ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2495  del
codice civile  e  dell'art.  328  del  codice  di  procedura  civile,
promosso dalla Corte d'appello di Milano  nel  procedimento  vertente
tra Bluvacanze s.p.a. e Tabitta Daniela & C.  s.a.s.  ed  altra,  con
ordinanza del 18  aprile  2012,  iscritta  al  n.  178  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  3  luglio  2013  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che, nel corso  di  un  giudizio  civile,  la  Corte  di
appello di Milano - essendo stata eccepita  l'intervenuta  estinzione
della societa' in accomandita semplice, attrice  in  primo  grado  ed
appellata, per effetto della cancellazione dal registro delle imprese
intervenuta in data 8  aprile  2008,  antecedente  alla  proposizione
dell'appello - con ordinanza emessa il 18 aprile 2012, ha  sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della  Costituzione,  questione
di legittimita' costituzionale degli artt. 2495 del codice  civile  e
328  del  codice  di  procedura  civile,  «nella  parte  in  cui  non
prevedono, in caso  di  estinzione  della  societa'  per  effetto  di
volontaria cancellazione dal registro delle imprese, che il  processo
prosegua o  sia  proseguito  nei  gradi  di  impugnazione  da  o  nei
confronti  della  societa'  cancellata,  sino  alla  formazione   del
giudicato»; 
    che la rimettente - analizzata l'evoluzione giurisprudenziale  in
ordine  al  problema  delle  conseguenze,  sul   piano   processuale,
dell'estinzione di  societa'  per  effetto  della  cancellazione  dal
registro delle imprese - rileva che le  sezioni  unite  civili  della
Corte di cassazione (nelle sentenze 22 febbraio  2010,  n.  4060,  n.
4061 e  n.  4062)  hanno  sancito  il  principio  per  cui  la  nuova
formulazione dell'art. 2495,  secondo  comma,  cod.  civ.,  ancorche'
dettata per le sole societa' di capitali nel contesto  della  riforma
di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica
della disciplina delle societa' di capitali e  societa'  cooperative,
in attuazione della legge 3 ottobre 2001,  n.  366),  e'  applicabile
anche alle societa' commerciali di persone; sicche' la  cancellazione
della societa' ne  determina  l'estinzione,  con  effetto  immediato,
indipendentemente  dall'esistenza  di  crediti  insoddisfatti  o   di
rapporti ancora non definiti; 
    che la Corte rimettente - ritenuto che, da  un  lato,  l'avvenuta
notifica dell'appello alla societa' dovrebbe considerarsi inesistente
«per inesistenza del soggetto notificando», in quanto estinto; e che,
dall'altro lato, la notifica  dell'appello  alla  liquidatrice  della
societa'   dovrebbe   ritenersi   inammissibile,   in    quanto    la
responsabilita' di  questa  sarebbe  basata  su  diversi  presupposti
(colpevole condotta del liquidatore), che implicherebbe  una  domanda
nuova in appello - deduce che, nel giudizio a quo, resterebbe  dunque
da «stabilire se la notifica dell'atto  di  appello  effettuata  alla
socia accomandataria valga a consentire la prosecuzione del  giudizio
di primo grado in sede  di  gravame,  impedendo  il  formarsi  di  un
giudicato; ovvero, piu' correttamente,  se  il  socio  accomandatario
possa  ritenersi  "successore"  della  estinta   societa',   con   la
conseguenza di assicurare una valida pronuncia  in  sede  di  appello
sostitutiva, a tutti gli effetti,  di  quella  pronunciata  in  primo
grado nei confronti  della  societa'  estintasi  nelle  more  fra  la
sentenza di primo grado e la notificazione dell'atto di appello»; 
    che, in merito a cio', la  rimettente  esclude  che  rispetto  al
socio  illimitatamente  responsabile  (di  una   s.a.s.)   si   possa
configurare tanto una ipotesi di  successione  a  titolo  universale,
difettando i presupposti di cui all'art. 110 cod. proc. civ.,  quanto
un caso di successione a titolo particolare nel  diritto  controverso
ai sensi dell'art. 111 cod. proc. civ.; 
    che, a causa di cio'  (contrariamente  a  quanto  accadeva  prima
della novella dell'art. 2495 cod. civ.), deriverebbe l'impossibilita'
di identificare un successore nel processo e nella res litigiosa  nel
