ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  19  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135,  promossi  dalle  Regioni
Lazio, Veneto, Campania, dalla  Regione  autonoma  Sardegna  e  dalla
Regione Puglia con ricorsi notificati il 12-17, il 12, il  13-17,  il
12 e il 15-18 ottobre 2012, depositati in cancelleria il 16,  il  17,
il 18, il 19 e il 24 ottobre 2012 e rispettivamente iscritti  ai  nn.
145, 151, 153, 160 e 172 del registro ricorsi 2012. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  3  dicembre  2013  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi gli avvocati Marcello  Cecchetti  per  la  Regione  Puglia,
Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Luigi  Manzi,  Daniela
Palumbo e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Beniamino  Caravita
di Toritto per la Regione Campania, Massimo Luciani  per  la  Regione
autonoma Sardegna e l'avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Le Regioni Lazio, Veneto, Campania e  Puglia,  e  la  Regione
autonoma  Sardegna,  con  i  ricorsi  in  epigrafe,  hanno   proposto
questioni di legittimita' costituzionale di  varie  disposizioni  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dell'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, e, tra queste,  dell'art.
19. 
    In particolare, le disposizioni censurate sono quelle di  cui  al
comma 1, lettere a), b), c), d), e), ed ai commi da 2  a  6,  con  la
precisazione, pero', che le questioni relative ai commi 2, 5 e 6 sono
state riservate a separata trattazione nella stessa udienza  pubblica
del 3 dicembre 2013. 
    In estrema sintesi, l'art. 19, per quanto forma  in  questa  sede
oggetto di impugnazione, rispettivamente: 
    - al comma 1, lettera a) - che reca il nuovo testo del  comma  27
dell'art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti
in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge  30  luglio  2010,  n.  122  -  ridefinisce  le  funzioni
fondamentali dei Comuni ai sensi  della  lettera  p)  dell'art.  117,
secondo comma, Cost. 
    - al comma 1, lettera b) - che sostituisce il comma 28  dell'art.
14 anzidetto - dispone, con riferimento  ai  Comuni  con  popolazione
fino ai 5.000 abitanti, l'esercizio obbligatorio in  forma  associata
delle funzioni fondamentali, mediante unione di Comuni o  convenzioni
di durata triennale; 
    - al comma 1, lettera c) - che aggiunge il comma 28-bis al citato
art. 14 - prevede che alle unioni  di  Comuni  di  cui  al  riscritto
precedente comma 28 si applichi la disciplina di cui all'art. 32  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali) e successive modificazioni; e che
ai Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti  si  applichi  quanto
previsto al comma 17, lettera a), dell'art. 16 del  decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, a  norma
del quale il Consiglio comunale e' composto  dal  sindaco  e  da  sei
consiglieri; 
    - al comma 1, lettera d) - che  sostituisce  il  comma  30  dello
stesso art. 14 -  dispone  che  le  Regioni,  nelle  materie  di  cui
all'art. 117, commi terzo e quarto, Cost., individuano le  dimensioni
territoriali  ottimali  per  l'esercizio  delle  funzioni  in   forma
obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni; 
    - al comma 1, lettera e)  -  che  sostituisce  il  comma  31  del
medesimo art. 14 -  individua  il  limite  demografico  minimo  delle
unioni di Comuni in 10.000 abitanti, salva diversa determinazione  da
parte della Regione; 
    - al comma 3 - che sostituisce l'art. 32 del citato d.lgs. n. 267
del 2000 - pone una disciplina articolata delle unioni di Comuni, con
differenti profili, attinenti alle procedure di istituzione  ed  alla
struttura organizzativa delle unioni, nonche' alla  disciplina  delle
funzioni che queste ultime sono destinate a svolgere; 
    - al comma 4 prevede, per i Comuni con popolazione fino  a  5.000
abitanti, una facolta' di scelta tra i modelli organizzativi  di  cui
ai precedenti commi 1 e 2. 
    2.- La Regione Lazio deduce che la disciplina recata dall'art. 19
denunciato - e, secondo il tenore della prospettazione, in particolar
modo quella di cui al comma 1, lettere da a) a  d)  -  violerebbe  il
combinato disposto degli artt. 117, secondo comma, lettera p),  terzo
e  quarto  comma,  Cost.,  ledendo  le  attribuzioni   costituzionali
regionali,  dovendo  essere   ricondotta   nell'alveo   di   siffatte
attribuzioni «la regolazione delle associazioni degli  enti  locali»,
la' dove lo Stato dovrebbe «limitarsi a stabilire  la  disciplina  in
tema di  "legislazione  elettorale,  organi  di  governo  e  funzioni
fondamentali di Comuni, Province e  Citta'  metropolitane",  restando
evidentemente esclusi da tale "voce" tutti  gli  aspetti  riguardanti
l'associazionismo di tali enti». 
    In questi  termini  -  sottolinea  la  ricorrente  -  si  sarebbe
orientata la stessa giurisprudenza costituzionale  (sentenze  n.  456
del 2005, n. 244 del 2005 e n. 229 del 2001),  mettendo  in  luce  il
carattere «puntuale» della «tassativa»  elencazione  «degli  enti,  e
degli aspetti della loro disciplina, contenuta nell'art.  117,  comma
secondo, lettera p)». 
    E tali conclusioni la medesima ricorrente ha ribadito con memoria
depositata in prossimita' dell'udienza del 3 dicembre  2013  (cui  e'
stata  rinviata,  a  seguito  di  ordinanza  n.  227  del  2012,   la
trattazione delle questioni), nella quale aggiunge che, sulla  scorta
dell'orientamento della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 27
del 2010), l'esercizio associato di  funzioni  da  parte  degli  enti
locali e' da ascriversi alla  potesta'  legislativa  residuale  delle
Regioni, salva l'eventualita' di un intervento di contenimento  della
spesa pubblica in base ai principi  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, che pero', nel caso di  specie,  non  sarebbe  ravvisabile,
posto  che  la  normativa  denunciata  risulta  dettagliata   e   non
transitoria. 
    3.- Anche la Regione Veneto assume che il denunciato art. 19, con
le sue plurime disposizioni (e, in particolare, i commi 1, lettere da
b ad e, e 3) - le quali, la' dove attengono specificamente ai Comuni,
sono suscettibili di  essere  impugnate  dalla  Regione,  giacche'  i
profili  di  illegittimita'  che  le  riguardano  «si  traducono   in
altrettante violazioni  dell'autonomia  regionale  costituzionalmente
garantita» - violerebbe, in primo luogo, l'art.  117,  quarto  comma,
Cost., dal quale, letto in combinato disposto con  il  secondo  e  il
terzo comma dello stesso art. 117,  si  ricaverebbe  che  la  materia
«forme associative  tra  gli  enti  locali»  rientra  nella  potesta'
legislativa  regionale  residuale.  Il  che   sarebbe,   del   resto,
confermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 27
del 2010, n. 237 del 2009, n. 456 e n. 244 del 2005), che ha escluso,
in riferimento alle comunita' montane (e lo stesso  varrebbe  per  le
unioni di  Comuni  alle  quali  ha  riguardo  la  norma  denunciata),
l'intervento della competenza statale di  cui  alla  lettera  p)  del
secondo comma dell'art. 117 Cost., ascrivendo la relativa  disciplina
alla competenza residuale delle Regioni. 
