in  stato  di  dissesto  e
assoggettati pertanto alla procedura concorsuale prevista dagli artt.
248, commi 2, 3 e 4, e 255, comma 12, del d.lgs. n. 267 del 2000,  le
cui statuizioni peraltro si ispirano, quanto  al  divieto  di  azioni
esecutive individuali, a quelle contenute negli artt. 51  e  seguenti
del r.d. 16 marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato  preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e   della
liquidazione coatta amministrativa), finalizzate a garantire  la  par
condicio creditorum. 
    6.4. -  Alla  luce  della  giurisprudenza  di  questa  Corte,  la
legittimita' delle  cosiddette  leggi-provvedimento,  che  contengono
disposizioni dirette a destinatari determinati, deve essere  valutata
in relazione al loro specifico contenuto (ex  plurimis,  sentenza  n.
270 del 2010). Nel caso in esame, la deroga alla disciplina  generale
del dissesto degli enti locali  si  limita  all'introduzione  di  una
doppia  gestione  (ordinaria  e  commissariale),  volta  a  mantenere
indenni  dal  peso  di  debiti   pregressi   le   risorse   destinate
all'attivita'   ordinaria   del   Comune   di   Roma   Capitale,   in
considerazione del rilievo del tutto peculiare di  quest'ultimo,  sia
in campo nazionale che internazionale. Per conseguire tale  scopo  e'
indispensabile stabilire una data precisa (individuata nel 28  aprile
2008),  al  fine  di  determinare  una  separazione   temporale   tra
obbligazioni  ad  essa  precedenti,  i  cui  effetti  ricadono  sulla
gestione commissariale, e obbligazioni successive, i cui effetti sono
imputati alla gestione ordinaria. Si deve,  in  definitiva,  ritenere
che l'art. 78, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 112 del  2008  sia
coerente con la ratio che presiede  alle  funzioni  ed  all'attivita'
dell'organo straordinario di liquidazione, di cui all'art. 245 e agli
artt. 252 e seguenti del d.lgs. n. 267 del 2000,  con  la  differenza
della contestualita' di gestione ordinaria e commissariale,  volta  a
preservare la prima dal dissesto. 
    6.5.- Per quanto riguarda la posizione  dei  creditori,  si  puo'
ritenere valido anche per il presente caso  quanto  questa  Corte  ha
affermato  sulla  compatibilita'   costituzionale   delle   procedure
concorsuali  per  la  definizione  del  debito  degli   enti   locali
dissestati: «Non vi e' lesione  del  diritto  di  azione  perche'  la
pretesa creditoria all'esecuzione forzata non  e'  frustrata,  ma  e'
meramente deviata da uno  strumento  di  soddisfacimento  individuale
verso uno di  tipo  concorsuale»;  il  rispetto  della  par  condicio
creditorum  «costituisce  ragione  sufficiente  di  tale   meccanismo
sostitutorio dello strumento di tutela  approntato  dall'ordinamento»
(sentenza n. 155 del 1994). Come si e' ricordato sopra, i principi di
riferimento sono quelli della  disciplina  del  fallimento,  adattati
alla specifica natura dell'ente  locale,  che  non  puo'  cessare  di
esistere,  in  quanto  espressione  di  autonomia  costituzionalmente
tutelata. Gli stessi principi sono stati  ribaditi  piu'  di  recente
dalla sentenza n. 355 del 2006. 
    6.6.- Quanto alla  garanzia  dei  creditori  rappresentata  dalla
massa attiva della gestione  commissariale,  si  deve  ricordare  che
l'art. 78, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 ha previsto che tutte le
entrate di competenza, riferibili ad atti o fatti antecedenti  al  28
aprile 2008, fossero assunte, con bilancio  separato,  alla  suddetta
gestione. 
