ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  degli  articoli  2,
comma 1; 3, comma 1, e 4, commi 2 e  4,  della  legge  della  Regione
Basilicata 13 luglio 2012, n. 12 (Norme per orientare e sostenere  il
consumo dei prodotti  agricoli  di  origine  regionale  a  chilometri
zero), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 10-13 settembre 2012, depositato in cancelleria  il  12
settembre 2012 ed iscritto al n. 121 del registro ricorsi 2012. 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  aprile  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    udito l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato a mezzo del  servizio  postale  il  10
settembre 2012 e depositato il successivo 12 settembre, il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso, in riferimento  all'articolo  117,
primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale in via principale degli articoli 2, comma
1; 3, comma 1, e 4, commi 2 e 4, della legge della Regione Basilicata
13 luglio 2012, n. 12 (Norme per orientare e sostenere il consumo dei
prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero). 
    Il ricorrente premette che la legge reg. n. 12 del 2012  persegue
l'obiettivo, enunciato dal suo art. 1, di valorizzare  le  produzioni
agricole regionali, favorendo il consumo e la commercializzazione dei
prodotti provenienti dalle aziende agricole  ubicate  nel  territorio
lucano, garantendo ai consumatori una maggiore trasparenza dei prezzi
e assicurando un'adeguata informazione sull'origine e le specificita'
di tali prodotti. 
    In particolare, per quanto riguarda  le  disposizioni  impugnate,
l'art. 2, comma 1, della legge regionale prevede che  «Negli  appalti
pubblici  di  servizi  o  di  forniture  di  derrate  alimentari   ed
agroalimentari destinati  alla  ristorazione  collettiva  costituisce
titolo preferenziale per  l'aggiudicazione,  l'utilizzo  di  prodotti
agricoli di origine regionale». 
    Il successivo art. 3, stabilisce,  al  comma  1,  che  «I  comuni
riservano agli imprenditori agricoli esercenti la vendita diretta  di
prodotti agricoli  lucani,  ai  sensi  dell'articolo  4  del  decreto
legislativo 18 maggio 2001, n. 228, almeno il 20 per cento del totale
dei posteggi nei mercati al dettaglio in aree  pubbliche.  I  comuni,
anche in deroga a quanto previsto dalla legge regionale 30  settembre
2008, n. 23 "Modifiche ed integrazioni alla L.R. 20 luglio  1999,  n.
19 concernente la disciplina  del  commercio  al  dettaglio  su  aree
private  in  sede  fissa  e  su  aree  pubbliche",  sono  autorizzati
all'istituzione di nuovi posteggi, fino  al  raggiungimento  di  tale
percentuale». 
    Infine, l'art. 4 della  legge  regionale  impugnata  dispone,  al
comma 2, che «Alle imprese esercenti attivita' di ristorazione  o  di
vendita  al  pubblico  ed  operanti  nel  territorio  regionale  che,
nell'ambito degli acquisti di prodotti agricoli effettuati nel  corso
dell'anno, si approvvigionino per almeno il 30 per cento, in  termini
di valore, di prodotti agricoli di origine  regionale,  a  chilometri
zero, viene assegnato, al  fine  di  pubblicizzarne  l'attivita',  un
contrassegno con lo stemma della Regione le cui caratteristiche  sono
determinate con apposita delibera della Giunta regionale da collocare
all'esterno    dell'esercizio    e    utilizzabile     nell'attivita'
promozionale». Il comma 4, a sua volta,  prevede  che  dette  imprese
siano «inserite in un circuito regionale veicolato nell'ambito  delle
attivita'  promozionali  della   Regione   Basilicata»,   stabilendo,
altresi', che la Giunta regionale,  entro  centottanta  giorni  dalla
pubblicazione della legge impugnata,  «produrra'  il  regolamento  di
utilizzo del marchio e il programma di valorizzazione  del  circuito,
comprendente anche eventuali sgravi fiscali e specifici contributi  o
premialita' nell'ambito dei bandi di finanziamento del settore». 
    Ad  avviso  del  ricorrente,  le   menzionate   disposizioni   si
porrebbero in contrasto con l'art. 117 Cost., tanto in relazione alla
previsione  del   primo   comma,   violando   i   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario; quanto in relazione alla previsione del
secondo comma, lettera e), ledendo la potesta' legislativa  esclusiva
dello Stato in materia di «tutela della concorrenza». 