    Invero, nonostante le disposizioni di cui all'art. 19 del d.l. n.
95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  135  del
2012, siano qualificate come norme di  «coordinamento  della  finanza
pubblica»,  esse  sarebbero  ben  lungi   dal   costituire   principi
fondamentali di siffatta materia, posto che, per  un  verso,  non  si
limitano a porre obiettivi di riequilibrio  della  finanza  pubblica,
«intesi nel senso di un transitorio contenimento  complessivo,  anche
se non generale, della spesa corrente»; e, per altro verso, prevedono
«in modo esaustivo strumenti o modalita'  per  il  perseguimento  dei
suddetti obiettivi». 
    Inoltre, sarebbe violato anche l'art. 118, primo comma, Cost., il
quale non fa riferimento alle unioni di Comuni o alle convenzioni tra
Comuni, che, pertanto, «dovrebbero essere, soprattutto  nel  rispetto
del fondamentale art. 114 Cost.,  libere  forme  associative  cui  il
Comune puo' (non deve) ricorrere». 
    Infine, la Regione Veneto sostiene che il «complesso  di  censure
avanzate  nei  confronti  dell'art.  19»   condurrebbe   a   ritenere
sussistente anche la violazione dell'art. 119 Cost., «peraltro  anche
con riguardo all'autonomia finanziaria di  entrata  e  di  spesa  dei
Comuni», nonche' degli artt. 3 e 97 Cost., «specialmente per il fatto
che i Comuni con popolazione fino a  5.000  abitanti  sono  obbligati
tout court (e quindi in violazione del  principio  costituzionale  di
differenziazione)  all'esercizio  mediante   unione   di   Comuni   o
convenzione delle loro funzioni fondamentali». 
    3.1.- In prossimita' dell'udienza del 3 dicembre 2013, la Regione
Veneto   ha   depositato   memoria   con   la   quale   insiste   per
l'illegittimita'   costituzionale   delle   denunciate   disposizioni
dell'art. 19. 
    4.- La Regione Campania ritiene,  a  sua  volta,  illegittimo  il
comma 1, lettera a) dell'art. 19, «nella parte in cui, nel modificare
la disciplina delle funzioni fondamentali dei comuni  precedentemente
recata dall'art. 14, comma 27, decreto-legge n. 78/2010, riconosce in
materia  alle  Regioni  le  sole  funzioni  di  programmazione  e  di
coordinamento, spettanti nelle materie di  cui  all'art.  117,  commi
terzo e quarto, Cost., nonche' quelle esercitate ai  sensi  dell'art.
118 Cost.». 
    La ricorrente osserva al riguardo che la  norma  denunciata,  nel
circoscrivere  il  ruolo  delle  Regioni  a   quello   dell'esclusivo
svolgimento dei compiti di programmazione e coordinamento,  di  fatto
sottrarrebbe agli stessi enti «tutte le  funzioni  non  espressamente
richiamate, malgrado le stesse siano pacificamente spettanti ai sensi
del chiaro disposto degli artt. 117 e 118 Cost.». 
    Invero, si evincerebbe dall'art. 118  Cost.  che  la  Regione  e'
titolare «di un ampio novero  di  funzioni  che  potra'  delegare  ai
comuni o alle province  o  alle  citta'  metropolitane»  e  che  tale
attribuzione in concreto necessita di una legge di conferimento, come
pure  ribadito  dall'art.  7  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131
(Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3).  Sicche',  il
legislatore (statale e regionale)  ha  il  compito  di  conferire  ai
Comuni le funzioni  amministrative  precedentemente  esercitate,  con
contestuale trasferimento delle  risorse  necessarie,  potendo  pero'
«provvedere all'allocazione delle funzioni  medesime  ad  un  livello
diverso da quello comunale, laddove cio' permetta  il  loro  migliore
esercizio». Cio', tuttavia,  non  escluderebbe  che,  «nella  propria
opera  di  concreta  destinazione   delle   funzioni   amministrative
rientranti nelle materie di propria competenza» (ai  sensi  dell'art.
117, commi terzo e quarto, Cost.), la Regione possa anche  riservarsi
«l'esercizio di compiti diversi ed ulteriori  rispetto  a  quelli  di
programmazione e coordinamento». 
    La norma denunciata limiterebbe, invece, il ruolo regionale  allo
svolgimento esclusivo  di  compiti  di  programmazione  e  controllo,
ridimensionando in modo  illegittimo  il  potere  della  Regione  «di
optare  per  un   diverso   sistema   di   riparto   delle   funzioni
amministrative»; cio' determinando un vulnus agli  artt.  117,  commi
terzo e quarto, e 118 Cost. 
    Ove, poi, non si intendesse riconoscere la lesione dell'art. 117,
quarto comma, Cost., sussisterebbe in ogni caso quella del  combinato
disposto degli artt. 117 e 118 Cost. sul  riparto  costituzionale  di
competenze legislative di Stato e Regioni in  materia  di  disciplina
dell'esercizio delle funzioni  amministrative  da  parte  degli  enti
locali, «nella misura in cui la norma statale disciplina  l'esercizio
in forma associata, da parte dei  comuni  interessati,  di  tutte  le
funzioni amministrative e di tutti i servizi pubblici loro  spettanti
sulla base della legislazione vigente». 
    Difatti, non  potendo  revocarsi  in  dubbio  che  la  competenza
regionale in materia  di  disciplina  dell'esercizio  delle  funzioni
amministrative  sussista   «ogni   qualvolta   le   funzioni   stesse
interessino  ambiti  materiali  di   diretta   pertinenza   regionale
(esclusiva  o  concorrente)»,  il  censurato  art.  19,  mancando  di
distinguere le funzioni  amministrative  attualmente  esercitate  dai
Comuni  interessati,  ha  «sicuramente  ricompreso   anche   funzioni
ricadenti in ambiti materiali regionali,  violando  in  tal  modo  le
attribuzioni costituzionalmente garantite alla regione». 
    4.1.- Peraltro,  l'art.  19  prevede  ulteriori  disposizioni  in
materia di esercizio associato delle  funzioni  in  ambito  comunale,
quali quelle di cui alle  lettere  da  b)  a  d)  del  comma  1,  che
modificano integralmente la disciplina posta in materia dai commi  28
e seguenti dell'art.  14  del  citato  d.l.  n.  78  del  2010.  Tali
disposizioni stabiliscono  l'esercizio  obbligatorio  delle  funzioni
fondamentali, mediante unione o convenzione, da parte dei Comuni  con
popolazione fino a 5.000 abitanti (3.000 se  in  comunita'  montane),
la' dove il ruolo della Regione viene  limitato,  in  relazione  alle
materie di cui al terzo e quarto comma  dell'art.  117  Cost.,  «alla
mera  individuazione,  previa  concertazione  con  gli  enti   locali
interessati nell'ambito del  C.A.L.,  della  dimensione  territoriale
ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento  associato
delle funzioni suddette». Inoltre, il comma  3  dell'art.  19  innova
l'art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, in ordine alla disciplina delle
unioni di Comuni. 
