ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  articoli  17,
18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n.
50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale  nella  Regione
del Veneto), promosso dal Presidente del Consiglio dei  ministri  con
ricorso notificato il 1° marzo 2013, depositato il successivo 5 marzo
e iscritto al n. 36 del registro ricorsi 2013. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  ottobre  2013  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato  dello  Stato  Maria  Gabriella  Mangia  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Luigi Manzi per la
Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
notificato il 1° marzo 2013,  depositato  il  successivo  5  marzo  e
iscritto al n. 36 del registro ricorsi dell'anno 2013,  ha  impugnato
gli articoli 17, 18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto  28
dicembre  2012,  n.  50  (Politiche  per  lo  sviluppo  del   sistema
commerciale nella Regione  del  Veneto),  relativi  al  commercio  al
dettaglio su area privata, per  contrasto  con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione. 
    1.1.- Gli artt. 17, 18 e 19 della legge reg.  Veneto  n.  50  del
2012  presenterebbero  tutti,  secondo  il  ricorrente,  un  identico
profilo d'illegittimita' costituzionale in quanto  prevedrebbero  che
le varianti conseguenti a procedura svolta presso lo sportello  unico
per le attivita'  produttive  (d'ora  innanzi  SUAP)  e  afferenti  a
strutture di vendita non  debbano  essere  sottoposte  a  valutazione
ambientale  strategica  (VAS),  cio'  che   contrasterebbe   con   la
disciplina statale relativa a quest'ultima e conseguentemente con  la
competenza legislativa statale in materia di tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera  s),
Cost. 
    In particolare, l'art. 17 dispone che l'apertura, l'ampliamento o
la riduzione di superficie, il mutamento del settore merceologico, il
trasferimento di sede e il subingresso degli esercizi di vicinato non
ubicati all'interno di grandi e  medie  strutture  di  vendita  siano
soggetti a segnalazione certificata  d'inizio  attivita'  (SCIA),  da
presentarsi allo sportello unico per le attivita' produttive (SUAP). 
    L'art. 18, al primo comma, si riferisce alle medie  strutture  di
vendita,  con  superficie  non  superiore  a  1.500  metri  quadrati,
disponendo  ugualmente  che   le   aperture,   gli   ampliamenti,   i
trasferimenti di sede,  i  mutamenti  di  settore  merceologico  e  i
subingressi siano soggetti a SCIA da presentarsi al SUAP. I commi 2 e
3 dell'art. 18 riguardano invece medie strutture  con  superficie  di
vendita oltre i 1.500 metri quadrati. Il  comma  2,  in  particolare,
prevede che le aperture, gli ampliamenti, i trasferimenti di  sede  e
le trasformazioni  di  tipologia  siano  soggetti  ad  autorizzazione
rilasciata dal SUAP. Al comma 3 si prevede, invece, che le  riduzioni
di superficie, i mutamenti del settore merceologico e  i  subingressi
relativi a tali strutture siano soggetti a SCIA,  da  presentarsi  al
SUAP. 
    L'art. 19, disciplinando le grandi strutture di vendita, prevede,
al primo comma, che l'apertura, l'ampliamento,  il  trasferimento  di
sede, la trasformazione di tipologia siano soggette ad autorizzazione
rilasciata dal SUAP al soggetto titolare  dell'attivita'  commerciale
o, in caso di  grande  centro  commerciale,  al  soggetto  promotore,
mentre  il  secondo  comma  dispone  che  le  relative  riduzioni  di
superficie, i mutamenti del settore merceologico, la  modifica  della
ripartizione interna, nonche' il subingresso siano soggetti  a  SCIA,
da presentarsi al SUAP. 
    1.2.- Il ricorrente lamenta che, in base ai  tre  articoli  sopra
menzionati, il SUAP possa concedere le autorizzazioni previste  dalla
disciplina  regionale,  omettendo   la   procedura   di   valutazione
ambientale strategica (VAS). 