caso di avvenuta cancellazione della societa'; cosa tanto piu'  grave
quando il processo debba  proseguire  nei  gradi  di  impugnazione  e
quando   la   societa'   estintasi   sia    destinataria    dell'atto
d'impugnazione,  in  quanto  vittoriosa  nel  precedente   grado   di
giudizio, giacche', sol per effetto della  volontaria  cancellazione,
la societa' estinta potrebbe agevolmente sottrarsi alle  obbligazioni
e  finanche  impedire  la  valida  interposizione  di   un   gravame,
provocando  in   tal   modo   la   formazione   del   giudicato   per
inammissibilita' dell'impugnazione rivolta ad un  soggetto  non  piu'
esistente; 
    che tale impossibilita'  determina,  secondo  la  rimettente,  la
violazione: a) dell'art. 3 Cost., per disparita'  di  trattamento  ed
irragionevolezza, per la «evidente [...] sperequazione nella gestione
delle cause fra persone fisiche  e  persone  giuridiche,  potendo  il
rapporto processuale instauratosi con le persone fisiche  trasferirsi
in capo agli eredi, al contrario di  quanto  accade,  in  virtu'  del
novellato art. 2495 c.c., in  riferimento  alle  persone  giuridiche,
rispetto alle quali il rapporto  processuale  si  estingue  senza  la
possibilita' dell'esame dei crediti in discussione»; b) dell'art.  24
Cost., in quanto viene «concessa la facolta' a una parte di sottrarsi
ai propri obblighi con un semplice atto formale di cancellazione  dal
Registro delle imprese,  impedendosi  alla  parte  soccombente,  alla
stregua dei ricordati principii delle Sezioni Unite, di instaurare un
valido rapporto processuale  d'impugnazione,  adeguando  il  processo
alle modificazioni intervenute nel campo sostanziale»;  c)  dell'art.
111  Cost.,  poiche'  «viene  costretta  una  parte  processuale   ad
instaurare un nuovo  giudizio,  ripercorrendo  gradi  gia'  esauriti,
cosi'  determinandosi  un  indubbio  dispendio   di   energie   nella
rivalutazione di fatti gia' in precedenza vagliati e con  l'ulteriore
conseguenza dell'inevitabile protrarsi della durata del processo»; 
    che infine, secondo la rimettente, «in base  al  diritto  vivente
non  pare  possibile  fornire  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata del plesso di norme sin qui esaminate, stante  l'intervento
nomofilattico delle Sezioni Unite sia sull'estinzione della  societa'
per intervenuta cancellazione ex art. 2495 c.c.,  sia  sugli  effetti
interruttivi dell'estinzione tra un grado  e  l'altro  del  processo,
allorche' (come nella specie) noti alla parte impugnante»; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
concluso per l'inammissibilita' della sollevata questione, poiche' il
giudice a quo non si e' dato carico di  tentare  una  interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme  denunciate,  pur  possibile
nell'attuale quadro normativo e giurisprudenziale, ed in  particolare
alla stregua delle argomentazioni contenute nella  stessa  richiamata
sentenza delle sezioni unite della Cassazione 22  febbraio  2010,  n.
4060, la quale, nell'estendere anche  alle  societa'  di  persone  la
regola della cancellazione prevista  dall'art.  2495  cod.  civ.,  ha
pero' avuto cura di precisare come in questo  caso  la  cancellazione
viene ad avere natura solo dichiarativa (e non costitutiva  come  per
le societa' di capitali), da cui  discende  la  possibilita'  di  far
constatare (anche nel giudizio a quo) che nella sostanza la  societa'
non poteva ritenersi estinta, nonostante la formale cancellazione dal
registro delle imprese; 
    che, inoltre, secondo la difesa erariale, la Corte rimettente non
ha considerato che sempre la medesima sentenza  distingue  nettamente
la posizione  dei  creditori  sociali  di  una  societa'  di  persone
rispetto a quelle di capitali e  che  pertanto,  alla  luce  di  tali
affermazioni, non si vede  come  possa  pervenirsi  alla  conclusione
secondo  cui  il  socio  accomandatario  di  una  s.a.s.  non   debba
considerarsi successore a titolo universale della societa'. 
    Considerato che la  Corte  d'appello  di  Milano  censura  -  per
violazione degli artt. 3, 24 e 111 della  Costituzione  -  gli  artt.
