ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma
51, della legge  13  dicembre  2010,  n.  220  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita' 2011), cosi' come modificato ed integrato sia dall'art. 17
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria), convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, sia dall'art. 6-bis  del  decreto-legge
13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni  urgenti  per  promuovere  lo
sviluppo del Paese mediante un piu'  alto  livello  di  tutela  della
salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre  2012,
n.  189,  promossi  dal  Tribunale  amministrativo  regionale   della
Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza  del  16
gennaio 2013 e dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione  distaccata
di  Pozzuoli,  con  ordinanza  del   18   dicembre   2012,   iscritte
rispettivamente ai nn.  69  e  116  del  registro  ordinanze  2013  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  16  e  22,
prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di costituzione di DA.MO. s.a.s. ed  altra,  nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9  ottobre  2013  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto  che  il  Tribunale   amministrativo   regionale   della
Calabria,  sezione  staccata  di  Reggio  Calabria,   con   ordinanza
depositata in  data  16  gennaio  2013,  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli  articoli  3,  comma
primo, 24, commi primo  e  secondo,  41  e  111  della  Costituzione,
dell'art.  1,  comma  51,  della  legge  13  dicembre  2010,  n.  220
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2011),  cosi'  come  modificato  ed
integrato sia dall'art. 17 del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio  2011,  n.  111,
sia dall'art. 6-bis del  decreto-legge  13  settembre  2012,  n.  158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del  Paese  mediante
un piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189,  nella  parte  in
cui  prevede  che,  nelle  Regioni  gia'  commissariate   in   quanto
sottoposte a piano di rientro dal disavanzo  sanitario,  sottoscritto
ai sensi della legge 30 dicembre 2004, n. 311  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2005), non possano essere intraprese o proseguite  azioni
esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o  ospedaliere
sino al 31 dicembre 2013, che i  pignoramenti  e  le  prenotazioni  a
debito  sulle  rimesse  finanziarie  trasferite  dalle   Regioni   in
questione alle Aziende sanitarie  ed  ospedaliere  siano  estinti  di
diritto e che i tesorieri dei predetti enti non abbiano  piu'  doveri
di custodia sulle somme  oggetto  di  pignoramento  le  quali,  anzi,
debbano  essere  rese  immediatamente  disponibili,  senza  pronunzia
giurisdizionale,  per  l'espletamento  delle  funzioni  istituzionali
degli enti predetti; 
    che il rimettente riferisce di  essere  chiamato  a  decidere  in
ordine ad un giudizio  di  ottemperanza  fondato  su  alcuni  decreti
ingiuntivi, emessi  nei  confronti  della  ASP  di  Reggio  Calabria,
divenuti esecutivi per mancata opposizione, ma che,  pur  riscontrata
la astratta azionabilita' in sede di ottemperanza amministrativa  dei
titoli  indicati,   osterebbe   in   concreto   alla   procedibilita'
dell'azione per l'esecuzione del giudicato il  dettato  dell'art.  1,
comma 51, della legge n. 220 del 2010; 
    che, infatti, la  Regione  Calabria,  con  deliberazione  del  16
dicembre 2009, ha approvato un piano di rientro  oggetto  di  accordo
con lo Stato, per riequilibrare la condizione di dissesto finanziario
in cui si trovavano gli enti  del  Servizio  sanitario  regionale,  e
poiche' il Governo nazionale, con deliberazione del 30  luglio  2010,
ha  nominato  il  Presidente   della   Giunta   regionale   calabrese
Commissario ad acta per l'attuazione del detto piano,  il  giudice  a
quo fa presente che ricorrono le condizioni  per  l'applicazione  del
citato art. 1, comma  51,  della  legge  n.  220  del  2010,  con  la
conseguenza che le azioni esecutive esercitate introdotte  dovrebbero
essere dichiarate improcedibili; 
    che detta conclusione, pero', appare al rimettente  tale  da  far
ipotizzare, in maniera non manifestamente  infondata,  la  violazione
degli artt. 3, comma primo, 24, commi primo  e  secondo,  41  e  111,
comma secondo, Cost.; 
    che, al fine  di  dimostrare  tale  assunto,  il  TAR  rimettente
rammenta  che,  gia'  con  la  legge  23  dicembre   2009,   n.   191
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2010), il legislatore nazionale aveva
escluso la possibilita'  di  intraprendere  o  proseguire  le  azioni
esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere
situate nelle Regioni che avevano sottoscritto piani di  rientro  dal
disavanzo sanitario. Oltre a tale blocco, previsto per la  durata  di
un anno dalla entrata in vigore della legge,  era  altresi'  previsto
che i pignoramenti eventualmente gia' eseguiti non avessero efficacia
nei confronti dei debitori ne' dei loro  tesorieri,  potendo  costoro
disporre dei beni eventualmente vincolati; 
    che, prosegue il rimettente,  a  brevissima  distanza  dalla  sua
entrata in vigore, la  predetta  disposizione  era  modificata  -  in
occasione della conversione in legge del  decreto-legge  30  dicembre
2009,  n.  194  (Proroga  di   termini   previsti   da   disposizioni
legislative), intervenuta con la legge 26 febbraio 2010, n. 25 -  nel
senso che la impossibilita' di  procedere  ad  azioni  esecutive  era
stata ridotta da 12 mesi a 2; 
    che,  pertanto,  a  decorrere  dal  1°  marzo  2010   era   stato
ripristinato il diritto dei creditori di agire in executivis  per  la
soddisfazione dei loro diritti; 
    che,  tuttavia,  la  situazione  di  grave  disagio   finanziario
regionale ha presto indotto il  legislatore  statale  ad  intervenire
nuovamente con l'art. 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio  2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, che, al fine di agevolare  il  raggiungimento
dei risultati indicati nel  piano  di  rientro,  ha  reintrodotto  la
inibitoria delle azioni esecutive nei  confronti  delle  aziende  del
comparto sanitario sino al 31 dicembre 2010; 
    che la nuova  disposizione,  peraltro,  differiva  rispetto  alle
precedenti in  quanto,  diversamente  da  queste,  non  prevedeva  lo
svincolo dei beni gia' sottoposti a pignoramento; 
    che, infine, il legislatore e' intervenuto  con  la  disposizione
ora censurata che non solo reitera il blocco delle  azioni  esecutive
sino, dapprima, al 31 dicembre 2011, quindi al 31  dicembre  2012  ed
infine al 31 dicembre 2013, ma anche reintroduce  lo  svincolo  delle
somme gia' pignorate; 
    che,  secondo  il  rimettente,  la   disposizione   censurata   -
introducendo una disciplina che nega al  creditore  la  soddisfazione
concreta ed effettiva dei propri diritti - si porrebbe  in  contrasto
con gli artt. 24, commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost.; 
    che, precisa il giudice a quo, per effetto  del  citato  art.  1,
comma 51, della legge n. 220 del 2010,  e'  stata  resa  «inutile  la
possibilita' riconosciuta ai creditori di agire in giudizio  al  fine
di  ottenere  il  soddisfacimento  delle  obbligazioni  dagli  stessi
vantate nei confronti delle aziende  sanitarie  e  ospedaliere  delle
Regioni soggette a commissariamento», tanto piu' ove si consideri che
la predetta disposizione, dichiarando  estinti  i  pignoramenti  gia'
eseguiti, consente ai debitori, in aperto  contrasto  con  l'art.  24
Cost., di rientrare nella piena disponibilita' dei beni sino  a  quel
momento vincolati alla soddisfazione dei creditori esecutanti; 
    che la medesima disposizione sarebbe, d'altro canto, in contrasto
con l'art. 111 Cost. poiche' altererebbe le condizioni di parita' fra
i  litiganti,  ponendo  la  parte  pubblica  in  una   posizione   di
ingiustificato privilegio,  incidendo,  altresi',  sulla  ragionevole
durata del processo; 
    che non varrebbe a smentire detto assunto il fatto che si  tratta
di disposizione avente una limitata efficacia nel tempo, poiche', per
un  verso,  il  legislatore  ha  provveduto  gia'  a   reiterare   la
disposizione prolungandone nel tempo gli effetti e, per altro  verso,
anche la «mera sospensione del diritto di azione a tutela del proprio
credito»  puo'  avere  effetti   pregiudizievoli   sulla   situazione
giuridica e patrimoniale del creditore; 
    che egualmente irrilevante sarebbe la circostanza che l'eventuale
pronunzia  che  dichiari  inammissibile  l'azione  esecutiva  non  ne
pregiudicherebbe  la  riproposizione  una  volta   venuta   meno   la
disciplina inibitoria,  posto  che  lo  scrutinio  sulla  ragionevole
durata del processo va svolto in funzione del tempo necessario per il
soddisfacimento  della  pretesa   sostanziale,   essendo   necessario
«considerare la durata complessiva della vicenda giudiziaria»; 
    che, con  riferimento  alla  violazione  dell'art.  3  Cost.,  il
rimettente rileva che l'improcedibilita' delle  azioni  esecutive  e'
stabilita  dalla  disposizione  censurata  in  considerazione   della
adozione  di  atti  amministrativi  «aventi  natura  previsionale   e
programmatica» e, pertanto, a contenuto generico; 
    che la posizione di chi operi nella Regione Calabria sarebbe,  di
conseguenza, del tutto sperequata rispetto a quella di  chi,  invece,