    Il d.P.C.m. 5 dicembre 2008 ha stabilito che  all'attuazione  del
piano di rientro si provvede mediante utilizzo dei contributi, di cui
all'art. 5, comma  3,  del  decreto-legge  7  ottobre  2008,  n.  154
(Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e  in
materia di regolazioni contabili con le autonomie locali), convertito
dalla legge  4  dicembre  2008,  n.  189.  Si  tratta  delle  risorse
assegnate  ai  singoli  Comuni,  a  valere  sul  fondo  per  le  aree
sottoutilizzate, che possono essere impiegate anche per le  finalita'
inerenti al  ripiano  delle  anticipazioni  della  Cassa  depositi  e
prestiti alla gestione commissariale. La stessa disposizione prevede:
«In sede di attuazione dell'art. 119 della Costituzione, a  decorrere
dall'anno 2010, viene riservato prioritariamente  a  favore  di  Roma
Capitale un contributo annuale di 500  milioni  di  euro,  anche  per
finalita' previste dal presente comma  [ripiano  delle  anticipazioni
della  Cassa  depositi  e  prestiti],   nell'ambito   delle   risorse
disponibili». Lo stesso d.P.C.m. 5 dicembre 2008  stabilisce  che  il
commissario straordinario  puo'  chiedere  finanziamenti  alla  Cassa
depositi e prestiti o a primari istituti di credito e che,  poi,  «il
Ministero competente alla gestione dei capitoli di  spesa,  ove  sono
contabilizzati  i  trasferimenti  pluriennali,   corrisponde   questi
ultimi, alle originarie scadenze, direttamente alla Cassa depositi  e
prestiti o all'istituto di credito a titolo di progressiva estinzione
dei finanziamenti concessi». Si deduce, pertanto,  che  il  piano  di
rientro e' finanziato  con  i  trasferimenti  pluriennali  dovuti  al
Comune di Roma. 
    Inoltre, l'art. 4, commi 7 e 8, del d.l. n. 2  del  2010  dispone
che «e' attribuito al Commissario straordinario del Governo [...]  un
importo pari a 600 milioni di euro, di cui un sesto al Comune di Roma
e cinque sesti al Commissario straordinario del  Governo».  Ulteriori
interventi sono stati effettuati con il decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e  di
competitivita' economica), che, all'art. 14,  comma  14,  prevede  la
costituzione di  un  fondo  su  apposito  capitolo  di  bilancio  del
Ministero dell'economia e delle finanze, con dotazione annua  di  300
milioni di euro, a partire dal 2011,  per  il  concorso  al  sostegno
degli oneri  derivanti  dall'attuazione  del  piano  di  rientro.  La
restante quota delle somme occorrenti alla scopo e' reperita mediante
l'istituzione, fino al conseguimento di 200 milioni di euro annui, di
una addizionale sui diritti di imbarco  dei  passeggeri  in  partenza
dagli aeroporti di Roma e  mediante  un  incremento  dell'addizionale
comunale IRPEF fino al massimo dello 0,4%. Il  comma  15  del  citato
art. 14 prevede  ancora  l'istituzione  di  un  apposito  fondo,  con
dotazione di 200  milioni  di  euro  annui,  a  decorrere  dal  2011,
destinato esclusivamente all'attuazione del piano di rientro. 
    Infine, l'art. 16, comma 12-octies, del  decreto-legge  7  agosto
2012, n. 95  (Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  7
agosto 2012, n. 135, prevede che il  fondo  istituito  dall'art.  14,
comma 14-bis, del d.l. n. 78 del 2010 e'  attribuito  al  Commissario
straordinario. Il fondo in questione, inizialmente previsto a  favore
di tutti i Comuni in stato di dissesto, e' stato istituito presso  il
Ministero dell'economia e delle finanze,  con  una  dotazione  di  50
milioni di euro annui, a decorrere dal 2011. 
    I dati normativi prima esposti dimostrano  che  la  provvista  di
mezzi finanziari per fronteggiare la situazione debitoria del  Comune
di Roma non solo non e' inferiore a quella che si  determina  con  la
formazione della massa attiva degli enti locali in dissesto,  secondo
la  disciplina  generale  del  d.lgs.  n.  267  del  2000,  ma  viene
periodicamente impinguata - per effetto di precise disposizioni -  da
appositi stanziamenti, erogati non solo  una  tantum,  ma  anche  con
cadenza annua. Da cio' deriva la  conseguenza  che  i  creditori  del
Comune di Roma, che  devono  soddisfarsi  sulla  massa  attiva  della
gestione commissariale, possono contare sull'intervento dello  Stato,
che emerge dalle norme prima citate, e non si trovano pertanto in una
condizione deteriore rispetto a quelli che devono far valere le  loro
pretese nei confronti di enti locali in stato di dissesto dichiarato. 
