ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  80,
comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2001), promosso dal Tribunale  ordinario  di  Urbino  nel
procedimento  vertente  tra  D.H.  e   l'Istituto   nazionale   della
previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 19 luglio 2011, iscritta
al n. 278 del registro ordinanze 2011  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  2,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2012. 
    Visto l'atto di costituzione dell'INPS; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  19  giugno  2013  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    udito l'avvocato Clementina Pulli per l'INPS. 
    Ritenuto che, con ordinanza del  19  luglio  2011,  il  Tribunale
ordinario di Urbino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3,  32
e 117, primo comma, della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 80, comma 19, della  legge  23  dicembre
2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001),  «nella  parte  in
cui subordina la concessione dell'assegno sociale al  possesso  della
carta di soggiorno e, dunque, anche del requisito  della  durata  del
soggiorno medesimo nel territorio dello Stato»; 
    che il giudice a quo ha premesso di essere  stato  investito  del
ricorso proposto da persona titolare di  permesso  di  soggiorno,  la
quale si e' vista revocare dall'Istituto nazionale  della  previdenza
sociale (INPS) il beneficio dell'assegno sociale di  cui  all'art.  3
della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare), del quale aveva  sino  allora  goduto,
«per mancanza del requisito della permanenza minima in Italia»; 
    che la ricorrente deduceva di  essere  titolare  di  permesso  di
soggiorno  rilasciatole  in  quanto  madre  convivente  di  cittadina
italiana e che tale permesso, essendo l'unico previsto per  casi  del
genere,  legittimava  la  ricorrente  medesima  alla  percezione  del
beneficio, a nulla rilevando il requisito della permanenza in Italia; 
    che l'INPS, a sua volta, deduceva che, a norma della disposizione
qui  denunciata,  la  concessione  del  beneficio  sarebbe,   invece,
subordinata alla titolarita'  del  permesso  di  soggiorno  di  lungo
periodo, il quale presuppone la permanenza in Italia da almeno cinque
anni; 
    che, nel caso di specie, non essendo  contestata  la  sussistenza
del requisito sanitario in capo alla ricorrente, verrebbe in  rilievo
soltanto la mancanza del requisito  della  permanenza  in  Italia  da
almeno  cinque  anni,  previsto  per  il  rilascio  del  permesso  di
soggiorno di lunga durata, ancorche' il  soggiorno  della  ricorrente
non possa reputarsi meramente episodico; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza della  questione,  il
giudice rimettente sottolinea come i profili reddituali, di cui  alla
disciplina  censurata,  siano  stati  gia'  esaminati  e   dichiarati
costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 306 del 2008 e come
quelli relativi al requisito della durata del soggiorno  siano  stati
oggetto delle sentenze n. 187 del 2010 e n. 11 del 2009, risultando i
principi affermati nella prima delle citate pronunce applicabili  nel
caso di specie, dal momento che anche per l'assegno  sociale  sarebbe
ravvisabile la essenziale funzione di sostentamento degli anziani con
basso reddito; 
    che, di conseguenza, la disposizione censurata,  subordinando  la
concessione dell'indennita' per gli stranieri  a  un  requisito  «non
afferente alle mere condizioni soggettive», si porrebbe in  contrasto
con l'art. 14 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (CEDU),  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed  esecuzione
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950  e  del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi  il
20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte di Strasburgo, e dunque
con l'art. 117, primo comma, Cost.; 
    che,  d'altra  parte  -  risultando  impossibile   adottare   una
interpretazione  costituzionalmente  orientata   o   procedere   alla
disapplicazione  della  disposizione  denunciata,  la  quale  neppure
potrebbe  considerarsi  espunta  dall'ordinamento  ad   opera   delle
precedenti declaratorie di  illegittimita'  costituzionale,  limitate
alle prestazioni in quelle decisioni esaminate  -,  sussisterebbe  un
contrasto anche con l'art. 3 Cost.,  realizzandosi  una  evidente  ed
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  in  ordine   a   diritti
fondamentali della persona tra cittadini  e  stranieri,  nonche'  con
l'art. 32 Cost., negandosi  la  tutela  del  diritto  alla  salute  a
parita' di condizioni ai cittadini stranieri legalmente  soggiornanti
nel territorio dello Stato; 
    che si e' costituito in giudizio  l'INPS,  il  quale  ha  chiesto
dichiararsi infondata la proposta questione; 
    che,  secondo  l'Istituto  resistente,  il  diritto   all'assegno