operi in Regioni ove il divieto di esperimento delle azioni esecutive
non e' previsto; 
    che,  osserva  il  giudice  a  quo,  siffatto  divieto   non   e'
caratterizzato da «ragionevolezza ed adeguatezza» rispetto allo scopo
dichiarato di riequilibrare  la  situazione  finanziaria  degli  enti
debitori,  rimanendo  i  debiti  in  questione  in  carico  all'ente,
costituendo la massa passiva del suo bilancio; 
    che, inoltre,  nel  bilanciamento  degli  interessi  (quello  del
privato di ricevere quanto a lui dovuto e  quello  pubblico  teso  al
ristabilimento finanziario della azienda sanitaria)  il  primo  viene
sacrificato senza «una reale contropartita, in favore del secondo»; 
    che, quanto al dedotto contrasto con l'art. 41 Cost., osserva  il
rimettente che il  soggetto  imprenditore  che  intrattenga  rapporti
economici con le amministrazioni del comparto  sanita',  non  potendo
fare affidamento  sulla  puntualita'  del  debitore  nell'adempimento
delle  sue  obbligazioni,  non  puo'  programmare  la  sua  attivita'
d'impresa ed e' costretto, onde far fronte alle proprie  scadenze,  a
ricorrere ad onerosi finanziamenti bancari; 
    che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo nel merito per l'infondatezza della questione,  ma
facendo presente che il  mutamento  del  quadro  normativo  -  stante
l'entrata  in  vigore  del  decreto-legge  8  aprile  2013,  n.   35,
(Disposizioni urgenti per  il  pagamento  dei  debiti  scaduti  della
pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli  enti
territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli  enti
locali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n.
64, col quale sono state emanate norme per sbloccare i pagamenti  dei
debiti degli enti locali - dovrebbe indurre la Corte a restituire gli
atti al rimettente per la valutazione della  perdurante  rilevanza  e
non manifesta infondatezza della questione; 
    che, aggiunge la difesa pubblica, la questione  sarebbe  comunque
infondata  in  quanto  la   disposizione   della   cui   legittimita'
costituzionale si dubita ha l'obiettivo di «garantire una  temporanea
"sospensione" del contenzioso», si' da  permettere  la  ricostruzione
delle posizioni  debitorie  da  ristorare  integralmente  per  poter,
quindi, raggiungere il fine strutturale di razionalizzare la spesa  e
regolarizzare i pagamenti; 
    che, con riferimento alle singole  censure,  la  difesa  erariale
esclude la violazione dell'art. 3 Cost, in quanto la norma si e' resa
necessaria per consentire, a  fronte  dell'eccezionale  gravita'  del
dissesto  finanziario  regionale,  il   risanamento   del   disavanzo
attraverso l'adozione di specifici piani di rientro incompatibili con
l'esperimento di azioni  esecutive  individuali,  in  quanto  sarebbe
impossibile garantire la par condicio creditorum se si consentisse  a
ciascun creditore di agire per soddisfare il proprio credito; 
    che  la  disposizione  impugnata,   eccezionale   e   temporanea,
persegue, percio', il  duplice  fine  di  consentire  il  risanamento
dell'ente garantendone i compiti istituzionali  e  di  assicurare  il
pagamento dei debiti nel rispetto della par condicio fra i creditori; 
    che neppure  sarebbero  violati  gli  artt.  24,  commi  primo  e
secondo, e 111, comma secondo, Cost. poiche', per un verso, l'art. 1,
comma 51, della legge n. 220 del 2010 consentirebbe la  soddisfazione
di tutti i creditori e non solo di quelli che per primi  hanno  agito
in executivis, e,  per  altro  verso,  la  sospensione  delle  azioni
esecutive da essa prevista ha durata limitata nel tempo; 
    che a tal riguardo e' ricordata la giurisprudenza della Corte con
la quale e' stata riconosciuta la legittimita' della normativa con la
quale e' stata disposta la sospensione «per un periodo transitorio ed
essenzialmente limitato» della esecuzione degli sfratti; 
    che, quanto alla lamentata  violazione  dell'art.  41  Cost.,  la
difesa pubblica ne nega la sussistenza osservando che  la  disciplina
censurata si  limita  a  regolamentare  l'ipotesi,  riconducibile  al
normale rischio di impresa, connessa alla  insolvenza  del  debitore,
indirizzandosi verso  l'instaurazione  di  un  regime  di  spesa  che
consenta il risanamento della condizione di questo, in tal  modo  non
pregiudicando  ma,  anzi,  garantendo  l'esercizio  del  diritto   di
impresa,  che,  invece,  sarebbe  pregiudicato  dal  protrarsi  della
situazione di dissesto; 
    che, con ordinanza depositata in data 18  dicembre  2012,  emessa
dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, e'
stata sollevata questione di legittimita' costituzionale dello stesso
art. 1, comma 51, della legge 220 del 2010, in riferimento agli artt.