    Piu' specificamente, secondo il  Presidente  del  Consiglio  tali
articoli disporrebbero che la  VAS  non  venga  svolta  nei  casi  di
varianti  urbanistiche  conseguenti  a  procedure  SUAP.  Secondo  la
doglianza, ai sensi della normativa statale, una variante urbanistica
conseguente alla procedura di SUAP relativa a  strutture  di  vendita
dovrebbe essere sottoposta alle procedure  di  approvazione  previste
per tutte le altre varianti urbanistiche, e dunque, eventualmente,  a
valutazioni  di  compatibilita'  ambientale;  non  potrebbe   godere,
invece,  delle  semplificazioni  previste  per  altre  tipologie   di
progetti presentati al SUAP. 
    2.- Il ricorrente censura inoltre l'art. 22 della legge  reg.  n.
50 del 2012.  Tale  articolo  dispone  che  le  grandi  strutture  di
vendita, aventi superficie di  vendita  superiore  agli  8.000  metri
quadrati, siano assoggettate alla  valutazione  d'impatto  ambientale
(VIA), mentre le strutture aventi superficie di vendita compresa  tra
i 2.501 e gli 8.000 metri quadrati sono assoggettate  alla  procedura
di verifica o screening. 
    2.1.-  La  norma  regionale  censurata   sarebbe   manifestamente
difforme da quanto stabilito dal decreto legislativo 3  aprile  2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale),  Allegato  IV  alla  Parte  II,
punto 7, lettera b),  il  quale  richiede  che  sia  sottoposta  alla
verifica di assoggettabilita' ambientale la costruzione  di  tutti  i
centri commerciali. La norma  censurata,  al  contrario,  limiterebbe
l'applicazione della normativa sulla VIA alle sole  grandi  strutture
aventi le caratteristiche sopra descritte. In tal modo, la disciplina
regionale  escluderebbe   indistintamente   dall'applicazione   della
verifica di assoggettabilita' a VIA o screening i centri  commerciali
dalla superficie di vendita superiore a 150  e  fino  a  1.500  metri
quadrati, nei Comuni con popolazione  residente  inferiore  a  10.000
abitanti, e superiori a 250 e fino a 2.500 metri quadrati nei  Comuni
con popolazione oltre i 10.000 abitanti. 
    Pertanto,    la     disposizione     regionale     restringerebbe
illegittimamente il campo di applicazione della disciplina della VIA,
come  definito  dal  legislatore  statale  nell'esercizio  della  sua
competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. 
    3.- Viene infine censurato l'art. 26 della legge reg. n.  50  del
2012, il quale, dopo aver individuato, al comma 1,  le  strutture  di
vendita a rilevanza regionale, al comma 2 dispone che gli  interventi
su tali strutture siano soggetti a un accordo di programma  ai  sensi
dell'art. 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000,  n.  267  (Testo
unico delle leggi  sull'ordinamento  degli  enti  locali),  anche  in
variante urbanistica e ai piani territoriali e d'area. 
    Tale norma consentirebbe all'accordo di  programma  di  apportare
varianti anche ai piani paesaggistici, in violazione degli artt.  135
e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10  della  legge  6
luglio 2002, n. 137). Infatti, gli  artt.  135  e  143  del  predetto
codice prevedono che le modifiche e le  deroghe  alla  pianificazione
paesaggistica  vigente  possano  essere   introdotte   esclusivamente
attraverso una nuova pianificazione paesistica conforme ai  contenuti
regolatori stabiliti dal codice, previa intesa con lo Stato. La norma
censurata, consentendo una variante al di fuori  di  tale  procedura,
sarebbe in conflitto con  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., che assegna alla competenza esclusiva statale la materia della
tutela del paesaggio. 
    4.- La Regione Veneto si e' costituita con atto depositato il  15
aprile 2013,  deducendo  l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  delle
questioni prospettate. 
    5.- In particolare, relativamente alle censure degli artt. 17, 18
e 19 della legge reg. Veneto n. 50  del  2012,  la  parte  resistente
argomenta sostenendo che si tratti di un fraintendimento della  nuova
disciplina regionale in materia di commercio, prima ancora che  delle
specifiche disposizioni censurate. 
