ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 13 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), e dell'articolo 1-bis, commi 1 e 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, promossi con ricorsi della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, della Regione Emilia-Romagna, della Provincia autonoma di Trento, delle Regioni Umbria, Campania e Lazio, della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, della Regione Calabria, della Provincia autonoma di Bolzano, della Regione siciliana, della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, della Provincia autonoma di Trento e della Regione autonoma della Sardegna notificati il 19, il 19-23, il 18 (spedito per la notifica), il 18-23 e il 18 novembre 2011, il 4-7 e il 5 febbraio 2013, depositati in cancelleria il 23, il 24, il 25 e il 28 novembre 2011 e l'8, il 12 e il 15 febbraio 2013 rispettivamente iscritti ai nn. 148, 149, 150, 151, 154, 156, 157, 159, 161 e 162 del registro ricorsi 2011 ed ai nn. 16, 17, 18 e 20 del registro ricorsi 2013. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' l'atto di intervento, fuori termine, della Regione Molise (nel ricorso iscritto al n. 149 del registro ricorsi 2011); udito nell'udienza pubblica del 19 giugno 2013 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi; uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per le Regioni autonome Trentino-Alto Adige/Südtirol e Friuli-Venezia Giulia, per le Regioni Emilia-Romagna e Umbria e per la Provincia autonoma di Trento, Franco Mastragostino per le Regioni Emilia-Romagna e Umbria, Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio e per la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano, Beatrice Fiandaca e Marina Valli per la Regione siciliana, Massimo Luciani per la Regione autonoma della Sardegna e l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ricorso notificato il 19 novembre 2011 e depositato il successivo 23 novembre la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol (ric. n. 148 del 2011) ha proposto questioni di legittimita' costituzionale, in via principale, degli articoli 1, 2, commi 4 e 7, 4, 5, 6, 7, 13 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica 20 settembre 2011, n. 219, per violazione degli articoli 76, 100, 117 e 126 della Costituzione; degli articoli 4, numeri 1) e 3), 16, 54, 79, 80, 81, 103, 104, 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); degli articoli 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e coordinamento); degli articoli 16, 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l'istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto); dell'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), nonche' del principio di leale collaborazione. 1.1.- La Regione ricorrente denuncia in primo luogo l'illegittimita' di tutte le disposizioni impugnate per violazione dell'art. 76 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione. Si osserva al riguardo che la legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), di cui il decreto legislativo n. 149 del 2011 costituisce attuazione, prevede - nell'articolo 2, comma 3 - che gli schemi di decreto legislativo siano trasmessi alle Camere «previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata» e che in mancanza di intesa il Consiglio dei ministri possa deliberare, approvando una relazione che e' trasmessa alle Camere con l'indicazione delle «specifiche motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta». Inoltre il comma 5 del medesimo articolo 2 fa obbligo al Governo di assicurare, nella predisposizione dei decreti legislativi, «piena collaborazione con le regioni e gli enti locali». Nel caso di specie l'intesa non e' stata raggiunta, come risulta dal preambolo del decreto legislativo censurato; e nella relazione inviata alle Camere il Governo si limita a riferire di incontri in sede tecnica e della «mancata condivisione - in particolare da parte di Regioni e Comuni - del contenuto del provvedimento», senza nulla dire in merito alle specifiche obiezioni sollevate dai rappresentanti delle Regioni, se non in un accenno alle «forti perplessita' sulla costituzionalita' del provvedimento» manifestate con riguardo alla disciplina del cosiddetto "fallimento politico" del Presidente della Giunta regionale. La dedotta violazione dell'art. 76, secondo la ricorrente, si risolve in una lesione delle proprie prerogative costituzionali, dato che il criterio direttivo di cui al citato art. 2 - che si assume essere stato disatteso - era posto a tutela specifica delle autonomie regionali. 1.2.- La Regione Trentino-Alto Adige denuncia anzitutto l'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, perche' dall'accoglimento della censura deriverebbe l'annullamento di tutte le norme impugnate o comunque la dichiarazione della illegittimita' della loro applicazione alle ricorrenti. Questo articolo prevede che la decorrenza e le modalita' di applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo impugnato nei confronti degli enti ad autonomia speciale «sono stabilite, in conformita' con i relativi statuti, con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42», ma dispone l'immediata e diretta applicazione del decreto medesimo qualora, entro sei mesi dalla sua data di entrata in vigore, non risultino concluse le procedure di cui al menzionato art. 27, e «sino al completamento delle procedure medesime». La disposizione si pone in contrasto, secondo la ricorrente, con l'art. 76 Cost. in riferimento all'art. 1, comma 2, della legge di delega n. 42 del 2009, nella parte in cui stabilisce che «alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformita' con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27». Poiche' il decreto legislativo n. 149 del 2011 attua - come risulta dal titolo e dalla premessa - gli artt. 2, 17 e 26 della legge di delega, ne deriva che esso «non puo' applicarsi alle Regioni speciali, ne' direttamente, ne' come fonte di un dovere di adeguamento». L'impugnato art. 13 dispone invece la propria diretta applicazione alle Regioni ad autonomia differenziata e per questo viola «i limiti esterni della delega», apertamente contraddicendo un vincolo positivamente stabilito dalla legge di delega. Il medesimo articolo 13 e' impugnato anche per violazione degli artt. 79, 103, 104 e 107 dello statuto e dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Secondo la ricorrente l'articolo censurato condiziona il contenuto delle norme di attuazione - che viene ridotto «alla fissazione della decorrenza o delle modalita' di applicazione di norme non aventi il rango di norme di attuazione» - e pone il termine di sei mesi per la loro adozione, ponendosi con cio' in contrasto con l'art. 107 dello statuto, perche' una fonte legislativa ordinaria unilateralmente adottata dallo Stato non puo' incidere sul contenuto o sul termine di adozione di norme di attuazione che si fondano su un accordo raggiunto in sede di commissione paritetica. Secondo la Regione Trentino-Alto Adige l'art. 13 viola inoltre i seguenti parametri statutari: l'art. 104, che richiede per la modifica delle norme contenute nel titolo VI dello statuto una legge ordinaria dello Stato, su concorde richiesta del Governo, «qualora si ritenga che l'art. 13 possa essere riferito anche a tale legge»; l'art. 79, perche', in contrasto con quanto detto articolo prevede, lo Stato avrebbe modificato, con fonte primaria ordinaria, le misure del concorso della Regione ricorrente agli obiettivi di finanza pubblica; gli artt. 103, 104 e 107 - che disciplinano i procedimenti di revisione statutaria e di adozione delle norme di attuazione - perche' il d.lgs. impugnato regola materie oggetto di norme statutarie e di attuazione, sulle quali una fonte ordinaria statale non puo' incidere, salvo che sia adottata con la speciale procedura concordata prevista nell'art. 104, che nella specie non e' stata seguita. 1.3.- Venendo alle doglianze relative alle singole disposizioni, la Regione Trentino-Alto Adige impugna in primo luogo gli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 149 del 2011, relativi, rispettivamente, all'obbligo di redigere una relazione di fine legislatura e di fine mandato provinciale e comunale. La Regione Trentino-Alto Adige lamenta che le disposizioni censurate introducono una disciplina dettagliata in materie di competenza primaria regionale quali l'organizzazione interna (art. 4, n. 1 dello statuto o, se ritenuto piu' favorevole, art. 117, quarto comma, Cost., in riferimento all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); la disciplina di bilanci, rendiconti, amministrazione del patrimonio e contratti della regione (art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 268 del 1992); l'ordinamento degli enti locali (art. 4, n. 3 dello statuto). Anche qualora la normativa statale censurata fosse ricondotta alla potesta' di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), essa, secondo la prospettazione regionale, sarebbe comunque illegittima per la sua natura di normativa dettagliata in materia di competenza concorrente, anche alla luce dell'art. 17 del d.lgs. n. 268 del 1992. Lo stesso articolo 1 e' denunciato anche nella parte in cui prevede che lo schema tipo per la redazione della relazione di fine legislatura sia adottato con atto di natura non regolamentare (comma 5). La previsione, secondo la Regione Trentino-Alto Adige, viola il divieto - desumibile dal comma 6 dell'art. 117 Cost. e dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 - di far ricorso a fonti secondarie nelle materie regionali, e comunque, qualora l'atto si consideri amministrativo e non normativo, il divieto di attribuzione di funzioni amministrative ad organi statali, di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. Gli artt. 1, comma 2, e 4, comma 2, sono censurati, infine, nella parte in cui prevedono una forma di controllo da parte del Tavolo tecnico perche' introducono una forma di controllo non prevista nello statuto e nelle relative norme di attuazione e in particolare negli artt. 2 e 6 del d.P.R. n. 305 del 1988 (per quanto riguarda l'art. 1, comma 2) nonche' negli artt. 79, comma 3, dello statuto e 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 (quanto all'art. 4, comma 2). 1.4.- La Regione Trentino-Alto Adige ha proposto questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto dei commi 4 e 7 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011. L'art. 2, comma 4, stabilisce che qualora si verifichino una o entrambe le condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1 - e cioe' qualora il Presidente della Giunta regionale, nominato Commissario ad acta non abbia adempiuto, in tutto o in parte, all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso (lettera a); e si riscontri, in sede di verifica annuale, ai sensi dell'art. 2, comma 81, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2010), il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente perdurare del disavanzo sanitario oltre la misura consentita dal piano medesimo o suo aggravamento (lettera b) - «il Governo, in attuazione dell'articolo 2, comma 84, della citata legge n. 191 del 2009, nell'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120 della Costituzione, nomina un commissario ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, che sostituisce il Presidente della Giunta regionale nominato commissario ad acta ai sensi dell'articolo 2, commi 79 e 83, della citata legge n. 191 del 2009». Il comma 7 dello stesso art. 2 prevede che «Con riguardo a settori ed attivita' regionali diversi dalla sanita', ove una regione dopo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nonche' dei relativi costi standard e la definizione degli obiettivi di servizio, non provveda alla attuazione dei citati livelli e al raggiungimento degli obiettivi di servizio in coerenza con le previsioni di cui all'articolo 18 della legge 5 maggio 2009, n. 42, il Presidente della Giunta regionale e' nominato commissario ad acta ai sensi dell'articolo 8 della citata legge n. 131 del 2003, per l'esercizio dei poteri sostitutivi». Attraverso il richiamo all'art. 8 della legge n. 131 del 2003, attuativo dell'art. 120 Cost., il censurato combinato disposto pretende di applicare la suddetta disposizione costituzionale alle autonomie speciali, laddove, nelle materie statutariamente attribuite alle ricorrenti, l'art. 120 Cost. e' inapplicabile, e restano fermi i poteri sostitutivi previsti dalle norme di attuazione di cui all'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987 (si richiama al riguardo la sentenza di questa Corte n. 236 del 2004). Quanto poi alle materie non previste nello Statuto, la ricorrente deduce che l'art. 8 della legge n. 131 del 2003 sarebbe ad esse applicabile soltanto dopo il trasferimento delle nuove funzioni con le procedure previste dall'art. 11 della legge n. 131 del 2003, ossia con norme di attuazione. Poiche' la disciplina del potere sostitutivo statale in relazione alle nuove funzioni trasferite spetta alle norme di attuazione, il comma 7 dell'art. 2 contrasta anche, secondo la Regione Trentino-Alto Adige, con l'art. 107 Cost. (recte: dello statuto) perche' pretende di vincolare il contenuto delle norme di attuazione. Ulteriore motivo di illegittimita' del comma 7 dell'art. 2 e' rinvenuto dalla ricorrente nel fatto che detto comma fa riferimento al «mancato raggiungimento degli obiettivi di servizio» ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi, mentre l'art. 120 Cost. «si riferisce soltanto alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, e non anche a generici obiettivi di servizio, la cui nozione e' sconosciuta alla Costituzione». 1.5.- La Regione Trentino-Alto Adige ha impugnato l'art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011, secondo cui «Il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato puo' attivare verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori: a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria; b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; c) anomale modalita' di gestione dei servizi per conto di terzi». Nel fare riferimento all'art. 14, comma 1, della legge n. 196 del 2009, che affida al Ministero dell'economia e delle finanze verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, «ad eccezione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano», l'articolo denunciato contempla, secondo la ricorrente, un controllo di gestione ministeriale sugli enti locali della Regione e sugli enti pubblici pararegionali. La previsione di tale forma di controllo, in particolare, lederebbe: a) la potesta' legislativa primaria e la potesta' amministrativa della Regione ricorrente in materia di «ordinamento degli enti para-regionali», rispettivamente riconosciute dall'art. 4, numero 2), dello statuto e 16, comma 1, del d.lgs. n. 268 del 1992; b) la competenza legislativa primaria della Regione ricorrente in materia di «ordinamento degli enti locali» di cui all'art. 4, numero 3), dello statuto; c) l'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, che esclude il conferimento di funzioni amministrative - e quindi anche funzioni di vigilanza - ad organi statali; d) l'art. 117, sesto comma, Cost. e l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, qualora si ritenga che l'atto regolativo da esso previsto abbia natura regolamentare e che pertanto violi il divieto di regolamenti statali in materie regionali, ovvero l'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, qualora si ritenga al contrario che l'atto in parola non abbia natura normativa. Sarebbero poi violati gli artt. 54, 79 e 80 dello statuto e l'art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 1.6.- La Regione Trentino-Alto Adige ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.lgs. n. 149 del 2011, il quale dispone: a) che «gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, accerti che questo e' diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l'amministratore e' stato riconosciuto responsabile»; b) che «i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente» (...) «non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonche' di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo», ne' possono ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale ne' alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici; c) che i componenti del collegio dei revisori di cui siano riconosciute gravi responsabilita', in sede di giudizio della Corte dei conti, nello svolgimento della loro attivita' o ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative vigenti, delle informazioni, «non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili fino a dieci anni, in funzione della gravita' accertata». In via preliminare la ricorrente sostiene che il comma 1 dell'impugnato art. 6, in quanto sostituisce l'art. 248, comma 5, del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» (d'ora in avanti TUEL), e' ad essa inapplicabile, in forza dell'art. 1, comma 2, del testo unico medesimo, secondo cui «le disposizioni del presente testo unico non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione». Nell'ipotesi, prospettata in via subordinata, che il gia' richiamato art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011 prevalga sul censurato art. 6 e che renda l'intero decreto legislativo n. 149 direttamente applicabile alle autonomie speciali, la Regione Trentino-Alto Adige deduce comunque l'illegittimita' costituzionale della norma impugnata per contrasto con l'art. 4, numero 3), dello statuto, che attribuisce alla Regione la competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali. L'impugnato articolo introdurrebbe, infatti, una disciplina dettagliata ed autoapplicativa in una materia di competenza legislativa regionale. Quanto al comma 2 dell'art. 6, esso - che non modifica il t.u. degli enti locali - se applicato in via diretta alla Regione in forza del ricordato art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011 si pone comunque in contrasto, ad avviso della ricorrente, con gli artt. 54, numero 5), 79, comma 3, e 80 dello statuto, nonche' con l'art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988, perche', nella materia, riservata alla Regione, dell'ordinamento degli enti locali, introduce forme di controllo ulteriori rispetto a quelle statutariamente previste. 1.7.- La Regione Trentino-Alto Adige ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011, il quale prevede una serie di sanzioni per l'ipotesi di mancato rispetto del patto di stabilita' interno da parte della «Regione o Provincia autonoma inadempiente». La ricorrente ne lamenta il contrasto con l'art. 79 dello statuto. Dall'evocato parametro statutario emergerebbe chiaramente, secondo la ricorrente, che il legislatore delegato, con la disposizione impugnata, ha modificato unilateralmente il regime finanziario disegnato dallo Statuto, con lesione del principio dell'accordo che domina i rapporti finanziari fra Stato e Regione Trentino-Alto Adige. In via subordinata - qualora cioe' si ammettesse l'intervento del legislatore ordinario in materia - la Regione Trentino-Alto Adige lamenta il contrasto della disposizione impugnata con l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in quanto, in materia di competenza regionale e provinciale, non si potrebbe comunque far luogo all'applicazione diretta della normativa statale, sussistendo in capo alle ricorrenti soltanto un dovere di adeguamento. 2.- La Regione Emilia-Romagna con ricorso notificato il 19 novembre 2011 e depositato il successivo 23 novembre (ric. n. 149 del 2011) ha proposto questioni di legittimita' costituzionale, in via principale, degli artt. 2, commi 1, 2, 3, 5 e 7; e 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, per violazione degli artt. 3, 5, 24, 76, 77, 97, 100, 103, 114, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123 e 126 Cost., nonche' dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza e certezza del diritto. 2.1.- La ricorrente denuncia in via preliminare l'illegittimita' di tutte le disposizioni impugnate per violazione degli artt. 76 e 114 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione, lamentando, con argomentazioni in tutto coincidenti con quelle spese dalla Regione Trentino-Alto Adige nel ricorso n. 148 del 2011 (supra, punto 1.1.), il mancato perfezionarsi della prescritta intesa, la mancata indicazione delle «specifiche motivazioni» per le quali l'accordo non e' stato raggiunto e la stessa insussistenza delle ragioni di urgenza che avrebbero determinato il Governo a non proseguire ulteriormente nella ricerca dell'intesa con la Regione. 2.2.