    Secondo  la  ricorrente,  anche  tali   disposizioni   sarebbero,
all'evidenza, in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., in  ragione
delle  considerazioni  in  precedenza  svolte  circa  la   competenza
regionale riferita alla disciplina degli strumenti e delle  modalita'
a disposizione dei Comuni per l'esercizio  congiunto  delle  funzioni
loro spettanti. 
    4.2.-  Con  successive  memorie  depositate  in  prossimita'  sia
dell'udienza pubblica del 19 giugno 2013 che di quella del 3 dicembre
2013, la Regione Campania ha reiterato e ulteriormente argomentato le
conclusioni gia' rassegnate. 
    In particolare ha evidenziato che, in sede di esame del  progetto
di legge in itinere (AC  1542),  tramite  il  quale  si  intenderebbe
intervenire nuovamente sulla disciplina dell'unione  dei  Comuni,  la
Corte dei conti, nell'audizione del 6 novembre 2013, avrebbe espresso
dubbi sulla reale incidenza delle nuove istituzioni sul risparmio  di
spesa nel  lungo  periodo,  adducendo  che  «la  potenziale  dinamica
virtuosa  che  connota,  tendenzialmente,  l'esercizio  associato  di
funzioni e servizi e' frenata dai fattori di  rigidita'  della  spesa
corrente».  Con  cio'  sarebbero   smentite   le   enunciazioni   del
legislatore in ordine alla riconducibilita' delle disposizioni di cui
all'art. 19 denunciato al  «coordinamento  della  finanza  pubblica»,
trattandosi, in ogni caso, di disposizioni analitiche e di dettaglio,
che non terrebbero conto, nel disegno  di  complessivo  riordino  cui
mirano,  dei  principi   di   sussidiarieta',   differenziazione   ed
adeguatezza, tanto da non essere neppure in grado di  assicurare  «le
attese riduzioni di spesa». 
    5.- Anche la Regione autonoma Sardegna ha impugnato l'art. 19 del
d.l. n.  95  del  2012,  il  quale,  «nel  novellare  l'art.  16  del
decreto-legge n. 138 del 2011 e nel dettare ulteriori disposizioni in
tema di unioni di comuni, ha ulteriormente modificato in  profondita'
l'organizzazione  politico-amministrativa  dei  comuni  minori  della
Sardegna,  attraverso  una  disciplina   di   estremo   dettaglio   e
particolarmente stringente». 
    Le  disposizioni  del  denunciato  art.   19   -   nell'istituire
obbligatoriamente unioni di Comuni,  nel  ridurre  contestualmente  i
consigli comunali a puri organi di  partecipazione  e  il  sindaco  a
semplice ufficiale di Governo - provocherebbero, di fatto, secondo la
ricorrente «la soppressione dei comuni che partecipano a questa forma
associativa e  la  loro  sostituzione  con  un  nuovo  tipo  di  ente
territoriale»,  con  conseguente   contrasto   con   le   norme   che
garantiscono alla Regione Sardegna una sfera di autonomia legislativa
esclusiva in materia  di  «ordinamento  degli  enti  locali  e  delle
relative circoscrizioni» di cui all'art. 3, primo comma, lettera  b),
della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3  (Statuto  speciale
per la Sardegna), che la giurisprudenza  costituzionale  ha  ritenuto
particolarmente ampia, tanto da  consentire  l'istituzione  di  nuove
Province. 
    Sarebbe, altresi' violato l'art. 117, quarto comma, Cost.,  posto
che la competenza esclusiva  dello  Stato  di  cui  alla  lettera  p)
dell'art. 117, secondo comma, Cost., cosi' come non puo' riguardare -
per essere  tassativamente  riferita  a  Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane (sentenze n. 456 e n. 244  del  2005)  -  le  comunita'
montane (la cui disciplina rientra  in  quella  residuale  regionale,
siccome  garantita,  per  il  tramite  dell'art.   10   della   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 «Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione», anche alla Regione Sardegna) - del
pari non potrebbe attenere alle unioni di Comuni. 
    Peraltro,  non  potrebbe  far  venir  meno  la  lesivita'   delle
censurate disposizioni la clausola di salvaguardia  delle  competenze
delle  Regioni  ad  autonomia  differenziata  recata  dal  comma   29
dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, posta, in primo luogo, la gia'
evidenziata competenza legislativa esclusiva della  Regione  Sardegna
nella  materia  «ordinamento  degli  enti  locali  e  delle  relative
circoscrizioni», nonche',  ulteriormente,  il  fatto  che  l'art.  19
censurato «non  introduce  una  normativa  di  carattere  generale  o
limitata ai principi di semplificazione, accorpamento di  funzioni  e
riduzione  degli  enti  non  necessari,  bensi'   un'autoritativa   e
unilaterale  determinazione  delle  forme  e   delle   modalita'   di
attuazione   della   c.d.    intercomunalita',    cui    segue    una
regolamentazione di estremo dettaglio, della quale la Regione,  anche
attivando  le  procedure  necessarie  per  il  rispetto  del  proprio
Statuto, e pur applicandosi quanto previsto dall'art. 27 della  legge
n. 42 del 2009, non potrebbe che prendere  atto  e  recepire  in  via
automatica». Sicche', sarebbe anche da escludere  che  la  disciplina
denunciata possa integrare una fondamentale riforma economico-sociale
della Repubblica, ovvero esercizio della potesta' legislativa di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. 
    5.1.- Con successiva memoria,  la  ricorrente,  nel  ribadire  le
ragioni dell'impugnativa, osserva, segnatamente,  che  la  disciplina
censurata, dettata in violazione della competenza esclusiva regionale
in materia  di  «ordinamento  degli  enti  locali  e  delle  relative
circoscrizioni», di cui  all'art.  3,  comma  1,  lettera  b),  dello
statuto, non solo non prevederebbe alcun  principio  fondamentale  in
ordine «alle esigenze di semplificazione, accorpamento di funzioni  e
riduzione  degli  enti  non  necessari»,  ma  verrebbe  a   stabilire
«un'autoritativa e unilaterale determinazione del livello demografico
della  c.d.  intercomunalita',  cui  segue  una  regolamentazione  di
estremo  dettaglio»,  che  la  Regione  non  potrebbe  che   recepire
automaticamente, senza adattamenti in base alle procedure statutarie,
come previsto dalla clausola di salvaguardia di cui  all'art.  24-bis
dello stesso d.l. n. 95 del 2012. 