    La legge regionale non mira, infatti, a promuovere tutte le merci
il cui luogo di produzione si trovi  ad  una  limitata  distanza  dal
luogo di consumo - caratteristica individuata peraltro in modo  assai
vago, tramite la non meglio definita locuzione «a chilometri zero»  -
ma esclusivamente i prodotti lucani rientranti in tale categoria. 
    Il  requisito  dell'origine  lucana  del  prodotto  risulterebbe,
peraltro, eccentrico rispetto alle finalita' tipiche della promozione
dei prodotti cosiddetti  «a  chilometri  zero»,  rappresentate  dalla
tutela dell'ambiente e dei consumatori, in  ragione  della  riduzione
delle operazioni di trasporto  e  di  conservazione  degli  alimenti.
Detto requisito sarebbe, di conseguenza, contrario  al  principio  di
proporzionalita',  al  quale,  in   base   ai   Trattati   istitutivi
dell'Unione europea,  devono  rispondere  le  restrizioni  dirette  o
indirette alla libera circolazione delle merci, anche se giustificate
dal perseguimento di ragioni imperative  di  interesse  pubblico.  Le
caratteristiche  che  giustificano  il  «favor»  per  i  prodotti  «a
chilometri zero» possono rinvenirsi, infatti, allo stesso  modo  -  e
persino in maggior misura, qualora il luogo di  consumo  sia  situato
nelle  zone  periferiche  del  territorio  regionale  -  in  prodotti
ottenuti o realizzati al di fuori della Regione Basilicata. 
    Il requisito dell'origine regionale  finirebbe,  di  conseguenza,
per determinare «inammissibili effetti discriminatori». 
    In particolare, l'art. 2,  comma  1,  della  legge  regionale  in
esame, secondo il quale l'impiego  dei  prodotti  lucani  costituisce
titolo preferenziale ai fini dell'aggiudicazione di appalti  pubblici
di servizi di ristorazione, ostacolerebbe gli scambi  intracomunitari
in contrasto con i principi stabiliti dal Trattato sul  funzionamento
dell'Unione  europea   (TFUE),   falsando   la   concorrenza.   Detta
disposizione avvantaggerebbe, infatti, le  aziende  agricole  locali,
dalle  quali  i  gestori  dei  servizi  di  ristorazione   collettiva
sarebbero  indotti  a  rifornirsi  per  conseguire   l'aggiudicazione
dell'appalto. 
    La norma  censurata  sarebbe,  dunque,  illegittima  per  ragioni
analoghe a quelle enunciate da questa Corte nelle sentenze n.  191  e
n. 86 del 2012, relative a leggi istitutive di marchi  regionali  con
finalita' di promozione della  produzione  locale:  pronunce  con  le
quali la Corte ha ricordato che gli articoli da  34  a  36  del  TFUE
vietano agli  Stati  di  porre  in  essere  restrizioni  quantitative
all'importazione e all'esportazione e  qualsiasi  misura  di  effetto
equivalente, e che,  in  base  alla  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, la  «misura  di  effetto  equivalente»
deve essere  intesa  in  senso  ampio,  tale  da  ricomprendere  ogni
normativa commerciale degli Stati che possa ostacolare,  direttamente
o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari. 
    Parimenti illegittimo sarebbe l'art.  3,  comma  1,  della  legge
regionale,  il  quale  introdurrebbe  una  riserva   di   concessioni
pubbliche in favore di chi commercia taluni  prodotti  agricoli,  non
giustificata da un effettivo interesse pubblico connesso alla  tutela
della salute  e  dell'ambiente,  ma  legata,  nuovamente,  alla  loro
origine lucana. 
    La disposizione, oltre a contrastare  con  il  principio  di  non
discriminazione  garantito  dal  Trattato,  violerebbe   il   diritto
derivato dell'Unione europea, il quale consente simili  riserve  solo
se giustificate  da  ragioni  imperative  di  interesse  pubblico  e,
comunque, proporzionate al perseguimento di tale obiettivo. 