- La Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, che disciplina la responsabilita' del Presidente della Giunta regionale per l'ipotesi di grave dissesto finanziario. La ricorrente assume il contrasto del predetto art. 2 con l'art. 76 Cost., in riferimento ai principi e criteri direttivi indicati negli artt. 2, lettera z), e 17, lettera e), della legge di delegazione n. 42 del 2009. La dedotta illegittimita' della norma denunciata verrebbe in evidenza sotto tre profili: a) perche' essa introduce l'autonoma fattispecie del grave dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario; b) perche' collega la rimozione del Presidente della Giunta regionale a tale fattispecie, anziche' a specifiche gravi violazioni di legge, come richiesto dall'art. 126 Cost.; c) perche' collega siffatta rimozione non gia' alle attivita' che il Presidente della Giunta svolge in quanto tale, ma nella sua opera di Commissario ad acta nominato dal Governo ai sensi dell'art. 2, commi 79 e 83, della legge n. 191 del 2009. Quanto al primo profilo, la norma impugnata estende alla Regione il regime del dissesto finanziario senza che nella legge di delega compaia alcun riferimento a questa fattispecie, che, di conseguenza e' "creata" dal legislatore delegato in eccesso di delega. Non puo' infatti rinvenirsi il fondamento del censurato art. 2 nell'art. 17, lettera e), della legge n. 42 del 2009, che si riferisce genericamente a una situazione di grave dissesto delle finanze regionali come premessa per far scattare il procedimento di scioglimento degli organi regionali, «ove ne ricorrano i presupposti», dovendosi questi presupposti rinvenire nelle "gravi violazioni di legge" cui fa riferimento l'art. 126 Cost. Quanto al secondo profilo, la ricorrente rileva che la legge di delega fa rientrare fra i casi di grave violazione di legge rilevanti ai sensi dell'art. 126 Cost. «le attivita' che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali», ma cio' non autorizza a concludere che il «grave dissesto» possa essere di per se' identificato con una «grave violazione di legge» ai sensi e per gli effetti dell'art. 126 Cost. Solo le specifiche violazioni di legge potranno, al contrario, essere ritenute gravi quando conducano al dissesto finanziario. Di qui la conclusione che il collegamento automatico della fattispecie del grave dissesto finanziario alla sanzione dello scioglimento della Giunta regionale integra una violazione della legge di delega, e quindi, indirettamente, dell'art. 76 Cost. Quanto, infine, al terzo dei profili di censura, la necessaria coincidenza personale tra la figura del commissario governativo e quella del Presidente della Regione non e' sufficiente, ad avviso della ricorrente, a superare il rilievo che le due figure sono istituzionalmente e giuridicamente diverse e che nella legge di delega lo scioglimento era prospettato come sanzione alle gravi violazioni di legge che portino al dissesto compiute dal Presidente, non gia' dal Commissario nominato dal Governo. Appare inoltre incongruo alla ricorrente che al Presidente della Regione, in quanto organo politico responsabile nei confronti del Consiglio regionale, si commini una gravissima sanzione sul piano politico imputandogli comportamenti tenuti nella veste di commissario, nella quale egli opera invece in raccordo e in rapporto di responsabilita' con il Governo nazionale. 2.3.- La Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimita' costituzionale del comma 1 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, per contrasto con l'art. 76 Cost. La ricorrente afferma che il comma impugnato modifica le previsioni contenute nell'art. 2, comma 77, della legge n. 191 del 2009, che tuttavia e' stata a sua volta modificata dopo il conferimento della delega, ma prima dell'esercizio della stessa da parte del Governo. Con questo intervento legislativo il Parlamento avrebbe implicitamente operato una revoca parziale della delega originariamente concessa, imponendo al legislatore delegato di rispettare la disciplina parlamentare sopravveniente alla delega. Ma questo limite, secondo la prospettazione regionale, e' stato violato dalla disposizione denunciata, la quale, «disciplinando con norme nuove le procedure di rientro dal disavanzo sanitario» modifica la disciplina introdotta dal legislatore parlamentare successivamente alla legge di delega e inoltre, sovrapponendosi caoticamente a tale disciplina parlamentare reca un vulnus al principio della certezza del diritto. 2.4.- La Regione Emilia-Romagna ha impugnato anche i commi 1 e 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, per violazione dell'art. 126 Cost. Detta disposizione costituzionale subordina la rimozione del Presidente della Giunta regionale e lo scioglimento del Consiglio regionale alla circostanza che essi abbiano compiuto gravi violazioni di legge, che sussistono - secondo la ricorrente - soltanto «se gli organi regionali tengono uno specifico comportamento, in contrasto con specifiche norme, comportamento che a seguito della contestazione potrebbero far cessare». La formulazione costituzionale e le corrispondenti espressioni impiegate negli statuti speciali («reiterate e gravi violazioni di legge») esprimono, infatti, «la necessita' che i comportamenti illegittimi abbiano un certo grado di frequenza e intensita', ma anche di intenzionalita'». Tutti questi caratteri difetterebbero nella previsione della fattispecie del dissesto finanziario come ipotesi legittimante la rimozione del Presidente della Giunta e lo scioglimento del Consiglio regionale. 2.5.- La Regione Emilia-Romagna ha impugnato l'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, nella parte in cui collega la sanzione dello scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta per responsabilita' politica all'accertamento - da parte della Corte dei conti - del ricorso delle condizioni di cui al comma 1. La ricorrente contesta la violazione degli artt. 24, 100 e 103, secondo comma, Cost. nonche' del principio di ragionevolezza. Essa premette che l'accertamento della responsabilita' personale del Presidente della Giunta e' rimesso alla Corte dei conti «senza che la norma specifichi se a tal fine la Corte agisca nell'ambito delle sue attribuzioni di controllo ovvero quale organo di giurisdizione». Nell'ipotesi in cui si ritenga che l'accertamento in discorso debba essere eseguito nell'esercizio delle funzioni di controllo collaborativo, i parametri costituzionali evocati sarebbero lesi perche' l'accertamento della diretta responsabilita' del Presidente della Regione e la diretta imputabilita' allo stesso del verificarsi delle condizioni di cui al comma 1, a titolo di dolo o colpa grave, richiede necessariamente un procedimento giurisdizionale, «caratterizzato dal rispetto del principio del contraddittorio e dal pieno riconoscimento degli inviolabili diritti di difesa». Se invece la disposizione fosse interpretata - nonostante una contraria indicazione si ricavi dall'art. 6 del d.lgs. n. 149 del 2011 - nel senso che, ai fini degli accertamenti richiesti alla Corte dei conti, concorrano la funzione di controllo e la funzione giurisdizionale, la disposizione sarebbe egualmente incostituzionale, per violazione dei medesimi parametri, perche' l'elemento oggettivo del danno ingiusto sarebbe ascrivibile ex se al fatto del grave dissesto finanziario senza il necessario concorso dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave. Si osserva al riguardo nel ricorso che «si tratterebbe (...) di un giudizio di responsabilita' erariale di cui non sono chiare le regole, le modalita' di introduzione, le garanzie di difesa nelle varie fasi, la competenza ed i gradi». Anche ad ammettere che il legislatore abbia subordinato l'irrogazione della sanzione all'accertamento, in sede di giudizio di responsabilita', della sussistenza del dolo o della colpa grave del Presidente, con sentenza passata in giudicato, il procedimento definito nel denunciato art. 2, comma 2, e' comunque considerato illegittimo dalla ricorrente perche' irragionevolmente genera una «situazione di grave incertezza e di delegittimazione degli organi costituzionali della Regione, destinata a protrarsi nel tempo», anticipando di fatto la sanzione politica che, giuridicamente, dovrebbe colpire il Presidente solo quando sia accertata in via definitiva la sussistenza delle condizioni soggettive rilevanti ai sensi dell'art. 126 Cost. 2.6.- La Regione Emilia-Romagna ha impugnato il comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, secondo cui «Il Presidente rimosso ai sensi del comma 2 e' incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni. Il Presidente rimosso non puo' essere nominato quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea per un periodo di tempo di dieci anni». La ricorrente ne deduce il contrasto con la legge di delega n. 42 del 2009 e l'indiretta violazione dell'autonomia regionale, sotto diversi profili. In primo luogo la legge di delega - secondo le ricorrenti - non prevede gli organi regionali come possibili destinatari delle sanzioni della ineleggibilita' e incandidabilita'. Infatti detta legge autorizzava a introdurre quale meccanismo sanzionatorio automatico per gli organi di governo l'ineleggibilita' degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'art. 244 del TUEL, e quindi faceva riferimento solo agli enti locali sub-regionali, non certo alle Regioni. Inoltre la legge di delegazione n. 42 del 2009 autorizzava il legislatore delegato a prevedere ipotesi di ineleggibilita' degli amministratori degli enti dichiarati in stato di dissesto finanziario, non anche a introdurre la sanzione della incandidabilita', che differisce per ratio e disciplina giuridica dalla ipotesi di ineleggibilita'. Da ultimo la ricorrente osserva che la legge di delega ammetteva l'individuazione di «casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici», mentre l'impugnato comma 3 dell'art. 2 estende l'interdizione alle cariche di enti e organi politici. Lo stesso comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 e' impugnato dalla Regione Emilia-Romagna anche per violazione dell'autonomia legislativa prevista nell'art. 122 Cost. in materia di sistema di elezione e casi di ineleggibilita' e incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale. La disposizione censurata, infatti, nella suddetta materia di legislazione concorrente pone una disciplina analitica e autoapplicativa che non lascia alla legge regionale alcun margine di integrazione; sotto altro profilo il denunciato comma 3 si ritiene viziato per irragionevolezza in quanto irroga una sanzione sproporzionata, specie se comparato alle altre ipotesi legislativamente previste di applicazione della sanzione della incandidabilita', che sono tutte connesse a gravissimi episodi di criminalita'. La ricorrente aggiunge, infine, che la disposizione denunciata e' illogica, e quindi irragionevole, la' dove «pretende di disciplinare restrittivamente i poteri di nomina dei propri "organi e cariche di governo" da parte delle istituzioni europee», mentre avrebbe dovuto far riferimento alle sole designazioni spettanti alla Repubblica italiana in tali organi comunitari. 2.7.- La Regione Emilia-Romagna ha impugnato il comma 5 dell'art. 2, che disciplina la nomina di un commissario ad acta e affida tale nomina al Consiglio dei ministri. Secondo la ricorrente, la disposizione e' illegittima per violazione dell'art. 76 Cost., perche', in assenza di un'autorizzazione nella legge di delega, sostituisce il meccanismo di nomina commissariale previsto dall'art. 53 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali) - che era piu' garantista perche' basato su designazioni parlamentari e sulla nomina degli amministratori straordinari da parte del Presidente della Repubblica - con una nomina governativa che viola l'autonomia costituzionale della Regione. Inoltre il comma impugnato, secondo la ricorrente, lede il principio di leale collaborazione, perche' non prevede un'intesa della Conferenza Stato-Regioni sul commissario da nominare. 2.8.- La Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimita' costituzionale del comma 7 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, nella parte in cui esso fa riferimento al «mancato raggiungimento degli obiettivi di servizio» ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi, laddove l'art. 120 Cost. «si riferisce soltanto alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, e non anche a generici obiettivi di servizio». 2.9.- La Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, il quale stabilisce un regime di decadenza automatica e di interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti. La disposizione e' denunciata in primo luogo per contrasto con l'art. 76 Cost., perche' commina sanzioni gravissime che la legge di delega prevede soltanto per gli amministratori degli enti locali; in secondo luogo, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., perche', nell'introdurre una sanzione interdittiva nella misura predeterminata e fissa di dieci anni, reca una disciplina dettagliata e autoapplicativa nella materia di potesta' legislativa concorrente "coordinamento della finanza pubblica"; in terzo luogo, perche' lede la competenza legislativa residuale della Regione in tema di organizzazione degli uffici e ordinamento del personale, di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. 2.10.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale proposto con ricorso n. 149 del 2011 dalla Regione Emilia-Romagna, la Regione Molise ha proposto atto di intervento ad adiuvandum - depositato fuori termine il 7 giugno 2012 - chiedendo a questa Corte di dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2, commi 1, 2, 3, 5 e 7, nonche' dell'art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, in riferimento agli artt. 3, 5, 11, 16, 24, 97, 100, 103, 114, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123 e 126 Cost., nonche' ai principi di leale collaborazione, ragionevolezza e certezza del diritto. La Regione interveniente assume di avere interesse a far valere le predette violazioni, in quanto il proprio Presidente e' Commissario ad acta per il rientro del disavanzo sanitario regionale. 3.- Con ricorso notificato il 19 novembre 2011 e depositato il successivo 23 novembre (ric. n. 150 del 2011), la Provincia autonoma di Trento ha proposto questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, commi 1, 2, 3, 4 e 7, 3, 4, 5, 6, 7 e 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, per violazione degli artt. 76, 100, 117 Cost., nonche' degli artt. 8, numero 1); 9, numero 10); 16, 47, 49-bis; 54, 79, 80, 81 dello statuto speciale; degli artt. 2 e 4 del citato d.lgs. n. 266 del 1992; degli artt. 16, 17 e 18 del menzionato d.lgs. n. 268 del 1992; del richiamato d.P.R. n. 305 del 1988; dell'art. 8 del citato d.P.R. n. 526 del 1987, nonche' del principio di leale collaborazione. 3.1 - La Provincia di Trento ha denunciato l'illegittimita' di tutte le disposizioni censurate per violazione dell'art. 76 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione. L'adozione del decreto legislativo in assenza dell'intesa prescritta dall'art. 2, comma 3, della legge di delega n. 42 del 2009, l'omessa indicazione delle «specifiche motivazioni» che hanno impedito il perfezionamento dell'accordo e l'insussistenza del presupposto dell'urgenza indicato dal Governo a giustificazione della propria unilaterale condotta integrerebbero la denunciata violazione, per ragioni analoghe a quelle gia' indicate supra, al punto 1.1., con riferimento al ricorso n. 148 del 2011, promosso dalla Regione Trentino-Alto Adige. 3.2 - La Provincia di Trento ha proposto questione di legittimita' dell'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, osservando che dall'accoglimento di tale questione deriverebbe la non applicazione alla ricorrente dell'intero d.lgs. n. 149 del 2011. La questione e' proposta in riferimento ai medesimi parametri (art. 76 Cost., artt. 79, 103, 104 e 107 dello statuto; art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992) e sulla base delle medesime argomentazioni indicate supra, al punto 1.2., con riferimento al ricorso n. 148 del 2011 proposto dalla Regione Trentino-Alto Adige. 3.3 - La Provincia di Trento ha impugnato gli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 149 del 2011, rispettivamente dedicati alla Relazione di fine legislatura regionale e alla Relazione di fine mandato provinciale e comunale, assumendo che essi violino le competenze ad essa statutariamente attribuite in materia di «vigilanza e tutela sulle amministrazioni comunali» (art. 54, numero 5), coordinamento degli enti locali con riguardo agli obblighi relativi al patto di stabilita' interno e alla vigilanza sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica (art. 79, comma 3, e art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988); finanza locale (art. 80); bilanci, rendiconti, amministrazione del patrimonio e contratti della Provincia (art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 268 del 1992), organizzazione interna della Provincia (art. 8, numero 1, dello statuto o, se ritenuto piu' favorevole, art. 117, quarto comma, Cost., nonche' art. 47 dello statuto per i rapporti fra organi politici); finanza comunale (art. 17 del d.lgs. n. 268 del 1992). Le doglianze sono argomentate in termini del tutto analoghi a quelli gia' illustrati supra, al punto 1.3., con riferimento al ricorso n. 148 del 2011 promosso dalla Regione Trentino-Alto Adige. In relazione al coordinamento della finanza nel settore sanitario (art. 117, terzo comma, Cost.), la Provincia di Trento ricorda che essa, ai sensi dell'art. 34, comma 3, secondo periodo, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), provvede al finanziamento del servizio sanitario nazionale nel rispettivo territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato, e cio' dovrebbe escludere che lo Stato abbia titolo per dettare in tale materia norme di coordinamento finanziario. La ricorrente ha impugnato anche il comma 5 dell'art. 1, il quale prevede che lo schema tipo per la redazione della relazione di fine legislatura sia adottato con atto di natura non regolamentare (comma 5). La previsione, secondo la Provincia ricorrente, viola il divieto - desumibile dal comma 6 dell'art. 117 Cost. e dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 - di far ricorso a fonti secondarie nelle materie regionali, e comunque, qualora l'atto si consideri amministrativo e non normativo, il divieto di attribuzione di funzioni amministrative ad organi statali, di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. Gli artt. 1, comma 2, e 4, comma 2, sono censurati infine nella parte in cui prevedono una forma di controllo da parte del Tavolo tecnico perche' introducono una forma di controllo non prevista nello statuto e nelle relative norme di attuazione e in particolare negli artt. 2 e 6 del d.P.R. n. 305 del 1988 (per quanto riguarda l'art. 1, comma 2) nonche' negli artt. 79, comma 3, dello statuto e 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 (per quanto riguarda l'art. 4, comma 2). 3.4.- La Provincia di Trento ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2, 3, 4 e 7 del d.lgs. n. 149 del 2011. La censura e' formulata in termini identici a quella prospettata nel ricorso n. 149 del 2011, promosso dalla Regione Emilia-Romagna (supra, punto 2.2). 3.5.- La medesima ricorrente ha impugnato il comma 1 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, per contrasto con l'art. 76 Cost. La censura e' formulata in termini identici a quella prospettata nel ricorso n. 149 del 2011, promosso dalla Regione Emilia-Romagna (supra, punto 2.3). 3.6.- La Provincia di Trento ha impugnato pure l'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, nella parte in cui collega la sanzione dello scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta al verificarsi della fattispecie di grave dissesto finanziario, in riferimento agli stessi parametri costituzionali e sulla base dei medesimi argomenti gia' illustrati nel ricorso n. 149 del 2011, promosso dalla Regione Emilia-Romagna (supra, punto 2.5). 3.7.- La Provincia di Trento ha proposto questione di legittimita' costituzionale del comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, nella parte in cui prevede che il Presidente della Regione, rimosso ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, sia «incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di dieci anni» e aggiunge che per lo stesso periodo, lo stesso Presidente non puo' «essere nominato quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea». In via preliminare la ricorrente lamenta la violazione delle norme statutarie e costituzionali che attribuiscono alla Provincia la competenza concorrente in materia sanitaria (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10, legge costituzionale n. 3 del 2001) organizzativa e finanziaria (artt. 8, numero 1, e 69), ed escludono l'applicazione alla Provincia delle norme di coordinamento finanziario relative alle Regioni ordinarie (art. 79 statuto). Inoltre la Provincia trentina osserva che la disposizione censurata assume quale suo presupposto la disciplina sui piani di rientro sanitario, disciplina alla quale la Provincia e' estranea, in quanto sostiene la spesa sanitaria con risorse poste a carico del proprio bilancio. Per i profili di merito, la censura e' formulata in termini identici a quella prospettata nel ricorso n. 149 del 2011, promosso dalla Regione Emilia-Romagna (supra, punto 2.6). 3.8.- La Provincia di Trento ha impugnato l'art. 2, commi 4 e 7, del d.lgs. n. 149 del 2011 in riferimento agli stessi parametri e per gli stessi motivi illustrati supra, al punto 1.4., con riguardo al ricorso n. 148 del 2011 promosso dalla Regione Trentino-Alto Adige. Le due norme denunciate, secondo la Provincia di Trento, sarebbero comunque illegittime, per la parte in cui si applicano al settore sanitario, perche' la sanita' e' posta interamente a carico del bilancio provinciale e cio' esclude che nei suoi confronti trovi applicazione la disciplina sui rientri dal deficit sanitario che costituisce la premessa delle norme censurate. 3.9.- La Provincia di Trento ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, il quale stabilisce un regime di decadenza automatica e di interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti. La ricorrente deduce il contrasto della disposizione impugnata: a) con l'art. 76 Cost., perche' commina sanzioni gravissime, previste nella legge di delega n. 42 del 2009 soltanto per gli amministratori degli enti locali; b) con l'art. 117, terzo comma, Cost. e l'art. 79 dello statuto, perche', nell'introdurre una sanzione interdittiva nella misura predeterminata e fissa di dieci anni, reca una disciplina dettagliata nella materia di potesta' legislativa concorrente "coordinamento della finanza pubblica"; con l'art. 8, numero 1), dello statuto - o con l'art. 117, quarto comma, Cost., se ritenuto piu' favorevole - perche' gli evocati parametri attribuiscono alla Provincia la potesta' legislativa esclusiva in materia di organizzazione degli uffici e ordinamento del personale. La medesima disposizione, per la sola parte in cui si applica al settore sanitario, e' censurata per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., sul rilievo che lo Stato non avrebbe titolo per dettare norme di coordinamento in tale materia, dato che la sanita' e' posta interamente a carico del bilancio della Provincia ricorrente e cio' esclude che trovi applicazione nei suoi confronti la disciplina sui rientri dal deficit sanitario (art. 2, comma 77, della legge n. 191 del 2009) che costituisce la premessa delle norme censurate. 3.10.