sociale sarebbe subordinato,  a  partire  dal  1°  gennaio  2009,  al
possesso del requisito del soggiorno continuativo e legale in  Italia
per almeno dieci anni, secondo quanto previsto  dall'art.  20,  comma
10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  (Disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008,  n.  133,
diversamente da quanto  previsto  dalla  disposizione  impugnata,  la
quale aveva ammesso al beneficio in questione gli stranieri  titolari
della  carta  di  soggiorno  (ora  permesso  di  soggiorno   CE   per
soggiornanti di lungo periodo), ottenibile da chi possieda da  almeno
cinque anni un regolare permesso di soggiorno; 
    che tale limitazione  sarebbe  in  linea  con  la  giurisprudenza
costituzionale che consente  di  introdurre  restrizioni  in  ragione
delle limitate risorse finanziarie, pur nel rispetto del principio di
ragionevolezza; 
    che  non  sarebbe  sindacabile  la  scelta  del  legislatore   di
differenziare le prestazioni e di stabilire che quelle piu' rilevanti
possano essere concesse solo agli stranieri residenti  in  Italia  da
piu' tempo  e  con  maggiore  stabilita',  in  relazione  anche  alla
disciplina per l'ottenimento della cittadinanza; 
    che la disposizione denunciata non si porrebbe, poi, in contrasto
con  l'ordinamento  comunitario,  non  essendo  le  disposizioni   di
quest'ultimo applicabili ai cittadini di  paesi  terzi,  ne'  con  le
disposizioni della CEDU o con l'art. 10 Cost. in tema di  adeguamento
automatico, riguardante il diritto internazionale consuetudinario; 
    che  essa,  d'altra  parte,  trovandosi  inserita   nella   legge
finanziaria del  2001,  risentirebbe  dei  limiti  delle  prestazioni
connessi alle risorse finanziarie; 
    che,  in  conclusione,  il  legislatore  avrebbe   nella   specie
«correttamente previsto che l'attribuzione dei benefici assistenziali
di  natura  economica  sia  riconosciuta  solo  agli  stranieri   che
risultino stabilmente inseriti nel contesto nazionale, cosi' da poter
usufruire degli stessi vantaggi dei cittadini  in  ragione  del  loro
assoggettamento agli oneri - economici e non - ai quali questi ultimi
sono soggetti»; 
    che, con memoria depositata in prossimita'  dell'udienza,  l'INPS
ha ribadito che, con le  modifiche  introdotte  a  decorrere  dal  1°
gennaio   2009,   il   trattamento   previsto   per   lo    straniero
extracomunitario risulta  «sicuramente  piu'  favorevole  rispetto  a
quello  previsto  per  il  cittadino  italiano»,  in  riferimento  al
requisito della stabile permanenza per almeno dieci anni previsto per
ottenere la cittadinanza italiana; 
    che la circostanza che il  legislatore  abbia  richiesto  «questa
stabilita' per riconoscere benefici economici non  puo'  considerarsi
scelta irrazionale in considerazione del  fatto  che  le  prestazioni
assistenziali sono inesportabili»; 
    che, infatti, secondo la disciplina comunitaria, «le  prestazioni
speciali a carattere non contributivo», come  quella  di  prevenzione
della poverta', «sono soggette a regole speciali di  coordinamento  e
sono erogate unicamente nello Stato membro che le prevede», il  quale
potra' limitarne la  erogazione  al  proprio  territorio,  mentre  il
cittadino dell'Unione, che si sposti in altro  Stato  membro,  potra'
fruire delle provvidenze ivi previste, anche se diverse da quelle cui
precedentemente aveva diritto. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Urbino ha sollevato, in
riferimento  agli  articoli  3,  32  e  117,   primo   comma,   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria 2001), «nella  parte  in  cui  subordina  la  concessione
dell'assegno sociale al possesso della carta di  soggiorno  e  dunque
anche al requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio
dello Stato»; 
    che, a parere del giudice rimettente, tale disciplina si porrebbe
in contrasto  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 14 della CEDU, come interpretato dalla Corte di  Strasburgo,
alla luce dei principi gia' espressi da questa Corte  nella  sentenza
n. 187 del 2010, con la quale e' stata dichiarata  la  illegittimita'
costituzionale della norma in esame nella parte in cui  subordina  la
concessione  dell'assegno  mensile  di  assistenza  al  possesso  del
permesso di soggiorno di lunga durata; 
    che  sarebbe  violato  anche  l'art.  3  Cost.,  in   quanto   la
limitazione  oggetto  di  impugnativa  determinerebbe  una   evidente
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  in  ordine   a   diritti
fondamentali della persona tra cittadini italiani e stranieri; 
    che risulterebbe vulnerato, inoltre, l'art. 32 Cost.,  in  quanto
attraverso la disposizione oggetto  di  censura  verrebbe  ad  essere
negata la tutela del diritto alla salute a parita' di  condizioni  ai
cittadini stranieri  legalmente  soggiornanti  nel  territorio  dello
Stato; 