    Infatti, gli artt. da 17  a  19  non  avrebbero  alcun  contenuto
urbanistico  ne'  potrebbero  attivare  delle  procedure  di  SUAP  a
contenuto  urbanistico.  Le  disposizioni  censurate  attribuirebbero
invece la titolarita' al rilascio delle autorizzazioni commerciali ai
Comuni territorialmente competenti,  con  espressa  indicazione  agli
interessati di rivolgersi ai loro SUAP, in coerenza con la necessita'
di rendere puntualmente identificabile la struttura comunale preposta
a svolgere tale funzione e al fine di razionalizzare l'impiego  delle
strutture comunali. 
    La circostanza che la  domanda  di  rilascio  dell'autorizzazione
commerciale debba  essere  presentata  al  SUAP  non  avrebbe  alcuna
relazione con la tipologia di procedimento amministrativo  che  cosi'
prende avvio. L'unico procedimento coinvolto sarebbe quello  relativo
al rilascio di autorizzazione commerciale, disciplinato dai  medesimi
articoli censurati. 
    Il SUAP, ex art. 1, lettera m), del d.P.R. 7 settembre  2010,  n.
160  (Regolamento  per  la  semplificazione  ed  il  riordino   della
disciplina sullo sportello unico  per  le  attivita'  produttive,  ai
sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133), sarebbe  l'unico  punto  di  accesso  per  il  richiedente,  in
relazione a  tutte  le  vicende  amministrative  riguardanti  la  sua
attivita' produttiva. A tale sportello il privato  indirizzerebbe  la
domanda di rilascio di autorizzazione commerciale, senza che da  cio'
scaturisca alcun  procedimento  volto  al  rilascio  di  permessi  di
costruire in deroga o variante alla  pianificazione  urbanistica.  Il
fatto di rivolgersi a quel punto di accesso non implicherebbe l'avvio
di un procedimento a contenuto edilizio, e, se del caso, di  variante
urbanistica. Domande aventi altro contenuto,  come  quello  edilizio,
rimarrebbero soggette a specifica disciplina. 
    A ulteriore conferma di quanto sostenuto, il resistente evidenzia
che il rilascio dell'autorizzazione commerciale avrebbe a presupposto
insuperabile il  requisito  della  conformita'  urbanistica,  di  cui
all'art. 21 della legge reg. censurata, il  quale  richiederebbe  che
sia le grandi che le medie strutture di vendita siano  conformi  allo
strumento urbanistico generale. 
    6.- Relativamente alla censura  dell'art.  22  della  legge  reg.
impugnata,  il  resistente  argomenta  tanto  per  l'inammissibilita'
quanto per l'infondatezza. 
    6.1.-   L'inammissibilita'   deriverebbe   dalla   mancanza    di
motivazioni  da  cui  sarebbe  affetto  il  ricorso  sul  punto.   Il
Presidente del Consiglio  avrebbe,  infatti,  dovuto  motivare  sulle
ragioni per le quali  con  la  normativa  impugnata  sarebbero  stati
oltrepassati i limiti di  flessibilita'  consentiti  dalla  normativa
statale  in  materia  di  VIA.  La   disciplina   statale,   infatti,
ammetterebbe  margini  di  discrezionalita'  per   le   Regioni,   da
individuare nell'art. 6 del d.lgs. n.  152  del  2006.  Sebbene  tale
articolo, al comma 7, sottoponga a screening e  poi  eventualmente  a
VIA, fra l'altro, i progetti elencati nell'Allegato IV alla Parte II,
punto 7, lettera b), tuttavia, al successivo comma 9,  consente  alle
Regioni di determinare, per specifiche  categorie  progettuali  o  in
particolari  situazioni  ambientali   e   territoriali,   criteri   o
condizioni di esclusione  dalla  verifica  di  assoggettabilita'.  Il
ricorrente avrebbe pertanto omesso  di  spiegare  per  quale  ragione
quest'ipotesi non si applichi al caso in oggetto. 