- La Provincia di Trento ha impugnato il gia' citato art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011, per ragioni analoghe a quelle sopra illustrate, al punto 1.5., con riguardo al ricorso n. 148 del 2011, promosso dalla Regione Trentino-Alto Adige. Inoltre la ricorrente deduce il contrasto con l'art. 79, comma 3, dello statuto - unitamente agli artt. 54, numero 5), e 80 dello statuto e all'art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 - che attribuisce alle Province autonome di Trento e di Bolzano «funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali, ai propri enti ed organismi strumentali, alle aziende sanitarie, alle universita' non statali, alle camere di commercio, industria artigianato e agricoltura e agli altri enti od organismi a ordinamento regionale o provinciale finanziati dalle stesse in via ordinaria» e stabilisce che le province «vigilano sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica» da parte degli enti ed organismi predetti ed «esercitano sugli stessi il controllo successivo sulla gestione dando notizia degli esiti alla competente sezione della Corte dei conti». 3.11.- La Provincia di Trento ha impugnato l'art. 6 del d.lgs. n. 149 del 2011 per motivi analoghi a quelli gia' illustrati supra, al punto 1.6, con riguardo al ricorso n. 148 del 2011, proposto dalla Regione Trentino-Alto Adige. Inoltre, nell'ipotesi, prospettata in via subordinata, che il gia' richiamato art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011 prevalga sul censurato art. 6 e che renda l'intero decreto legislativo n. 149 direttamente applicabile alle autonomie speciali, la Provincia di Trento deduce che la norma impugnata contrasta con l'art. 80 dello statuto, secondo cui spetta alla Provincia la competenza legislativa esclusiva in materia di finanza locale, perche' essa pone precetti dettagliati e autoapplicativi in una materia di competenza primaria provinciale. La ricorrente lamenta inoltre che l'articolo impugnato interferisce illegittimamente con la disciplina delle elezioni provinciali - e quindi con gli artt. 8, numero 1 (o 117, quarto comma, Cost. se ritenuto piu' favorevole), e 47 dello statuto - perche' l'incandidabilita' non e' da esso collegata alla commissione di reati e pertanto non puo' rientrare nella competenza statale sull'ordine pubblico. Quanto, infine, al comma 2 dell'art. 6, esso e' censurato per violazione degli artt. 54, numero 5), 79, comma 3, e 80 dello statuto, nonche' dell'art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988, che attribuiscono alla Regione competenze in materia di ordinamento degli enti locali e riconoscono alle Province poteri di vigilanza e di controllo di gestione, perche' introduce forme di controllo ulteriori rispetto a quelle statutariamente previste. 3.12.- La Provincia di Trento ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011, in riferimento agli stessi parametri e ai medesimi argomenti illustrati supra, al punto 1.7, con riguardo al ricorso n. 148 del 2011, proposto dalla Regione Trentino-Alto Adige. Il comma 2 del medesimo art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011 e' denunciato dalla Provincia ricorrente anche per violazione degli artt. 79, 80 e 81 dello statuto, anche in riferimento alla legge della Provincia autonoma di Trento 15 novembre 1993, n. 36 (Norme in materia di finanza locale). L'art. 3 di detta legge dispone infatti che «in sede di definizione dell'accordo previsto dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono stabilite (...) le misure necessarie a garantire il coordinamento della finanza comunale e quella provinciale, con particolare riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al patto di stabilita' interno» e tale accordo non sarebbe stato nella specie siglato. La Provincia di Trento si duole, inoltre, che le lettere c) e d) del predetto comma 2 - le quali vietano all'ente locale inadempiente al patto di stabilita' interno di ricorrere all'indebitamento per spese di investimento e di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto - ledono l'art. 17, comma 3, lettera d), del d.lgs. n. 268 del 1992, che attribuisce alla Provincia la competenza a disciplinare «con legge i criteri per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale». 4.- La Regione Umbria, con ricorso notificato il 19 novembre 2011 e depositato il successivo 23 novembre (ric. n. 151 del 2011), ha proposto questioni di legittimita' costituzionale, in via principale, degli artt. 2, commi 1, 2, 3, 5 e 7; e 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, per violazione degli artt. 3, 5, 24, 76, 77, 97, 100, 103, 114, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123 e 126 Cost., nonche' dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza e certezza del diritto. 4.1.- Il ricorso ha contenuto identico a quello proposto dalla Regione Emilia-Romagna, gia' sopra illustrato (punto 2). 5.- Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale - spedito il 19 novembre 2011 e ricevuto il 22 novembre 2011 - e depositato il 23 novembre 2011 (ric. n. 154 del 2011), la Regione Campania ha promosso, in riferimento agli artt. 120, 122 e 126 Cost. nonche' al principio di ragionevolezza, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 2, 3 e 5, del d.lgs. n. 149 del 2011. In particolare, ad avviso della ricorrente, i commi denunciati si porrebbero in contrasto, rispettivamente, con: a) gli artt. 122 e 126 Cost. ed il principio di ragionevolezza; b) gli artt. 120, secondo comma, e 126, primo comma, Cost.; c) l'art. 122, primo comma, Cost. 5.1.- Il denunciato comma 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 disciplina le conseguenze del verificarsi della fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario, delle Regioni assoggettate a piano di rientro ai sensi dell'art. 2, comma 77, della citata legge n. 191 del 2009, come definita dal comma 1 dello stesso art. 2 (secondo cui: «La fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario, si verifica in una regione assoggettata a piano di rientro ai sensi dell'articolo 2, comma 77, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al verificarsi congiuntamente delle seguenti condizioni: a) il presidente della giunta regionale, nominato Commissario ad acta ai sensi dell'articolo 2, rispettivamente commi 79 e 83, della citata legge n. 191 del 2009, non abbia adempiuto, in tutto o in parte, all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso; b) si riscontri, in sede di verifica annuale, ai sensi dell'articolo 2, comma 81, della citata legge n. 191 del 2009, il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente perdurare del disavanzo sanitario oltre la misura consentita dal piano medesimo o suo aggravamento; c) sia stato adottato per due esercizi consecutivi, in presenza del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro e del conseguente incremento delle aliquote fiscali di cui all'articolo 2, comma 86, della citata legge n. 191 del 2009, un ulteriore incremento dell'aliquota dell'addizionale regionale all'Irpef al livello massimo previsto dall'articolo 6 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68»). Il comma impugnato, censurato, in dichiarato riferimento agli artt. 122 e 126 Cost. ed al principio di ragionevolezza, «nella parte in cui prevede che il grave dissesto finanziario - come definito dal comma 1 - determina lo scioglimento degli organi regionali», stabilisce che: «Il grave dissesto finanziario di cui al comma 1 costituisce grave violazione di legge e in tal caso con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 126, comma primo, della Costituzione, sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale nonche' la rimozione del Presidente della Giunta regionale per responsabilita' politica nel proprio mandato di amministrazione della regione, ove sia accertata dalla Corte dei conti la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1 e la loro riconduzione alla diretta responsabilita', con dolo o colpa grave del Presidente della Giunta regionale. Il decreto del Presidente della Repubblica e' adottato previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere conforme della Commissione parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza di due terzi dei componenti. Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale interessato». La Regione ricorrente afferma che tale comma viola gli artt. 122 e 126 Cost. Ad avviso della Regione, il comma denunciato viola anzitutto l'art. 126 Cost. sotto due distinti profili. In primo luogo, perche' fa riferimento ad un'ipotesi di responsabilita' politica del Presidente della Giunta non contemplata da detto parametro costituzionale, che prevede, quale unica ipotesi di responsabilita' politica del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale diretto, quella che lega tale organo, in via esclusiva, al Consiglio regionale, e, quindi, agli elettori; responsabilita' che e' connessa al rapporto fiduciario tra Presidente della Giunta e Consiglio regionale e che puo' essere fatta valere a mezzo della mozione di sfiducia approvata dallo stesso Consiglio regionale ai sensi dell'art. 126, terzo comma, Cost. In secondo luogo, perche', sovrapponendo in un'unica figura di incerta portata una ipotesi di grave violazione di legge ai sensi del primo comma dell'art. 126 Cost., ed una costituzionalmente inedita ipotesi di responsabilita' politica diversa da quella prevista dal terzo comma dello stesso art. 126 Cost., crea un tertium genus di causa di scioglimento degli organi regionali, non previsto dall'art. 126 Cost. e quindi in contrasto con esso. La stessa Regione Campania denuncia poi il contrasto dell'impugnato comma 2 con il principio di ragionevolezza sotto quattro distinti profili. Anzitutto, perche', ai fini della responsabilita' del Presidente pro-tempore della Giunta, non tiene conto ne' del fatto che egli "eredita" il dissesto delle precedenti gestioni, del cui disavanzo non e' previsto lo «scorporo», ne' dei miglioramenti dallo stesso conseguiti nella riduzione del disavanzo, i quali, al contrario, gli vengono addebitati come inadempimenti parziali. Inoltre, sempre ad avviso della ricorrente, la disposizione denunciata si pone in palese contraddizione con il principio di proporzionalita', perche', col configurare la grave violazione di legge nel caso in cui il Presidente della Giunta, nominato commissario ad acta ai sensi dell'art. 2, commi 79 e 83, della legge n. 191 del 2009, non abbia adempiuto in tutto «o in parte» all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, da esso derivanti (art. 2, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 149 del 2011), consente che anche un parziale inadempimento, pur se minimo, possa determinare lo scioglimento degli organi regionali. La ricorrente afferma infine l'irragionevolezza del comma impugnato in quanto esso riferisce la responsabilita' del grave dissesto finanziario al solo Presidente della giunta regionale, a prescindere, peraltro, dalla forma di governo delle singole Regioni prevista dagli statuti e dalle leggi statutarie. Il comma denunciato contrasterebbe con gli invocati parametri degli artt. 122 e 126 Cost. perche' non prevede alcun meccanismo di preavviso che consenta alle Regioni di evitare di incorrere nelle sanzioni da esso previste. Carenza tanto piu' notevole alla luce del dettato dell'art. 120 Cost. e della norma di attuazione dello stesso di cui all'art. 8 della legge n. 131 del 2003, la quale prevede che, nei casi e per le finalita' previsti dall'art. 120, secondo comma, Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri assegni all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari e che solo decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, assuma i provvedimenti necessari. La ricorrente denuncia infine il contrasto dell'impugnato comma 2 con gli invocati artt. 122 e 126 Cost. anche sotto il profilo che detto comma non precisa la natura, le modalita' ed i limiti dell'accertamento, da parte della Corte dei conti, della sussistenza della fattispecie di grave dissesto finanziario e della sua riconduzione alla responsabilita' del Presidente della Giunta regionale - in particolare, la norma impugnata difetta di qualsiasi indicazione in ordine sia alla natura giurisdizionale o di controllo dell'accertamento operato dalla Corte sia alla necessita' di un «accertamento definitivo di secondo grado (che in sede di controllo andrebbe peraltro individuato!)» - con il conseguente svuotamento del contenuto «astrattamente garantistico» del procedimento, «derivante dalla sua somiglianza al modello costituito dall'art. 126, comma 1, Cost.». 5.2.- La ricorrente impugna poi il comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 per violazione dell'art. 122, primo comma, Cost., nella parte in cui prevede che il Presidente della Regione, rimosso ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, sia «incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di dieci anni» e aggiunge che per lo stesso periodo lo stesso Presidente non puo' «essere nominato quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea». La Regione Campania afferma anzitutto la non riconducibilita' dell'incandidabilita' prevista dall'impugnato comma 3 ad un caso di indegnita' morale ai sensi dell'art. 48, quarto comma, Cost., tenuto conto che essa limita il diritto di elettorato passivo e non quello di elettorato attivo. La stessa Regione sottolinea poi che l'alinea del comma 1 dell'art. 2 della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione), riserva allo Stato la competenza in materia di incandidabilita' di «coloro che hanno riportato sentenza di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione» (ipotesi disciplinate dalla legge 19 marzo 1990, n. 55, recante: «Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale»), riserva la cui ratio e' stata individuata dalla Corte costituzionale (sono citate le sentenze n. 141 del 1996 e n. 407 del 1992) nella volonta' di costruire una difesa dello Stato contro l'aggravarsi della criminalita' organizzata e dell'infiltrazione di suoi esponenti negli organi elettivi. In assenza, nella specie, di una tale ratio, e ricorrendo invece quella di sanzionare il Presidente della Giunta in conseguenza dell'adozione di atti di natura politica, la ricorrente afferma che «si puo' dubitare» che la norma censurata rispetti «la regola della necessarieta' e della ragionevole proporzionalita'» della limitazione imposta al diritto di elettorato passivo (e' citata, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1996, emessa in riferimento agli artt. 2, 3 e 51 Cost.). La ricorrente deduce il contrasto della disposizione impugnata con l'art. 122, primo comma, Cost. perche' essa «e' collocata fuori dall'apposita sedes materiae» costituita dalla legge quadro n. 165 del 2004, la quale, come precisato dal suo art. 1, «stabilisce in via esclusiva, ai sensi dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione, i principi fondamentali concernenti [...] i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale [...]» (ricomprendendo tra questi anche cause di ineleggibilita' non rimuovibili dall'interessato come le incandidabilita' di cui all'alinea del comma 1 dell'art. 2 e la non rieleggibilita' immediata del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto allo scadere del secondo mandato consecutivo di cui al comma 1, lettera f). In proposito, la ricorrente precisa che se e' dubbio che il legislatore ordinario possa vincolare il legislatore futuro al rispetto del principio di organicita' della disciplina di una data materia (e' citato l'art. 183, comma 6, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137»), certamente tale dubbio non sussiste nel caso in cui il vincolo sia imposto da una norma gerarchicamente superiore (sono citati, quali esempi di un siffatto vincolo, l'art. 1, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000 e l'art. 44, commi 3 e 4, dello statuto della Regione Toscana). La ricorrente evidenzia infine che se e' vero che, in base all'art. 1, comma 3, della legge n. 131 del 2003, nelle materie di competenza concorrente il legislatore statale e' sottratto al vincolo di organicita', e' pero' vero che, alla luce dell'art. 1, comma 4, della medesima legge, le materie di competenza concorrente sono da intendere, nella specie, come solo quelle previste dall'art. 117, quarto comma, Cost. 5.3.- La Regione Campania impugna infine il comma 5 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, a norma del quale: «Nelle more dell'insediamento del nuovo Presidente della Giunta regionale, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, nomina un nuovo commissario ad acta per l'esercizio delle competenze del Presidente della Giunta regionale concernenti l'ordinaria amministrazione e gli atti improrogabili». La Regione ricorrente afferma che tale comma viola gli artt. 120, secondo comma, e 126, primo comma, Cost. Secondo la Regione, il comma denunciato contrasta anzitutto con l'art. 126, primo comma, Cost., perche' rimette all'esclusiva decisione del Consiglio dei ministri la nomina del commissario ad acta per l'esercizio delle competenze del Presidente della Giunta regionale senza prevedere alcuna forma procedimentale idonea a garantire il coinvolgimento dell'ente territoriale interessato e, quindi, il rispetto della sua autonomia costituzionale a fronte di un intervento statale altamente limitativo della stessa. Ad avviso della ricorrente, se per lo scioglimento del Consiglio regionale e per la rimozione del Presidente della Giunta l'art. 126, primo comma, Cost. ha previsto la forma del decreto motivato del Presidente della Repubblica ed il parere obbligatorio della Commissione bicamerale per le questioni regionali, tali garanzie - «voto della Commissione bilaterale e intervento del Presidente della Repubblica» - sarebbero tanto piu' irrinunciabili, e dovrebbero ricorrere, quando si provvede all'individuazione del soggetto chiamato a sostituire l'organo regionale rimosso e, quindi, ad esercitare le competenze ad esso attribuite a livello costituzionale. La nomina dello stesso dovrebbe, percio', essere contestuale alla rimozione del Presidente della Giunta ed allo scioglimento del Consiglio regionale ed essere assistita dalle medesime garanzie. A sostegno dei propri assunti, la ricorrente menziona le sentenze della Corte costituzionale n. 2 del 2010, n. 383 del 2005 e n. 240 del 2004. Il comma censurato violerebbe poi gli invocati artt. 126, primo comma, e 120, primo comma, Cost., perche' affida al commissario ad acta l'esercizio della generalita' delle competenze del Presidente della Giunta regionale, quale organo rappresentativo e di governo della Regione - competenze definite solo genericamente in relazione all'«ordinaria amministrazione» ed agli «atti improrogabili» - invece di limitare i suoi poteri a singole attivita' specificamente individuate, come imposto dalla stessa giurisprudenza costituzionale in tema di sostituzione di un commissario ad acta ad organi delle Regioni (e' citata la sentenza n. 165 del 2011). L'impugnato comma 5 violerebbe infine l'art. 126, primo comma, Cost., anche perche' non stabilisce alcun termine entro il quale debbono essere celebrate le elezioni per il rinnovo degli organi regionali sciolti o rimossi (ne' indica l'organo che dovrebbe indirle), con la conseguenza della mancanza di qualunque limite temporale della sostituzione del Presidente della Giunta da parte del commissario ad acta e dell'illegittimo protrarsi sine die della compressione dell'autonomia regionale. La ricorrente sottolinea che l'esigenza di una disciplina legislativa che consenta il tempestivo rinnovo degli organi regionali e' stata affermata dalla stessa Corte costituzionale, con riguardo ad un altro caso di interruzione anomala della legislatura regionale rappresentato dall'annullamento delle elezioni regionali (e' citata, al riguardo, la sentenza n. 196 del 2003). 6.- Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale, spedito il 18 novembre 2011 e depositato il 24 novembre 2011 (ric. n. 156 del 2011), la Regione Lazio ha promosso, in riferimento agli artt. 5, 117, 117, quarto comma, 119, 120, 121, 122, 123 e 126 Cost., «anche in combinato disposto con l'art. 76 Cost.», all'art. 9, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonche' al principio di leale collaborazione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, commi 1, 2, 3 e 5, 3 e 7 del d.lgs. n. 149 del 2011. In particolare, ad avviso della ricorrente, tutti gli articoli denunciati violerebbero l'art. 76 Cost. (per contrasto con i commi 3 e 5 dell'art. 2 della legge di delegazione n. 42 del 2009) e il principio di leale collaborazione desumibile dagli artt. 5 e 120 Cost. Quanto alle singole disposizioni impugnate, esse contrasterebbero, rispettivamente, con: a) gli artt. 117, quarto comma, e 123 Cost.; b) gli artt. 120, 121, 122, 123 e 126 Cost., «anche in combinato disposto con l'art. 76 Cost.» ed il principio di leale collaborazione; c) 76, 117, quarto comma, e 123 Cost.; d) 117, quarto comma, e 119 Cost. 6.1.- La ricorrente deduce anzitutto la violazione, da parte di tutte le disposizioni impugnate, dell'art. 76 Cost., per contrasto con i commi 3 e 5 dell'art. 2 della legge di delegazione n. 42 del 2009, e del principio di leale collaborazione (tutelato dalle citate norme interposte); violazioni «che si riflettono sulla sfera di competenza della Regione». La ricorrente sottolinea in proposito che, in base ai citati parametri interposti: a) gli schemi dei decreti legislativi adottati dal Governo sono trasmessi alle Camere «previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata», mentre, in mancanza di detta intesa nel termine di cui all'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali), «il Consiglio dei Ministri delibera, approvando una relazione che e' trasmessa alle Camere» nella quale «sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta» (art. 2, comma 3); b) il Governo, nella predisposizione dei decreti legislativi, «assicura [...] piena collaborazione con le regioni e gli enti locali» (art. 2, comma 5). Secondo la difesa regionale, il Governo avrebbe violato tali vincoli procedurali, posti dalla legge n. 42 del 2009 a tutela del principio di leale collaborazione. Infatti, in mancanza dell'intesa in sede di Conferenza unificata sullo schema del decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri ha deliberato approvando una relazione carente dell'indicazione delle «specifiche motivazioni» per cui l'intesa non era stata raggiunta. In tale relazione si e' infatti limitato ad affermare, «in maniera del tutto apodittica», di dare corso (in mancanza dell'intesa) all'iter del provvedimento in considerazione della conformita' di questo alla Costituzione ed in ragione dell'imminente scadenza del termine previsto dalla legge delega per l'adozione del decreto, senza spendere «una sola parola» in merito ai molteplici profili di illegittimita' dello schema che erano stati evidenziati dalle Regioni e dalle Province autonome e che avevano impedito il raggiungimento dell'intesa. Da cio' la violazione degli invocati parametri. 