ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della  sentenza  della  Corte  d'appello  di  Milano,
sezione quarta penale, del 12 febbraio 2013,  n.  985,  promosso  con
ricorso del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  depositato  in
cancelleria il 3 luglio  2013  ed  iscritto  al  n.  8  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2013, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 9  ottobre  2013  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che,  con  ricorso  depositato  il  3  luglio  2013,  il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso  dalla
Avvocatura  generale  dello   Stato,   ha   proposto   conflitto   di
attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  nei  confronti  della  Corte
d'appello di Milano,  in  persona  del  Presidente  pro  tempore,  in
riferimento alla sentenza n. 985 del 12 febbraio 2013, con  la  quale
la medesima Corte d'appello (nel processo penale a carico di  Pollari
Nicolo', Di Troia Raffaele,  Ciorra  Giuseppe,  Mancini  Marco  e  Di
Gregori Luciano, per sequestro di persona  in  danno  di  Nasr  Osama
Mustafa', alias Abu Omar), pur resa edotta dell'intervenuto  deposito
in data 11 febbraio 2013  di  altro  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri  dello  Stato,  ha  affermato  la  responsabilita'  di   detti
imputati, non ravvisando la sussistenza di una causa  di  sospensione
del processo in corso; 
    che  in  un  precedente  conflitto  di  attribuzioni  (dichiarato
ammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 69 del 2013),
il ricorrente - in relazione allo svolgimento ed alle decisioni  fino
ad  allora  adottate  nello  stesso  processo   -   aveva   richiesto
dichiararsi che: a) non spettava alla Corte di cassazione annullare i
proscioglimenti degli imputati Pollari, Ciorra, Di Troia, Di  Gregori
e Mancini nonche' le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali
la Corte di appello  di  Milano  aveva  ritenuto  l'inutilizzabilita'
delle dichiarazioni rese dagli  indagati  nel  corso  delle  indagini
preliminari, sul presupposto che  il  segreto  di  Stato  apposto  in
relazione alla vicenda del sequestro  Abu  Omar  concernesse  solo  i
rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonche'  gli  interna  corporis
che hanno portato ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche
quelli che attengono comunque  al  fatto  storico  cui  si  riferisce
l'imputazione, e che sarebbe tutt'ora utilizzabile la  documentazione
legittimamente acquisita dall'autorita'  giudiziaria  nel  corso  del
procedimento avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla quale
era stato  successivamente  apposto  il  segreto  di  Stato;  b)  non
spettava alla Corte di appello di Milano ne' ammettere la produzione,
da  parte  della  Procura  generale,  dei   verbali   relativi   agli
interrogatori resi nel corso delle indagini da  Mancini,  Ciorra,  Di
Troia  e  Di  Gregori  -  atti  dei  quali  era  stata  disposta   la
restituzione al Procuratore generale da parte della stessa  Corte  di
appello con ordinanze del  22  e  26  ottobre  2010  -  ne'  omettere
l'interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini  della
conferma  del  segreto  di  Stato  opposto  dagli  imputati  Pollari,
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso della udienza del  4
febbraio 2013, invitando invece il Procuratore generale a concludere,
consentendogli  in  tal  modo  di  svolgere   la   sua   requisitoria
utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato; 
    che,   conseguentemente,   il    ricorrente    aveva    domandato
l'annullamento, in  parte  qua,  previa  sospensione  della  relativa
efficacia, della sentenza della  Corte  di  cassazione  n.  46340/12,
nonche', previa sospensione della relativa efficacia, delle ordinanze
pronunciate dalla Corte di appello di Milano in data 28 gennaio  2013
e 4 febbraio 2013, in riferimento ai profili e per le  parti  innanzi
indicate; 
