ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  23-ter,
comma  1,  lettera  g),  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,  n.  135,  promosso  dalla
Regione Veneto con ricorso notificato il 12 ottobre 2012,  depositato
in cancelleria il 17 ottobre 2012 ed iscritto al n. 151 del  registro
ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  19  giugno  2013  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato in data 12 ottobre 2012  e  depositato
il  successivo  17  ottobre  2012,  la  Regione  Veneto  ha  promosso
questioni  di  legittimita'  costituzionale  di  diverse  norme   del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla  legge  7
agosto 2012, n. 135, e tra queste, in riferimento agli artt.  3,  97,
117, 118 e 119 della Costituzione, dell'art. 23-ter, comma 1, lettera
g), nella parte in  cui  dispone  che  «La  totalita'  delle  risorse
rivenienti dalla valorizzazione  ed  alienazione  degli  immobili  di
proprieta' delle Regioni e degli Enti locali trasferiti ai  fondi  di
cui  al  presente  comma  e'  destinata  alla  riduzione  del  debito
dell'Ente e, solo in assenza del debito,  o  comunque  per  la  parte
eventualmente eccedente, a spese di investimento». 
    Riservata  a  separate  pronunzie  la   decisione   delle   altre
questioni, si procede qui all'esame di quella concernente  il  citato
art. 23-ter, comma 1, lettera g). 
    2.-  La  ricorrente  afferma  che   la   disposizione   impugnata
violerebbe i seguenti  parametri  costituzionali,  sulla  base  delle
motivazioni di seguito indicate: 1) gli artt. 3 e 97 Cost., sotto  il
profilo  del  principio  di  ragionevolezza  e  di   buon   andamento
dell'azione amministrativa,  in  quanto  non  vi  sarebbe  motivo  di
privare  una  Regione   o   un   ente   locale   della   liberta'   e
discrezionalita'  di  decidere  a  qual  fine  destinare  le  risorse
ricavate  dall'alienazione  e  dalla   valorizzazione   del   proprio
patrimonio immobiliare e di non consentire che esse  siano  destinate
ad un investimento da cui possano scaturire ulteriori disponibilita',
da destinare non solo alla riduzione del debito, ma  anche  ad  altri
fini; 2) l'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto la valorizzazione
e alienazione degli immobili di proprieta' delle Regioni e degli enti
territoriali, rientrando  nella  materia  «beni  e  patrimonio  della
Regione e  degli  Enti  locali»,  «e'  certamente  sussumibile  nella
potesta' legislativa regionale residuale di cui all'art.  117,  comma
4, Cost.»; la citata materia, infatti, non figurando ne'  nell'elenco
di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., ne' in quello  di  cui  al
terzo comma della medesima norma  costituzionale,  non  potrebbe  che
essere ricompresa nella detta competenza legislativa residuale  della
Regione, sicche' ogni intervento  legislativo  dello  Stato  dovrebbe
reputarsi costituzionalmente illegittimo; 3) l'art. 117, terzo comma,
Cost., perche', disponendo un preciso vincolo di destinazione (quello
finalizzato alla  riduzione  del  debito  dell'ente  e,  soltanto  in
assenza di debito, o comunque per la parte  eventualmente  eccedente,
destinato a spese di investimento) per  le  risorse  derivanti  dalla
valorizzazione ed alienazione  degli  immobili  di  proprieta'  delle
Regioni  e  degli  enti  locali  trasferiti  ai   fondi   comuni   di
investimento immobiliare, introdurrebbe una disposizione  puntuale  e
di  estremo  dettaglio,  cosi'  violando  la  competenza  legislativa
concorrente delle Regioni in materia di coordinamento  della  finanza
pubblica; 4) l'art.  118  Cost.,  perche'  il  vincolo,  imposto  dal
legislatore statale, di destinare ad uno specifico  fine  le  risorse
che la  Regione  o  l'ente  locale  ricava  dalla  valorizzazione  ed
alienazione del proprio patrimonio  immobiliare,  interferirebbe  con
l'esercizio delle funzioni amministrative regionali  (o  locali);  5)
l'art.  119  Cost.,  in  quanto  la  disposizione  impugnata   incide
sull'autonomia finanziaria di entrata e  di  spesa  delle  Regioni  e
degli enti locali (comma 1), i quali hanno risorse autonome (comma 2)
ed  un  proprio  patrimonio  (comma  6),  che  gestiscono  in   piena
autonomia. 