6.2.- Venendo alle doglianze relative alle singole disposizioni, la Regione Lazio impugna in primo luogo il gia' menzionato art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011, il quale prescrive alle Regioni la redazione di una relazione di fine legislatura. Ad avviso della Regione Lazio, l'articolo impugnato introduce una forma di controllo generalizzato del Governo sull'attivita' della Regione di natura sostanzialmente politica come risulta dal fatto che, per espressa previsione del comma 4, la relazione di fine legislatura contiene la descrizione delle attivita', anche normative, svolte dalla Regione durante la «legislatura»; nozione, questa, politica - indicando il periodo di durata effettiva del mandato politico conferito dagli elettori ad una data maggioranza - il riferimento alla quale finisce per caratterizzare, appunto, politicamente, il controllo sull'attivita' regionale. Cio' determinerebbe, secondo la ricorrente, l'incostituzionalita' della disposizione denunciata per violazione dei parametri invocati. L'art. 123 Cost. sarebbe violato perche' l'obbligo di redigere la relazione di fine legislatura attiene all'organizzazione ed al funzionamento della Regione ed incide, quindi, in un ambito che detto parametro costituzionale riserva allo statuto regionale. La violazione, infine, dell'art. 117, quarto comma, Cost. deriverebbe dal fatto che il controllo generalizzato del Governo sulla attivita' regionale introdotto dall'articolo impugnato invade l'ambito della competenza legislativa regionale residuale nella materia della organizzazione amministrativa (e' citata la sentenza della Corte costituzionale n. 274 del 2003). 6.3.- La Regione Lazio denuncia poi l'art. 2, commi 1, 2, 3 e 5, del d.lgs. n. 149 del 2011 per contrasto con gli artt. 120, 121, 122, 123 e 126 Cost., «anche in combinato disposto con l'art. 76 Cost.» e con il principio di leale collaborazione. Il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 2 violerebbe in primo luogo l'art. 126 Cost. il quale rimette in via esclusiva al Presidente della Repubblica («Con decreto motivato del Presidente della Repubblica [...]») di valutare, caso per caso ed ex post, se siano state compiute gravi violazioni di legge (o atti contrari alla Costituzione), ai sensi del citato parametro costituzionale, che legittimano lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta. Ne deriva che il legislatore, stabilendo - nonostante non avesse «alcun titolo» per farlo - che il grave dissesto finanziario di cui al comma 1 dell'art. 2 costituisce grave violazione di legge ai sensi dell'art. 126, primo comma, Cost., si e' quindi «indebitamente sostituito» al Capo dello Stato, violando cosi' il parametro invocato. Detta violazione dell'art. 126 Cost., sempre secondo la ricorrente, «si riflette [...] sulla lesione delle competenze [...] garantite in capo al Presidente della Regione e al Consiglio regionale dall'art. 121 Cost., ugualmente leso dalle norme impugnate». La difesa della Regione afferma inoltre che l'impugnato combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 viola l'art. 126 Cost. anche perche' la sanzione della rimozione da esso introdotta a carico del Presidente della Giunta presuppone che questi abbia commesso gravi infrazioni nella qualita' di commissario ad acta, mentre l'invocata disposizione costituzionale prevede che detta sanzione della rimozione possa operare solo con riguardo a gravi violazioni di legge commesse dal Presidente della Giunta nella propria qualita' di organo politico-istituzionale di vertice della Regione. Quanto ora esposto evidenzierebbe la lesione anche dell'art. 120 Cost. perche' il legislatore statale, con riguardo alla violazione di norme da parte del Presidente della Giunta nell'esercizio delle funzioni amministrative di commissario ad acta, avrebbe dovuto prevedere solo l'esercizio del potere sostitutivo del Governo e non la sanzione della rimozione. La normativa denunciata violerebbe infine anche il principio di leale collaborazione, ricavabile dagli artt. 5 e 120 Cost. (la ricorrente cita al riguardo le sentenze della Corte costituzionale n. 303 del 2003, n. 282 del 2002, n. 503 del 2000, n. 242 e n. 19 del 1997), perche' nel procedimento di accertamento della fattispecie di grave dissesto finanziario non prevede «meccanismi di raccordo e coordinamento» tra lo Stato e le Regioni. Il comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, col prevedere che «Il Presidente rimosso ai sensi del comma 2 e' incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni», violerebbe l'art. 122 Cost. che riserva in via esclusiva la disciplina dei casi di incandidabilita' del Presidente della Giunta alla legge regionale. L'indicata violazione dell'art. 122 Cost. da parte della disposizione impugnata - sempre secondo la ricorrente - «si riverbera [...] sulla lesione delle attribuzioni regionali di cui all'art. 123 Cost.» che riserva allo statuto regionale la determinazione della forma di governo e dei principi fondamentali di organizzazione della Regione. L'art. 2, comma 3, col prevedere che «Il Presidente rimosso non puo' essere nominato quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea per un periodo di tempo di dieci anni» violerebbe, infine, anche l'art. 76 Cost., perche' si pone in contrasto con l'art. 17 della legge di delegazione n. 42 del 2009, «che non contempla affatto la sanzione dell'interdizione con riferimento al Presidente della Giunta» (art. 17, comma 1, lettera e). Detta violazione ridonderebbe in lesione delle competenze regionali «per effetto, secondo quanto si e' gia' chiarito, degli articoli 117, comma 4, 120, 121, 122, 123 e 126 Cost.». 6.4.- La Regione Lazio impugna ancora l'art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, «con particolare, riferimento ai commi 1 e 2». I commi impugnati stabiliscono che: «Il verificarsi del grave dissesto finanziario di cui all'articolo 2 determina l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 79, lettera a), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, in materia di decadenza automatica dei direttori generali e, previa verifica delle rispettive responsabilita' del dissesto, dei direttori amministrativi e sanitari degli enti del Servizio sanitario regionale, del dirigente responsabile dell'assessorato regionale competente, nonche' dei componenti del collegio dei revisori dei conti» (comma 1); «Agli stessi soggetti di cui al comma 1 si applica altresi' l'interdizione da qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici per un periodo di tempo di dieci anni. La sanzione dell'interdizione e' irrogata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. Alle relative controversie si applica l'articolo 133 del codice del processo amministrativo» (comma 2). Secondo la ricorrente i commi impugnati violano, in primo luogo, l'art. 117, quarto comma, Cost., perche' la previsione della decadenza e l'interdizione dalle cariche indicate dei direttori generali e dei direttori amministrativi e sanitari degli enti del Servizio sanitario regionale, del dirigente responsabile dell'assessorato regionale competente nonche' dei componenti del collegio dei revisori dei conti, ricade nell'ambito della competenza legislativa regionale residuale in materia di organizzazione amministrativa. Cio' e' confermato - sempre ad avviso della ricorrente - con riguardo specifico agli organi apicali delle aziende sanitarie regionali dalle circostanze che le stesse sono costituite con legge regionale, sono sottoposte al controllo, alla vigilanza ed al potere di indirizzo regionali, i loro bilanci e rendiconti sono approvati dalla Regione che assicura le risorse finanziarie, il loro direttore generale (organo di vertice dell'ente) e' nominato dal Presidente della Regione. La stessa Corte costituzionale (e' citata la sentenza n. 233 del 2006) ha, del resto, affermato che le nomine degli organi di vertice e dei componenti di tutti gli organismi appartenenti alla struttura organizzativa della Regione ricadono nella competenza residuale delle Regioni da esercitare nel rispetto di principi fondamentali di organizzazione e funzionamento fissati negli statuti ai sensi dell'art. 123 Cost. Sarebbe parimenti violato, dai due commi censurati, l'art. 123 Cost. atteso che la disciplina da essi dettata va ricondotta «nell'alveo» dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento fissati negli statuti e, quindi, alla normativa statutaria, i cui limiti sono costituiti solo da norme chiaramente desumibili dalla Costituzione (sono citate, a quest'ultimo riguardo, le sentenze della Corte costituzionale n. 2 del 2004 e n. 313 del 2003). L'impugnato art. 3 violerebbe, infine, anche l'art. 76 Cost. perche' si pone in contrasto con l'art. 17 della legge di delegazione n. 42 del 2009 che subordina l'operativita' dei meccanismi sanzionatori al verificarsi di «attivita'» che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali. Infatti, la disposizione censurata prevede che le sanzioni della decadenza e dell'interdizione operino automaticamente in caso di grave dissesto finanziario, a prescindere dalla sussistenza di «attivita'», cioe' di condotte precise e circostanziate imputabili agli organi degli enti. 6.5.- La ricorrente impugna infine l'art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., nella parte in cui prevede che, in caso di mancato rispetto del patto di stabilita' interno (relativo agli anni 2010 e seguenti: comma 4), le Regioni e le Province autonome siano assoggettate alle seguenti misure: a) versamento all'entrata del bilancio statale dell'importo corrispondente alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico determinato; b) divieto di impegnare spese correnti, al netto delle spese per la sanita', in misura superiore all'importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettati nell'ultimo triennio; c) divieto di ricorrere all'indebitamento per gli investimenti; d) divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale e di stipulare contratti di servizio che si configurino come elusivi di tale divieto; e) obbligo di rideterminare le indennita' di funzione ed i gettoni di presenza del Presidente e dei componenti della Giunta con una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2010. Secondo la Regione Lazio la normativa impugnata integra «un vasto e profondo intervento sull'assetto finanziario regionale» che comprime, illegittimamente, l'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. Ne' lo Stato potrebbe vantare alcun titolo di competenza in proposito, in particolare, a titolo di determinazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, tenuto conto che la disciplina denunciata si configura non come di principio ma come «di minuto dettaglio». La normativa impugnata, nella parte in cui vieta alle Regioni che non hanno rispettato il patto di stabilita' interno di assumere personale a qualsiasi titolo, con qualsiasi tipologia contrattuale, viola anche l'art. 117, quarto comma, Cost., perche' invade l'ambito della competenza legislativa regionale residuale nella materia dell'organizzazione amministrativa e del personale della Regione. 7.- Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale - spedito il 18 novembre 2011 e ricevuto il 23 novembre 2011 - e depositato il 24 novembre 2011 (ric. n. 157 del 2011), la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 13 di tale decreto, «nella parte in cui non esclude l'applicabilita' delle norme recate dal medesimo atto normativo alla Regione ricorrente», per violazione dell'art. 76 Cost. (in relazione agli artt. 1, comma 2, e 27, commi 1 e 3, della legge di delegazione n. 42 del 2009), «con conseguente lesione delle competenze costituzionalmente e statutariamente garantite in capo alla stessa» Regione dagli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettere f) ed l), 4, 12, 15, comma 2, 48, 48-bis e 50 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta) e dalle norme di attuazione di cui alla legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta), nonche' dagli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, 119, Cost. in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e del principio di leale collaborazione ricavabile dagli artt. 5 e 120 Cost. 7.1.- La ricorrente deduce anzitutto che l'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011 viola 1'art. 76 Cost. perche' si pone in contrasto con gli artt. 1, comma 2, e 27, commi 1 e 3, della legge di delegazione n. 42 del 2009. Ad avviso della ricorrente, l'impugnato art. 13 contrasta anzitutto con i commi 1 e 3 dell'art. 27 della legge di delegazione n. 42 del 2009. Con il decreto legislativo impugnato, applicabile alle autonomie differenziate in forza dell'art. 13, lo Stato avrebbe dettato una disciplina unilaterale in tema di meccanismi sanzionatori e premiali, operanti in relazione alla gestione economico-finanziaria delle Regioni e delle Province autonome, che l'invocato art. 27 riservava alla normativa di attuazione degli statuti. Da cio', secondo la difesa regionale, la violazione sia dell'art. 76 Cost. che dell'art. 48-bis dello statuto speciale valdostano che stabilisce le modalita' di adozione delle norme di attuazione dello stesso. La violazione dell'art. 76 Cost. ad opera del d.lgs. n. 149 del 2011, consegue al contrasto anche con la norma interposta dell'art. 1, comma 2, della legge n. 42 del 2009, secondo cui: «Alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformita' con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27». Poiche' l'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011 e' stato adottato, cosi' come l'intero decreto legislativo, ai sensi degli artt. 2, 17 e 26 della legge n. 42 del 2009, non applicabili, in base all'invocato art. 1, comma 2, di detta legge di delegazione, alle autonomie speciali, esso, in quanto estende l'applicazione del decreto a tali enti, lede l'art. 76 Cost. 7.1.1.- L'indicata violazione dell'art. 76 Cost. determina e «si riflette», secondo la ricorrente, nella lesione delle competenze costituzionalmente e statutariamente garantite alla Regione dagli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettere f) ed l), 4, 12, 15, comma 2, 48, 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948 e dalle norme di attuazione di cui alla legge n. 690 del 1981, nonche' dagli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. 7.1.1.1.- Detta lesione deriverebbe, anzitutto, dall'applicazione, nei confronti della Regione Valle d'Aosta, degli artt. 1 e 3 del d.lgs. n. 149 del 2011. Secondo la ricorrente, detti articoli, con lo stabilire, rispettivamente, l'obbligo di redigere - al fine, tra l'altro, di garantire il coordinamento della finanza pubblica - una relazione di fine legislatura, fissandone i contenuti (la ricorrente richiama, in particolare, quelli di cui alle lettere c, d ed e, del comma 4 dell'art. 1) e prevedendo uno schema tipo adottato dallo Stato, per redazione della stessa (art. 1), e la decadenza automatica e l'interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti in caso di grave dissesto finanziario di cui all'art. 2 del decreto legislativo (art. 3), violano, in primo luogo, gli artt. 2, comma 1, lettera a), e 3, comma 1, lettera l), dello statuto speciale, i quali attribuiscono alla Regione la potesta' legislativa in materia, rispettivamente, di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» e di «igiene sanita', assistenza ospedaliera e profilattica». Violazione che sarebbe palese ove si consideri il sopravvenuto venir meno, per effetto dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2011, dei limiti, in precedenza operanti in dette materie, dell'armonia con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e del rispetto degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. La citata previsione della decadenza automatica e dell'interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti in caso di grave dissesto finanziario di cui all'art. 2 del decreto legislativo configura, inoltre, una lesione dell'autonomia amministrativa garantita dall'art. 4 dello statuto speciale, che riconosce alla Regione l'esercizio delle funzioni amministrative sulle materie nelle quali ha potesta' legislativa a norma degli artt. 2 e 3 dello stesso statuto. Gli articoli censurati, disponendo adempimenti connessi anche alla gestione economica e finanziaria del settore sanitario valdostano e degli enti del servizio sanitario regionale e introducendo misure sanzionatorie conseguenti a situazioni di grave dissesto finanziario nel medesimo settore, violerebbero, infine, l'autonomia finanziaria regionale, perche' incidono su di un settore interamente posto a carico del bilancio regionale (di tal che' lo Stato non ha titolo a dettare neppure norme di coordinamento; e' citata, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 341 del 2009) e ne modificano unilateralmente la disciplina (modificabile, invece, solo con l'accordo della Regione ai sensi degli artt. 48-bis e 50 dello statuto speciale e della legge n. 690 del 1981; e' citata, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 133 del 2010). 7.1.1.2.- La lesione delle competenze costituzionalmente e statutariamente garantite alla Regione deriverebbe, in secondo luogo, dall'applicazione, nei confronti della Regione Valle d'Aosta, degli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 149 del 2011. Secondo la ricorrente, detti articoli violano gli artt. 2, comma 1, lettera b), e 4 dello statuto speciale, i quali attribuiscono alla Regione, rispettivamente, la potesta' legislativa in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», ivi compresa la legislazione elettorale, e l'esercizio delle funzioni amministrative in tale materia. 7.1.1.3.- La lesione delle competenze costituzionalmente e statutariamente garantite alla Regione deriverebbe, in terzo luogo, dall'applicazione, nei confronti della Regione Valle d'Aosta, dell'art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011. Detta disposizione prevede la possibilita' per lo Stato, per il tramite del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, di «attivare verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori: a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria; b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; c) anomale modalita' di gestione dei servizi per conto terzi» (art. 5). Ad avviso della difesa regionale, detta disposizione viola, in primo luogo, l'art. 2, comma 1, lettera a), dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione la potesta' legislativa in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» alla quale va ricondotta anche la materia dell'ordinamento contabile (e' citata, al riguardo, la sentenza di questa Corte n. 107 del 1970). Sulla base di tale competenza, alla Regione spetta il potere di regolare la gestione del bilancio e l'erogazione delle spese in esso stanziate. La medesima disposizione violerebbe, in secondo luogo, l'art. 2, comma 1, lettera b), che riconosce alla Regione la competenza legislativa in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». Detta competenza - rispetto alla quale sono venuti meno, per effetto dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2011, i limiti, in precedenza operanti, dell'armonia con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e del rispetto degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica - sarebbe violata perche' la normativa impugnata riguarda, tra l'altro, anche il controllo sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile degli enti locali e si riflette sui bilanci degli stessi. In terzo luogo, la disposizione impugnata contrasterebbe con l'art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto, che attribuisce alla Valle d'Aosta la potesta' legislativa in materia di «finanze regionali e comunali»; norma che, letta «alla luce dei novellati articoli 117, comma 3 e 119, comma 2, Cost., (i quali risultano parimenti lesi dalle disposizioni censurate)», qualificherebbe la competenza legislativa da essa prevista in materia di finanza locale «come non piu' meramente suppletiva a quella statale». L'autonomia finanziaria spettante alla Regione in virtu' di tale parametro statutario consentirebbe allo Stato, secondo la ricorrente, di imporre solo il rispetto dei principi e delle norme fondamentali in materia di finanza pubblica e non l'applicazione di disposizioni che, come nella specie, definiscono minuziosamente meccanismi sanzionatori e premiali applicabili agli enti territoriali. La Regione ricorrente afferma infine che, ai sensi dell'art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta), l'ordinamento finanziario della Regione puo' essere modificato solo con il procedimento previsto dall'art. 48-bis dello statuto speciale per l'adozione dei decreti legislativi recanti le disposizioni di attuazione dello statuto medesimo. Ne segue che gli articoli denunciati, modificando unilateralmente l'ordinamento finanziario della Regione e degli enti locali compresi nel suo territorio, viola, infine, anche l'art. 48-bis dello statuto. 7.1.1.4.