3, comma primo, 24, comma primo, e 111, comma secondo, Cost.; 
    che dinanzi al rimettente pende giudizio di  opposizione  avverso
l'ordinanza con la quale era stata dichiarata la improcedibilita'  di
un'esecuzione mobiliare presso terzi; 
    che il rimettente, illustrati i precedenti  interventi  normativi
aventi contenuto analogo alla disposizione censurata, rileva  che  la
ratio di questa e' il blocco delle azioni esecutive quale misura  che
dovrebbe  consentire  la  realizzazione  dei  piani  di  rientro  dai
disavanzi sanitari predisposti dalle Regioni  commissariate  al  fine
non  solo  di  ottenere  il  riequilibrio  finanziario  del   settore
sanitario, ma anche di assicurare la  riorganizzazione  dei  relativi
servizi nel rispetto della tutela della salute e delle  modalita'  di
erogazione delle prestazioni sanitarie; 
    che, tuttavia, ad avviso dello stesso  rimettente,  le  modalita'
attuative  di  tali  intenti   confliggono   con   diversi   principi
costituzionali; 
    che, in primo luogo, il giudice a quo dubita della ragionevolezza
dell'intervento legislativo nella  parte  in  cui  esso  prevede  che
«l'esonero dall'aggressione esecutiva» riguardi le aziende  sanitarie
ed ospedaliere per il solo fatto che esse appartengano a  Regioni  in
situazione di dissesto sanitario, senza che esso sia subordinato alla
verifica dell'inizio della procedura  prevista  dalla  legge  per  il
ripianamento dei disavanzi, ovvero  alla  adozione  di  un  piano  di
ricognizione dei debiti, permanendo, in tal modo,  l'esenzione  anche
nell'ipotesi in cui l'azienda destinasse il proprio  patrimonio,  non
piu'  oggetto  di  vincolo   pignoratizio,   a   fini   diversi   dal
soddisfacimento dei crediti pregressi; 
    che, per altro verso, il rimettente dubita  della  compatibilita'
della disposizione censurata con  l'art.  24  Cost.  in  quanto  essa
prevede la sanzione della inammissibilita' o  della  improcedibilita'
della  procedure  esecutive,  con  conseguente  loro   chiusura   con
provvedimento  definitivo  non   satisfattivo   delle   ragioni   del
creditore, e non la sola sospensione di esse; 
    che, inoltre, contrasterebbe  col  diritto  di  azione,  tutelato
dall'art.  24  Cost.,  sia  il  fatto  che  la  dispensa  dall'azione
esecutiva non riguardi singoli beni,  ma  l'intero  patrimonio  delle
aziende sanitarie debitrici, sia il fatto che essa si  protragga  per
un  considerevole  periodo  di  tempo,  sia  che  essa   abbia   come
presupposto soggettivo la mera appartenenza della  azienda  sanitaria
ad una delle Regioni commissariate; 
    che, rileva  ancora  il  rimettente,  la  chiusura  «per  edictum
principis»   della    procedura    esecutiva    comporta    l'inutile
assoggettamento definitivo  del  creditore  procedente  agli  esborsi
affrontati per il compimento degli atti processuali gia' eseguiti; 
    che, riguardo alla violazione del principio  di  uguaglianza,  il
giudice  a  quo  osserva  che  la  disposizione  censurata  crea  una
ingiustificata discriminazione rispetto al trattamento  riservato  ai
creditori di aziende sanitarie ubicate in Regioni non  commissariate,
realizzando peraltro anche uno status privilegiato  in  favore  delle
aziende sanitarie aventi sede in Regioni commissariate, senza che sia
eseguita una verifica  sul  fatto  che  esse  stesse  si  trovino  in
difficolta' finanziaria; 
    che in relazione alla prospettata violazione dell'art. 111 Cost.,
osserva che la disposizione censurata, vietando le azioni  esecutive,
violerebbe  sia  il  principio  di   parita'   delle   armi   fra   i
contraddittori,  attribuendo  un   ingiustificato   privilegio   alla
pubblica amministrazione esecutata, sia quello di ragionevole  durata
del processo, tenuto conto che questa va  valutata  in  funzione  del