    3.- Con atto depositato il 21 novembre 2013, si e' costituito nel
giudizio di legittimita' costituzionale il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale  sia
dichiarata inammissibile o non fondata. 
    La difesa dello Stato osserva come la norma in esame non  imponga
alcuno specifico vincolo di destinazione, tanto che le  Regioni  sono
libere di legiferare o  comunque  di  determinare  le  loro  concrete
opzioni, bensi' la semplice necessita', funzionale alla ratio sottesa
al provvedimento normativo  in  questione,  di  diminuire  il  debito
pubblico nell'ottica del pareggio di bilancio. 
    La norma sarebbe, dunque, diretta a contribuire al  conseguimento
degli obiettivi di finanza pubblica imposti  dagli  obblighi  europei
necessari al  raggiungimento  del  pareggio  di  bilancio  e  sarebbe
espressione della potesta' legislativa  dello  Stato  in  materia  di
coordinamento della finanza pubblica; si tratterebbe di una norma che
detta  un  principio  fondamentale,  cioe'  che  la  dismissione  del
patrimonio pubblico e' diretta alla copertura del  debito  prima  che
alle spese di diversa natura. 
    4.- In prossimita' dell'udienza, la  Regione  ha  depositato  una
memoria con la  quale  ha  posto  in  rilievo  la  genericita'  delle
argomentazioni dell'Avvocatura generale  dello  Stato,  la'  dove  ha
affermato che la disposizione in esame non prevedrebbe uno  specifico
vincolo  di  destinazione,  ma  sarebbe  espressione  della  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato in materia di  coordinamento  della
finanza pubblica. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto ha impugnato varie norme del  decreto-legge
6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti  per  la  revisione  della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure
di rafforzamento patrimoniale delle imprese  del  settore  bancario),
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135  e,
tra queste, in riferimento agli artt. 3, 97, 117,  118  e  119  della
Costituzione, l'art. 23-ter, comma 1, lettera g), nella parte in  cui
dispone  che   «La   totalita'   delle   risorse   rivenienti   dalla
valorizzazione ed alienazione  degli  immobili  di  proprieta'  delle
Regioni e degli Enti locali trasferiti ai fondi di  cui  al  presente
comma e' destinata alla riduzione del debito  dell'Ente  e,  solo  in
assenza del debito, o comunque, per la parte eventualmente eccedente,
a spese di investimento». 
    2.- Riservata a  separate  pronunzie  la  decisione  delle  altre
questioni di legittimita' costituzionale, viene  qui  in  rilievo  il
citato art. 23-ter, comma 1, lettera g). 
    Ad avviso della ricorrente,  detta  disposizione  violerebbe  gli
artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost. 
    Essa, disponendo un preciso vincolo di destinazione delle risorse
derivanti dalla  valorizzazione  ed  alienazione  degli  immobili  di
proprieta' delle Regioni e degli  enti  locali  trasferiti  ai  fondi
comuni  di  investimento  immobiliare  (vincolo   consistente   nella
riduzione del debito dell'ente e,  solo  in  assenza  di  questo,  o,
comunque, per la parte eventualmente eccedente, nella destinazione  a
spese di investimento), si tradurrebbe in una norma irragionevole  ed
in  contrasto  con  il  principio  di  buon   andamento   dell'azione
amministrativa; violerebbe, poi, la competenza legislativa  residuale
della Regione in materia di beni e patrimonio della Regione stessa  e
degli   enti   locali,   e,   inoltre,   inciderebbe   sull'autonomia
amministrativa e finanziaria dell'ente. 
    In ogni caso, ad avviso della ricorrente, se anche  si  ritenesse
che si versi nella materia, di  competenza  legislativa  concorrente,
relativa al coordinamento della finanza pubblica, detta  disposizione
introdurrebbe una disciplina puntuale e di estremo dettaglio. 
    3.- La questione promossa in riferimento agli artt. 3 e 97  Cost.
e' inammissibile. 