- La lesione delle competenze costituzionalmente e statutariamente garantite alla Regione deriverebbe, infine, dall'applicazione, nei confronti della Regione Valle d'Aosta, dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011. Detto articolo violerebbe: a) l'art. 15, secondo comma, dello statuto speciale (secondo cui: «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con l'osservanza di quanto disposto dal presente Titolo, la legge regionale, approvata con la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, determina la forma di governo della Regione e, specificatamente, le modalita' di elezione del Consiglio della Valle, del Presidente della Regione e degli assessori, i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' con le predette cariche, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l'approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione [...]») il quale esclude ogni intervento della legge statale incidente sulla disciplina degli organi della Regione e sulle cause di ineleggibilita' a tali organi; b) l'art. 48 dello statuto speciale, che definisce le ipotesi di scioglimento del Consiglio della Valle e di rimozione del Presidente della Regione e disciplina il relativo procedimento, con cio' escludendo qualsiasi deroga o integrazione della relativa disciplina da parte della legge ordinaria dello Stato. 7.2.- La Regione Valle d'Aosta deduce poi che l'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, che impone alla Regione l'adattamento a tutte le disposizioni del decreto, viola l'art. 76 Cost. perche' contrasta con gli artt. 2, commi 1, 2, lettere z) ed aa), 3 e 5 della legge di delegazione n. 42 del 2009, essendo stato adottato senza rispettare i vincoli procedurali previsti da detta legge e posti a tutela del parimenti violato principio di leale collaborazione (ricavabile dagli artt. 5 e 120 Cost.). La ricorrente sottolinea in proposito che: a) in base all'art. 2, comma 3, della legge n. 42 del 2009, gli schemi dei decreti legislativi adottati dal Governo sono trasmessi alle Camere «previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata», mentre, in mancanza di detta intesa nel termine di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997, «il Consiglio dei Ministri delibera, approvando una relazione che e' trasmessa alle Camere» nella quale «sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta» (art. 2, comma 3); b) in base all'art. 2, comma 5, della stessa legge n. 42 del 2009, il Governo, nella predisposizione dei decreti legislativi, «assicura [...] piena collaborazione con le regioni e gli enti locali». Secondo la difesa regionale, il Governo avrebbe violato tali vincoli procedurali, posti dalla legge n. 42 del 2009 a tutela del principio di leale collaborazione. Infatti, in mancanza dell'intesa in sede di Conferenza unificata sullo schema del decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri ha deliberato approvando, il 19 maggio 2011, una relazione carente dell'indicazione delle «specifiche motivazioni» per cui l'intesa non era stata raggiunta. In tale relazione si e' infatti limitato ad affermare di dare corso (in mancanza dell'intesa) all'iter del provvedimento ritenendolo conforme alla Costituzione ed ai principi e criteri direttivi della legge n. 42 del 2009 nonche' in ragione della necessita' di rispettare il termine, di imminente scadenza, per l'esercizio della delega. Dette generiche affermazioni sarebbero del tutto inidonee ad assolvere l'obbligo motivazionale imposto dalla legge di delegazione, risolvendosi in mere asserzioni di conformita' alla Costituzione ed alla legge delega, oltre che in «auto evidenti attestazioni» dell'imminente scadenza dei termini per l'esercizio della delega. Detto obbligo motivazionale, viceversa, proprio perche' preordinato ad assicurare il sostanziale inveramento del principio di leale collaborazione, avrebbe richiesto la puntuale disanima delle ragioni che hanno determinato il mancato raggiungimento dell'intesa nonche' una articolata individuazione dei profili di difformita' emersi tra le posizioni dello Stato e quelle delle altre autonomie territoriali. La totale mancanza di tali indicazioni si traduce, percio', nella violazione degli invocati parametri. La difesa regionale osserva, in proposito, che la Corte costituzionale (e' citata la sentenza n. 225 del 2009) ha affermato che la assoluta carenza e genericita' della motivazione del Governo costituisce un vizio del procedimento di formazione dell'atto delineato dalla legge di delegazione tale da determinare l'illegittimita' costituzionale dello stesso per violazione dell'art. 76 Cost. e del principio di leale collaborazione. Detta violazione degli indicati parametri sarebbe, infine, idonea a tradursi, per quanto indicato al punto 1.1., in una lesione dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria della Regione. 8.- Con ricorso notificato il 18 novembre 2011 e depositato il 24 novembre 2011 (ric. n. 159 del 2011), la Regione Calabria ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2, commi 1, 2, 3 e 5 del d.lgs. n. 149 del 2011, per violazione degli artt. 76 (per contrasto con gli artt. 2, comma 2, lettere h, i e z, 17, comma 1, lettere a ed e, e 26, comma 1, lettera a, della legge di delegazione n. 42 del 2009), 117, quarto comma, 121, 123 e 126 Cost. 8.1.- La ricorrente censura anzitutto l'art. 2, comma 3, primo periodo, del d.lgs. n. 149 del 2011, che prevede l'incandidabilita' alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di dieci anni del Presidente rimosso ai sensi del comma 2 dello stesso art. 2. Ad avviso della Regione Calabria, la disposizione impugnata violerebbe l'art. 76 Cost. con rifermento alle norme interposte degli artt. 2, comma 2, lettera z), e 17, comma 1, lettera e), della legge di delegazione n. 42 del 2009. La Regione sottolinea che, mentre il citato art. 2, comma 2, lettera z), non prevede misure sanzionatorie del genere di quelle introdotte dalla disposizione censurata, l'art. 17, comma 1, lettera e), della legge n. 42 del 2009 fa riferimento alla «individuazione dei casi di ineleggibilita' nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato il dissesto finanziario di cui all'art. 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». In ordine a tale principio e criterio direttivo della delega, la ricorrente osserva che esso si riferisce: a) agli amministratori responsabili degli enti locali, mentre le Regioni non sono enti locali (sono citate, al riguardo, le sentenze della Corte costituzionale n. 289 del 2009 e n. 4 del 2004, nonche' l'art. 2 del TUEL); b) alla individuazione dei casi di ineleggibilita', mentre la disposizione censurata ha introdotto casi relativi al diverso istituto dell'incandidabilita' (sulla diversita' dei due istituti sono citate la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2765 e quanto affermato dalla Corte dei conti, sezioni riunite, «nel giugno 2011»). Poiche', pertanto - e tenuto anche conto che le norme che incidono sul diritto di elettorato passivo sono di stretta interpretazione (sono citate, in proposito, le sentenze della Corte costituzionale n. 25 del 2008, n. 306 del 2003, n. 132 del 2001 e n. 141 del 1996) - la sanzione dell'incandidabilita' del Presidente della Giunta regionale prevista dal primo periodo del comma 3 dell'art. 2 non trova alcun fondamento nella legge di delegazione per non essere l'indicato principio e criterio direttivo riferibile ne' alle Regioni ne' alla sanzione dell'incandidabilita', ne discende la violazione dell'art. 76 Cost. Parimenti illegittimo per violazione dell'art. 76 Cost. sarebbe, secondo la Regione Calabria, il secondo periodo del comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 il quale prevede che il Presidente della Giunta rimosso non puo' essere nominato per dieci anni quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea. In proposito, la ricorrente sottolinea che lo stesso art. 17, comma 1, lettera e), della legge n. 42 del 2009 prevede l'individuazione dei casi di ineleggibilita' nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali «oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici». L'interpretazione testuale e logico-sistematica di tale principio e criterio direttivo evidenzierebbe che lo stesso ha come destinatari i soli amministratori degli enti locali e non puo' essere riferito a quelli delle Regioni. Da cio' la violazione dell'art. 76 Cost. anche da parte del secondo periodo del comma 3 dell'art. 2. 8.2.- La Regione Calabria censura poi l'art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 in riferimento agli artt. 76 (per contrasto con gli artt. 2, comma 2, lettera z, e 17, comma 1, lettera e, della legge di delegazione n. 42 del 2009), 121 e 126 Cost. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 76 Cost., la ricorrente sottolinea che le citate norme interposte stabiliscono, rispettivamente, che i decreti delegati prevedano: a) «le specifiche modalita' attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'articolo 18 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e), che sono commisurate all'entita' di tali scostamenti e possono comportare l'applicazione di misure automatiche per l'incremento delle entrate tributarie ed extra-tributarie, e puo' esercitare nei casi piu' gravi il potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilita' amministrativa e finanziaria» (art. 2, comma 2, lettera z); b) «meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione [...]. Tra i casi di grave violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attivita' che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali» (17 comma 1, lettera e). Le misure sanzionatorie previste da detti principi e criteri direttivi si riferirebbero, secondo la ricorrente, a violazioni commesse dagli organi regionali nell'esercizio di funzioni proprie degli stessi. Ad avviso della Regione Calabria, gli impugnati commi 1 e 2 dell'art. 2, prevedendo lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta regionale nel caso di grave dissesto finanziario, costituente grave violazione di legge ai sensi dell'art. 126, primo comma, Cost., che si verifica alle condizioni che il Presidente della Giunta regionale sia stato nominato commissario ad acta ai sensi dell'art. 2 della legge n. 191 del 2009 e non abbia adempiuto all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi derivanti dal piano stesso (comma 1, lettera a), che si riscontri, in sede di verifica annuale, il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro (comma 1, lettera b) e che sia stato adottato per due esercizi consecutivi un incremento dell'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF al livello massimo previsto (comma 1, lettera c), collegherebbero dette sanzioni dello scioglimento e della rimozione a violazioni commesse dal Presidente della Giunta nella veste di commissario ad acta, cioe' nell'esercizio di funzioni che non sono proprie dell'organo regionale ma di un organo dell'amministrazione dello Stato (sono citate, al riguardo, le sentenze della Corte costituzionale n. 123 del 2011, n. 361 e n. 2 del 2010, n. 266 del 2008 e n. 237 del 2007, e le ordinanze n. 92 del 2008 e n. 417 del 2007). Da cio' la violazione dell'art. 76 Cost. L'art. 76 Cost. sarebbe altresi' violato perche', mentre il menzionato art. 17, comma 1, lettera e), della legge di delegazione n. 42 del 2009 stabilisce che, tra i casi di grave violazione di legge di cui all'art. 126, primo comma, Cost., rientrano le «attivita'» che abbiano causato grave dissesto alle finanze regionali, i commi censurati - come sottolineato anche nel documento allegato al verbale della Conferenza unificata del 18 maggio 2001 «di presa d'atto della mancata intesa» - ricollegano lo scioglimento del Consiglio e la rimozione del Presidente della Giunta anche a «semplici circostanze omissive, o di carattere oggettivo, come la mancata realizzazione degli obblighi di piano e l'aumento dei tributi per due anni, senza apprezzabili risultati sugli equilibri di bilancio (circostanze che potrebbero derivare anche da una inadeguatezza degli obblighi di piano)». Parimenti violato sarebbe poi l'art. 126 Cost. Secondo la ricorrente, infatti, lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta regionale ai sensi di detto parametro costituzionale richiedono il ricorrere di violazioni commesse da detti organi «nell'esercizio delle funzioni proprie del ruolo (Consiglio, Presidente) di ciascun organo» e non nell'adempimento di obblighi derivanti dall'esercizio di funzioni svolte dal Presidente della Giunta persona fisica «nell'espletamento del ruolo statale di Commissario governativo, ed in ordine ai quali - ad esempio - il Consiglio [...] mantiene la propria competenza legislativa, ma solo entro il perimetro segnato dal Piano di rientro, e senza poter con esso interferire». La stessa norma censurata parla di responsabilita' politica del Presidente della Giunta «nel proprio mandato di amministrazione della regione», ma trascura poi di considerare che l'attivita' di commissario ad acta esula da detto mandato, conferitogli dagli elettori. Sarebbe infine violato l'art. 121 Cost. Infatti tale norma costituzionale prevede la responsabilita' politica del Presidente della Giunta solo «per l'attivita' di direzione politica della Giunta» e non anche per le attivita' svolte dal Presidente nella veste di commissario ad acta. 8.3.- La Regione Calabria impugna infine l'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011 in riferimento agli artt. 76 (per contrasto con gli artt. 2, comma 2, lettere h, i e z, 17, comma 1, lettera a, e 26, comma 1, lettera a, della legge di delegazione n. 42 del 2009), 117, 121 e 123 Cost. Quanto alla violazione dell'art. 76 Cost., la ricorrente richiama i seguenti principi e criteri fissati dalla legge di delega n. 42 del 2009: a) «individuazione del termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, come approvati, e previsione di sanzioni ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e), in caso di mancato rispetto di tale termine» (art. 2, comma 2, lettera h); b) «previsione dell'obbligo di pubblicazione in siti internet dei bilanci delle regioni» (art. 2, comma 2, lettera i); c) «previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione» (art. 2, comma 2, lettera z); d) «garanzia della trasparenza delle diverse capacita' fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacita' fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale» (art. 17, comma 1, lettera a); e) «previsione di adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attivita' di contrasto dell'evasione dei tributi erariali, regionali e degli enti locali, nonche' di diretta collaborazione volta a fornire dati ed elementi utili ai fini dell'accertamento dei predetti tributi» (art. 26, comma 1, lettera a). La difesa regionale afferma che il denunciato art. 1 - col prevedere l'obbligo delle Regioni di redigere una relazione di fine legislatura sottoscritta dal Presidente della Giunta regionale, indicandone i tempi ed i contenuti, col demandare ad un atto statale di natura non regolamentare l'adozione di uno schema tipo per la redazione della stessa e con lo stabilire l'obbligo del Presidente della Giunta, in caso di mancato adempimento dell'obbligo di redazione della relazione, di darne notizia sul sito istituzionale dell'ente, motivandone le ragioni - «esuli da tali previsioni [della legge di delegazione], nonche' dalle finalita' ispiratrici della delega», perche' nessuno dei principi e criteri direttivi indicati (incluso quello dell'art. 17, comma 1, lettera a, «unica previsione astrattamente riconducibile alla norma delegata qui impugnata») «prevede un obbligo di tal fatta, mentre gli obblighi informativi e di trasparenza delle Regioni trovano esplicazione in ben altri obblighi (trasmissione bilanci; pubblicazione bilanci; obbligo di fornire informazioni alle Amministrazioni statali, peraltro previa reciprocita'), allo stesso non sovrapponibili». Da cio' la violazione dell'art. 76 Cost. Contrasterebbero, in particolare, con l'art. 76 Cost.: a) il comma 6 dell'art. 1, perche' la previsione dell'obbligo di dare notizia sul sito dell'ente del mancato adempimento dell'obbligo di redazione della relazione di fine legislatura, «esula con tutta evidenza dai principi e dalle finalita' della legge delega» (oltre a violare il principio di leale collaborazione); b) il comma 5 dell'art. 1, per «l'impossibilita' in radice di demandare ad atto non regolamentare alcunche', per assenza di alcuna norma delegante in tal senso». L'«estremo dettaglio» della norma censurata contrasterebbe poi sia con l'autonomia statutaria riconosciuta alla Regione dall'art. 123 Cost. sia con l'art. 117, quarto comma, Cost., che attribuisce alla Regione la potesta' legislativa residuale in materia di organizzazione interna. In particolare, la violazione di tali parametri costituzionali deriverebbe, secondo la difesa regionale, dal fatto che l'articolo impugnato - con norma, appunto di «estremo dettaglio» - impone che la relazione di fine legislatura, pur se «pare piu' di "gestione" che politica» e nonostante lo statuto della Regione abbia affermato il principio della separazione tra politica e amministrazione (art. 50, comma 2), sia sottoscritta dal Presidente della Giunta, oltre che obbligatoriamente sottoposta a certificazione da parte degli organi di controllo interno regionale. 9.- Con ricorso notificato il 18 novembre e depositato il successivo 25 novembre (r. ric. n. 161 del 2011) la Provincia autonoma di Bolzano ha proposto questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, denunciando la violazione degli artt. 76, 100 e 126 Cost.; degli artt. 4, numero 3), 8, numero 1), 9, numero 10), 16, 47, 49-bis, 54, 79, 80, 81, 103, 104, 107 dello statuto della Regione Trentino-Alto Adige; degli artt. 2, 4, 17 e 18 del d.lgs. n. 266 del 1992; del d.P.R. n. 305 del 1988; dell'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, nonche' dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione. 9.1.- La Provincia ricorrente censura, in via principale, l'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, nella parte in cui - dopo aver previsto che la decorrenza e le modalita' di applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo nei confronti degli enti ad autonomia speciale «sono stabilite, in conformita' con i relativi statuti, con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42» - dispone l'immediata e diretta applicazione del decreto medesimo qualora, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, non risultino concluse le procedure di cui al menzionato art. 27, e «sino al completamento delle procedure medesime». Si lamenta la violazione dell'art. 76 Cost. in riferimento all'art. 1, comma 2, della legge di delega n. 42 del 2009, deducendo motivi coincidenti con quelli sopra enunciati in riferimento al ricorso n. 148 del 2011, proposto dalla Regione Trentino-Alto Adige. L'art. 13 e' impugnato, in secondo luogo, per contrasto con l'art. 104 e 107 dello statuto speciale e con il principio di leale collaborazione, sotto un duplice profilo: a) perche' modifica unilateralmente il regime finanziario provinciale in mancanza del preventivo accordo con la Provincia ricorrente, richiesto dagli artt. 104 e 107; b) per violazione della riserva di legge contenuta nell'art. 104 dello statuto, perche' la disciplina impugnata e' stata adottata nella forma del decreto legge e non nella forma e con le garanzie della legge ordinaria dello Stato, rinforzata dalla previsione di un'intesa con la Regione. Ulteriore profilo di censura consiste, secondo la Provincia ricorrente, nella violazione dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, il quale, nel disciplinare i rapporti tra fonti normative statali e provinciali, esclude l'applicazione diretta delle leggi statali nelle materie di competenza provinciale e si limita ad imporre al legislatore provinciale un dovere di adeguamento nei sei mesi successivi alla pubblicazione delle leggi statali. In via subordinata rispetto alla dedotta illegittimita' costituzionale dell'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, che dovrebbe comportare la non applicabilita' alle Regioni a Statuto speciale di tutte le disposizioni contenute nel decreto impugnato, la ricorrente denuncia gli artt. da 1 a 7 del decreto legislativo medesimo. 9.2.- La Provincia di Bolzano denuncia gli art. 1 e 4 del d.lgs. n. 149 del 2011, che disciplinano, rispettivamente, la Relazione di fine legislatura regionale e la Relazione di fine mandato provinciale e comunale per violazione degli artt. 103, 104 e 107 dello statuto. Si osserva al riguardo che detti articoli, in assenza dell'accordo prescritto dagli evocati parametri, pongono regole di dettaglio immediatamente applicabili e incidenti sull'autonomia finanziaria della Provincia. Inoltre le disposizioni denunciate - secondo la ricorrente - invadono illegittimamente la potesta' statutariamente attribuita alla Provincia di emanare norme in materia di ordinamento degli uffici e del personale (art. 8, numero 1); igiene e sanita' (art. 9, numero 10); finanza locale (artt. 80 e 81), bilanci, rendiconti, amministrazione del patrimonio e contratti delle province e degli enti da esse dipendenti (art. 16 del d.lgs. n. 268 del 1992). I menzionati articoli 1 e 4 sono censurati, infine, per la parte in cui attribuiscono al Tavolo tecnico interistituzionale il potere di verificare la conformita' di quanto esposto nella relazione con i dati finanziari in proprio possesso. Se ne deduce il contrasto con l'art. 79 dello statuto, sul rilievo che essi introducono una forma di controllo esterno di natura politico-costituzionale non prevista dall'ordinamento statutario, che risulta cosi' integrato da parte di una fonte subordinata in violazione delle procedure paritetiche previste dal predetto art. 79. 9.3.