    6.2.- Il legislatore regionale,  del  resto,  avrebbe  esercitato
correttamente la discrezionalita' consentitagli all'art. 6, comma  9,
del d.lgs. n. 152 del 2006. Il resistente sostiene che l'Allegato  IV
alla Parte II, punto 7, lettera b),  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
accosti progetti di sviluppo e di riassetto di aree urbane di diversa
dimensione con la costruzione di centri commerciali di cui al decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina  relativa
al settore del commercio, a norma dell'articolo  4,  comma  4,  della
legge 15 marzo 1997,  n.  59).  Questo  condurrebbe  a  ritenere  che
qualsiasi struttura qualificabile  come  centro  commerciale  sia  da
sottoporre  necessariamente  a   screening,   a   prescindere   dalla
dimensione dell'insediamento, con il paradossale esito  di  obbligare
alla  procedura  di  screening   anche   accostamenti   di   esercizi
commerciali di dimensioni molto contenute, laddove  grandi  strutture
di vendita, di estensioni molto significative, non qualificabili come
centri commerciali ai sensi della disciplina statale,  non  sarebbero
soggette allo screening. 
    6.3.- La disposizione regionale sarebbe propriamente  finalizzata
a estendere  la  portata  delle  verifiche  a  tutela  dell'ambiente,
includendovi le grandi strutture di vendita  non  qualificabili  come
centri commerciali. La normativa censurata riguarderebbe  infatti  le
iniziative estranee alla disciplina statale in materia di VIA, che si
rivolgerebbe  soltanto  ai  centri  commerciali.  In  tal  modo,   si
rimedierebbe a una carenza della legislazione  statale,  che  avrebbe
distinto nettamente, all'art. 4 del d.lgs. n. 114 del  1998,  le  due
tipologie commerciali, sottoponendo a controllo ambientale una grande
struttura soltanto se e quando essa sia inserita in  una  piu'  ampia
struttura qualificabile  come  centro  commerciale,  senza  prevedere
alcunche' per singole grandi strutture, di dimensioni anche superiori
a quelle di un normale  centro  commerciale.  La  Regione  Veneto,  a
fronte di una disciplina  statale  illogica,  avrebbe  superato  tale
ingiustificata differenziazione di regime,  estendendo  il  controllo
anche alle grandi strutture di vendita non  inserite  in  un  vero  e
proprio centro commerciale. Infatti, mentre la  legislazione  statale
prevede una procedura di screening per i soli centri commerciali,  la
normativa regionale la prevedrebbe piu' generalmente per le strutture
di vendita aventi superficie tra i 2.501 e gli 8.000 metri  quadrati,
sottoponendo direttamente  a  VIA  le  strutture  oltre  quest'ultima
soglia. 
    7.- Relativamente alla censura  dell'art.  26  della  legge  reg.
Veneto n. 50  del  2012,  la  parte  resistente  evidenzia  che  tale
articolo non ammetterebbe deroghe ai piani paesaggistici, ma a quelli
territoriali, a differenza di quanto  sostenuto  dal  Presidente  del
Consiglio. 
    7.1.- Nonostante l'avvocatura regionale  metta  in  luce  che  il
d.lgs. n. 42 del 2004, agli artt.  135  e  143,  disciplina  i  piani
paesaggistici,  includendo  con   tale   espressione   anche   quelli
incorporati  nei  piani  territoriali,  qualificandoli  quali  «piani
urbanistico-territoriali  con   specifica   valenza   paesaggistica»,
secondo la resistente andrebbe rimarcata la distinzione  sia  formale
che sostanziale dei piani a duplice valenza  urbanistico-territoriale
e al contempo paesaggistica, da  quelli  meramente  territoriali.  Lo
confermerebbero sia la diversita' di  contenuto,  sia  il  differente
procedimento   di   formazione,   come   evidenziato   anche    dalla
giurisprudenza amministrativa: l'art. 135 del d.lgs. n. 42  del  2004
prescriverebbe uno specifico procedimento, coinvolgente il  Ministero
per i beni e le attivita' culturali e la Regione, per  l'elaborazione
dei soli piani paesaggistici. 