    In particolare, la direttiva n. 2006/123/CE del 12 dicembre 2006,
del Parlamento europeo e  del  Consiglio,  relativa  ai  servizi  nel
mercato  interno  (cosiddetta  «direttiva  servizi»),   all'art.   12
stabilisce che ove il numero di  «autorizzazioni»  -  quali  definite
dall'art.  4,  numero  6,  della  direttiva  stessa,  tra  le   quali
rientrerebbero pacificamente  le  concessioni  di  posteggi  in  aree
pubbliche a  fini  commerciali  -  disponibili  per  una  determinata
attivita' sia limitato per via della scarsita' delle risorse naturali
o delle capacita' tecniche utilizzabili, gli Stati  membri  applicano
una procedura di selezione tra i candidati potenziali,  nel  rispetto
del principio  della  libera  concorrenza.  Tale  procedura  dovrebbe
offrire garanzie di trasparenza e di imparzialita' e l'autorizzazione
cosi'  rilasciata  non  dovrebbe  avere  una  durata  eccessiva,  non
dovrebbe  poter  essere  rinnovata  automaticamente   ne'   conferire
vantaggi al beneficiario uscente. 
    La previsione e' stata  recepita  nell'ordinamento  italiano  dal
decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della  direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), che all'art. 16
riproduce i precetti  dianzi  richiamati.  Ne'  principi  diversi  si
rinvengono nel successivo art. 70, che si occupa  specificamente  del
commercio su aree pubbliche, il quale si limita a prevedere, al comma
5, la possibilita' di introdurre deroghe - sempre  nel  rispetto  dei
criteri stabiliti dall'art. 12, paragrafo 3, della direttiva -  sulla
base di intese «in sede di  Conferenza  unificata»,  allo  stato  non
raggiunte. 
    Per le analoghe ragioni, sarebbero infine  illegittime  anche  le
disposizioni di cui all'art. 4, commi 2 e 4, della  legge  censurata,
che assegnano alle imprese di ristorazione o di vendita  al  pubblico
che utilizzino per almeno il trenta per cento  prodotti  agricoli  «a
chilometri zero», ma di origine lucana, un contrassegno con lo stemma
della   Regione,   da   collocare   all'esterno   dell'esercizio   ed
utilizzabile nell'attivita' promozionale. 
    Anche le menzionate disposizioni avrebbero, infatti, l'effetto di
indurre le imprese a privilegiare l'acquisto  di  prodotti  locali  a
discapito degli altri, al fine  di  fregiarsi  del  contrassegno,  da
considerare, alla luce delle citate sentenze n. 191 e n. 86 del 2012,
come un «marchio illegittimo», sia pure inerente, non a prodotti,  ma
a servizi di ristorazione e di commercializzazione di alimenti. 
    I dedotti profili di contrasto con il diritto dell'Unione europea
non potrebbero ritenersi elisi, d'altronde, dalla previsione  di  cui
all'art. 7 della legge regionale,  la  quale  subordina  gli  effetti
dell'intera legge  all'acquisizione  dell'assenso  della  Commissione
europea ai sensi degli artt. 107 e  108  del  TFUE.  Il  procedimento
richiamato - che riguarda la materia  degli  aiuti  di  Stato  -  non
sarebbe, infatti,  pertinente  alla  disciplina  in  esame,  che  non
prevederebbe l'attribuzione di risorse pubbliche, con la  conseguenza
che la notifica della legge ai sensi  delle  richiamate  disposizioni
del TFUE rimarrebbe priva di effetti. 
    2.- La Regione Basilicata non si e' costituita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questioni di legittimita'  costituzionale  in  via  principale  degli
articoli 2, comma 1; 3, comma 1, e 4, commi 2 e 4, della legge  della
Regione Basilicata 13 luglio 2012,  n.  12  (Norme  per  orientare  e
sostenere il consumo dei prodotti agricoli  di  origine  regionale  a
chilometri zero). 
    Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate  -  favorendo
la commercializzazione dei prodotti regionali  ed  avvantaggiando  le
aziende agricole locali - violerebbero tanto il primo comma dell'art.
117  della  Costituzione,  per  contrasto  con  i  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario in tema  di  libera  circolazione  delle
merci; quanto il secondo comma, lettera e),  del  medesimo  articolo,
ledendo la potesta' legislativa esclusiva dello Stato in  materia  di
«tutela della concorrenza». 