2495 del codice civile e 328 del codice di procedura  civile,  «nella
parte in cui non prevedono, in caso di estinzione della societa'  per
effetto di volontaria cancellazione dal registro delle  imprese,  che
il processo prosegua o sia proseguito nei gradi di impugnazione da  o
nei confronti della societa' cancellata,  sino  alla  formazione  del
giudicato»; 
    che  l'art.  2495  cod.  civ.,  come   sostituito   dal   decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della  disciplina
delle societa' di capitali  e  societa'  cooperative,  in  attuazione
della legge 3 ottobre 2001, n. 366), sotto la rubrica  «Cancellazione
delle societa'» (materia precedentemente regolata dall'art. 2456 cod.
civ.), prevede che: «Approvato il bilancio finale di liquidazione,  i
liquidatori devono  chiedere  la  cancellazione  della  societa'  dal
registro  delle  imprese»  (primo  comma);  e  che,  «Ferma  restando
l'estinzione  della  societa',  dopo  la  cancellazione  i  creditori
sociali non  soddisfatti  possono  far  valere  i  loro  crediti  nei
confronti dei soci, fino  alla  concorrenza  delle  somme  da  questi
riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei  confronti
dei liquidatori, se il  mancato  pagamento  e'  dipeso  da  colpa  di
questi. La domanda, se proposta entro un  anno  dalla  cancellazione,
puo' essere notificata presso l'ultima sede della societa'»  (secondo
comma); 
    che, a sua volta, l'art. 328  cod.  proc.  civ.  (Decorrenza  dei
termini contro gli eredi della parte defunta)  stabilisce  che:  «Se,
durante la decorrenza del termine di cui all'articolo 325 [che regola
i termini per  le  impugnazioni],  sopravviene  alcuno  degli  eventi
previsti nell'art. 299 [morte o perdita della capacita' delle parti o
dei  rispettivi  rappresentanti  legali],  il   termine   stesso   e'
interrotto e il nuovo decorre dal  giorno  in  cui  la  notificazione
della sentenza e' rinnovata» (primo comma);  che  «Tale  rinnovazione
puo' essere  fatta  agli  eredi  collettivamente  e  impersonalmente,
nell'ultimo domicilio del defunto»; e che, «Se dopo  sei  mesi  dalla
pubblicazione della sentenza si verifica alcuno degli eventi previsti
nell'art. 299, il termine di cui all'articolo precedente e' prorogato
per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell'evento»; 
    che la Corte rimettente - sul rilievo che le richiamate  sentenze
22 febbraio 2010, n. 4060, n. 4061 e  n.  4062  delle  sezioni  unite
civili della Corte di cassazione hanno sancito il principio  per  cui
la nuova formulazione  dell'art.  2495,  secondo  comma,  cod.  civ.,
ancorche' dettata per le sole societa' di  capitali,  e'  applicabile
anche alle societa' commerciali di persone: sicche' la  cancellazione
dal  registro  delle  imprese  determina,  con   effetto   immediato,
l'estinzione    delle    societa'     medesime,     indipendentemente
dall'esistenza di crediti insoddisfatti  o  di  rapporti  ancora  non
definiti - afferma  la  rilevanza  della  questione,  in  quanto  nel
giudizio a quo si pone  il  problema  delle  conseguenze,  sul  piano
processuale, della «estinzione della  s.a.s.  appellata  per  effetto
della cancellazione dal registro delle imprese intervenuta  in  tempo
precedente alla proposizione dell'appello»; 
    che, realizzatosi un evento interruttivo, la  rimettente  ritiene
che  resti  da  «stabilire  se  la  notifica  dell'atto  di   appello
effettuata  alla  socia  accomandataria   valga   a   consentire   la
prosecuzione  del  giudizio  di  primo  grado  in  sede  di  gravame,
impedendo il formarsi di un giudicato; ovvero, piu' correttamente, se
il socio accomandatario possa ritenersi  "successore"  della  estinta
societa', con la conseguenza di assicurare una  valida  pronuncia  in
sede  di  appello  sostitutiva,  a  tutti  gli  effetti,  di   quella
pronunciata in primo grado nei  confronti  della  societa'  estintasi
nelle more  fra  la  sentenza  di  primo  grado  e  la  notificazione
dell'atto di appello»; 
    che, peraltro, per il giudice a quo - atteso che l'art. 2495 cod.