    Permarrebbe,   dunque,   una   chiara   distinzione   tra   piani
paesaggistici e  piani  territoriali.  Nel  Veneto,  al  momento  del
ricorso, non esisterebbe alcun  piano  paesaggistico.  Pertanto,  non
potrebbe, nemmeno astrattamente,  verificarsi  un  conflitto  tra  la
disciplina legislativa regionale censurata e quella statale, e dunque
il legislatore regionale non  avrebbe  introdotto,  illegittimamente,
alcuna deroga. Ne' una tale ipotesi potrebbe verificarsi  in  futuro,
in  quanto  i  piani  territoriali  di  cui  all'art.  26   censurato
rimarrebbero comunque distinguibili  dai  piani  paesaggistici  e  da
quelli  urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione  dei
valori paesaggistici. 
    Conclusivamente,  non  si  darebbe   alcun   conflitto   tra   la
legislazione regionale e quella statale evocata a parametro. 
    8.- Con memoria depositata  nella  cancelleria  il  17  settembre
2013, la difesa regionale ha ulteriormente  dedotto,  in  particolare
con riferimento alla censura dell'art. 22 della legge reg. Veneto  n.
50 del 2012. 
    8.1.-  Piu'  precisamente,  la  Regione   Veneto   sostiene   che
l'impugnazione, sul punto, riguardi un aspetto che non e' oggetto  di
disciplina,  ovvero  le  medie  strutture  di  vendita,  aventi   una
superficie di vendita compresa tra i 151 e i 1.500 o i 251 e i  2.500
metri quadri. L'omessa presa in considerazione - accanto alle  grandi
strutture - delle medie  strutture  di  vendita  equivarrebbe,  nella
lettura del ricorrente, a sottrarle al controllo gia' disposto  dalla
legislazione statale. 
    8.2.- La resistente sostiene che la Regione Veneto  abbia  inteso
disciplinare le grandi strutture  di  vendita,  colmando  una  lacuna
nella  legislazione  statale,  la  quale,  disponendo  soltanto   con
riferimento  ai  centri  commerciali,  assoggetterebbe  a   controllo
soltanto una parte delle grandi strutture, ignorando quelle autonome,
ospitate in distinti edifici ubicati nel territorio regionale. 
    E' nei confronti di tali insediamenti che sarebbe intervenuta  la
disciplina regionale con l'art. 22, il  quale,  anziche'  interferire
con la disciplina statale e ridurne la portata applicativa escludendo
dai controlli le medie strutture,  avrebbe  al  contrario  esteso  le
verifiche  di  compatibilita'  ambientale  delle   grandi   strutture
integrandole  nel  quadro   della   generale   regolamentazione   del
commercio.  Tale  intervento  sarebbe  del  resto  in  linea  con  la
giurisprudenza costituzionale, la quale avrebbe gia' confermato  come
la tutela dell'ambiente rappresenti  un  valore  il  cui  livello  di
tutela minimo e' stabilito dalla  legislazione  statale,  ma  che  la
legislazione regionale puo' elevare. 
    8.3.- La Giunta regionale del Veneto avrebbe, del resto,  con  la
deliberazione 3 maggio 2013, n. 575  (Adeguamento  alla  sopravvenuta
normativa  nazionale  e  regionale  delle  disposizioni   applicative
concernenti le procedure di valutazione di impatto ambientale di  cui
alla Dgr n. 1539 del 27 settembre 2011  e  sua  contestuale  revoca),
confermato tale portata applicativa dell'art. 22 censurato.  Infatti,
con tale atto si sarebbe dato corso al riordino  e  all'aggiornamento
delle misure regionali  applicative  della  legislazione  ambientale,
precisando, all'Allegato A, che le  medie  strutture  di  vendita  in
forma  di  centro  commerciale  sono  sottoposte  alla  procedura  di
verifica di assoggettabilita' ai sensi dell'Allegato  IV  alla  Parte
II, punto 7, lettera b), del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  e  che  le
disposizioni di cui all'art. 22 si applicano alle grandi strutture di
vendita  a  prescindere  dall'articolazione  in  forma  di  esercizio
singolo, centro o parco commerciale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
notificato il 1° marzo 2013,  depositato  il  successivo  5  marzo  e
iscritto al n. 36 del registro ricorsi dell'anno 2013,  ha  impugnato
gli articoli 17, 18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto  28
dicembre  2012,  n.  50  (Politiche  per  lo  sviluppo  del   sistema
commerciale nella Regione  del  Veneto),  relativi  al  commercio  al
dettaglio su area privata, per  contrasto  con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione. 