    In  particolare,  l'art.  2,  comma  1,  della  legge   regionale
censurata - nel prevedere che  l'utilizzo  di  prodotti  agricoli  di
origine lucana costituisca titolo preferenziale per  l'aggiudicazione
negli  appalti  pubblici  di  servizi  o  di  forniture  di  prodotti
alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva -
indurrebbe  i  gestori  dei  servizi  di  ristorazione  collettiva  a
rifornirsi dalle aziende agricole locali, con  cio'  ostacolando  gli
scambi intracomunitari e falsando la concorrenza. 
    Il successivo art. 3, comma  1  -  con  l'imporre  ai  comuni  di
riservare agli imprenditori agricoli esercenti la vendita diretta  di
prodotti di origine regionale almeno il venti per  cento  del  totale
dei  posteggi  nei  mercati  al  dettaglio  in   aree   pubbliche   -
introdurrebbe, a sua volta, una riserva di concessioni pubbliche  non
giustificata da ragioni imperative di interesse pubblico o, comunque,
non proporzionata al perseguimento di tale obiettivo. 
    Infine, i commi 2 e 4 dell'art. 4 - nel prevedere  l'assegnazione
di  un  contrassegno  con  lo  stemma  della  Regione,  da  collocare
all'esterno    dell'esercizio    e    utilizzabile     nell'attivita'
promozionale,  a  favore  delle  imprese   esercenti   attivita'   di
ristorazione  o  di  vendita  al  pubblico  operanti  sul  territorio
regionale che utilizzino  in  misura  almeno  del  trenta  per  cento
prodotti agricoli di origine lucana «a chilometri zero» -  indurrebbe
dette  imprese  a  privilegiare  l'acquisto  di  prodotti  locali,  a
discapito degli altri, al fine  di  fregiarsi  del  contrassegno,  da
considerare alla stregua di «un vero e proprio marchio illegittimo». 
    2.-  In   via   preliminare,   va   rilevato   che   non   incide
sull'ammissibilita' del ricorso la previsione dell'art. 7 della legge
regionale impugnata, in forza della quale gli effetti di detta  legge
«sono   subordinati   all'acquisizione   del   parere   positivo   di
compatibilita' da parte della  Commissione  europea  ai  sensi  degli
artt. 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea». 
    A prescindere dalla considerazione che il  richiamato  parere  di
compatibilita'  si  riferisce   alle   sole   misure   potenzialmente
qualificabili come aiuti di Stato - misure  che  la  legge  in  esame
prefigura, e in termini di mera eventualita',  solo  all'esito  della
futura emanazione del  regolamento  concernente  l'utilizzazione  del
marchio regionale previsto dall'art. 4 - questa Corte ha  gia'  avuto
modo di precisare che «l'impugnativa da parte dello Stato delle leggi
regionali e' sottoposta, ai sensi dell'art. 127  della  Costituzione,
ad un termine tassativo  riferito  alla  pubblicazione  e  non  anche
all'efficacia della legge stessa e, d'altra parte,  la  pubblicazione
di  una  legge  regionale,  in  asserita   violazione   del   riparto
costituzionale di competenze, e'  di  per  se'  stessa  lesiva  della
competenza statale, indipendentemente dalla produzione degli  effetti
concreti e dalla realizzazione delle conseguenze pratiche»  (sentenze
n. 407 del 2002 e n. 332 del 1998). Ne deriva che il differimento nel
tempo dell'entrata in vigore di disposizioni regionali,  condizionato
al verificarsi di un evento o all'adozione di un  atto,  non  produce
l'inammissibilita' del ricorso in via principale (sentenza n. 45  del
2011). 
    3.- Quanto al merito  del  ricorso,  le  censure  del  ricorrente
relative all'asserita violazione del riparto  interno,  tra  Stato  e
Regioni, delle competenze  legislative  -  in  specie,  per  avvenuta
lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia di  «tutela
della concorrenza» (art. 117, secondo  comma,  lettera  e,  Cost.)  -
assumono carattere pregiudiziale, sotto il profilo  logico-giuridico,
rispetto alle censure intese a denunciare la violazione  dei  vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario,  che  investono  i  contenuti
delle scelte legislative concretamente operate (ex plurimis, sentenze
n. 219 del 2012, n. 120 e n. 67 del 2010). 
    In riferimento al citato art. 117,  secondo  comma,  lettera  e),
Cost., le questioni sono fondate. 