- L'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 e' impugnato dalla Provincia di Bolzano, che lamenta in primo luogo l'illegittima invasione della competenza legislativa primaria - attribuita alla Provincia dagli artt. 47 e 49-bis dello statuto - in materia di forma di governo, in cui sarebbero da ricomprendere anche la determinazione dei casi e delle cause di scioglimento del Consiglio provinciale e di rimozione del Presidente della Provincia. La disposizione censurata, inoltre, modifica, secondo la ricorrente Provincia, i presupposti oggettivi necessari per la rimozione del Presidente della Giunta, perche' richiede a tale fine «grave violazione di legge», laddove l'art. 49-bis, comma 7, dello statuto pretende che tali violazioni di legge siano «reiterate». Da ultimo, sarebbe violato anche l'art. 126 Cost., in quanto nell'articolo denunciato «non e' definito un obbligo di legge che, qualora violato, comporterebbe le "gravi violazioni di legge" che giustificano lo scioglimento» ai sensi dell'art. 126 Cost. Il dissesto finanziario, si osserva, potrebbe prodursi anche a prescindere da specifiche violazioni di legge, il che costituisce in se' un elemento di irragionevolezza della disciplina impugnata. Il medesimo art. 2 e' censurato anche nel comma 4, che disciplina una forma di potere sostitutivo per contrasto con la normativa di attuazione statutaria di cui all'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987. Detta normativa ammette l'esercizio di siffatto potere di sostituzione solamente «in caso di accertata inattivita' degli organi regionali e provinciali» che comporti «inadempimento agli obblighi comunitari» e prevede, comunque, la fissazione di un termine congruo per provvedere, sentita la regione o la provincia interessata e previo parere della commissione parlamentare per le questioni regionali. Sarebbero altresi' violati l'art. 100 Cost. e gli artt. 8, 9 e 16 dello Statuto. 9.4.- La Provincia di Bolzano ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, il quale, per l'ipotesi di grave dissesto finanziario, dispone la decadenza automatica dei direttori generali e, previa verifica della responsabilita' del dissesto, dei direttori amministrativi e sanitari degli enti del Servizio sanitario regionale, del dirigente responsabile dell'assessorato regionale competente, nonche' dei componenti del collegio dei revisori dei conti. La ricorrente lamenta che la disposizione impugnata si ponga in contrasto con le competenze legislative ed amministrative primarie attribuite alla Provincia dall'art. 8, numero 1), dello statuto in tema di organizzazione degli uffici e ordinamento del personale. 9.5.- La Provincia di Bolzano ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011, che attribuisce al Ministero dell'economia e delle finanze il potere di verificare la regolarita' della gestione amministrativo contabile qualora un ente territoriale evidenzi situazioni di squilibrio finanziario desumibili da indicatori predeterminati nell'art. 14, comma 1, lettera d), della legge n. 196 del 2009. La ricorrente denuncia in primo luogo la violazione di detta lettera d), osservando che essa esclude espressamente il livello regionale di governo dal suo campo di applicazione e pertanto non consente di esercitare il denunciato potere di verifica ministeriale nei confronti delle Regioni e Province autonome. In secondo luogo la Provincia di Bolzano lamenta la lesione degli artt. 54, 79, comma 3, 80 e 81 dello statuto, perche' il denunciato potere ministeriale interferisce sul potere di vigilanza sugli enti locali attribuito alla Giunta provinciale (art. 54), sulle funzioni di coordinamento della finanza pubblica nei confronti degli enti locali (art. 79, comma 3) e sulle potesta' provinciali in materia di finanza locale (artt. 80 e 81). Infine la ricorrente si duole del contrasto della normativa impugnata con l'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, perche' detto articolo vieta alla legge statale, nelle materie di competenza delle province autonome, di attribuire agli organi statali funzioni amministrative diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione. 9.6.- La Provincia di Bolzano ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.lgs. n. 149 del 2011, il quale, novellando l'art. 248, comma 5, del TUEL, introduce una nuova forma di responsabilita' politica del presidente di provincia e del sindaco, per il caso di grave dissesto finanziario. Ferma restando la disposizione di salvaguardia contenuta nell'art. 1, comma 2, del citato testo unico, che fa salve le competenze della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e Bolzano in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, la Provincia di Bolzano deduce che l'art. 6, anche nella parte in cui non integra testualmente il TUEL, viola le competenze statutarie provinciali in materia di ordinamento degli enti locali (artt. 4, numero 3, e 16), vigilanza e tutela sui comuni del proprio territorio (art. 54), coordinamento in materia finanziaria nei confronti degli enti locali e vigilanza sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, nonche' controllo successivo sulla gestione (art. 79, comma 3); finanza locale (artt. 80 e 81). 9.7.- La ricorrente ha poi impugnato l'art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011, in riferimento all'art. 76 Cost.; agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972; agli artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992 e al principio di leale collaborazione, sulla base di analoghe argomentazioni. 10.- Con ricorso notificato il 18 novembre 2011 e depositato il 28 novembre 2011 (ric. n. 162 del 2011), la Regione siciliana ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, in riferimento agli artt. 76 Cost. (per contrasto con gli artt. 1 e 27 della legge di delegazione n. 42 del 2009) e 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, «con riferimento all'art. 119 della Costituzione», nonche' agli artt. 8, 9, 10 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana). 10.1.- La Regione ricorrente impugna anzitutto gli interi artt. 2 e 13 del d.lgs. n. 149 del 2011. La difesa regionale deduce in primo luogo la violazione dell'art. 76 Cost., per contrasto con gli artt. 1 e 27 della legge di delegazione n. 42 del 2009. In proposito, rileva che il d.lgs. n. 149 del 2011 e' stato adottato - come risulta dal suo titolo - «a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42». Detti articoli, tuttavia, in base al disposto dell'art. 1, comma 2, della legge di delegazione n. 42 del 2009 (secondo cui: «Alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformita' con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27») non sono applicabili alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome. Da cio' la violazione dell'art. 76 Cost. da parte delle disposizioni denunciate «che incidono sulle prerogative statutarie» della Regione. Ad avviso della ricorrente, l'impugnato art. 13, rende applicabili alla Regione siciliana - sia per il tramite delle norme di attuazione dello statuto speciale, ai sensi del primo periodo del comma 1 dello stesso, sia direttamente, in forza del secondo periodo del medesimo comma - disposizioni del d.lgs. n. 149 del 2011 (in particolare, l'art. 2 dello stesso), attuativo dell'art. 119 Cost., come sostituito dall'art. 5 della legge costituzionale n. 3 del 2001, che contrastano con lo statuto, contemplando forme di autonomia meno ampie di quelle da esso previste. Per tale ragione, esso violerebbe anche l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - secondo cui: «Sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite» - «con riferimento all'art. 119 della Costituzione». 10.2.- L'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 - quest'ultimo applicabile alla Regione per il tramite delle norme di attuazione dello statuto speciale, secondo quanto previsto dalla prima disposizione citata - violerebbe anche gli artt. 8, 9, e 10 dello statuto speciale siciliano. Infatti, il censurato art. 2 stabilisce presupposti e procedure per lo scioglimento dell'Assemblea regionale e la rimozione del Presidente della Regione (oltre che ulteriori interventi sanzionatori nei confronti dello stesso Presidente) «ulteriori e diversi da quelli di cui agli artt. da 8 a 10 dello statuto», i quali regolano, «pressoche' integralmente», lo status del Presidente della Regione siciliana con riguardo alla sua elezione e durata della carica (art. 9), alla mozione di sfiducia nei suoi confronti (art. 10) ed alla sua rimozione dalla carica (art. 8). Pertanto, secondo la difesa regionale, «dalla comparazione fra i contenuti dell'art. 2 in esame e quelli delle norme statutarie sopra riportate risulta di tutta evidenza l'illegittimita' costituzionale della predetta norma con riguardo alle prerogative statutarie di questa Regione», anche se applicata per il tramite delle norme di attuazione dello statuto. 10.3.- La Regione siciliana deduce infine l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 149 del 2011 - che stabilisce l'immediata e diretta applicazione nei confronti della Regione siciliana delle disposizioni del decreto legislativo qualora entro sei mesi dall'entrata in vigore dello stesso non siano concluse le procedure per l'adozione delle norme di attuazione, applicazione prevista sino al compimento di dette procedure - per contrasto con l'art. 43 del proprio statuto speciale (secondo cui: «Una Commissione paritetica di quattro membri nominati dall'Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato, determinera' le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, nonche' le norme per l'attuazione del presente Statuto»). Secondo la difesa regionale, la predetta applicazione immediata e diretta del decreto legislativo nei confronti della Regione sottrarrebbe al «negoziato sul federalismo fiscale» tra Stato e Regione siciliana materie rispetto alle quali non sarebbe possibile «prescindere dal rispetto del principio pattizio» consacrato nell'invocato parametro statutario. Ne' detto vulnus alle prerogative regionali e' escluso dal fatto che l'applicazione delle disposizioni del decreto avverrebbe solo «sino al completamento» delle procedure per l'adozione delle norme di attuazione dello statuto, atteso che: a) esso rimane tale anche se temporalmente limitato; b) comunque, poiche' lo Stato non avrebbe interesse al completamento di dette procedure, e' probabile che le stesse non vengano completate e che, conseguentemente, la temporanea applicazione del decreto nei confronti della Regione si protragga, in realta', sine die. 11.- Con atti di identico contenuto, si e' costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi. 11.1.- Quanto alle doglianze prospettate dalle Regioni Lazio e Calabria, dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011, in riferimento agli artt. 123 e 117, quarto comma, Cost. (per l'asserita invasione della competenza legislativa delle ricorrenti nella materia dell'organizzazione amministrativa e ordinamento del personale), la difesa erariale osserva che la relazione di fine legislatura prevista dal denunciato art. 1 costituisce un nuovo strumento informativo sulla reale situazione finanziaria degli enti e sulle azioni dagli stessi intraprese al fine di assicurare l'equilibrio economico e finanziario e, quindi, un mezzo per garantire la trasparenza dell'operato degli amministratori pubblici nei confronti di tutti i cittadini. Da cio' conseguirebbe l'infondatezza delle doglianze delle ricorrenti perche' «tale relazione, lungi dall'incidere sulle prerogative degli enti territoriali, verra' adottata sulla base di una procedura tale da garantire il rispetto dell'autonomia regionale costituzionalmente stabilita, essendo prevista [...] una certificazione da parte degli organi di controllo interno regionale e successivamente una verifica da parte del Tavolo tecnico interistituzionale composto pariteticamente da rappresentanti ministeriali e regionali». 11.2.- Quanto alle doglianze prospettate dalle Regioni Emilia-Romagna, Campania, Lazio, Umbria e Calabria, dalle Regioni autonome Trentino-Alto Adige/Südtirol e siciliana e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, la difesa dello Stato prende anzitutto in esame quelle aventi ad oggetto i commi 1 e 2 di detto articolo. A proposito di tali censure, la parte resistente osserva che: a) i commi denunciati non connettono l'applicazione dell'art. 126 Cost. a semplici condotte omissive del Presidente della Giunta regionale nella sua qualita' di commissario ad acta, ma a gravi violazioni di obblighi di legge che portano al dissesto della finanza regionale (la fattispecie di grave violazione di legge non potrebbe, infatti, configurarsi qualora il Presidente della Giunta potesse addurre valide giustificazioni della propria condotta omissiva o del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro legate, ad esempio, ad eventi non prevedibili che non consentano alle Regioni ed alle Province autonome di assolvere alle proprie funzioni fondamentali ed all'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni), in coerenza con quanto previsto dalla legge di delegazione; b) il Consiglio dei ministri puo' procedere solo previo parere conforme della Commissione parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti; c) l'accertamento della Corte dei conti puo' essere ricondotto nell'ambito dei compiti da essa svolti in sede di controllo successivo, nel cui contesto saranno esaminati gli elementi contabili necessari alla verifica della sussistenza della responsabilita' del Presidente della Giunta. La difesa dello Stato prende poi in esame le censure prospettate nei confronti del comma 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 in tema di incandidabilita' del Presidente della Giunta regionale, in riferimento all'art. 76 Cost., sotto il profilo del contrasto con la legge di delegazione che prevede l'individuazione di casi di ineleggibilita' solo con riguardo agli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario, e all'art. 122 Cost. A proposito di tali censure, la parte resistente osserva che l'incandidabilita' del Presidente della Giunta rimosso costituisce una necessaria misura sanzionatoria, a fronte di una grave situazione di dissesto finanziario, volta a tutelare i cittadini evitando che ricada su di essi l'inefficienza di un Presidente che ha compiuto gravi ed immotivate violazioni degli obblighi di risanamento del bilancio regionale. L'Avvocatura generale dello Stato esamina infine le censure prospettate nei confronti del comma 7 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 per violazione dell'art. 120 Cost. perche' tale parametro costituzionale fa riferimento solo alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. A proposito di tale censura, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che, in base alla legge di delegazione n. 42 del 2009, il raggiungimento degli obiettivi di servizio e' necessariamente connesso alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. Infatti, in particolare: a) l'art. 2, comma 2, lettera f), di detta legge prevede il principio e criterio direttivo della «definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni [...]»; l'art. 18 della stessa legge n. 42 del 2009 stabilisce che «Nell'ambito del disegno di legge finanziaria ovvero con apposito disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, [...] il Governo, previo confronto e valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata, propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo nonche' un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni [...]». Da cio' la piena legittimita' dell'esercizio del potere sostitutivo statale nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di servizio. 11.3.- Quanto alle doglianze prospettate dalle Regioni Emilia-Romagna, Lazio e Umbria e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell'art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2011 - in materia di decadenza automatica dei direttori generali e, previa verifica delle rispettive responsabilita' del dissesto, dei direttori amministrativi e sanitari degli enti del Servizio sanitario regionale, del dirigente responsabile dell'assessorato regionale competente, nonche' dei componenti del collegio dei revisori dei conti al verificarsi del grave dissesto finanziario di cui all'art. 2 dello stesso decreto legislativo - per violazione dell'art. 76 Cost. (perche' detta disposizione prevederebbe l'applicazione di sanzioni che la legge di delega n. 42 del 2009 contempla solo per gli amministratori degli enti locali) e dell'art. 117, quarto comma, Cost. (per l'invasione della potesta' legislativa regionale residuale in materia di organizzazione degli uffici e ordinamento del personale), la difesa dello Stato deduce l'infondatezza delle stesse perche' l'impugnato art. 3 non farebbe che applicare all'ipotesi di grave dissesto finanziario una disposizione gia' vigente (l'art. 2, comma 79, lettera a, della legge n. 191 del 2009) estendendola anche ai componenti del collegio dei revisori dei conti (sul presupposto che essi possano essere coinvolti nella attivita' che hanno condotto al grave dissesto finanziario), prevedendo, comunque, un meccanismo di verifica delle rispettive responsabilita' nel dissesto. 11.4.- Quanto alle doglianze prospettate dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell'art. 4 del d.lgs. n. 149 del 2011 riguardante l'obbligo per le Province ed i Comuni di redigere una relazione di fine mandato, la difesa dello Stato deduce l'infondatezza delle stesse perche' «tale relazione, lungi dall'incidere sulle prerogative degli enti territoriali, verra' adottata sulla base di una procedura tale da garantire il rispetto dell'autonomia costituzionalmente stabilita, essendo prevista [...] una certificazione da parte degli organi di controllo interno e successivamente una verifica da parte di un Tavolo tecnico interistituzionale composto pariteticamente da rappresentanti ministeriali e regionali». 11.5.- Quanto alle doglianze prospettate dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell'art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011 riguardante le verifiche, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, della regolarita' della gestione amministrativo-contabile degli enti, la difesa erariale deduce che detto articolo risponde a finalita' di controllo e di prevenzione di abusi e «si giustifica alla luce delle considerazioni gia' svolte, oltre a trovare diretta legittimazione nella richiamata previsione della legge delega». L'Avvocatura dello Stato sottolinea inoltre che: a) detto controllo va inquadrato tra quelli di carattere collaborativo, in un'ottica di prevenzione (al fine di stimolare l'efficienza nella gestione delle risorse) piu' che di sanzione; b) le modalita' di attuazione delle verifiche sono definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni e per la coesione territoriale, previa intesa con la Conferenza unificata, «a conferma del rispetto della sfera di autonomia delle regioni»; c) dette modalita' di attuazione devono prevedere, a tutela delle autonomie locali, adeguate forme di contraddittorio tra il Ministero dell'economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e gli enti sottoposti alle verifiche. 11.6.- Quanto alle doglianze prospettate dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell'art. 6 del d.lgs. n. 149 del 2011 in tema di responsabilita' politica del presidente di provincia e del sindaco, oltre a richiamare quanto da essa dedotto in ordine alle censure aventi ad oggetto gli artt. 2 e 3, la difesa dello Stato sottolinea che, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale (sono citate le sentenze n. 336 e n. 50 del 2005), la distinzione, nell'ambito della competenza legislativa concorrente, tra norme di principio fondamentale e norme di dettaglio «e' correlata alle esigenze unitarie di cui e' portatore lo Stato». Alla stregua di cio', e della giurisprudenza costituzionale citata, «la questione» non sarebbe fondata perche' la disposizione impugnata si giustifica in virtu' della particolare congiuntura economica, della necessita' di risanamento del deficit pubblico e dell'attuazione di un piano di prevenzione, controllo e repressione degli abusi compiuti dalle amministrazioni locali (e' richiamata, al riguardo, anche la sentenza della Corte costituzionale n. 237 del 2009). 11.7.- Quanto alle doglianze prospettate dalla Regione Lazio, dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell'art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011 - in tema di sanzioni a carico delle Regioni e delle Province autonome che non abbiano rispettato il patto di stabilita' interno - in riferimento agli artt. 119 Cost. (per il carattere di dettaglio e non di principio delle misure imposte alle Regioni ed alle Province autonome per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica), e 117, quarto comma, Cost. (per l'invasione della competenza legislativa regionale in materia di organizzazione degli uffici e del personale, la' dove prevede la sanzione del divieto di assumere personale), la difesa statale afferma che la disposizione impugnata, disciplinando un sistema sanzionatorio inteso a garantire che gli enti territoriali conseguano gli obiettivi di finanza pubblica loro assegnati, rientra nell'ambito della competenza legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. La parte resistente sottolinea che la Corte costituzionale (e' citata la sentenza n. 284 del 2009) ha affermato che: a) il contenimento della spesa pubblica rientra nella generale finalita' del coordinamento finanziario, con la conseguenza che il legislatore statale puo' legittimamente imporre alle Regioni vincoli alle politiche di bilancio - anche se essi vengano ad incidere sull'autonomia regionale di spesa - per ragioni di coordinamento finanziario volto a salvaguardare l'equilibrio della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari, tra cui il rispetto del Patto di stabilita' e crescita; b) i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica comprendono anche norme puntuali, adottate per realizzare in concreto la finalita' del coordinamento; c) le norme statali recanti detti principi devono limitarsi a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non devono prevedere in modo esaustivo strumenti e modalita' per il perseguimento di detti obiettivi. La disposizione denunciata rispetta, in particolare, quest'ultimo requisito necessario della normativa statale di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica perche' gli enti territoriali sono liberi di individuare gli strumenti piu' idonei per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica loro assegnati, mentre le misure sanzionatorie previste dall'art. 7 costituiscono solo la conseguenza del mancato raggiungimento degli stessi. Da cio' l'infondatezza delle censure avanzate dalle ricorrenti. 