    2.- Gli artt. 17, 18 e  19  della  legge  reg.  n.  50  del  2012
dispongono che l'apertura, i mutamenti di superficie, di settore,  la
trasformazione,  il  trasferimento   di   sede   e   il   subingresso
rispettivamente  degli  esercizi  di  vicinato  (art.  17)  e   delle
strutture di vendita di dimensioni medie (art.  18)  e  grandi  (art.
19), siano soggetti a  segnalazione  certificata  d'inizio  attivita'
(d'ora innanzi SCIA) o ad autorizzazione, da presentare o  richiedere
allo sportello unico per le attivita' produttive (SUAP).  Secondo  il
ricorrente, tali previsioni violerebbero l'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., in  quanto,  prevedendo  che  l'interessato  possa
rivolgere al SUAP le richieste di autorizzazione  o  le  segnalazioni
d'inizio attivita', eluderebbero la disciplina statale in materia  di
valutazione ambientale strategica (VAS), necessaria, in  particolare,
per le strutture commerciali di medie e grandi dimensioni. 
    2.1.- Le questioni relative agli artt.  17,  18  e  19  non  sono
fondate. 
    In conformita' alla normativa statale (artt. 1 e 2 del  d.P.R.  7
settembre 2010, n. 160 - Regolamento per  la  semplificazione  ed  il
riordino della disciplina sullo  sportello  unico  per  le  attivita'
produttive, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  6
agosto 2008, n.  133),  che  individua  nel  SUAP  l'«unico  soggetto
pubblico di riferimento territoriale per  tutti  i  procedimenti  che
abbiano  ad  oggetto  l'esercizio  di   attivita'   produttive»,   le
disposizioni regionali impugnate si limitano a distinguere i casi  in
cui un'attivita' commerciale puo' essere avviata o  modificata  sulla
base  di  una  SCIA,  da  quelli  in   cui   e'   invece   necessaria
un'autorizzazione.  La  distinzione  tiene  conto  delle   dimensioni
dell'esercizio di vendita  e  della  tipologia  della  variazione  da
effettuare (apertura, ampliamento, riduzione,  subingresso,  e  cosi'
via). Comune alle due ipotesi e' l'individuazione nel SUAP del  punto
di contatto tra il richiedente e la pubblica amministrazione. A  tale
soggetto  il  titolare  dell'esercizio  commerciale   e'   tenuto   a
indirizzare o la segnalazione d'inizio  attivita'  o  la  domanda  di
autorizzazione, a seconda dei casi indicati, appunto, negli artt. 17,
18 e 19 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012. 
    Le  disposizioni   censurate,   adottate   nell'esercizio   della
competenza residuale in materia di commercio (ex multis, sentenze  n.
18 del 2012, n. 150 del 2011 e n. 288 del 2010), non si  occupano  in
alcun  modo  dei  profili  edilizi,  urbanistici  o  ambientali   dei
procedimenti relativi agli esercizi commerciali,  i  quali  rimangono
soggetti a specifica disciplina. 
    In particolare, per quanto riguarda la VAS cui fanno  riferimento
le censure, essa e' regolata dal decreto legislativo 3  aprile  2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale),  il  cui  art.  11  attribuisce
all'autorita'  procedente   il   compito   di   avviare   la   stessa
contestualmente al processo di formazione dei piani e  dei  programmi
aventi  un  impatto  significativo  sull'ambiente  e  sul  patrimonio
culturale. Spettera', dunque, all'autorita' amministrativa effettuare
la VAS, nei casi previsti dal legislatore statale (art. 6 del  d.lgs.
n. 152 del 2006), tenendo peraltro conto che essa si  configura  come
fase interna ai procedimenti di formazione dei piani e dei  programmi
(Consiglio di Stato, sezione IV, 12 gennaio 2011, n. 133) e,  dunque,
non attiene alle modalita' di  presentazione  al  SUAP  di  richieste
relative al singolo esercizio commerciale. 