    Questa Corte ha piu' volte affermato  che,  nei  giudizi  in  via
principale, le Regioni sono legittimate a censurare  le  leggi  dello
Stato esclusivamente in riferimento a parametri relativi  al  riparto
delle rispettive competenze legislative. Esse possono  evocare  altri
parametri soltanto qualora  la  violazione  di  questi  comporti  una
compromissione  delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
garantite, sia possibile  verificare  la  ridondanza  delle  asserite
violazioni sul relativo riparto e la  ricorrente  abbia  indicato  le
specifiche competenze ritenute lese  e  le  ragioni  della  lamentata
lesione (ex plurimis: sentenze n. 311 e n. 151 del 2012; n.  128  del
2011; n. 326 e n. 40 del 2010). 
    Nel caso di specie la  Regione  non  ha  motivato  in  ordine  ai
profili di una possibile ridondanza delle  lamentate  violazioni  sul
riparto di competenze, ne' ha indicato  le  attribuzioni  considerate
lese e le ragioni dell'asserita lesione; le censure  su  tali  punti,
infatti, sono formulate in termini del tutto generici e, peraltro, in
forma interrogativa, che non esplicita le argomentazioni  a  sostegno
delle   doglianze   mosse   alla   norma   impugnata.    Ne    deriva
l'inammissibilita'  della  questione  sollevata  con  riferimento  ai
menzionati parametri costituzionali. 
    4.- Nel merito, la questione  promossa  in  riferimento  all'art.
117, terzo e quarto comma, Cost. non e' fondata. 
    La Regione Veneto afferma che l'art. 23-ter, comma 1, lettera g),
del d.l. n. 95 del 2012 - il  quale,  introducendo  il  comma  8-ter,
modifica  l'art.  33  del  decreto-legge  6  luglio   2011,   n.   98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111  -,
nella parte  in  cui  stabilisce  che  la  totalita'  delle  risorse,
risultanti dalla valorizzazione  ed  alienazione  degli  immobili  di
proprieta' delle Regioni e degli  enti  locali  trasferiti  ai  fondi
comuni  di   investimento   immobiliare   (di   cui   alla   medesima
disposizione), debba  essere  destinata  alla  riduzione  del  debito
dell'ente e, solo in assenza di questo, o,  comunque,  per  la  parte
eventualmente eccedente, a spese  di  investimento,  si  porrebbe  in
contrasto con gli indicati parametri  costituzionali,  per  i  motivi
sopra riportati. 
    Al riguardo, si deve osservare come la disciplina  censurata,  in
quanto  finalizzata  al  conseguimento  della  riduzione  del  debito
pubblico, costituisca espressione di un principio fondamentale  nella
materia, di competenza concorrente, del coordinamento  della  finanza
pubblica,  non  introducendo  affatto  disposizioni  puntuali  e   di
dettaglio. 
    Questa Corte,  con  la  recente  sentenza  n.  63  del  2013,  ha
dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale  -
in riferimento agli articoli 117, terzo  comma,  118,  119,  Cost.  -
dell'art. 66, comma 9,  del  decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1
(Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle
infrastrutture e la competitivita'), convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui  stabilisce  che
gli enti territoriali destinano le risorse derivanti dalle operazioni
di dismissione di terreni demaniali agricoli e a  vocazione  agricola
alla riduzione del proprio debito. 
    Con riferimento  alla  previsione,  attinente  alla  destinazione
delle risorse all'obiettivo  della  riduzione  del  debito  dell'ente
territoriale proprietario del bene dismesso, la  Corte  ha  affermato
che la correlazione funzionale - imposta dal citato art. 66, comma 9,
tra operazioni di dismissione dei terreni demaniali, sia dello  Stato
che delle Regioni ed altri enti territoriali, e riduzione del  debito
rispettivo - risponde, proprio per tale  complessiva  estensione,  ad
una scelta di politica economica nazionale, adottata per  far  fronte
alla   eccezionale   emergenza   finanziaria   che   il   Paese   sta
attraversando, e si pone, quindi, come espressione del  perseguimento
di un obiettivo di interesse generale  in  un  quadro  di  necessario
concorso,  anche  delle  autonomie,  al  risanamento  della   finanza
pubblica. 