    che nell'odierno ricorso - rievocate le  articolate  vicende  che
hanno contrassegnato l'iter del procedimento penale  in  esame  -  il
ricorrente  osserva  che  anche  la  recente  sentenza  della   Corte
d'appello   di   Milano   risulterebbe   «gravemente   lesiva   delle
attribuzioni  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   quale
autorita' preposta all'opposizione, alla tutela ed alla conferma  del
segreto di Stato, ai sensi dell'art. 1, comma  1,  lettere  b)  e  c)
della legge n. 124/2007», per cui risulterebbero violati gli artt. 1,
5, 52, 94 e 95 della Costituzione, in riferimento agli artt. 1, comma
1, lettere b) e c), 39, 40 (sostitutivo dell'art. 202 del  codice  di
procedura penale) e 41 della richiamata legge 3 agosto 2007,  n.  124
(Sistema di informazione per la sicurezza della  Repubblica  e  nuova
disciplina del segreto); 
    che, in punto di ammissibilita',  il  ricorrente  (richiamata  la
giurisprudenza  della  Corte  in  tema  di  legittimazione  attiva  e
passiva) rivendica, quanto alla sussistenza del  requisito  oggettivo
del conflitto,  le  prerogative  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  in  tema  di  sicurezza  dello   Stato   -   nella   specie
concretizzatesi nella  apposizione  del  segreto  di  Stato  e  nella
conferma di esso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e
la "Central intelligence agency" (CIA) nonche' agli interna  corporis
del Servizio, anche in ordine al fatto storico del sequestro Abu Omar
-  che  sarebbero  state  lese  dai   provvedimenti   giurisdizionali
impugnati; 
    che, nel merito, il ricorrente osserva come, a  far  tempo  dalla
sentenza n. 86 del 1977, la Corte costituzionale, nell'evidenziare il
livello supremo dei valori tutelabili col  presidio  del  segreto  di
Stato, abbia individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri il
titolare  del  potere,   di   natura   squisitamente   politica,   di
segretazione ed abbia precisato che la strumentalita' di tale  potere
alla salvaguardia dei  valori  supremi  per  la  salus  rei  publicae
giustifica,  poi,  la   non   segretabilita'   dei   fatti   eversivi
dell'ordinamento costituzionale; e come di cio'  sia  espressione  la
legge n. 124  del  2007  che,  all'art.  1,  attribuisce  appunto  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  la  responsabilita'  generale
della politica della informazione per la sicurezza ed il  compito  di
apporre  e  tutelare  il  segreto  di  Stato  e  di  confermarne   la
opposizione (il ricorrente puntualizza, poi, il contenuto degli artt.
39, 40 e 41 della stessa legge, segnalandone i profili  di  rilevanza
agli effetti dell'oggetto del ricorso); 
    che, secondo il Presidente del Consiglio, la  sentenza  impugnata
con il presente ricorso e' affetta  da  illegittimita'  derivata,  in
primo luogo, in quanto  ha  applicato  alla  fattispecie  concreta  i
criteri seguiti dalla Corte  di  cassazione  nella  sentenza  del  19
febbraio 2012; 
    che il ricorrente ribadisce che, alla luce del richiamato  quadro
normativo, la Corte di cassazione,  mentre  afferma  correttamente  -
secondo  quanto  puntualizzato  dalla  Corte   costituzionale   nella
sentenza n. 106 del 2009 - che il segreto di Stato e'  stato  apposto
su documenti e notizie riguardanti i rapporti tra Servizi italiani  e
stranieri e sugli interna corporis, anche se  relativi  alla  vicenda
delle renditions e del sequestro di Abu Omar, erra nel  ritenere  che
il segreto  sia  limitato  ai  rapporti  tra  Servizi  che  si  siano
estrinsecati nella realizzazione di operazioni  comuni,  dal  momento
che una simile conclusione non  puo'  fondarsi  sulla  circostanza  -
risultante da  una  nota  dell'11  novembre  2005  -  della  assoluta
estraneita' del Governo italiano e del Servizio al sequestro  di  Abu
Omar; 
    che sarebbe dunque arbitrario circoscrivere il segreto alle  sole
operazioni cogestite  dai  servizi  e  legittimamente  approvate  dai