    La ricorrente esclude, inoltre, che  la  disposizione  denunciata
possa trovare titolo di legittimazione  nello  stesso  art.  3  dello
statuto, ove si prevede che la competenza legislativa regionale debba
esercitarsi in armonia  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica  e  nel  rispetto  delle  norme  fondamentali  delle
riforme economico-sociali della  Repubblica  stessa,  non  potendo  i
primi desumersi da una singola  norma  o  da  un  singolo  intervento
normativo e le seconde essere  ricondotte  al  profilo  istituzionale
degli  enti  locali  anziche'  ai  rapporti   economico-sociali   tra
cittadini o tra cittadini e istituzioni. Ed ancora  non  potrebbe  la
norma denunciata essere giustificata come  esercizio  della  potesta'
legislativa di cui alla lettera p) del secondo  comma  dell'art.  117
Cost., giacche' questa regola soltanto il riparto di  competenze  tra
Stato e Regioni ordinarie, la' dove e'  l'art.  3  dello  statuto  «a
definire gli ambiti di  attribuzione  dello  Stato  e  della  Regione
Sardegna». 
    La difesa regionale contesta,  poi,  che  l'intervento  normativo
oggetto di censura possa ricondursi alla materia  del  «coordinamento
della  finanza  pubblica»,  osservando  che,  oltre  ad   essere   di
dettaglio, non  sortirebbe  alcun  «effetto  virtuoso  sui  saldi  di
finanza pubblica»,  come  sarebbe  dimostrato  dal  fatto  che  nella
"relazione tecnica" di accompagnamento al d.d.l.  di  conversione  in
legge del d.l. n. 95 del 2012 si afferma che in base alla  previsione
di cui all'art. 19 non  deriveranno  ulteriori  spese,  ma  non  gia'
«utilita' dal punto di vista dei risparmi finanziari». 
    6.- La Regione Puglia  analogamente  sostiene  che  il  comma  1,
lettera a), dell'art. 19 denunciato violerebbe gli artt. 117, secondo
comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 118 Cost., «nella parte in
cui include tra le funzioni fondamentali dei  Comuni  anche  funzioni
amministrative  ricadenti  in  materie  di   competenza   legislativa
concorrente o residuale regionale». 
    A tal riguardo, la  difesa  regionale  osserva  che  la  potesta'
legislativa  statale  di  cui  alla  lettera  p)  del  secondo  comma
dell'art. 117 Cost., e' «per sua natura, limitata»,  non  potendo  lo
Stato  giungere  a  «qualificare  liberamente»   qualsiasi   funzione
amministrativa  come  «funzione  fondamentale»  dei  Comuni  o  delle
Province, cosi' da poterne disporre l'integrale disciplina.  Cio'  in
quanto, diversamente opinando, si priverebbe di qualunque  «contenuto
precettivo gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma,
Cost., i quali prescrivono che sia la legge regionale ad  allocare  e
disciplinare le funzioni  amministrative  nelle  materie  diverse  da
quelle di competenza legislativa statale». 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  il  carattere  «limitato»   della
richiamata potesta'  legislativa  statale  in  materia  di  «funzioni
fondamentali di Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane»  sarebbe
stato riconosciuto anche dalla giurisprudenza costituzionale, sebbene
in essa non si rinvenga una chiara individuazione di siffatti limiti.
Invero, secondo la  Regione  Puglia,  dette  «funzioni  fondamentali»
dovrebbero in non altro consistere  che  nella  potesta'  statutaria,
nella potesta'  regolamentare  e  nella  potesta'  amministrativa  «a
carattere "ordinamentale"  concernente  le  funzioni  essenziali  che
attengono  alla  vita  stessa  e  al  governo   degli   enti   locali
territoriali ivi espressamente contemplati». Con esclusione,  quindi,
delle funzioni «amministrativo-gestionali» in  senso  proprio,  e,  a
maggior  ragione,  di  «alcune  di  quelle  individuate  dalla  norma
legislativa qui censurata». 
    In tal senso deporrebbe una serie di  convergenti  argomenti.  In
primo luogo, quello «topografico» e cioe' l'aver l'art. 117,  secondo
comma,  lettera  p),  Cost.  inserito  le   «funzioni   fondamentali»
nell'ambito dello stesso testo normativo che contempla gli «organi di
governo» e la «legislazione elettorale». In secondo luogo, il rilievo
che  assumono  i  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione   e
adeguatezza di cui all'art. 118, primo comma, Cost.  nell'allocazione
(sia da parte della legge statale, che della legge  regionale)  delle
funzioni   amministrative,   sicche',   essendo   «la   ratio   della
attribuzione allo  Stato  di  una  competenza  legislativa  [...]  da
rintracciare  in  una  esigenza  unitaria   di   livello   nazionale,
risulterebbe del tutto incomprensibile individuare una tale  esigenza
unitaria nell'ipotesi in cui tra le funzioni fondamentali  menzionate
alla  lettera  p)  dell'art.  117,  secondo  comma,  Cost.,   fossero
annoverabili anche funzioni amministrative consistenti nella concreta
cura di interessi». Peraltro, cio' non pregiudicherebbe la necessita'
di garantire standard di uniformita' di certe funzioni rilevanti  per
le collettivita' locali, che, in quanto tali, si volessero  includere
tra le funzioni fondamentali, potendo lo Stato  attivare  la  propria
competenza in materia di «livelli essenziali  delle  prestazioni»  o,
comunque, lo strumento del potere sostitutivo  straordinario  di  cui
all'art. 120, secondo comma, Cost. 
    Diversamente, la  qualificazione  in  termini  di  «fondamentali»
delle funzioni  amministrative  rientranti  in  materie  di  potesta'
legislativa regionale equivarrebbe ad espropriare le  Regioni  «della
possibilita'  di  disciplinare   e   allocare   importanti   funzioni
amministrative ricadenti negli ambiti materiali che  la  Costituzione
assegna alla loro competenza legislativa». In tale  lesiva  direzione
si sarebbe mossa la norma denunciata, comprendendo  tra  le  funzioni
fondamentali «settori  di  primissima  importanza».  Tra  questi,  la
«organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di  ambito
comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale», che
inerisce alla materia dei «servizi pubblici  locali»,  da  collocarsi
nell'ambito  dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.  Ed  ancora,   la
«pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonche' la
partecipazione   alla   pianificazione   territoriale   di    livello
sovracomunale»,  riferibile   al   «governo   del   territorio»;   la
«progettazione e gestione del sistema locale dei servizi  sociali  ed
erogazione della relative prestazioni ai  cittadini,  secondo  quanto
previsto  dall'articolo  118,  quarto  comma,  della   Costituzione»,
ascrivibile  alla  competenza  residuale  regionale,  in  materia  di
«servizi sociali» (come si evincerebbe dalle sentenze n. 61 e  n.  40
del 2011, n. 10 del 2010 e n. 50 del 2008, di questa Corte). Inoltre,
le funzioni  in  tema  di  «edilizia  scolastica  per  la  parte  non
attribuita alla  competenza  delle  province»,  nonche'  in  tema  di
«organizzazione e gestione dei  servizi  scolastici»,  posto  che  lo
Stato, in materia di istruzione, dispone unicamente della  competenza
sulle «norme generali sull'istruzione» di cui all'art.  117,  secondo
comma, Cost., ed i «principi fondamentali» in materia di «istruzione»
di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Cosi' come le «attivita',  in
ambito  comunale,  di  pianificazione  di  protezione  civile  e   di
coordinamento  dei  primi  soccorsi»,  rientranti  nella   competenza
regionale in materia di «protezione civile», ai sensi dell'art.  117,
terzo comma, Cost.; e, infine, le funzioni  in  materia  di  «polizia
municipale e polizia amministrativa locale»,  espressamente  escluse,
dall'art. 117,  secondo  comma,  Cost.,  dalla  competenza  esclusiva
statale e da ricondursi, invece, alla potesta' legislativa  regionale
residuale. 