    In conclusione, le disposizioni  regionali  impugnate  non  danno
adito  ad  alcuna  interpretazione  che   abiliti   l'amministrazione
procedente ad omettere la VAS, o  le  altre  valutazioni  ambientali,
laddove richieste e, pertanto, non si da'  alcun  conflitto  tra  gli
artt. 17, 18 e 19 censurati e l'art. 117, secondo comma, lettera  s),
Cost. 
    3.- L'art. 22 della legge reg. Veneto n.  50  del  2012  riguarda
l'assoggettabilita'  delle  strutture  di  vendita  a  verifiche   di
compatibilita' ambientale. La disciplina  regionale  dispone  che  le
grandi strutture aventi superficie di vendita superiore a 8.000 metri
quadrati sono assoggettate alla  valutazione  di  impatto  ambientale
(VIA), mentre  le  grandi  strutture  aventi  superficie  di  vendita
compresa tra 2.501 e 8.000  metri  quadrati  sono  assoggettate  alla
procedura di  verifica  o  screening.  Secondo  il  ricorrente,  tale
disposizione viola l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
relativamente alla tutela ambientale,  in  quanto  confligge  con  il
d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato IV alla Parte II, punto  7,  lettera
b), il quale sottopone  a  verifica  di  assoggettabilita'  a  VIA  o
screening la costruzione di  tutti  i  centri  commerciali,  compresi
quelli di  medie  dimensioni,  aventi  cioe'  superficie  di  vendita
superiore a 150 e  fino  a  2.500  metri  quadrati,  nei  Comuni  con
popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, e superiore a  250
e fino a 2.500 metri quadrati nei  Comuni  con  popolazione  oltre  i
10.000 abitanti. Il legislatore regionale avrebbe, dunque,  ristretto
illegittimamente il campo di applicazione della disciplina della VIA,
limitandolo alle sole grandi strutture aventi superficie  di  vendita
oltre i 2.500 metri quadrati. 
    3.1.-     Preliminarmente,     va      rigettata      l'eccezione
d'inammissibilita' della Regione Veneto, la  quale  sostiene  che  il
ricorrente avrebbe dovuto motivare sulle  ragioni  per  le  quali  la
Regione avrebbe ecceduto dai propri limiti competenziali, dal momento
che il medesimo  d.lgs.  n.  152  del  2006,  all'art.  6,  comma  7,
ammetterebbe margini di discrezionalita' per le Regioni,  consentendo
loro di determinare, per specifiche categorie o situazioni, criteri o
condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilita'. 
    L'eccezione di  inammissibilita'  non  puo'  essere  accolta,  in
quanto il Presidente del Consiglio, seppur succintamente, ha  offerto
alla Corte un corredo motivazionale idoneo a identificare la  ragione
della censura nella prospettata elusione  parziale  della  disciplina
relativa alla valutazione di assoggettabilita',  con  riferimento  ai
centri commerciali di media grandezza, individuando «con  sufficiente
chiarezza le ragioni della doglianza,  precisando  le  norme  statali
interposte con le quali le disposizioni regionali  si  porrebbero  in
contrasto ed evocando specifici parametri  costituzionali»  (sentenza
n. 28 del 2013). 
    3.2.- Nel merito, la questione avente ad  oggetto  l'art.  22  e'
fondata, nei termini di seguito precisati. 
    Il legislatore regionale  prevede  esplicitamente  la  VIA  o  la
verifica di assoggettabilita' a  VIA  per  le  «grandi  strutture  di
vendita»,  aventi  superficie  superiore  ai  2.500  metri  quadrati,
laddove il legislatore statale richiede che le medesime procedure  di
VIA o di verifica di assoggettabilita'  riguardino  tutti  i  «centri
commerciali» (d.lgs. n. 152 del 2006,  Allegato  IV  alla  Parte  II,
punto 7, lettera b). Orbene, ai  sensi  della  normativa  statale,  i
centri commerciali sono definiti come strutture di vendita di medie e
grandi  dimensioni,  nelle  quali  piu'  esercizi  commerciali   sono
inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono  di
infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente (art.