    7.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010 non e' fondata. 
    7.1.- Si e' gia' posto in rilievo,  nel  paragrafo  6.4,  che  la
scelta legislativa, in se' non irragionevole, di creare una  gestione
commissariale con bilancio separato rispetto a quella ordinaria, allo
scopo di fronteggiare la situazione debitoria  del  Comune  di  Roma,
richiede la fissazione di una data  certa,  in  modo  da  individuare
quali obbligazioni ricadano nell'una e nell'altra gestione. La  norma
censurata non possiede valore  innovativo  rispetto  a  tale  regola,
stabilita dall'art. 78 del d.l. n. 112  del  2008,  ma  si  limita  a
rendere esplicito un significato  che  gia'  si  poteva  ricavare  da
questa disposizione. La precisazione si e' resa necessaria perche' di
fatto - come emerge dai  lavori  parlamentari  -  si  era  proceduto,
talvolta, al pagamento di debiti nascenti da  obbligazioni  sorte  in
data  anteriore  al  28  aprile  2008  con  i  fondi  della  gestione
ordinaria. 
    Si deve ribadire che in una procedura concorsuale - tipica di uno
stato di dissesto - una norma che ancori ad una certa data il fatto o
l'atto genetico dell'obbligazione e' logica  e  coerente,  proprio  a
tutela dell'eguaglianza tra i creditori, mentre  la  circostanza  che
l'accertamento del credito intervenga successivamente e'  irrilevante
ai  fini  dell'imputazione.  Sarebbe  irragionevole   il   contrario,
giacche' farebbe difetto una regola precisa per individuare i crediti
imputabili alla gestione commissariale o a quella ordinaria  e  tutto
sarebbe affidato alla casualita' del  momento  in  cui  si  forma  il
titolo esecutivo, anche all'esito di  una  procedura  giudiziaria  di
durata non prevedibile. La fissazione di una data per distinguere  le
due  gestioni  avrebbe  un  valore  soltanto  relativo,  ne'  sarebbe
perseguito in modo efficace l'obiettivo di tenere indenne la gestione
ordinaria di Roma Capitale dagli effetti del debito pregresso, con la
conseguenza paradossale che si  alleggerirebbe  la  situazione  della
gestione commissariale e si rischierebbe il dissesto  della  gestione
ordinaria,  con  la  inevitabile  compromissione  dei  servizi  della
capitale della  Repubblica,  che  il  legislatore  ha  voluto  invece
evitare. 
    In  questa  prospettiva   risulta   evidente   che   l'intervento
legislativo non ha inciso sui giudizi in corso, alterandone  l'esito.
Il criterio di imputazione delle obbligazioni, gia' fissato dall'art.
78, comma 3, del  d.l.  n.  112  del  2008,  impediva  che  i  titoli
esecutivi in esame potessero  essere  azionati  individualmente,  nei
confronti di Roma Capitale, perche' formatisi per obbligazioni  sorte
antecedentemente alla data del 28 aprile 2008,  e  dunque  imputabili
alla gestione commissariale. 
    7.2.-  Non  e'  condivisibile  l'argomento,  svolto  dalla  parte
privata costituita nel giudizio r.o. n. 252 del 2012, secondo cui  il
contenuto innovativo  dell'art.  4,  comma  8-bis,  risiederebbe  nel
riferimento anche alle  obbligazioni  di  origine  non  contrattuale.
Sarebbe infatti irragionevole concepire  una  gestione  straordinaria
per il rientro dal debito pregresso,  improntata  ai  principi  della
concorsualita', che distingua le obbligazioni non in base al tempo in
cui sono sorte, ma alla natura del fatto  o  dell'atto  genetico.  E'
vero, al contrario, che l'elemento differenziale, sul quale  si  puo'
basare una procedura  concorsuale,  e'  solo  quello  temporale,  che
consente di rispettare il principio di eguaglianza tra  i  creditori,
assicurando eguale trattamento a tutti quelli che  hanno  ragioni  di
credito sorte prima della data del fallimento, della dichiarazione di
dissesto o della diversa data fissata dal legislatore nei casi - come
il presente - di procedure particolari. 