    Al  riguardo,  giova  premettere  che  la  legge  della   Regione
Basilicata n. 12 del 2012 - stando al relativo titolo - e'  volta  ad
«orientare e sostenere il consumo dei prodotti  agricoli  di  origine
regionale a chilometri zero». 
    Nell'ambito delle disposizioni della legge  regionale,  tuttavia,
la qualificazione «a chilometri zero»  -  formula  che,  nel  lessico
corrente, designa i prodotti consumati a breve distanza dal luogo  di
produzione, con connessi benefici in termini di tutela  dell'ambiente
e dei consumatori - rimane priva di ogni concreta valenza  selettiva,
distinta e ulteriore rispetto  a  quella  insita  nel  predicato  «di
origine regionale». 
    La definizione della nozione di  «prodotti  a  chilometri  zero»,
offerta dall'art. 1, comma 1,  della  legge  («prodotti  agricoli  ed
agroalimentari  destinati   all'alimentazione   umana,   ottenuti   e
trasformati»),  prima  ancora  che  generica,  si  rivela,   infatti,
eccentrica rispetto al concetto definito, in  quanto  attinente  alla
sola natura del prodotto, e non  gia'  alla  distanza  tra  luogo  di
produzione e luogo di consumo. Negli ulteriori commi  dell'art.  1  e
nelle successive disposizioni della legge e', per converso,  costante
la limitazione delle prefigurate misure di sostegno  ai  prodotti  di
provenienza lucana. 
    La legge regionale - e, in particolare, le disposizioni impugnate
- risultano  volte,  dunque,  ad  incentivare  il  consumo  dei  soli
prodotti  di   origine   regionale   come   tali,   indipendentemente
dall'ubicazione  del  luogo  di  produzione  o  dalla   presenza   di
particolari qualita', senza che la tutela si estenda a  prodotti  con
caratteristiche analoghe,  ancorche'  provenienti  da  aree  poste  a
distanza uguale o minore dal luogo di consumo (come puo' avvenire, in
specie, ove il consumo avvenga in zone limitrofe ad altre Regioni). 
    4.- Cio'  puntualizzato,  per  quel  che  concerne  il  parametro
costituzionale evocato, la giurisprudenza di questa Corte e' costante
nell'affermare che la nozione di «concorrenza»,  di  cui  al  secondo
comma, lettera e), dell'art. 117 Cost., riflette quella  operante  in
ambito  comunitario.  Essa  comprende,  pertanto,   sia   le   misure
legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti
e  i  comportamenti  delle   imprese   che   incidono   negativamente
sull'assetto concorrenziale dei mercati; sia le misure legislative di
promozione,  volte  ad  eliminare  limiti  e  vincoli   alla   libera
esplicazione della capacita' imprenditoriale e della competizione tra
imprese (concorrenza "nel mercato"), ovvero a  prefigurare  procedure
concorsuali di garanzia che assicurino la  piu'  ampia  apertura  del
mercato  a  tutti  gli  operatori  economici  (concorrenza  "per   il
mercato") (ex plurimis, sentenze n. 291 e n. 200 del 2012, n. 45  del
2010). In questa  seconda  accezione,  attraverso  la  «tutela  della
concorrenza», vengono perseguite finalita' di  ampliamento  dell'area
di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste  ultime  anche
quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenze n.  299
del 2012 e n. 401 del 2007). 
    Ove la suddetta materia, considerato il suo carattere finalistico
e «trasversale»,  interferisse  anche  con  materie  attribuite  alla
competenza  legislativa  delle  Regioni,  queste  ultime   potrebbero
dettare una disciplina con «effetti pro-concorrenziali», purche' tali
effetti siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con
gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono  la
concorrenza (sentenze n. 43 del 2011 e n. 431 del 2007). 
    5.- Alla concorrenza  "per  il  mercato"  e,  dunque,  all'ambito
materiale della «tutela della concorrenza» questa Corte  ha,  d'altro
canto, gia' ascritto la disciplina delle procedure di  selezione  dei
concorrenti e dei criteri di aggiudicazione  degli  appalti  pubblici
(tra le ultime, sentenze n. 52 del 2012, n. 339 e n. 184 del 2011). 