    La  Corte,  nella  medesima  pronunzia,  ha  aggiunto  che  detta
disposizione, «per la sua finalita' e per la proporzionalita' al fine
che  intende  perseguire,  risulta   espressiva   di   un   principio
fondamentale  nella   materia,   di   competenza   concorrente,   del
coordinamento della finanza  pubblica.  E  che,  come  tale,  non  e'
invasiva delle attribuzioni della Regione nella  materia  stessa,  in
quanto il finalismo della  previsione  normativa  esclude  che  possa
invocarsi - come fa la Regione - la logica della norma di  dettaglio.
Invero, una volta assunto l'obiettivo  di  carattere  generale  della
riduzione dei debiti dei vari enti in funzione del risanamento  della
finanza pubblica  attraverso  la  dismissione  di  determinati  beni,
l'imposizione del vincolo di destinazione appare mezzo necessario  al
suo raggiungimento». 
    Come si  vede,  la  fattispecie  esaminata  dalla  Corte  con  la
sentenza sopra richiamata e' analoga a quella oggetto della  presente
questione di legittimita' costituzionale, la quale puo' essere decisa
in base ai medesimi argomenti. 
    Deve, pertanto, affermarsi che l'art.  23-ter  del  decreto-legge
citato, imponendo il vincolo di destinazione delle enunciate  risorse
alla riduzione del debito dell'ente, al pari dell'art. 66,  comma  9,
del d.l. n. 1 del 2012, e' espressione di un  principio  fondamentale
nella materia, di competenza  concorrente,  del  coordinamento  della
finanza pubblica. 
    Sotto tale profilo, peraltro, e'  costante  l'orientamento  della
giurisprudenza di  questa  Corte,  secondo  cui  «norme  statali  che
fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti  locali  possono
qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica alla seguente duplice condizione: in  primo  luogo,  che  si
limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel
senso di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se  non
generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che  non  prevedano
in modo esaustivo strumenti o  modalita'  per  il  perseguimento  dei
suddetti obiettivi (sentenze n. 139 del 2009 e  nn.  289  e  120  del
2008)» (sentenza n. 237 del 2009). 
    La disposizione impugnata, prevedendo l'obbligo per la Regione di
destinare le risorse rivenienti dalla valorizzazione  ed  alienazione
degli immobili di sua proprieta' alla riduzione del debito  dell'ente
medesimo, e soltanto, in assenza del debito, o comunque, per la parte
eventualmente eccedente, a spese di investimento,  soddisfa  entrambe
queste condizioni, in  quanto  rientra  tra  le  scelte  di  politica
economica  nazionale  adottate  per  far  fronte   alla   contingente
emergenza finanziaria,  e,  inoltre,  non  fissa  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento del detto obiettivo. 
    La seconda parte della  norma  censurata,  secondo  la  quale  le
risorse reperite con le  modalita'  di  cui  sopra,  in  assenza  del
debito, o  comunque,  per  la  parte  eventualmente  eccedente,  sono
destinate a spese  di  investimento,  contiene  l'indicazione  di  un
criterio compreso nel principio fondamentale dianzi  indicato  e  non
gia' una previsione di dettaglio, sicche' neppure  riguardo  ad  essa
puo' configurarsi violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    5.- Del pari non fondate sono le censure riferite alla violazione
degli artt. 118 e 119 Cost. 
    La  lesione  dei  parametri  costituzionali  sopra  indicati  non
sussiste in quanto, da un lato, come previsto  dal  sesto  e  settimo
periodo del comma 8-ter dell'art. 33 del d.l.  n.  98  del  2011,  la
Regione ha facolta' di scegliere  se  procedere  alla  riduzione  del
debito tramite la  valorizzazione  e  dismissione  dei  beni  di  cui
trattasi; dall'altro, la previsione  del  vincolo  alla  destinazione
delle risorse, esprimendo, come detto, un principio  fondamentale  di
coordinamento della finanza pubblica, puo' legittimamente  comportare
una limitazione dell'autonomia amministrativa della Regione (sentenza
n. 63 del 2013).