11.8.- La difesa dello Stato esamina infine le doglianze prospettate dalla Regioni autonome Trentino-Alto Adige/Südtirol, Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e siciliana e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011 per contrasto con l'art. 76 Cost. (in riferimento agli artt. 1, comma 2, e 27 della legge di delegazione n. 42 del 2009, i quali, secondo le ricorrenti, riserverebbero alla normativa di attuazione degli statuti speciali la materia disciplinata dal d.lgs. n. 149 del 2011) e con le disposizioni statutarie e le relative norme di attuazione che attribuiscono alle ricorrenti la competenza legislativa nelle materie dell'ordinamento degli uffici e del personale, della finanza locale, dell'igiene e sanita' e della forma di governo. L'Avvocatura generale dello Stato osserva al riguardo che: a) non vi e' alcuna violazione della legge n. 42 del 2009, perche' l'impugnato art. 13 richiama espressamente le procedure dell'art. 27 della stessa legge; b) l'applicazione immediata e diretta negli enti ad autonomia differenziata del d.lgs. n. 149 del 2011 nel caso in cui, nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore dello stesso, non siano state concluse le procedure previste dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009 (art. 13, comma 1, secondo periodo), applicazione protratta sino al completamento di tali procedure, e' volta a garantire una uniforme applicazione sull'intero territorio nazionale dei meccanismi sanzionatori e premiali previsti dal decreto legislativo, al fine di evitare disparita' di trattamento tra le autonomie regionali, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). 12.- In prossimita' dell'udienza pubblica del 9 ottobre 2012 hanno depositato memorie le Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Campania, la Provincia autonoma di Bolzano, nonche' la Regione Molise, interveniente nel giudizio di legittimita' costituzionale proposto con ricorso n. 149 del 2011 dalla Regione Emilia-Romagna. 12.1.- Le Regioni Emilia-Romagna e Umbria, con atti di identico contenuto, richiamano e ribadiscono tutti i rilievi di illegittimita' costituzionale gia' esposti nei rispettivi ricorsi. Inoltre esse evidenziano che l'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 149 del 2011, prevedendo un'ipotesi di responsabilita' politica del Presidente della Regione, ne fa un organo politicamente responsabile nei confronti del Governo, il che «sarebbe del tutto abnorme rispetto al quadro costituzionale». Inoltre, secondo le ricorrenti, sarebbe illegittimo sanzionare siffatta responsabilita' politica del Presidente della Regione con l'incandidabilita' (disposta nel comma 3 dell'impugnato art. 2) perche' questa costituisce una «figura eccezionale di compressione del fondamentale diritto di elettorato passivo», che consegue all'accertamento di gravissime responsabilita' di rilievo penale, mentre nella specie le condotte imputabili al Presidente sarebbero certamente gravi, ma tali da dare luogo soltanto a una responsabilita' di tipo amministrativo-contabile. Quanto alla censura concernente l'articolo 2, comma 7, le ricorrenti replicano alla deduzione dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale «il raggiungimento degli obiettivi di servizio e' necessariamente connesso alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni» osservando che gli obiettivi di servizio differiscono dai livelli essenziali «sia in relazione agli enti interessati (gli obiettivi di servizio riguardano solo alcune Regioni meridionali mentre i livelli essenziali si rivolgono a tutte le Regioni) sia in relazione alla procedura attraverso la quale sono fissati gli obiettivi ed al loro stesso contenuto». Si ricorda in proposito che il Ministero dello sviluppo economico - Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica definisce gli obiettivi di servizio come «un meccanismo premiale volto a migliorare alcuni servizi essenziali e a creare condizioni favorevoli per l'attrazione di investimenti privati» e li riferisce a quattro ambiti strategici: istruzione, servizi di cura per l'infanzia e per gli anziani, gestione dei rifiuti urbani e servizio idrico integrato. 12.2.- La Regione Campania richiama e ribadisce tutti i rilievi di illegittimita' costituzionale gia' esposti nel proprio ricorso. 12.3.- Quanto alle censure indirizzate all'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, la difesa regionale ribadisce anzitutto la violazione dell'art. 126 Cost., evidenziando che, mentre il primo comma di tale norma costituzionale presuppone condotte degli organi di governo regionali connotate da «elevatissima gravita'» e integranti un «esercizio intenzionalmente distorto delle funzioni istituzionali», il censurato comma 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 ha riguardo alla mancata osservanza degli impegni assunti in sede di piano di rientro dal disavanzo sanitario: la fattispecie prevista dalla norma censurata non rientra, quindi, nell'ambito dell'esercizio delle ordinarie competenze regionali, ma configura un intervento sostitutivo del Governo alle cui direttive il Presidente della Giunta regionale, commissario ad acta, e' condizionato, di tal che' le sue decisioni non possono essere ricondotte al ruolo di rappresentante della Regione ne' possono riflettersi sulla sua carica di Presidente della Regione. Quanto all'irragionevolezza dello stesso comma 2 dell'art. 2 dovuta all'omessa presa in considerazione dei miglioramenti conseguiti dal Presidente pro-tempore nella riduzione del disavanzo, la ricorrente sottolinea che la stessa trova conferma proprio nell'attuale situazione della Regione Campania, dove il Presidente attualmente in carica, nominato commissario ad acta a seguito delle elezioni regionali del marzo dell'anno 2010, si e' trovato a fronteggiare un gravissimo dissesto finanziario e, nonostante i miglioramenti ottenuti nel risanamento del settore sanitario, rischia, in base alla norma denunciata, di vedersi addossare la responsabilita' per il mancato conseguimento degli obiettivi annuali di rientro previsti dal piano. Sempre a tale riguardo, non sarebbe convincente quanto affermato dalla difesa dello Stato a proposito della possibilita' per il Presidente della Regione di «addurre valide giustificazioni a sostegno della propria condotta omissiva o del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro», atteso che di tale possibilita' non vi sarebbe traccia nella norma censurata la quale sembra prevedere come presupposti della propria operativita' semplici condotte omissive o addirittura circostanze di carattere oggettivo quali la mancata realizzazione degli obiettivi del piano di rientro e l'aumento dell'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF per due anni senza apprezzabili risultati sugli equilibri di bilancio (cio' che potrebbe derivare anche dall'inadeguatezza dello stesso piano di rientro). Quanto alla violazione degli artt. 122 e 126 Cost., sotto il profilo che il denunciato art. 2, comma 2, non precisa la natura, le modalita' ed i limiti dell'accertamento della Corte dei conti in esso previsto, la difesa della ricorrente afferma che detta violazione non verrebbe meno anche a ritenere - come fa la difesa dello Stato nel proprio atto di costituzione - che l'attivita' della Corte e' da ricondurre nell'ambito dei compiti svolti dalla magistratura contabile in sede di controllo successivo; in realta', l'accertamento della riconducibilita' del grave dissesto finanziario al Presidente della Giunta per dolo o colpa grave sembra involgere - contrariamente a quanto ritenuto dall'Avvocatura generale dello Stato - l'esercizio di poteri tipici del giudizio di responsabilita' contabile-amministrativa; la norma denunciata parrebbe quindi configurare una nuova competenza della Corte dei conti che - sempre secondo la ricorrente - avrebbe richiesto una previsione espressa e chiara. 12.4.- Quanto alle censure promosse nei confronti dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 149 del 2011, in riferimento all'art. 122, primo comma, Cost., la ricorrente ribadisce sia che tale norma non sembra rispettare la necessaria e ragionevole proporzionalita' nella limitazione del diritto di elettorato passivo, tenuto conto che ricomprende nell'ambito dell'istituto dell'incandidabilita' - preordinato a fronteggiare il fenomeno dell'infiltrazione della criminalita' organizzata negli organi elettivi - l'ipotesi, estremamente meno grave e rilevante, della responsabilita' del Presidente della Giunta per grave dissesto finanziario sia che essa e' collocata fuori della corretta sedes materiae costituita dalla legge n. 165 del 2004. 12.5.- Quanto alle censure indirizzate all'art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 149 del 2011, la ricorrente ribadisce il contrasto di tale norma con: a) l'art. 126, primo comma, Cost., in ragione della mancata previsione di un procedimento di nomina del commissario ad acta (chiamato ad esercitare le competenze del Presidente della Giunta regionale rimosso concernenti l'ordinaria amministrazione e gli atti improrogabili) che garantisca il coinvolgimento della Regione; b) gli artt. 120, secondo comma, e 126, primo comma, Cost., per l'attribuzione al commissario ad acta di competenze generali (originariamente riservate all'organo politico) anziche' limitare i poteri del commissario al compimento di singole attivita' specificamente individuate (oltre alla sentenza della Corte costituzionale n. 165 del 2011, gia' menzionata nel ricorso, sono citate le sentenze della stessa Corte n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010); c) l'art. 126, primo comma, Cost., a causa della mancata previsione di un termine - che, come si evincerebbe dalla sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2003, dovrebbe essere certo ed espresso - per la celebrazione delle elezioni per il rinnovo degli organi regionali e dell'organo che deve indirle. 12.6.- La Provincia autonoma di Bolzano, nell'articolare ulteriormente le proprie deduzioni in replica alle difese del Presidente del Consiglio, rileva in via preliminare e assorbente che l'intero decreto legislativo n. 149 del 2011 e' inapplicabile alla Provincia ricorrente, in quanto esso e' attuativo degli artt. 2, 17 e 26 della legge di delegazione n. 42 del 2009, laddove la clausola di esclusione contenuta nell'art. 1, comma 2, di detta legge stabilisce che gli unici principi della delega sul federalismo fiscale applicabili alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome sono quelli contenuti negli artt. 15, 22 e 27. 12.7.- Ha depositato una memoria anche la Regione Molise, intervenuta nel giudizio di legittimita' costituzionale proposto con il ricorso n. 149 del 2011 dalla Regione Emilia-Romagna. La Regione Molise, dopo avere affermato il proprio diritto ad intervenire ad adiuvandum in un giudizio promosso da un'altra Regione nonostante la mancata impugnazione in via diretta della normativa statale, si sofferma ad illustrare ampiamente i motivi dedotti a sostegno del ricorso proposto dalla Regione Emilia-Romagna, sostenendone la fondatezza. 13.- Nelle more dei giudizi promossi avverso il d.lgs. n. 149 del 2011 e' sopraggiunto il decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, il cui art. 1-bis ha introdotto modifiche agli artt. 1, 4 e 5, e ha aggiunto l'art. 4-bis, al testo normativo gia' impugnato. 14.- La Regione autonoma Sardegna, che non aveva proposto ricorso avverso il d.lgs. n. 149 del 2011, ha promosso (reg. ric. n. 20 del 2013) questioni di legittimita' costituzionale, tra l'altro, dell'art. 1-bis, commi 1 e 4, del d.l. n. 174 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 97, 116, 117, 119 e 127 Cost., agli artt. 7, 8, 15, 33, 35, 37, 54, 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), agli artt. 1, 4, 5 e 10 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna concernente il controllo sugli atti della Regione). L'art. 1-bis, comma 1, impugnato modifica l'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011. La ricorrente accentra la propria attenzione sulla lettera c) della norma impugnata, osservando che, per effetto di essa, il Presidente della Giunta e' tenuto a trasmettere la relazione di fine legislatura alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. In tal modo, a parere della Regione, il legislatore avrebbe introdotto una nuova forma di controllo sull'operato della Giunta, a fini sanzionatori, che non e' contemplata dalla fonte statutaria. La disposizione impugnata verrebbe, per tale via, ad incidere sulla forma di governo regionale, alterando i rapporti istituzionali tra Presidente e Consiglio. Sarebbero cosi' lesi, anzitutto, gli artt. 15, 35 e 37 dello statuto, che disciplinano la forma di governo regionale, la posizione del Presidente della Giunta ed i suoi rapporti con il Consiglio. Allo stesso modo, sarebbero violati anche gli artt. 3 e 97 Cost., poiche' il Presidente della Giunta non ha modo di interloquire con la Corte dei Conti, cio' che renderebbe irragionevole la disciplina censurata. In secondo luogo, la Regione Sardegna sottolinea che le sole forme di controllo consentite, nei confronti della Regione e da parte della Corte dei Conti, sono indicate dalle norme di attuazione dello statuto, ed in particolare dagli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. n. 21 del 1978, e non possono essere modificate se non con il procedimento della revisione statutaria o della modificazione delle norme attuative. La norma impugnata, violando gli artt. 7, 8, 54 e 56 dello statuto, l'art. 116 Cost. ed il d.P.R. n. 21 del 1978, nella parte appena indicata, avrebbe invece configurato un nuovo controllo per di piu' non limitato alla legittimita', ma esteso al «merito delle concrete scelte politiche» regionali. L'art. 1-bis, comma 4, impugnato modifica l'art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011. La ricorrente premette che tale novella rende espressamente applicabile ai soggetti ad autonomia speciale il potere ministeriale di verifica sulla regolarita' della gestione amministrativa-contabile. Tale funzione, a parere della ricorrente, sarebbe in contrasto con gli artt. 7, 54 e 56 dello statuto, con l'art. 116 Cost. e con l'art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978 per le ragioni appena evidenziate: si sarebbe in presenza di un «controllo ministeriale totalmente sconosciuto non solo allo Statuto, ma all'intero sistema costituzionale», e per giunta attribuito non alla Corte dei Conti, quale organo dello Stato-comunita', ma all'amministrazione statale. Inoltre, posto che il bilancio e' approvato con legge, tale forma di controllo preventivo sarebbe in contrasto con l'art. 33 dello statuto e il piu' favorevole art. 127 Cost., che non ammette piu' alcun controllo preventivo sulla legislazione regionale. A fronte della inadeguatezza della clausola di salvaguardia recata dall'art. 11-bis del d.l. n. 174 del 2012 a preservare l'autonomia regionale, la ricorrente conclude per la declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma impugnata. 15.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che a propria volta non aveva impugnato il d.lgs. n. 149 del 2011, ha promosso (reg. ric. n. 17 del 2013) questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, comma 1, lettere a), numero 1), ed e), e comma 4, del d.l. n. 174 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 113, 117, terzo e quarto comma, Cost., e agli artt. 4, numero 1), 12, 22, 41, 48, 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). La ricorrente premette di svolgere le proprie censure, con riferimento al comma 1, per la sola ipotesi in cui non si dovesse ritenere operante la clausola di salvaguardia prevista dall'art. 11-bis del. d.l. n. 174 del 2012. Quanto all'art. 1-bis, comma 1, lettere a), numero 1), ed e), la Regione contesta che il legislatore statale possa «intromettersi nell'organizzazione costituzionale e nell'organizzazione amministrativa» regionale. La relazione di fine legislatura eccede, a parere della ricorrente, la natura di principio di coordinamento della finanza pubblica, avendo carattere dettagliato, e lede l'autonomia finanziaria della Regione e la potesta' residuale in materia di organizzazione degli uffici: da cio' deriverebbe la violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost., e degli artt. 4, numero 1), 12 e 48 dello statuto. La compressione dell'autonomia organizzativa sarebbe particolarmente evidente, laddove la norma impugnata individua direttamente l'organo regionale competente a redigere la relazione. Inoltre, la disciplina censurata, prevedendo sanzioni nei confronti del Presidente della Giunta, concernerebbe lo «status dell'organo regionale di vertice», rimesso invece all'autonomia regionale dagli artt. 12, 22, 41 (quanto alla misura dell'indennita', anch'essa incisa) e 65 dello statuto. La Regione sarebbe poi legittimata a denunciare la violazione degli artt. 24, 97 e 113 Cost., posto che la responsabilita' del proprio Presidente sarebbe rilevata «nella completa assenza di una procedura di accertamento». La disciplina sanzionatoria nei confronti del responsabile del servizio a propria volta invaderebbe l'autonomia organizzativa della Regione. Quanto all'art. 1-bis, comma 4, la ricorrente ritiene che esso introduca un ulteriore controllo, dalla conseguenze «incerte», da parte del Governo, «al di fuori di quanto previsto dallo Statuto e dalle norme di attuazione», in violazione degli artt. 4, numero 1), e 65 dello statuto o dell'art. 117, quarto comma, Cost., se ritenuto piu' favorevole in materia di ordinamento contabile regionale, dell'art. 116 Cost. e dell'art. 33 del d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). Si tratterebbe di un controllo particolarmente invasivo, recante la possibilita' che sia attivato il procedimento previsto dall'art. 18 della legge n. 42 del 2009. Inoltre, la norma impugnata sarebbe irragionevole e contraddittoria, in violazione dell'art. 3 Cost. Essa, infatti, prevede nei confronti delle Regioni a statuto speciale un potere di verifica statale introdotto dall'art. 14, comma 1, lettera d), della legge n. 196 del 2009. Tuttavia, quest'ultima disposizione continua espressamente ad escludere di essere applicabile ai soggetti ad autonomia speciale. 16.- A propria volta, la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 18 del 2013), che aveva impugnato, tra l'altro, l'art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011, ha promosso questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, comma 4, del d.l. n. 174 del 2012, in relazione agli artt. 3 e 117, quarto comma, Cost., agli artt. 8, numero 1), e 75 dello statuto, agli artt. 2, 6 e 10 del d.P.R. n. 305 del 1988, all'art. 16 del d.lgs. n. 268 del 1992, e all'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. La ricorrente rivendica la medesima sfera di autonomia posta a base del ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, e svolge censure del tutto analoghe, aggiungendo che l'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992 vieta di conferire ad organi statali funzioni amministrative in materie di competenza della Provincia. 17.- Anche la Regione autonoma Valle d'Aosta (reg. ric. n. 16 del 2013), che aveva impugnato, tra l'altro, l'art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011, ha promosso questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, comma 4, del d.l. n. 174 del 2012, in relazione agli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 4, 12, 43, 48-bis e 50 dello statuto, all'art. 1 del d.lgs. n. 320 del 1994, alla legge n. 690 del 1981, agli artt. 5 e 120 Cost. ed al principio di leale collaborazione. Anzitutto, il legislatore statale non potrebbe introdurre, al di fuori del procedimento di revisione o di attuazione statutaria, norme che incidono sull'ordinamento finanziario della Regione, secondo quanto previsto dagli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 4, 12, 48-bis e 50 dello statuto, dalla legge n. 690 del 1981 e dall'art. 1 del d.lgs. n. 320 del 1994. In secondo luogo, sarebbe lesivo del principio di leale collaborazione «di cui agli articoli 5 e 120 Cost.» che la norma impugnata non garantisca un coinvolgimento della Regione nell'esercizio del potere statale di verifica da esso introdotto. In terzo luogo, tale potere avrebbe natura invasiva rispetto alla competenza legislativa in materia di ordinamento degli uffici, cui andrebbe ricondotto l'ordinamento contabile della Regione (art. 2, comma 1, lettera a, dello statuto); alla competenza in materia di "ordinamento degli enti locali" (art. 2, comma 1, lettera b, dello statuto); alla competenza in materia di "finanze regionali e comunali" (artt. 3, comma 1, lettera f, e 12 dello statuto, «anche alla luce» degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Cost.). Infine, lo Stato non potrebbe attribuire direttamente a propri organi funzioni amministrative nelle materie di competenza regionale: sotto questo profilo, la norma impugnata avrebbe violato anche gli artt. 4 e 43 dello statuto. 18.- Si e' costituito in tutti i giudizi promossi avverso il d.l. n. 174 del 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri, con atti difensivi di analogo tenore. Con riferimento all'art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 174 del 2012, l'Avvocatura spende i medesimi argomenti gia' svolti a proposito dell'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011. Con riguardo all'art. 1-bis, comma 4, del d.l. n. 174 del 2012, l'Avvocatura premette che tale disposizione ha legittimamente esteso a Regioni e Province autonome le verifiche di regolarita' della gestione da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica gia' regolati dall'art. 14, comma 1, lettera d), della legge n. 196 del 2009. Alla luce della sentenza n. 370 del 2010 di questa Corte, e' parere dell'Avvocatura che tale estensione corrisponda all'«essenziale ruolo» che i servizi esercitano a fini di coordinamento della finanza pubblica, senza che cio' comporti alcuna «ingerenza sull'autonomia finanziaria delle autonomie speciali». Infatti, la funzione ispettiva, «priva di qualsiasi potere gerarchico», e' meramente strumentale «all'esercizio del controllo collaborativo della Corte dei Conti», al quale soggiacciono le stesse Regioni a statuto speciale e le Province autonome, ai sensi degli artt. 28, 81, 100, secondo comma, e 119 Cost. 19.