    Si colloca, pertanto, in tale ambito anche  l'impugnato  art.  2,
comma 1, della legge regionale, il quale  stabilisce  che  l'utilizzo
dei  prodotti  agricoli  di   origine   lucana   costituisce   titolo
preferenziale per l'aggiudicazione di appalti pubblici di  servizi  o
di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati  alla
ristorazione collettiva. 
    In tal modo,  viene  imposto  all'amministrazione  appaltante  un
criterio di scelta del contraente diverso e ulteriore  rispetto  alle
previsioni della legislazione statale e, in particolare, degli  artt.
81 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163  (Codice
dei contratti pubblici relativi a  lavori,  servizi  e  forniture  in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE): criterio che non
solo  non  favorisce  la  concorrenza,  ma  chiaramente  la   altera,
risolvendosi in un favor per gli imprenditori che impiegano  prodotti
provenienti da una certa area territoriale (quella lucana), cosi'  da
poter vantare il titolo preferenziale in questione. 
    6.-  Parimenti  lesivo  del  titolo  competenziale  invocato  dal
ricorrente si rivela l'art. 3, comma 1, della  legge  in  esame,  che
impone ai comuni di riservare agli imprenditori agricoli esercenti la
vendita diretta di prodotti agricoli lucani almeno il venti per cento
del totale dei posteggi nei mercati al dettaglio in  aree  pubbliche,
autorizzando, a tal fine, i comuni stessi «all'istituzione  di  nuovi
posteggi», anche in  deroga  alle  previsioni  della  legge  reg.  30
settembre 2008, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla L.R. 20  luglio
1999, n. 19, concernente la disciplina del commercio al dettaglio  su
aree  private  in  sede  fissa  e  su  aree  pubbliche),   «fino   al
raggiungimento [della suddetta] percentuale». 
    La disciplina regionale risulta, anche in questo caso, diversa  e
piu' restrittiva rispetto a quella stabilita dalla normativa statale.
L'art. 28, comma 15, del decreto legislativo 31 marzo  1998,  n.  114
(Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a  norma
dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo  1997,  n.  59),  come
modificato dal decreto-legge 9 settembre  2005,  n.  182  (Interventi
urgenti in agricoltura e per  gli  organismi  pubblici  del  settore,
nonche' per contrastare andamenti anomali dei  prezzi  nelle  filiere
agroalimentari),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge   11
novembre   2005,   n.   231,   prevede,    infatti,    una    riserva
nell'assegnazione dei posteggi per l'esercizio del commercio su  aree
pubbliche  a  favore  di  tutti  indistintamente  gli   «imprenditori
agricoli che esercitano la vendita diretta ai sensi  dell'articolo  4
del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228». 
    La norma regionale in esame determina dunque, di  nuovo,  effetti
anticoncorrenziali, in  danno  degli  imprenditori  che  non  vendano
derrate agricole di origine lucana.  E'  evidente,  infatti,  che  la
previsione di restrizioni  ulteriori  alla  possibilita'  di  accesso
degli operatori alle concessioni di posteggi su aree pubbliche, in un
contesto nel quale l'esercizio del commercio  e'  condizionato  dalla
disponibilita' di spazi appositamente  definiti,  si  risolve  in  un
ostacolo alla libera esplicazione della capacita' imprenditoriale (al
riguardo, sentenza n. 18 del 2012). 
    Ne',  d'altro  canto,  il  dedotto  profilo   di   illegittimita'
costituzionale  puo'  rimanere  escluso  dall'attinenza  della  norma
impugnata anche alla materia del «commercio», riservata alla potesta'
legislativa residuale delle Regioni. Come chiarito, infatti, in  piu'
occasioni da questa Corte, «e' illegittima  una  disciplina  che,  se
pure in astratto riconducibile alla materia commercio  di  competenza
legislativa  delle  Regioni,  produca,  in  concreto,   effetti   che
ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o  ulteriori  limiti  o
barriere all'accesso al mercato  e  alla  libera  esplicazione  della
capacita' imprenditoriale» (sentenze n. 18 del  2012  e  n.  150  del
2011): ipotesi, per quanto detto, riscontrabile nel caso considerato. 
    7.- La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di
«tutela della concorrenza» e' lesa, infine, anche dalle  disposizioni
di cui all'art. 4, commi 2 e 4, della legge regionale. 