    La   difesa   regionale   sostiene,   poi,   che   dalla   stessa
giurisprudenza  costituzionale  si  trarrebbe  la   convinzione   che
«importanti servizi pubblici locali  non  possano  senz'altro  essere
"avocati"  alla  competenza  legislativa  dello  Stato  mediante   la
utilizzazione, da parte di  quest'ultimo,  della  qualificazione  dei
medesimi  come  "funzioni  fondamentali"».   Cio'   si   evincerebbe,
anzitutto, dalla sentenza n. 274 del 2004, che  ha  «escluso  che  le
norme in tema di servizi pubblici  locali  possano  rientrare»  nella
anzidetta competenza statale, in quanto  la  «gestione  dei  predetti
servizi non puo' certo  considerarsi  esplicazione  di  una  funzione
propria ed indefettibile dell'ente locale». Inoltre, con la  sentenza
n. 325 del 2010 si e' affermato chiaramente che  il  servizio  idrico
integrato «non costituisce funzione fondamentale dell'ente locale». 
    Donde, la considerazione  che  dette  funzioni  fondamentali  non
possano  identificarsi  con  quelle  aventi  la  «cura  concreta   di
interessi», la cui allocazione ad un livello di  governo  diverso  da
quello ritenuto inadeguato deve  avvenire  per  legge  in  forza  del
principio  di  sussidiarieta'  e,  posto  che   la   legge   potrebbe
attribuirle ad un livello «ultracomunale» (si veda,  ad  es.,  l'art.
3-bis del d.l. n. 138 del 2011), «appare chiaro che nessuna  funzione
di  cura  concreta  di  interessi  e'   ontologicamente   propria   e
indefettibile  per  i  comuni»,  essendo  quest'ultime  solo   quelle
«ordinamentali». 
    In ogni caso, le sentenze sopra citate avrebbero escluso  che  lo
Stato possa ascrivere ad libitum la  qualifica  di  «fondamentale»  a
qualsiasi funzione delle Province, Comuni e Citta'  metropolitane  ed
hanno ritenuto  che  detta  qualificazione  non  possa  riguardare  i
servizi  pubblici  locali  e,  segnatamente,  il  servizio   pubblico
integrato. 
    Ne' potrebbe valere a contrario - soggiunge la difesa regionale -
quanto deciso dalla piu' recente sentenza n. 148  del  2012,  che  ha
dichiarato non fondata «analoga censura» mossa proprio dalla  Regione
Puglia avverso l'art. 14, comma 27, del d.l. n. 78  del  2010,  posto
che in quell'occasione la Corte ha ritenuto che la qualificazione  di
«funzioni fondamentali» fosse caratterizzata  dalla  «transitorieta'»
ed  orientata  a  «limitati  fini»,  mentre  la   norma   attualmente
denunciata detta una disciplina generale e «a regime». 
    6.1.- E' censurata poi, dalla medesima ricorrente, la lettera  d)
del comma 1 dell'art. 19, che affida  alla  Regione  l'individuazione
della dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica
per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei
Comuni   delle   funzioni   fondamentali;    la    norma    impugnata
contrasterebbe, anzitutto, con gli artt. 117, quarto  comma,  e  118,
secondo comma, Cost., «nella parte in cui si rivolge anche a funzioni
amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex  art.  117,
quarto comma, Cost., alla potesta' legislativa regionale residuale». 
    Sul presupposto che le funzioni fondamentali possano essere  solo
quelle «ordinamentali» e, dunque, quelle essenziali  attinenti  «alla
vita stessa e al  governo  degli  enti  locali»,  la  Regione  Puglia
sostiene che  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.  non
potrebbe legittimare lo Stato a dettare disposizioni che disciplinino
l'allocazione e l'esercizio di funzioni  amministrative  soltanto  in
ragione del fatto che queste ultime siano qualificate  «fondamentali»
dalla stessa legge statale. Invero, lo Stato e' legittimato a dettare
principi di allocazione delle funzioni amministrative, che  dovranno,
poi, essere svolti dalla legislazione regionale ed in  tal  senso  si
declina la disciplina oggetto  di  censura,  la  quale  «pone  alcuni
principi fondamentali sulla allocazione di funzioni  amministrative».
Tuttavia,  detta  legittimazione  dovra'  essere  circoscritta   alle
materie  di  competenza  esclusiva  ovvero  a  quelle  di  competenza
concorrente ex art. 117, terzo comma. Cost., ma non gia' investire le
materie di competenza residuale delle Regioni, di cui al quarto comma
dell'art. 117 Cost. 
    L'art. 19, comma 1, lettera d),  del  d.l.  n.  95  del  2012  si
porrebbe, inoltre, in contrasto con l'art. 123, primo e ultimo comma,
Cost., «nella parte in  cui  impone  alla  Regione  di  attivare  una
"concertazione con i comuni  interessati  nell'ambito  del  Consiglio
delle autonomie locali"». 
    Siffatta previsione invaderebbe, infatti, la riserva di  potesta'
statutaria regionale in materia di organizzazione e di  funzionamento
della Regione, stabilita dal primo comma dell'art. 123 Cost., nonche'
sulla disciplina del Consiglio delle autonomie  locali  e  delle  sue
funzioni «quale organo di consultazione fra la  Regione  e  gli  enti
locali», riconosciuta dal quarto comma dello stesso  art.  123.  Ne',
peraltro, sussisterebbe qualche titolo di legittimazione  statale  ad
intervenire  sul  Consiglio   delle   autonomie   locali,   «che   la
Costituzione   espressamente   qualifica   quale   organo   regionale
necessario e indefettibile». Del resto, la normativa statale  con  la
quale si e' individuato l'organo regionale  titolare  di  determinate
funzioni e' stata gia' oggetto di  pronunce  di  incostituzionalita',
per lesione dell'autonomia regionale quanto alla  sua  organizzazione
interna, con le sentenze n. 22 del 2012, n. 201 del 2008 e n. 387 del
2007. 