4, comma 1, lettera g, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  114
- Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma
dell'articolo 4,  comma  4,  della  legge  15  marzo  1997,  n.  59).
Pertanto, la disposizione regionale  impugnata  si  riferisce  a  una
categoria di esercizi commerciali, quella delle grandi  strutture  di
vendita, diversa da quella utilizzata dal  legislatore  statale.  Per
alcuni aspetti essa e' piu' ampia, perche' al  suo  interno  annovera
anche le grandi strutture che  non  possono  essere  definite  centri
commerciali, in quanto non ricomprendono una pluralita' di  esercizi;
per altri aspetti, pero',  essa  e'  piu'  restrittiva,  perche'  non
include i centri commerciali di medie dimensioni. 
    Posto che la disciplina della  VIA  rientra  senza  alcun  dubbio
nella  tutela  dell'ambiente  di  competenza  esclusiva  dello  Stato
(sentenze n. 221 del 2010 e n. 234 del  2009),  ne  consegue  che  la
disposizione regionale impugnata, discostandosi  da  quanto  previsto
dal d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato  IV  alla  Parte  II,  punto  7,
lettera  b),  e'  costituzionalmente   illegittima   per   violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte  in  cui
non include tra le strutture soggette a verifica di assoggettabilita'
(a VIA) i centri commerciali di medie dimensioni. 
    4.- L'art. 26 della medesima legge reg. n. 50  del  2012  dispone
che gli interventi sulle strutture di vendita a  rilevanza  regionale
siano soggetti a un accordo di programma ai sensi  dell'art.  34  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali), anche in variante urbanistica  e
ai piani territoriali e d'area. In questo modo, la  norma  regionale,
ad avviso del ricorrente, consentirebbe di effettuare varianti  anche
ai piani paesaggistici, in violazione  degli  artt.  135  e  143  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137), i quali, al contrario, dispongono  che  le  modifiche  e  le
deroghe alla  pianificazione  paesaggistica  vigente  possano  essere
introdotte  esclusivamente  attraverso   una   nuova   pianificazione
paesistica, conforme ai contenuti regolatori stabiliti dal codice dei
beni culturali e del paesaggio e previa intesa con lo Stato.  Secondo
il ricorrente, la norma censurata, consentendo  di  derogare  a  tale
procedura, confliggerebbe, per la precisione, con l'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., relativamente alla  competenza  legislativa
statale in materia di paesaggio. 
    4.1.- La  questione  non  e'  fondata,  nei  termini  di  seguito
precisati. 
    Occorre anzitutto osservare  che  la  disposizione  non  menziona
affatto i piani paesaggistici, ma solo i piani territoriali e d'area.
Il tenore letterale della previsione normativa sottoposta a giudizio,
dunque, non si presta all'interpretazione prospettata dal ricorrente,
secondo la quale essa permetterebbe di apportare  varianti  ai  piani
paesaggistici al di fuori delle procedure previste dalla legislazione
statale. L'art. 26 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012 si limita a
stabilire che gli accordi di programma che riguardano gli  interventi
sulle strutture di vendita di interesse regionale possano determinare
varianti ai piani territoriali o d'area. 
    D'altra parte, l'impugnato  art.  26  richiede  il  rispetto  del
regolamento regionale, il quale, proprio in  attuazione  della  norma
qui in esame, esplicitamente esige che gli accordi  di  programma  in
variante ai piani territoriali e d'area debbano comunque  conformarsi
alle norme in materia paesaggistica (art. 9, comma 5, del regolamento
regionale 21 giugno 2013, n.  1  -  Indirizzi  per  lo  sviluppo  del
sistema commerciale - articolo 4 della legge  regionale  28  dicembre
2012, n. 50). Ne consegue che il riferimento  ai  piani  territoriali
contenuto nella disposizione impugnata deve  essere  interpretato  in
senso stretto, ad esclusione dei profili paesaggistici  eventualmente
in essi contenuti.