    Con dette disposizioni, la Regione  Basilicata  ha  istituito  un
contrassegno con il proprio stemma, per le imprese di ristorazione  o
di vendita al pubblico operanti in  Regione  che,  nell'ambito  degli
acquisti di prodotti agricoli  effettuati  nel  corso  dell'anno,  si
approvvigionino per almeno il trenta per cento, in termini di valore,
di  prodotti  di  origine  regionale:   contrassegno   da   collocare
all'esterno dell'esercizio e utilizzabile nell'attivita' promozionale
(comma 2 dell'art. 4).  E'  previsto,  inoltre,  che  le  imprese  in
questione siano inserite «in un apposito circuito regionale veicolato
nell'ambito delle attivita' promozionali della  Regione  Basilicata»,
mentre viene affidato alla Giunta regionale il compito  di  adottare,
entro  centottanta  giorni  dalla  pubblicazione  della   legge,   un
regolamento recante la disciplina  «di  utilizzo  del  marchio  e  il
programma  di  valorizzazione  del   circuito,   comprendente   anche
eventuali  sgravi  fiscali  e  specifici  contributi  o   premialita'
nell'ambito dei bandi di finanziamento del settore» (comma 4). 
    Come chiaramente si evince dal ricordato complesso di previsioni,
l'intento e', dunque, quello di introdurre e  di  regolare  un  segno
distintivo delle imprese che  impieghino  o  commercino,  in  termini
percentualmente significativi, prodotti agricoli lucani. 
    In proposito, questa Corte ha avuto  modo  di  rilevare  come  il
concetto di «segno distintivo», inteso in senso  ampio,  abbracci  un
complesso di istituti, qualificati con denominazioni eterogenee dalla
legislazione vigente (quali, ad esempio, quelle di marchi di impresa,
marchi  collettivi,  denominazioni  di  origine  o  denominazioni  di
provenienza) e destinati ad assolvere funzioni  parzialmente  diverse
(ora, cioe',  di  prevalente  di  tutela  dei  produttori  contro  la
concorrenza sleale, ora, invece, di certificazione della qualita' del
prodotto, a garanzia, almeno in via principale, del consumatore).  Su
tale premessa, la Corte ha rilevato, altresi', come la disciplina dei
segni distintivi sia suscettibile di incidere  su  plurimi  interessi
(dei produttori, dei consumatori, della collettivita' al rispetto del
principio di verita', del corretto  svolgimento  della  concorrenza),
interferendo, correlativamente,  su  una  molteplicita'  di  materie:
interferenza che puo' essere, peraltro, composta facendo  ricorso  al
criterio della prevalenza. 
    Al pari che in altri casi in precedenza scrutinati  (sentenze  n.
368 del 2008 e n. 175 del 2005), tale  criterio  porta  a  ricondurre
anche le disposizioni oggi in  esame  alla  materia,  riservata  alla
legislazione dello Stato, della «tutela della  concorrenza».  A  tale
materia risulta, infatti,  ascrivibile  il  nucleo  essenziale  della
disciplina recata dalle norme in discussione, avuto riguardo al  loro
contenuto  e  alla  loro  ratio,  che  si  identifica  essenzialmente
nell'intento  di  orientare  la  preferenza  del  mercato  verso  una
determinata categoria di prodotti, qualificata dal mero territorio di
provenienza. 
    8.- Alla luce delle considerazioni che precedono, gli articoli 2,
comma 1; 3, comma 1, e 4, commi 2 e 4, della legge  reg.  n.  12  del
2012  vanno,  dunque,  dichiarati   costituzionalmente   illegittimi,
rimanendo assorbite le ulteriori censure. 
    La dichiarazione di illegittimita' costituzionale va  estesa,  in
via  consequenziale,  al  comma  3  dell'art.  4,   che   detta   una
disposizione meramente strumentale a quella del comma 2 del  medesimo
articolo (ivi esplicitamente richiamato), stabilendo le modalita' con
le quali, ai fini dell'ottenimento del contrassegno  regionale,  deve
essere  documentato  l'approvvigionamento  dei  prodotti  di  origine
regionale nella percentuale richiesta (e, cioe', tramite indicazione,
nelle  fatture  di  acquisto,  «dell'origine,  natura,   qualita'   e
quantita' dei prodotti acquistati»).