    6.2.- L'esaminata impugnativa coinvolge anche la disposizione  di
cui alla lettera e) del comma 1 dello stesso art. 19,  che  individua
il limite  demografico  minimo  delle  unioni  di  Comuni  in  10.000
abitanti, salva diversa determinazione da parte della Regione  «entro
i tre mesi  antecedenti  il  primo  termine  di  esercizio  associato
obbligatorio delle funzioni fondamentali, ai sensi del comma 31-ter». 
    Detta  norma,  secondo  la  ricorrente,  violerebbe  l'art.  117,
secondo comma, lettera p), e  quarto  comma,  Cost.,  «in  quanto  il
legislatore  statale  ordinario  non  dispone   di   un   titolo   di
legittimazione a  regolare  l'istituzione  e  l'organizzazione  delle
unioni di comuni, poiche',  in  materia  di  ordinamento  degli  enti
locali,   come   ripetutamente   affermato    dalla    giurisprudenza
costituzionale, gode soltanto della competenza a stabilire  norme  in
tema di legislazione elettorale, funzioni fondamentali  e  organi  di
governo di Province, Comuni e Citta' metropolitane». 
    Infatti dopo la riforma costituzionale del  2001,  lo  Stato  non
avrebbe piu' un titolo di legittimazione  generale  per  disciplinare
«l'ordinamento  degli  enti  locali»,  che  ora  spetta,   in   linea
generale-residuale, alle Regioni,  mentre  lo  Stato  medesimo  «puo'
intervenire soltanto per disciplinare le  funzioni  fondamentali,  la
legislazione elettorale, e gli organi di governo dei soli enti locali
costituzionalmente necessari, ovverosia  Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane», mantenendo,  poi,  per  talune  materie  (ad  es.  il
coordinamento della finanza pubblica), una competenza trasversale. 
    Sarebbe questa, ad avviso della Regione Puglia, una  impostazione
seguita anche dalla giurisprudenza costituzionale, come dimostrerebbe
la ritenuta  non  pertinenza  della  lettera  p)  del  secondo  comma
dell'art.  117  Cost.  al  caso  delle  «comunita'  montane»,   quali
anch'esse «unione di Comuni» (sentenza n. 244 del 2005), al  pari  di
quelle contemplate dalla  norma  denunciata.  Sulla  stessa  scia  si
porrebbero le sentenze n. 173 del 2012, n. 327 del 2009, n.  326  del
2008, n. 397 del 2006  e  n.  456  del  2005,  concernente  il  «"sub
settore" della "organizzazione degli uffici regionali  e  degli  enti
locali" e, all'interno di  quest'ultima,  dell'"organizzazione  delle
societa' dipendenti, esercenti l'industria o i servizi"». 
    6.3.- Quanto al comma 3 dell'art. 19 - che  pone  una  disciplina
articolata delle unioni di Comuni con  differenti  profili  -  ed  al
connesso successivo comma 4, sostiene la ricorrente  che  anche  tali
disposizioni sarebbero in contrasto con l'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), e quarto comma, Cost. 
    Lo Stato - come gia' evidenziato in precedenza  -  non  potrebbe,
infatti,  esibire  una  competenza  legislativa  diversa  da   quella
inerente alla legislazione elettorale, alle funzioni  fondamentali  e
agli organi di governo di Province, Comuni  e  Citta'  metropolitane,
per cui non avrebbe titolo alcuno «per disciplinare  l'istituzione  e
l'organizzazione  di  enti  locali  differenti   da   quelli   appena
menzionati, quali le unioni di comuni, tanto piu' e a maggior ragione
se la suddetta disciplina pretende di assumere -  come  nel  caso  di
specie - natura vincolante e conformativa delle potesta' normative  e
amministrative della Regione e  dei  comuni  interessati»,  cosi'  da
incidere su un ambito affidato alla potesta' regionale  residuale  di
cui al quarto comma dell'art. 117 Cost. 
    6.3.1.- La Regione Puglia, come detto, censura infine il comma  7
dell'art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 3,
dello stesso art. 19, il quale stabilisce in via generale  che  «Alle
unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe  e
dai contributi sui servizi ad esse affidati». 
    La  disposizione  richiamata,  a  suo   avviso,   contrasterebbe,
infatti, con i commi primo, secondo e sesto dell'art. 119  Cost.,  «i
quali, nel riconoscere esclusivamente agli enti autonomi  costitutivi
della Repubblica l'autonomia finanziaria di entrata e  di  spesa,  il
potere di stabilire ed applicare  "tributi  ed  entrate  propri"  (in
armonia con la Costituzione e secondo "i  principi  di  coordinamento
della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario"),  nonche'  la
disponibilita' di un proprio patrimonio,  impediscono  che  la  legge
statale possa sottrarre autonomia impositiva  e  di  entrata  nonche'
risorse patrimoniali ai suddetti enti, attribuendole in titolarita' a
nuovi e diversi enti territoriali» e cioe' alle unioni di Comuni. 
    Peraltro, in tal modo  la  norma  censurata  violerebbe  anche  i
limiti che l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.  impone  alla  potesta'
legislativa dello Stato in materia di  «coordinamento  della  finanza
pubblica e del sistema  tributario»,  «fuoriuscendo  dall'ambito  dei
"principi   fondamentali"   e    invadendo    percio'    gli    spazi
costituzionalmente affidati alla potesta' legislativa  regionale  sia
dal terzo che dal quarto comma dell'art. 117 Cost.». 
    6.4.- In prossimita' dell'udienza del 3 dicembre 2013 la  Regione
Puglia ha depositato memoria, con la  quale  ulteriormente  argomenta
l'illegittimita'  costituzionale   delle   denunciate   disposizioni,
osservando quanto segue. 
    In relazione alla censura che investe la lettera a) del  comma  1
dell'art. 19 (denunciato giacche' «concerne  funzioni  amministrative
diverse da  quelle  propriamente  ordinamentali,  comprendendo  anche
funzioni amministrativo-gestionali e, in ogni caso, perche' qualifica
come "fondamentali" funzioni che non possono  in  alcun  caso  essere
ritenute tra  quelle  "indefettibili"  dei  Comuni»),  la  ricorrente
esclude che lo Stato possa, esso stesso, «definire ed individuare  il
"carattere fondamentale" delle funzioni» di cui alla lettera  p)  del
secondo  comma  dell'art.  117  Cost.,  essendo  queste  solo  quelle
«proprie e indefettibili degli enti locali» e cioe' quelle che l'ente
«deve svolgere necessariamente e immancabilmente, in  modo  tale  che
sarebbe  impensabile  l'esistenza  di  un  ente  locale  che  non  le
svolgesse».  Tali  sarebbero  le  funzioni  «coessenziali  alla  vita
dell'ente» e cioe'  le  funzioni  "ordinamentali"  (tra  cui,  quella
statutaria, regolamentare, di autorganizzazione, di bilancio)  e  non
gia' quelle di «gestione e cura  di  concreti  interessi»,  le  quali
devono, invece, essere distribuite in base  all'art.  118  Cost.  dai
legislatori di volta in volta competenti. In tal  senso,  del  resto,
parrebbe orientarsi anche la difesa erariale, allorche' distingue tra
funzioni attinenti alla vita dell'ente  e  quelle  amministrative  in
senso stretto. 