vertici dei Servizi italiani, con  conseguente  lesione  della  sfera
delle attribuzioni spettanti in materia al Presidente  del  Consiglio
dei ministri, in particolare per cio' che attiene alla determinazione
in concreto dell'ambito di operativita' del segreto di Stato; 
    che il ricorrente ribadisce, altresi',  che  risulterebbe  a  sua
volta lesivo di tali  prerogative,  ancorche'  sotto  altro  profilo,
anche l'annullamento delle statuizioni con cui la Corte d'appello  di
Milano  aveva  dichiarato   l'improcedibilita'   dell'azione   penale
esercitata nei confronti degli imputati italiani che avevano  opposto
il segreto di Stato, nonche' delle ordinanze  del  22  e  26  ottobre
2010, con  le  quali  la  medesima  Corte  d'appello  aveva  ritenuto
inutilizzabili le dichiarazioni rese,  quali  indagati,  da  Mancini,
Ciorra, Di Troia e Di Gregori, malgrado il segreto di Stato  da  loro
opposto fosse stato confermato; annullamento cui ha fatto seguito, da
parte del giudice del rinvio, la pronuncia  della  ordinanza  del  28
gennaio 2013, con la quale e' stata ammessa  la  produzione  di  tali
dichiarazioni; 
    che  detti  provvedimenti  avrebbero  determinato  la  arbitraria
esclusione della operativita' del segreto in ordine ai  rapporti  tra
Servizio italiano e CIA e in  merito  alle  direttive  impartite  dal
direttore del SISMI circa il fatto storico del  sequestro  Abu  Omar,
dal momento che era precluso per l'autorita' giudiziaria  utilizzare,
anche indirettamente, le notizie coperte dal segreto; 
    che  non  sarebbe   corretta   l'affermazione   contenuta   nella
richiamata ordinanza  del  28  gennaio  2013,  secondo  la  quale  la
restituzione dei verbali degli interrogatori  resi  nel  corso  delle
indagini sarebbe stata disposta per la ritenuta irrilevanza  ai  fini
del decidere, giacche' cio' riguarderebbe le sole circostanze che nel
caso specifico non fossero coperte da segreto di Stato,  nei  termini
innanzi detti e ricostruiti dalla ricordata sentenza n. 106 del 2009,
e la cui vigenza - ribadita dal Presidente del Consiglio dei ministri
in sede di interpello formulato dal Giudice della udienza preliminare
- e' stata da ultimo riaffermata dalla nota A.I.S.E.  prodotta  dalla
difesa di Mancini nel corso della udienza del 28 gennaio 2013; 
    che la sentenza impugnata sarebbe inoltre censurabile nella parte
in cui riafferma (in conformita' a quanto  statuito  dalla  Corte  di
cassazione) la tardivita' della apposizione del segreto di Stato agli
atti ed ai documenti acquisiti in riferimento al sequestro Abu  Omar,
essendo una simile affermazione in contrasto con la sentenza  n.  106
del 2009; 
    che  la  Corte  di  cassazione,  infatti,  avrebbe  stravolto  il
significato della pronuncia della  Corte  costituzionale,  nel  senso
che, avendo i soggetti tenuti alla opposizione del segreto  formulato
tale opposizione solo successivamente alla acquisizione dei documenti
da  parte  della  autorita'  giudiziaria,  gli  atti,  essendo  stati
legittimamente   acquisiti,   non   sarebbero   inutilizzabili,    ma
comporterebbero l'uso di cautele atte ad impedire la divulgazione del
segreto; 
    che la Corte costituzionale, infatti, pur negandone un effetto di
retroattiva  demolizione   della   attivita'   di   indagine,   aveva
puntualizzato  come  l'apposizione  del   segreto   successiva   alla
acquisizione non fosse una  evenienza  processualmente  indifferente,
tanto da dichiarare che non spettava alla autorita' procedente  porre
i documenti non "omissati" a fondamento della richiesta di  rinvio  a
giudizio e del decreto che dispone il giudizio; 
    che lo stesso orientamento  sarebbe  desumibile  da  altro  passo
della  sentenza  costituzionale  n.  106  del   2009,   ove   si   e'
puntualizzato come anche la legittima  acquisizione  di  elementi  di
prova  -  nella  specie  riferita  alle  intercettazioni  telefoniche
disposte "a tappeto" su utenze intestate al SISMI - non escludesse la
necessita' di non utilizzare quegli elementi che dovessero  risultare