    che dalla scarna narrativa in fatto contenuta  nell'ordinanza  di
rimessione - la quale dovrebbe, al contrario, ai fini  del  controllo
sulla  rilevanza  della   questione,   offrire   una   esauriente   e
autosufficiente descrizione della fattispecie sottoposta al  giudizio
a quo - si ricava che alla ricorrente nel giudizio principale,  madre
di cittadina italiana, sarebbe stato in un primo momento riconosciuto
e successivamente "revocato"  da  parte  dell'INPS  il  beneficio  in
questione, senza che sia dato tuttavia comprendere ne' il titolo  ne'
la decorrenza di questo riconoscimento (ne' le  ragioni  del  rilievo
attribuito all'incontestata «sussistenza  del  requisito  sanitario»,
non richiesto ai fini della provvidenza), emergendo soltanto  che  il
provvedimento di "revoca" sarebbe stato adottato, il 3 marzo 2009, in
forza soltanto di una non meglio precisata  «mancanza  del  requisito
della permanenza minima in Italia»; 
    che il giudice rimettente ha mostrato di  non  essersi  posto  il
problema della eventuale applicabilita', anche solo  per  escluderla,
al caso della  medesima  ricorrente,  della  disciplina  dettata  dal
decreto  legislativo  6  febbraio  2007,  n.  30  (Attuazione   della
direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione  e
dei loro familiari di circolare  e  di  soggiornare  liberamente  nel
territorio degli Stati membri), a norma del quale (art. 14, comma  2)
il  «familiare  non  avente  la  cittadinanza  di  uno  Stato  membro
acquisisce il diritto  di  soggiorno  permanente  se  ha  soggiornato
legalmente  in  via  continuativa  per  cinque  anni  nel  territorio
nazionale unitamente al cittadino dell'Unione»; 
    che ove, infatti, la imprecisata causale della predetta  "revoca"
del beneficio da parte dell'INPS fosse, in ipotesi, consistita  nella
mancanza del requisito del soggiorno in via continuativa  per  cinque
anni, di cui al richiamato art. 14, comma  2,  del  predetto  decreto
legislativo n. 30  del  2007  -  temporalmente  identico  all'omologo
requisito prescritto per il conseguimento del permesso  di  soggiorno
CE per soggiornanti di lungo periodo, di cui alla norma impugnata  -,
sussisterebbe un'evidente  situazione  di  aberratio  ictus,  con  la
conseguente inammissibilita' della proposta questione; 
    che,  peraltro,  pur  a   voler   prescindere   dalle   descritte
incolmabili lacune, assume portata dirimente,  ai  medesimi  effetti,
l'omesso riferimento, da parte del rimettente, anche alla  disciplina
dettata dall'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112   (Disposizioni   urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale stabilisce
che «a decorrere dal  1°  gennaio  2009,  l'assegno  sociale  di  cui
all'art.  3,  comma  6,  della  legge  8  agosto  1995,  n.  335,  e'
corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano  soggiornato
legalmente in via continuativa, per almeno dieci anni nel  territorio
nazionale»; 
    che  tale  disciplina  -   le   ragioni   della   cui   eventuale
inapplicabilita' nel giudizio principale, avrebbero comunque  dovuto,
anche queste, essere esposte, almeno con un cenno -  appare  comunque
indicativa dell'orizzonte entro il quale il legislatore  ha  ritenuto
di  disporre  in  una  materia  del  tutto  singolare   come   questa
dell'assegno sociale, dal momento che il nuovo e  piu'  ampio  limite
temporale richiesto ai fini della concessione del  beneficio  risulta
riferito non solo ai cittadini extracomunitari ma anche a quelli  dei
Paesi UE e financo - stando allo stretto tenore letterale della norma
- agli stessi cittadini italiani; 
    che,  dunque,  da  un  lato,  non  risulterebbe  evocabile  alcun
elemento di discriminazione tra cittadini extracomunitari, a  seconda
che risultino  o  no  titolari  del  permesso  di  soggiorno  UE  per
soggiornanti  di  lungo  periodo,   e,   dall'altro   lato,   neppure
sussisterebbe una disparita' di trattamento tra cittadini stranieri e
italiani,  posto   che   il   requisito   temporale   del   soggiorno
riguarderebbe tutti i potenziali fruitori del beneficio; 
    che, d'altra  parte,  la  previsione  di  un  limite  di  stabile
permanenza (per dieci anni) sul territorio nazionale  come  requisito
per  ottenere  il  riconoscimento  del  predetto   beneficio   appare
adottata, piuttosto che sulla base di una scelta  di  tipo  meramente
"restrittivo", sul presupposto, per tutti «gli aventi diritto», di un
livello di radicamento piu' intenso e  continuo  rispetto  alla  mera
presenza legale nel territorio dello Stato e, del  resto,  in  esatta
corrispondenza  alla  previsione  del  termine  legale  di  soggiorno
richiesto per il conseguimento della cittadinanza italiana,  a  norma
dell'art. 9, lettera f), della legge 5 febbraio 1992,  n.  91  (Nuove
norme sulla cittadinanza); 
    che, alla luce dei riferiti rilievi, la questione  proposta  deve
essere dichiarata manifestamente inammissibile.