    Quanto alla censura  che  investe  la  lettera  d)  del  comma  1
dell'art. 19 (denunciato in quanto, «trattandosi di una disciplina di
principio  circa  l'allocazione  delle  funzioni  amministrative,  il
legislatore statale avrebbe potuto legittimamente intervenire solo ed
esclusivamente nell'ambito delle materie per le  quali  sia  titolare
della potesta' esclusiva o - al  piu'  -  concorrente»),  la  Regione
esclude  che  possa  valere,  a  sostegno   dell'infondatezza   della
questione,  l'argomento   della   ascrivibilita'   della   disciplina
impugnata alla materia del «coordinamento  della  finanza  pubblica»,
posto che il suo oggetto principale e' «il riordino delle funzioni  e
la loro redistribuzione alla luce della individuazione  degli  ambiti
ottimali», mentre il fine della riduzione  della  spesa  non  sarebbe
neppure "accessorio". 
    Ne', secondo la ricorrente, potrebbe  al  riguardo  invocarsi  il
titolo legittimante della competenza esclusiva statale  di  cui  alla
lettera p) del secondo comma dell'art. 117 Cost., che, in ogni  caso,
seppure autorizzasse  lo  Stato  stesso  alla  "individuazione  delle
funzioni fondamentali", non potrebbe comunque consentirgli di dettare
una  disciplina  «di  dettaglio  del  contenuto  di   quelle   stesse
funzioni», ove pertinenti a materie di competenza regionale. 
    7.- In tutti i riferiti giudizi si e'  costituito  il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, formulando - e ribadendo in successive  memorie
- conclusioni di inammissibilita' o comunque di non fondatezza  delle
questioni sollevate dalle Regioni. 
    La difesa erariale osserva  che  la  definizione  delle  funzioni
fondamentali rientra nella competenza esclusiva  statale  e  l'elenco
dettato dalla norma denunciata non esorbita da  siffatta  competenza,
ma    vi    include    «funzioni    di    organizzazione     generale
dell'amministrazione, gestione finanziaria, contabile e di controllo,
che attengono alla vita ed al governo dell'ente» e che vanno distinte
dalle funzioni amministrative in senso  stretto.  Sostiene,  infatti,
che le funzioni fondamentali dei Comuni di cui alla  lettera  p)  del
secondo comma dell'art. 117 Cost. «coincidono con le funzioni proprie
di  cui  all'art.  118,  secondo  comma,  Cost.,  si'   che   l'unica
distinzione munita di un significato e' quella tra funzioni proprie e
funzioni conferite», ed il citato art. 117,  secondo  comma,  lettera
p),  «integra,  dunque,  una  competenza  trasversale,  in  grado  di
consentire allo Stato l'individuazione delle funzioni fondamentali di
Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane   anche   nelle   materie
riconducibili alla  competenza  legislativa  regionale,  residuale  e
concorrente». 
    Tale  impostazione  sarebbe  confermata  dall'art.  2,  comma  4,
lettera b), della legge n. 131 del 2003, il quale  fa  coincidere  la
nozione di funzioni fondamentali con quella di funzioni proprie,  che
spetta allo Stato individuare ed allocare ad un  livello  di  governo
piuttosto che ad un altro, nel rispetto del primo comma dell'art. 118
Cost., senza pero' incontrare il limite del riparto delle  competenze
legislative, «cosicche' tale operazione ben  puo'  essere  svolta  su
ogni sorta di funzione  amministrativa,  quale  che  sia  l'ente  cui
spetta la competenza legislativa sulla materia». Il limite  dell'art.
117 Cost.  opererebbe,  invece,  per  la  disciplina  delle  funzioni
fondamentali, posto che l'art. 117, sesto comma, Cost.,  «attribuisce
a comuni, province e citta' metropolitane la  potesta'  regolamentare
in ordine alla disciplina  dell'organizzazione  e  dello  svolgimento
delle  funzioni  loro  attribuite».   Peraltro,   ove   le   funzioni
fondamentali siano riconducibili a materie  di  competenza  regionale
(concorrente   o   residuale),   «spetta   allo   Stato   individuare
esclusivamente il livello di governo al quale  imputare  la  funzione
fondamentale, residuando in capo alla Regione il compito  di  dettare
la disciplina della relativa  funzione»;  e  tale  principio  risulta
rispettato dalla norma denunciata. 
    Sarebbe  altresi'  destituita  di  fondamento  la  censura  della
lettera d) del comma 1 dell'art. 19 per asserito contrasto con l'art.
123 Cost., giacche' la norma denunciata non detta la  disciplina  sul
funzionamento  del  Consiglio  delle  autonomie  locali,  ma  prevede
soltanto  che  la  Regione  individui  la   dimensione   territoriale
ottimale, previa concertazione con i Comuni interessati, da svolgersi
nell'ambito di detto Consiglio. 
    La  difesa  erariale  sostiene  altresi'   l'infondatezza   delle
ulteriori doglianze riguardanti l'art. 19, e qui scrutinate, giacche'
le disposizioni denunciate  perseguono  l'obiettivo  di  contenimento
della spesa corrente per il funzionamento degli enti  locali  tramite
un disciplina uniforme, che  viene  a  coordinare  la  disciplina  di
settore;  si  tratterebbe,  dunque,   di   normativa   di   principio
riconducibile alla materia del coordinamento della finanza pubblica. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Sono state proposte dalle Regioni Lazio, Veneto,  Campania  e
Puglia,  e  dalla  Regione  autonoma  Sardegna  varie  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 19 del decreto-legge  6  luglio
2012, n. 95  (Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  7
agosto 2012, n. 135. 
    Segnatamente, le disposizioni  denunciate  -  seppure  in  misura
diversa da parte di ciascuna Regione - sono quelle di cui al comma 1,
lettere a), b), c), d), e), ed ai commi da 2 a 6. 
    2.- In questa sede si avra' riguardo alle questioni che attengono
ai commi 1, 3 e 4, essendo state riservate  a  separata  trattazione,
nella stessa udienza del 3 dicembre 2013, quelle relative ai commi 2,
5 e 6. 
    2.1.- L'art. 19, comma 1, lettera a), e' specificamente censurato
dalla Regione  Campania  «nella  parte  in  cui,  nel  modificare  la
disciplina delle funzioni  fondamentali  dei  comuni  precedentemente
recata» dall'art. 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.