civ. nulla  dispone  con  riguardo  alle  liti  pendenti  e  che  «la
legittimazione passiva del socio illimitatamente responsabile (di una
s.a.s.)  non  pare  riconducibile  a  un  fenomeno   di   successione
universale in locum et ius della societa'  estinta  [...]  e  neppure
sembra ipotizzabile un fenomeno successorio di tipo  "necessario"»  -
«difetterebbero [...] i presupposti  di  cui  all'art.  110  c.p.c.»,
nonche' quelli di una successione a titolo  particolare  nel  diritto
controverso ex art. 111 cod. proc. civ.; 
    che, da cio', deriverebbe la lesione degli evocati parametri, per
l'impossibilita' di identificare un successore nel processo  e  nella
res litigiosa, giacche' per effetto della volontaria cancellazione la
societa' estinta potrebbe agevolmente sottrarsi alle  obbligazioni  e
finanche impedire la valida interposizione di un gravame,  provocando
in  tal  modo  la  formazione  del  giudicato  per   inammissibilita'
dell'impugnazione rivolta ad un soggetto non piu' esistente; 
    che  dalla  prospettazione   della   questione   (con   specifico
riferimento alla interpretazione posta a premessa dei sollevati dubbi
di  incostituzionalita')  e  dalla  formulazione  del   petitum,   si
appalesano gravi profili di inammissibilita' della questione; 
    che   la   Corte   d'appello   fonda   i   sollevati   dubbi   di
costituzionalita' sull'assunto che  -  quanto  alle  conseguenze  sul
piano processuale della  cancellazione  dal  registro  delle  imprese
delle societa' (anche di  persone),  dopo  la  riforma  organica  del
diritto societario attuata dal decreto legislativo n. 6  del  2003  -
«la legittimazione passiva del socio illimitatamente responsabile (di
una s.a.s.) non pare  riconducibile  a  un  fenomeno  di  successione
universale in locum et ius della societa'  estinta  [...]  e  neppure
sembra ipotizzabile un fenomeno successorio di tipo "necessario"»; 
    che,  tuttavia,  la  non  altrimenti  motivata  esclusione  della
configurabilita', nella specie, di una successione  nel  processo  ai
sensi dell'art. 110 cod. proc. civ., ovvero dell'art. 111 cod.  proc.
civ. (che il giudice a quo fa derivare dalla «inaccettabilita' di una
concezione antropomorfica  della  soggettivita'  giuridica,  e  delle
societa' in particolare»), appare affermazione in se' indimostrata e,
pertanto,  inidonea  a  sottrarre  il  rimettente   dal   dovere   di
sperimentare  la  possibilita'  di  dare  alle  norme  impugnate   un
significato se possibile diverso, tale da  renderle  compatibili  con
gli evocati parametri costituzionali (ordinanza n. 102 del 2012),  in
ossequio al principio secondo cui  una  disposizione  di  legge  puo'
essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non  sia
possibile  attribuirle  un  significato  che  la  renda  conforme   a
Costituzione (sentenza n. 356 del 1996; ordinanza n. 194 del 2012); 
    che, d'altronde, le stesse sezioni unite civili  della  Corte  di
cassazione,  nelle  ricordate  sentenze  del  2010,  sottolineano  la
«necessita',  attraverso  una  lettura  costituzionalmente  orientata
delle norme, di una "soluzione unitaria" del problema  degli  effetti
[evidentemente   anche   processuali]    della    iscrizione    della
cancellazione di tutti i tipi di societa'  o  imprese  collettive,  a
garanzia della parita' di trattamento dei terzi creditori di entrambi
i tipi di societa'»; 
    che, peraltro, non solo  l'ipotizzabilita',  bensi'  la  concreta
praticabilita' di una diversa  interpretazione  (nello  stesso  senso
auspicato dalla rimettente)  risulta  essere  operazione  ermeneutica
possibile, come confermato dalle sopravvenute  pronunce  con  cui  le
sezioni unite civili della Corte di cassazione  (12  marzo  2013,  n.