coperti dal segreto, posto che questo funge da sbarramento al  potere
giurisdizionale, nel senso di «inibire all'Autorita'  giudiziaria  di
acquisire e conseguentemente utilizzare gli elementi di conoscenza  e
di prova coperti dal segreto» (da qui lo iato tra la  sentenza  della
Cassazione ed i principi affermati dalla  Corte  costituzionale,  con
conseguente lesione delle  prerogative  del  ricorrente,  «mantenendo
all'interno  del  circuito  divulgativo  del  processo  documenti  in
relazione ai quali era stato  opposto  e  confermato  il  segreto  di
Stato»); 
    che sarebbe altresi' censurabile la decisione impugnata la'  dove
ha   limitato   l'inutilizzabilita'   delle   testimonianze,    delle
dichiarazioni e degli altri elementi di prova sugli interna corporis,
facendo salva la utilizzabilita' di quegli elementi in relazione alle
condotte poste in  essere  a  titolo  individuale  dagli  agenti  del
servizio, al di fuori di operazioni riconducibili al SISMI,  giacche'
cio' risponderebbe alla gia'  confutata  tesi  secondo  la  quale  il
segreto  avrebbe  coperto  soltanto  le  operazioni   approvate   dal
servizio; 
    che la  sentenza  sarebbe  viziata,  ancora,  per  effetto  della
illegittimita' dell'ordinanza del 28 gennaio 2013, con  la  quale  la
Corte milanese aveva accolto, proprio in ossequio alla sentenza della
Corte di cassazione, la  produzione  dei  verbali  di  interrogatorio
degli  indagati  gia'  menzionati,  trattandosi  di  fonti  di  prova
certamente coperte da segreto di Stato; 
    che analoga lesione  viene  lamentata  anche  in  relazione  alla
ordinanza del 4 febbraio 2013, con la  quale  la  Corte  milanese  ha
omesso di chiedere la conferma del segreto di  Stato,  opposto  dagli
imputati, senza conseguentemente sospendere ogni iniziativa volta  ad
acquisire  la  notizia  oggetto  di  segreto,  consentendo  cosi'  al
Procuratore generale di svolgere  la  propria  requisitoria,  ripresa
dagli organi di informazione,  utilizzando  ampiamente  le  fonti  di
prova coperte dal segreto di Stato; 
    che, infine, il ricorrente lamenta la violazione del principio di
leale collaborazione tra poteri dello  Stato  (al  quale  non  sfugge
neppure l'ordine giudiziario: sentenze n. 87 del  2012,  n.  149  del
2007, n. 110 del 1998 e n. 403 del 1994), in cui sarebbe  incorsa  la
Corte  d'appello  di  Milano,  per  avere  omesso  di  sospendere  il
procedimento  penale  in  corso  di  celebrazione,  in  attesa  della
decisione del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri  dello
Stato,  del  cui  deposito  presso   la   cancelleria   della   Corte
costituzionale la Corte d'appello era stata informata dall'Avvocatura
dello Stato il giorno prima della emissione della sentenza impugnata; 
    che viene,  altresi',  formulata  istanza  di  sospensione  della
impugnata sentenza della Corte d'appello di Milano, al  fine  di  non
aggravare la lesione delle attribuzioni costituzionali del Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    che, conclusivamente, il ricorrente chiede  dichiararsi  che:  a)
«non spetta alla Corte di  appello  di  Milano  affermare  la  penale
responsabilita'  degli  imputati  del  fatto-reato   costituito   dal
sequestro di Abu Omar,  sul  presupposto  che  il  segreto  di  Stato
apposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in relazione  alla
vicenda del sequestro di Abu Ornar, concernerebbe solo i rapporti tra
Servizio italiano e CIA,  nonche'  gli  interna  corporis  che  hanno
tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che
attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione, e che
sarebbe  tutt'ora  utilizzabile  la   documentazione   legittimamente
acquisita dall'autorita'  giudiziaria,  nel  corso  del  procedimento
avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla  quale  era  stato
successivamente opposto  il  segreto  di  Stato,  nonche'  tutti  gli
elementi di prova ritenuti coperti dal segreto di Stato  dalla  Corte