- Nell'imminenza dell'udienza pubblica del 19 giugno 2013, le seguenti parti ricorrenti hanno depositato memorie. La Regione Trentino-Alto Adige e la Provincia autonoma di Trento, con analoghi argomenti, replicano alle osservazioni dell'Avvocatura dello Stato, evidenziando che quest'ultima nulla ha dedotto circa il «vizio procedurale» proprio di tutte le disposizioni impugnate, ne' con riferimento alle censure mosse agli artt. 1, 4, 5 e 7 del d.lgs. n. 149 del 2011. Con riguardo all'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, le ricorrenti richiamano la piu' recente giurisprudenza di questa Corte in ordine alla inapplicabilita' ai soggetti ad autonomia speciale della legge n. 42 del 2009, eccezion fatta per gli artt. 15, 22 e 27, se non per il tramite delle procedure previste dalle norme di attuazione statutaria. Con riguardo all'art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 149 del 2011, le ricorrenti ribadiscono che gli obiettivi di servizio non sono equiparabili ai livelli essenziali delle prestazioni. Con riguardo all'art. 6 del d.lgs. n. 149 del 2011, le ricorrenti escludono, sulla base della giurisprudenza costituzionale, che l'«emergenza finanziaria» possa giustificare deroghe al riparto di competenze tra Stato e Regioni. La Regione Emilia-Romagna ribadisce le censure gia' svolte e, tornando su quelle relative all'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, pone in rilievo che l'art. 126 Cost. non consente di introdurre alcuna forma di responsabilita' «politica» degli organi regionali nei confronti del Governo, come invece pretenderebbe la norma impugnata. Essa disciplinerebbe una «forma di vigilanza tutoria esercitata dal vertice politico nazionale» eccedente i limiti della «responsabilita' giuridica», ed invaderebbe il terreno della responsabilita' politica degli organi elettivi di fronte al corpo elettorale. Inoltre, e contraddittoriamente, scioglimento e rimozione sanzionatori vengono a dipendere dall'accertamento, da parte della Corte dei Conti, di ipotesi «tipiche della responsabilita' amministrativo-contabile», precludendo le «valutazioni politico-discrezionali del Consiglio dei ministri» richieste dalla disciplina costituzionale. Con riguardo all'art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 149 del 2011, anche tale Regione ribadisce che gli obiettivi di servizio non sono equiparabili ai livelli essenziali delle prestazioni. Con riguardo all'art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, la Regione insiste nel rilevare che la decadenza automatica dei dirigenti dell'amministrazione sanitaria regionale e' priva delle necessarie garanzie procedimentali, essendo insufficiente la generica previsione relativa alla verifica delle responsabilita' del dissesto. La Regione Lazio, a propria volta, insiste per l'accoglimento del ricorso. Con riguardo all'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011, la Regione osserva che la «reale finalita'» della relazione di fine legislatura consisterebbe nel consentire «al Governo, e non ai cittadini, un controllo sull'attivita' regionale in vista dell'eventuale applicazione di meccanismi di tipo sanzionatorio», mentre l'unica forma di «controllo» ammessa dalla Costituzione sarebbe «il ricorso al potere sostitutivo». Tale ultimo argomento viene speso dalla Regione anche a sostegno delle censure relative all'art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011. Con riguardo all'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011, dopo avere ribadito le censure gia' svolte, la ricorrente osserva che il grave dissesto finanziario non puo' giustificare previsioni concernenti la incandidabilita' del Presidente della Giunta, posto che essa concerne la «materia elettorale». Con riguardo all'art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2011, la Regione rileva che l'omessa impugnazione di pregressi meccanismi di decadenza di amministratori regionali, rammentata dall'Avvocatura dello Stato, non puo' precludere la scelta politica di impugnare analoghe norme successive. La Provincia autonoma di Bolzano esamina le modifiche normative apportare alle norme impugnate, per concludere che esse hanno carattere marginale ed impongono il trasferimento delle originarie censure sul nuovo testo delle disposizioni impugnate. Farebbe eccezione l'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, la cui abrogazione determinerebbe cessazione della materia del contendere. Nel merito, la ricorrente ribadisce le censure gia' avanzate, osservando che la difesa dell'Avvocatura dello Stato e' viziata dal fatto di «appiattire» la posizione provinciale su quella delle altre parti ricorrenti a statuto ordinario. La Regione siciliana, richiamata la sentenza n. 178 del 2012 di questa Corte, insiste per l'accoglimento delle questioni relative all'art. 13 del d.lgs. n. 149 del 2011, anche con riguardo al primo periodo della disposizione. La Regione Friuli-Venezia Giulia evidenzia anzitutto che l'Avvocatura dello Stato non avrebbe replicato alle censure relative all'art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 174 del 2012. Con riguardo al comma 4 seguente, la ricorrente afferma che la sentenza n. 370 del 2010, richiamata dall'Avvocatura dello Stato, non sarebbe pertinente, poiche' relativa a conflitto di attribuzione proposto da una Regione a statuto ordinario. Le competenze statutarie dedotte in ricorso imporrebbero, invece, l'accoglimento del ricorso. La Regione Sardegna e la Provincia autonoma di Trento, a propria volta, reputano per analoghe ragioni inconferente il richiamo alla sentenza n. 370 del 2010. Quanto, invece, all'art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 174 del 2012, la sola Regione Sardegna osserva che la stessa Avvocatura dello Stato riconoscerebbe che tale norma introduce «un regime modificativo della responsabilita' politico-istituzionale del Presidente della Regione che produce evidenti effetti sulla forma di governo». Anche la Regione Molise ha depositato una memoria conclusiva, affermando l'ammissibilita' del proprio intervento e insistendo per l'accoglimento del ricorso proposto dalla Regione Emilia-Romagna. Considerato in diritto 1.- Le Regioni autonome Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 157 del 2011), Trentino-Alto Adige/Südtirol (reg. ric. n. 148 del 2011), siciliana (reg. ric. n. 162 del 2011), e le Regioni Emilia-Romagna (reg. ric. n. 149 del 2011), Umbria (reg. ric. n. 151 del 2011), Lazio (reg. ric. n. 156 del 2011), Campania (reg. ric. 154 del 2011), Calabria (reg. ric. n. 159 del 2011), nonche' le Province autonome di Trento (reg. ric. n. 150 del 2011) e di Bolzano (reg. ric. n. 161 del 2011), con distinti ricorsi, hanno impugnato numerose disposizioni del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42). In particolare, l'articolo 1 (Relazione di fine legislatura regionale) e' stato impugnato: a) dalla Regione Lazio, in riferimento agli articoli 5, 76, 117, quarto comma, 120 e 123 della Costituzione, e all'articolo 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), oltre che in riferimento al principio di leale collaborazione; b) dalla Regione Calabria, in riferimento agli articoli 76, 117, 121 e 123 della Costituzione; c) dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione e agli articoli 2, comma 1, lettera a); 3, comma 1, lettera l); 4; 48-bis e 50 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), questi ultimi due anche in relazione alla sfera di autonomia finanziaria prevista dalla legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta) e dagli articoli 34 e 36 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica); d) dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento agli articoli 76, 117, terzo, quarto e sesto comma, della Costituzione; agli articoli 4, numero 1), e 79 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); agli articoli 16 e 17, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); agli articoli 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e coordinamento); agli articoli 2 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l'istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto) e al principio di leale collaborazione; e) dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli articoli 76, 117, terzo, quarto e sesto comma, della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 47 e 79 del d.P.R. n. 670 del 1972; agli articoli 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992; agli articoli 2 e 6 del d.P.R. n. 305 del 1988 e al principio di leale collaborazione; f) dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 100 della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 9, numero 10), 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 16 del d.lgs. n. 268 del 1992; al d.P.R. n. 305 del 1988. L'articolo 2 (Responsabilita' politica del presidente della giunta regionale) e' stato impugnato: a) dalle Regioni Emilia-Romagna ed Umbria, quanto ai commi 1, 2, 3, 5 e 7, in riferimento agli articoli 76, 24, 100, 103, secondo comma, 114, 120, 122 e 126 della Costituzione e ai principi di ragionevolezza, leale collaborazione, e della certezza del diritto; b) dalla Regione Lazio, quanto ai commi 1, 2, 3 e 5, in riferimento agli articoli 5, 76, 120, 121, 122, 123 e 126 della Costituzione e al principio di leale collaborazione; c) dalla Regione Campania, quanto ai commi 2, 3 e 5, in riferimento agli articoli 120, secondo comma, 122, 126 della Costituzione e al principio di ragionevolezza; d) dalla Regione Calabria, quanto ai commi 1, 2, 3 e 5, in riferimento agli articoli 76, 121 e 126 della Costituzione; e) dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione, e agli articoli 15, comma 2, e 48 della legge costituzionale n. 4 del 1948; f) dalla Regione Trentino-Alto Adige, quanto ai commi 4 e 7, in riferimento agli articoli 76 e 120 della Costituzione; all'articolo 107 del d.P.R. n. 670 del 1972 e al principio di leale collaborazione; g) dalla Regione siciliana, in riferimento agli articoli 76 e 119 della Costituzione (quest'ultimo applicabile in base all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e agli articoli 8, 9 e 10 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana); h) dalla Provincia autonoma di Trento, quanto ai commi 1, 2, 3, 4 e 7, in riferimento agli articoli 24, 76, 117, terzo e quarto comma, 100, 103, secondo comma, 120, 126 della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 47, 49-bis, 69, 79, 107 del d.P.R. n. 670 del 1972 e al principio di ragionevolezza; i) dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli articoli 76, 100 e 126 della Costituzione; agli articoli 8, 9, 16, 47, 49-bis del d.P.R. n. 670 del 1972 e all'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616). L'articolo 3 (Decadenza automatica e interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti) e' stato impugnato: a) dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, in riferimento agli articoli 76, 114, 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, e ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione; b) dalla Regione Lazio, «con particolare riferimento ai commi 1 e 2», e in relazione agli articoli 5, 76, 117, quarto comma, 120 e 123 della Costituzione e al principio di leale collaborazione; c) dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 2, comma 1, lettera a); 3, comma 1, lettera l); 4; 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948, questi ultimi due anche in relazione alla sfera di autonomia finanziaria prevista dalla legge n. 690 del 1981 e dagli articoli 34 e 36 della legge n. 724 del 1994; d) dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli articoli 76 e 117, terzo e quarto comma, della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), e 79 del d.P.R. n. 670 del 1972 e al principio di leale collaborazione; e) dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione e all'articolo 8, numero 1), del d.P.R. n. 670 del 1972. L'articolo 4 (Relazione di fine mandato provinciale e comunale) e' impugnato: a) dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 2, comma 1, lettera b), e 4 della legge costituzionale n. 4 del 1948; b) dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento agli articoli 76, 117, terzo, quarto e sesto comma, della Costituzione; agli articoli 4, numero 3), e 79 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 17, comma 2, del d.lgs. n. 268 del 1992; all'articolo 4 del d.lgs. n. 266 del 1992; all'art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988; al principio di leale collaborazione; c) dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli articoli 76, 117, quarto e sesto comma, della Costituzione; agli articoli 47, 54, 79 e 80, del d.P.R. n. 670 del 1972; agli articoli 16 e 17 del d.lgs. n. 268 del 1992; agli articoli 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992; all'articolo 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 e al principio di leale collaborazione; d) dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 9, numero 10), 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 16 del d.lgs. n. 268 del 1992; al d.P.R. n. 305 del 1988. L'articolo 5 (Regolarita' della gestione amministrativo-contabile) e' stato impugnato: a) dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli articoli 76, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione; agli articoli 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948, anche in riferimento alla legge n. 690 del 1981 e al decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta); b) dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento agli articoli 76 e 117, sesto comma, della Costituzione; agli articoli 4, numeri 2) e 3), 54, 79 e 80 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 16 del d.lgs. n. 268 del 1992; agli articoli 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992; all'articolo 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 e al principio di leale collaborazione; c) dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli articoli 76 e 117, sesto comma, della Costituzione; agli articoli 54, 79 e 80 del d.P.R. n. 670 del 1972; agli articoli 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992; all'articolo 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 e al principio di leale collaborazione; d) dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 54, 79, 80 e 81 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. L'articolo 6 (Responsabilita' politica del presidente di provincia e del sindaco) e' stato impugnato: a) dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 2, comma 1, lettera b), e 4 della legge costituzionale n. 4 del 1948; b) dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 4, numero 3), 54, 79 e 80 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 e al principio di leale collaborazione; c) dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli articoli 76 e 117, quarto comma, della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 47, 54, 79 e 80 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988 e al principio di leale collaborazione; d) dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 4, numero 3), 16, 54, 79, 80 e 81 del d.P.R. n. 670 del 1972. L'articolo 7 (Mancato rispetto del patto di stabilita' interno) e' stato impugnato: a) dalla Regione Lazio, in riferimento agli articoli 5, 76, 117, quarto comma, 119 e 120 della Costituzione e al principio di leale collaborazione; b) dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; all'articolo 79 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e al principio di leale collaborazione; c) dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 79, 80 e 81 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 2 del d.lgs. n. 266 del 1992; all'articolo 17 del d.lgs. n. 268 del 1992 e al principio di leale collaborazione; d) dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972; agli articoli 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992 e al principio di leale collaborazione. L'articolo 13 (Disposizioni concernenti le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano) e' stato impugnato: a) dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli articoli 5, 76, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione; agli articoli 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettere f) e l), 4, 12, 15, 48, 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948, anche in riferimento alla legge n. 690 del 1981; b) dalla Regione Trentino-Alto Adige e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 79, 103, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972; all'articolo 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e al principio di leale collaborazione; c) dalla Regione siciliana, in riferimento agli articoli 76 e 119 della Costituzione (quest'ultimo in riferimento all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001); all'articolo 43 del r.d.lgs. n. 455 del 1946; d) dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 9, numero 10), 47, 49-bis, 54, 79, 80, 81, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972 e all'articolo 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. 2.- Nelle more del giudizio e' sopraggiunto l'art. 1-bis del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), inserito dalla legge di conversione 7 dicembre 2012, n. 213, che ha modificato gli artt. 1, 4, 5 e 6 del d.lgs. n. 149 del 2011. Le Regioni autonome Valle d'Aosta (reg. ric. n. 16 del 2013), Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 17 del 2013) e Sardegna (reg. ric. n. 20 del 2012), e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 18 del 2013), con separati ricorsi, hanno impugnato, le prime tre unitamente ad altre disposizioni riservate a separato giudizio, il comma 4 dell'art. 1-bis, che modifica l'art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011, mentre le sole Regioni Sardegna e Friuli-Venezia Giulia hanno impugnato anche il comma 1 dell'art. 1-bis, che modifica l'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011, la prima «con particolare riferimento» alla lettera c), e la seconda, con riguardo alle lettere a), numero 1), ed e). La Regione Valle d'Aosta promuove il ricorso, in relazione agli articoli 5 e 120 della Costituzione, in riferimento al principio di leale collaborazione; agli articoli 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 4, 12, 43, 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948, anche in relazione all'articolo 1 del d.lgs. n. 320 del 1994 e alla legge n. 690 del 1981. La Regione Sardegna solleva questioni, in relazione agli articoli 3, 97, 116, 117, 119 e 127 della Costituzione; agli articoli 7, 8, 15, 33, 35, 37, 54, 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante lo statuto speciale per la Sardegna; agli articoli 1, 4, 5 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 16 gennaio 1978, n. 21 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna concernente il controllo sugli atti della Regione). La Regione Friuli-Venezia Giulia assume a parametro gli articoli 3, 24, 97, 113, 116 e 117, terzo e quarto comma, della Costituzione; gli articoli 4, numero 1), 12, 22, 41, 48, 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); l'articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). Infine, la Provincia autonoma di Trento evoca gli articoli 3 e 117, quarto comma, della Costituzione; l'articolo 4 del d.lgs. n. 266 del 1992; gli articoli 8, numero 1), e 79 del d.P.R. n. 670 del 1972; l'articolo 16 del d.lgs. n. 268 del 1992 e gli articoli 2, 6 e 10 del d.P.R. n. 305 del 1988. 3.- Il d.lgs. n. 149 del 2011 costituisce uno dei decreti legislativi recanti attuazione della legge delega 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), in tema di federalismo fiscale. In particolare, si e' trattato di attuare gli articoli 2, 17 e 26 di tale legge, introducendo meccanismi premiali e sanzionatori nei confronti di Regioni ed enti locali, nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e nel rispetto dell'autonomia finanziaria del sistema regionale e locale (art. 2, comma 1, della legge n. 42 del 2009). Le ricorrenti impugnano disposizioni contenute nel Capo I del d.lgs. n. 149 del 2011, quanto ai "meccanismi sanzionatori" (il solo art. 13, relativo ai soggetti ad autonomia speciale, e' collocato nel Capo III). In particolare, l'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011 obbliga le Regioni a redigere e pubblicare una relazione di fine legislatura, che dia conto dettagliatamente delle principali attivita' normative e amministrative compiute, e che, per effetto delle modifiche apportate dal d.l. n. 174 del 2012, e' altresi' trasmessa alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. L'art. 4 disciplina analogamente la speculare relazione di fine mandato provinciale e comunale degli enti locali. L'art. 2 intende attuare l'art. 126 Cost., disciplinando un'ipotesi di scioglimento del Consiglio regionale e di rimozione del Presidente della Giunta, in conseguenza della fattispecie di "grave dissesto finanziario" ivi descritta. L'art. 3 estende gli effetti del dissesto finanziario ai funzionari regionali e ai componenti del collegio dei revisori dei conti, prevedendo ipotesi di decadenza e di interdizione da successivi uffici. L'art. 5 prevede un potere di verifica da parte dello Stato sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile di Regioni ed enti, che, per effetto del d.l. n. 174 del 2012, e' preliminare al controllo della Corte dei conti. L'art. 6 si occupa della "responsabilita' politica" del Presidente della Provincia e del sindaco. L'art. 7 concerne le sanzioni applicabili a Regioni ed enti locali, in caso di inosservanza del patto di stabilita' interno. L'art. 13 determina le modalita' di applicazione del d.lgs. n. 149 del 2011 ai soggetti ad autonomia speciale.