6070 e n. 6071), hanno affrontato lo stesso thema decidendum  oggetto
del presente scrutinio, riguardante gli effetti  della  cancellazione
della societa' di persone nei processi in corso  nei  quali  essa  e'
costituita, e  la  legittimazione  degli  ex  soci  di  una  societa'
commerciale nel caso di attribuzione  di  beni  riferiti  a  rapporto
giuridico   non   esaurito   nel   momento   della   estinzione   per
cancellazione; 
    che, infatti, le medesime sezioni unite, da  un  lato,  osservano
come  «ipotizzare  [...]  che  la  volontaria  estinzione   dell'ente
collettivo  comporti,  percio',  la  cessazione  della  materia   del
contendere nei giudizi contro di esso pendenti per l'accertamento  di
debiti  sociali  tuttora  insoddisfatti  significherebbe  imporre  un
ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori»;  e,  dall'altro
lato, sottolineano come, «anche  per  non  vulnerare  il  diritto  di
difesa tutelato dall'art. 24 Cost.», «la previsione  di  chiamata  in
responsabilita' dei soci operata dal citato art. 2495  implichi,  per
l'appunto, un meccanismo di tipo successorio, che tale e' anche se si
vogliano rifiutare improprie  suggestioni  antropomorfiche  derivanti
dal possibile accostamento tra l'estinzione della societa' e la morte
di una persona fisica»; 
    che  ancora,  secondo  il  giudice   di   legittimita',   «l'aver
ricondotto la fattispecie ad  un  fenomeno  successorio  -  sia  pure
connotato da caratteristiche  sui  generis,  connesse  al  regime  di
responsabilita' dei  soci  per  i  debiti  sociali  nelle  differenti
tipologie di societa' - consente abbastanza agevolmente  di  ritenere
applicabile, quando la  cancellazione  e  la  conseguente  estinzione
della societa' abbiano avuto luogo in pendenza di una causa di cui la
societa' stessa era parte, la disposizione dell'art. 110 c.p.c. (come
gia' affermato anche da Cass. 6 giugno 2012, n. 9110)», poiche' «tale
disposizione contempla, infatti,  non  solo  la  "morte"  (come  tale
riferibile unicamente alle persone fisiche),  ma  altresi'  qualsiasi
"altra causa" per la quale la parte  venga  meno,  e  dunque  risulta
idonea a  ricomprendere  anche  l'ipotesi  dell'estinzione  dell'ente
collettivo»; e che, «se l'estinzione della  societa'  cancellata  dal
registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la  societa'
e'  parte,  si  determina  un  evento  interruttivo   del   processo,
disciplinato dall'art. 299 c.p.c. e segg., con  possibile  successiva
eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da  parte
o nei confronti dei soci»; 
    che la non adeguata utilizzazione dei poteri  interpretativi  che
la legge riconosce al giudice rimettente e la mancata esplorazione di
diverse, pur praticabili, soluzioni  ermeneutiche,  al  fine  di  far
fronte al proposto dubbio di  costituzionalita'  integrano  omissioni
tali da rendere manifestamente inammissibile la  sollevata  questione
di legittimita' costituzionale (ordinanze n. 304 e n. 102 del  2012),
ridondando anche in termini di insufficiente  motivazione  in  ordine
alla rilevanza della questione (ordinanze n. 240 e n. 126 del  2012),
e configurandosi, di fatto, quale improprio tentativo di ottenere  un
avallo interpretativo da parte della Corte (sentenza n. 21 del 2013); 
    che ulteriore profilo di inammissibilita' e' rappresentato  dalla
specifica  formulazione  del  petitum,   diretto   ad   ottenere   la
declaratoria di illegittimita' costituzionale delle norme de  quibus,
«nella parte in cui  non  prevedono,  in  caso  di  estinzione  della
societa' per effetto di volontaria cancellazione dal  registro  delle
imprese, che il processo prosegua  o  sia  proseguito  nei  gradi  di
impugnazione da o nei confronti della societa' cancellata, sino  alla
formazione del giudicato»; 
    che un tale intervento  -  che  neppure  si  configurerebbe  come
soluzione  costituzionalmente  imposta,   in   considerazione   della
variegata configurabilita' delle possibili ricadute  della  pronuncia
sulla disciplina de qua - appare all'evidenza diretto a sterilizzare,
sul piano processuale, gli  effetti  immediatamente  estintivi  della
societa' derivanti dalla  cancellazione  ai  sensi  del  nuovo  testo
dell'art. 2495 cod. civ.,  mediante  un  sostanziale  ripristino  del
sistema anteriore alla riforma del 2003, per  il  quale  (secondo  la
«unanime scelta ermeneutica dei giudici di legittimita'»  di  allora)
«la cancellazione dal registro delle imprese della iscrizione di  una
societa' commerciale, di persone o di capitali  [...]  non  produceva
l'estinzione della societa' stessa, in  difetto  dell'esaurimento  di
tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo  ad  essa,  per  cui
permaneva la legittimazione processuale di essa e  il  processo  gia'
iniziato proseguiva nei confronti o su iniziativa delle  persone  che
gia' la rappresentavano in giudizio o dei soci, anche con riferimento
alle fasi  di  impugnazione»  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
civili, sentenza n. 4060 del 2010); 
    che, di conseguenza, la  sollevata  questione  e'  manifestamente
inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.