tempo occorrente per la realizzazione del bene per  il  quale  si  e'
invocata la tutela giurisdizionale; 
    che, infine, con riferimento alla rilevanza della  questione,  il
rimettente osserva che, vertendo il giudizio a quo sulla  correttezza
dell'ordinanza con cui e' stata  dichiarata  la  improcedibilita'  di
un'azione  esecutiva   ai   sensi   della   disposizione   censurata,
all'accoglimento  della  questione  di  legittimita'   costituzionale
conseguirebbe l'annullamento della detta  ordinanza  che,  viceversa,
resterebbe integra nel caso in cui la questione fosse dichiarata  non
fondata; 
    che  e'  intervenuto  nel  giudizio,   rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei
ministri, concludendo per l'infondatezza della questione  sulla  base
di argomentazioni analoghe a  quelle  gia'  svolte  nella  precedente
comparsa di costituzione; 
    che si sono, altresi', costituite in giudizio la DA.MO. s.a.s.  e
la Emotest s.r.l., creditrici procedenti nel giudizio a quo, le quali
hanno concluso per l'accoglimento  della  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    Considerato che  sia  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Calabria, sezione staccata  di  Reggio  Calabria,  che  il  Tribunale
ordinario di Napoli, sezione distaccata di  Pozzuoli,  dubitano,  con
riferimento agli articoli 3, comma primo, 24, commi primo e  secondo,
41 e 111,  comma  secondo,  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'articolo 1, comma 51,  della  legge  13  dicembre
2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale - legge di stabilita' 2011),  cosi'  come  modificato  ed
integrato sia dall'art. 17 del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio  2011,  n.  111,
sia dall'art. 6-bis del  decreto-legge  13  settembre  2012,  n.  158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del  Paese  mediante
un piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, in quanto prevede
che, nelle Regioni gia' commissariate in quanto sottoposte a piano di
rientro dal disavanzo sanitario ai  sensi  della  legge  30  dicembre
2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale - legge finanziaria 2005), non possano essere  intraprese
o proseguite azioni esecutive nei confronti delle  aziende  sanitarie
locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2013, che i  pignoramenti  e
le prenotazioni a  debito  in  danno  delle  predette  aziende  siano
estinti di diritto e che cessino i doveri  di  custodia  sulle  somme
pignorate con  obbligo  per  i  custodi  di  renderle,  senza  previa
pronunzia giurisdizionale, disponibili per il  pagamento  dei  debiti
riconosciuti e per l'espletamento delle funzioni istituzionali  delle
predette aziende; 
    che, con le due ordinanze in esame,  e'  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale della medesima  disposizione  legislativa
in base ad argomentazioni  fra  loro  strettamente  connesse  e  che,
pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti affinche'  possano  essere
definiti con un'unica pronunzia; 
    che, successivamente alla proposizione  della  questione,  questa
Corte ha scrutinato l'art. 1, comma 51, della legge n. 220 del  2010,
e,  con  la  sentenza  n.  186  del  2013,  ne   ha   dichiarato   la
illegittimita' costituzionale sia  nel  testo  risultante  a  seguito
delle modificazioni introdotte dall'art. 17, comma 4, lettera e), del
d.l. n. 98 del  2011,  sia  nel  testo  risultante  a  seguito  delle
modificazioni introdotte dall'art. 6-bis, comma 2, lettere a)  e  b),
del d.l. n. 158 del 2012; 
    che, pertanto, la questione  di  legittimita'  costituzionale  in
esame  e'  divenuta  priva  di  oggetto  e,  quindi,  va   dichiarata
manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.