costituzionale, con la sentenza n. 106 del 2009»; b) «non spetta alla
Corte d'appello di Milano emettere la sentenza  impugnata  in  questa
sede  sulla  base  dell'utilizzazione  dei  verbali   relativi   agli
interrogatori resi dagli allora indagati  nel  corso  delle  indagini
preliminari Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori - di cui era stata
disposta la restituzione al P.G.  da  parte  della  stessa  Corte  di
Appello con ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 -  senza  che  si  sia
dato corso all'interpello del Presidente del Consiglio  dei  Ministri
ai fini della conferma del segreto di Stato  opposto  dagli  imputati
Pollari,  Mancini,  Ciorra,  Di  Troia  e  Di   Gregori   nel   corso
dell'udienza del 4 febbraio 2013, essendosi invitato  il  Procuratore
generale a concludere, in modo tale da consentirgli  di  svolgere  la
sua requisitoria utilizzando fonti di prova coperte  dal  segreto  di
Stato»; c) «non spetta alla Corte d'appello  di  Milano  emettere  la
sentenza impugnata in questa sede, senza  aver  sospeso  il  processo
penale in questione fino alla definizione del giudizio sul  conflitto
di  attribuzione»;  e  chiede  altresi'  che  si  «annulli  -  previa
sospensione dell'efficacia della sentenza n. 985 del 2013 della Corte
d'appello di Milano e conseguente  sospensione  del  processo  penale
attualmente pendente dinanzi alla Corte di cassazione -  la  predetta
sentenza della Corte ambrosiana». 
    Considerato che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'
chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale),  a  delibare,  senza  contraddittorio,  se  il
ricorso sia ammissibile in quanto esista «la materia di un  conflitto
la cui risoluzione  spetti  alla  sua  competenza»,  sussistendone  i
requisiti soggettivo  ed  oggettivo,  fermo  restando  il  potere,  a
seguito del giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del  conflitto,
compreso quello relativo alla ammissibilita'; 
    che il Presidente del Consiglio dei  ministri  e'  legittimato  a
promuovere il presente  conflitto,  in  quanto  organo  competente  a
dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui  appartiene  in
ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma  del  segreto
di Stato, non solo in base a quanto previsto dapprima dalla legge  24
ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei  servizi  per  le
informazioni e la sicurezza e disciplina del  segreto  di  Stato)  e,
poi, dalla legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di  informazione  per
la sicurezza della Repubblica e nuova  disciplina  del  segreto),  ma
anche alla stregua delle norme costituzionali che ne  definiscono  le
attribuzioni (in tal senso, da ultimo, ordinanze n. 69 del  2013,  n.
376 del 2010 e n. 425 del 2008); 
    che la legittimazione  a  resistere  nel  conflitto  della  Corte
d'appello di Milano, quale giudice del rinvio disposto dalla Corte di
cassazione nel procedimento di cui innanzi si e' detto,  deve  essere
affermata avuto riguardo alla costante giurisprudenza di questa Corte
che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione  ad
essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato,  in
quanto  in  posizione   di   piena   indipendenza   garantita   dalla
Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell'esercizio
delle relative funzioni, la volonta' del potere cui appartengono  (da
ultimo, ordinanza n. 69 del 2013); 
    che, quanto al profilo oggettivo del conflitto, e' lamentata  dal
ricorrente la lesione di attribuzioni  costituzionalmente  garantite,
essendo devoluta alla responsabilita' del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, sotto  il  controllo  del  Parlamento,  la  tutela  del
segreto di Stato quale strumento destinato  alla  salvaguardia  della
sicurezza dello Stato medesimo (in tal senso, e con riferimento  alla
stessa vicenda qui all'esame, ordinanze n. 69 del 2013 e n.  230  del
2008).