    7.3.- Il caso oggetto del presente giudizio e' diverso da  quello
risolto con la sentenza n. 364 del 2007, invocata  dai  rimettenti  a
sostegno delle sollevate questioni. In  quel  giudizio,  difatti,  il
legislatore era intervenuto, con norma  retroattiva,  per  trasferire
alla  gestione  liquidatoria  della  disciolta  Azienda   Policlinico
Universitario Umberto I di Roma l'esecuzione dei titoli formatisi nei
confronti della  nuova  Azienda  Policlinico  Umberto  I,  senza  che
quest'ultima avesse eccepito,  nel  corso  dei  giudizi,  il  proprio
difetto di legittimazione passiva basato sul  criterio  temporale  di
imputazione dei crediti tra le due aziende che si erano succedute nei
rapporti  contrattuali  in  corso.  Tale  criterio  trovava  il   suo
riferimento certo nella data  di  istituzione  della  nuova  Azienda.
Tuttavia i giudicati si erano formati - per il motivo prima ricordato
- nei confronti di quest'ultima, con l'effetto che la sentenza citata
ha considerato lesiva delle prerogative dell'autorita' giudiziaria la
sostituzione di un debitore individuato come tale da sentenze passate
in giudicato con un altro, designato ex post dal legislatore. 
    Di recente, con la sentenza n. 277  del  2012,  questa  Corte  e'
intervenuta  su  un  caso  analogo  a   quello   appena   richiamato,
nell'ambito  della  successione  tra  Fondazione  Ordine   Mauriziano
(sottoposta  a  procedura  di  liquidazione  concorsuale)  e  Azienda
Sanitaria Ordine Mauriziano. 
    Si e' rilevato nella citata pronuncia che,  mentre  la  normativa
originaria aveva escluso che la  Fondazione  rispondesse  dei  debiti
sorti tra novembre 2004 e gennaio  2005,  la  norma  censurata  aveva
invertito la regola e aveva cosi' paralizzato l'efficacia dei  titoli
esecutivi formatisi nei  confronti  della  nuova  Azienda.  Anche  in
questo caso, la  Corte  ha  ribadito  che  il  legislatore  non  puo'
incidere sul soggetto nei cui confronti si sono formati provvedimenti
giurisdizionali definitivi, sostituendolo con un altro. 
    In conclusione, la situazione della  gestione  commissariale  del
Comune di Roma differisce  -  come  s'e'  detto  -  da  quelle  prima
ricordate, per alcuni profili essenziali. Non vi e'  una  successione
di soggetti giuridici, giacche' il debitore rimane soltanto il Comune
di Roma, nei cui confronti si  sono  formati  i  giudicati.  Solo  le
azioni esecutive sono distinte in base alla data del 28 aprile  2008,
senza peraltro  che  la  norma  di  interpretazione  autentica  abbia
sostituito un altro soggetto a quello individuato nelle sentenze, ne'
abbia modificato il criterio di imputazione stabilito originariamente
dall'art. 78 del d.l. n. 112 del 2008. 
    7.4.- Risultano  non  fondate,  infine,  le  questioni  poste  in
riferimento ai parametri interni  e  convenzionali  che  tutelano  la
proprieta'  privata,  imponendo,  nel  caso  di  espropriazione   per
pubblica utilita', la corresponsione di un indennizzo  che  equivalga
ad un serio ristoro per la perdita del diritto reale. 
    Il principio  della  par  condicio  creditorum  impedisce  che  i
crediti sorti a seguito di procedimenti di espropriazione ricevano un
trattamento diverso dagli altri,  e  la  nozione  di  serio  ristoro,
richiamata dai rimettenti in riferimento all'indennita' spettante  ai
proprietari, attiene alla quantificazione di quest'ultima,  non  gia'
alle modalita' di conseguimento della stessa. 
    Ne' la negoziabilita'  dei  titoli  esecutivi  viene  compromessa
dalla normativa in esame, giacche' e' sempre possibile la cessione  a
terzi di  crediti  maturati  e  asseverati  da  sentenze  passate  in
giudicato. Tali crediti, infatti, non sono stati «espropriati», ma e'
stata stabilita soltanto una  particolare  modalita'  di  riscossione
degli stessi. 
    7.5.-  Per  le  motivazioni  sopra  esposte,  le   questioni   di
legittimita' costituzionale sollevate da entrambi  i  rimettenti  non
sono fondate in riferimento a tutti i parametri evocati.