78 (Misure urgenti in materia di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, «riconosce in materia
alle Regioni le sole funzioni di programmazione e  di  coordinamento,
spettanti nelle materie di cui all'art. 117, commi  terzo  e  quarto,
Cost., nonche' quelle esercitate ai sensi dell'art. 118 Cost.». 
    Detta norma, ad avviso della  ricorrente,  violerebbe  gli  artt.
117, commi terzo e quarto, e 118 Cost., giacche',  nel  circoscrivere
il ruolo  delle  Regioni  a  quello  dell'esclusivo  svolgimento  dei
compiti di programmazione e coordinamento, di fatto sottrarrebbe agli
stessi enti «tutte le funzioni non espressamente richiamate, malgrado
le stesse siano pacificamente [loro] spettanti ai  sensi  del  chiaro
disposto degli artt. 117 e 118 Cost.»,  cosi'  da  ridimensionare  in
modo illegittimo il potere della Regione «di optare  per  un  diverso
sistema di riparto delle funzioni amministrative». 
    La stessa disposizione e' denunciata dalla Regione  Puglia  nella
parte in cui include tra le «funzioni fondamentali» dei Comuni  anche
funzioni  amministrative   ricadenti   in   materie   di   competenza
legislativa concorrente o residuale regionale. Donde, la  prospettata
lesione degli art. 117, secondo comma, lettera  p),  terzo  e  quarto
comma, e 118, secondo comma, Cost., essendo la  potesta'  legislativa
statale di cui alla citata lettera p) «per sua natura, limitata», non
potendo lo  Stato  giungere  a  «qualificare  liberamente»  qualsiasi
funzione amministrativa come «funzione  fondamentale»  dei  Comuni  o
delle Province, cosi' da  poterne  disporre  l'integrale  disciplina,
tanto da privare di «contenuto precettivo  gli  artt.  117,  terzo  e
quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., i  quali  prescrivono  che
sia la  legge  regionale  ad  allocare  e  disciplinare  le  funzioni
amministrative  nelle  materie  diverse  da  quelle   di   competenza
legislativa statale»; con l'ulteriore conseguenza che dette  funzioni
fondamentali non possano identificarsi con  quelle  aventi  la  «cura
concreta di interessi». 
    2.2.- Le disposizioni di cui alle lettere da b) a d) del comma  1
dell'art. 19, la' dove stabiliscono  l'esercizio  obbligatorio  delle
funzioni fondamentali, mediante unione o convenzione,  da  parte  dei
Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (3.000 se  in  comunita'
montane), sono accomunate in un'unica censura dalla Regione Campania,
la quale si duole di un vulnus agli artt. 117, terzo e quarto  comma,
e 118 Cost., giacche' il ruolo della Regione verrebbe limitato  «alla
mera  individuazione,  previa  concertazione  con  gli  enti   locali
interessati  nell'ambito  del  C.A.L.  [Consiglio   delle   autonomie
locali], della dimensione territoriale ottimale e omogenea  per  area
geografica per lo svolgimento associato delle funzioni suddette». 
    2.3.- La disposizione di cui alla lettera d) del citato  comma  1
dell'art. 19 e' impugnata anche dalla Regione Puglia, sia nella parte
in cui si rivolge  a  funzioni  amministrative  ricadenti  in  ambiti
materiali affidati, ex art. 117, quarto comma, Cost.,  alla  potesta'
legislativa regionale residuale, sia nella parte in cui  impone  alla
Regione di attivare  una  «concertazione  con  i  comuni  interessati
nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali». 
    Ad avviso della ricorrente sussisterebbe, quanto al primo profilo
di censura, una lesione degli artt. 117, quarto comma, e 118, secondo
comma, Cost., giacche', potendo le funzioni fondamentali essere  solo
quelle «ordinamentali» e, dunque, quelle essenziali  attinenti  «alla
vita stessa e al governo degli enti locali», lo  Stato  non  potrebbe
che disciplinare funzioni amministrative «fondamentali» in materie di
competenza esclusiva ovvero di competenza concorrente  ex  art.  117,
terzo comma. Cost., ma non gia' investire le  materie  di  competenza
residuale delle Regioni. 
    In riferimento al secondo aspetto della doglianza,  verrebbe  poi
in rilievo il contrasto con l'art. 123, primo e ultimo comma,  Cost.,
che pone una riserva di potesta' statutaria regionale in  materia  di
organizzazione  e  di  funzionamento  della  Regione,  nonche'  sulla
disciplina del Consiglio delle autonomie locali e delle sue  funzioni
«quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali». 
    La Regione Puglia denuncia, altresi', la lettera e) dello  stesso
comma 1 dell'art. 19, asserendo che violerebbe  l'art.  117,  secondo
comma, lettera p), e quarto comma, Cost., «in quanto  il  legislatore
statale ordinario non  dispone  di  un  titolo  di  legittimazione  a
regolare l'istituzione e l'organizzazione  delle  unioni  di  comuni,
poiche',  in  materia  di  ordinamento  degli   enti   locali,   come
ripetutamente affermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  gode
soltanto della competenza a stabilire norme in tema  di  legislazione
elettorale, funzioni fondamentali e organi di  governo  di  Province,
Comuni e Citta' metropolitane». 
    2.4.- Le disposizioni di cui alle lettere da a) a d) del comma  1
dell'art. 19 sono unitariamente censurate dalla  Regione  Lazio,  che
adduce, a sua volta, un vulnus all'art. 117, secondo  comma,  lettera
p), terzo e quarto comma, Cost., in combinato disposto tra loro,  per
lesione  delle  attribuzioni  costituzionali  regionali,  nell'ambito
delle quali andrebbe ricondotta «la  regolazione  delle  associazioni
degli enti locali»,  dovendo  lo  Stato  «limitarsi  a  stabilire  la
disciplina in tema di "legislazione elettorale, organi di  governo  e
funzioni fondamentali di Comuni, Province  e  Citta'  metropolitane",
restando evidentemente esclusi  da  tale  "voce"  tutti  gli  aspetti
riguardanti l'associazionismo di tali enti». 
    2.5.- Le disposizioni di cui alle  lettere  da  b)  ad  e)  dello
stesso comma 1 dell'art.  19  sono  denunciate  anche  dalla  Regione
Veneto 
    Pure ad avviso di detta ricorrente, il citato art. 19 violerebbe,
in parte qua, l'art. 117, quarto comma, Cost., essendo riservata alla
potesta' legislativa regionale la materia «forme associative tra  gli
enti locali»; nonche' l'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  quanto  le
censurate  disposizioni,  ancorche'   qualificate   come   norme   di
«coordinamento della  finanza  pubblica»,  sarebbero  ben  lungi  dal
costituire principi fondamentali di siffatta materia, posto che,  per
un verso, non si limitano a porre  obiettivi  di  riequilibrio  della
finanza pubblica, «intesi nel senso di  un  transitorio  contenimento
complessivo, anche se non generale, della  spesa  corrente»,  e,  per
altro verso, prevedono «in modo esaustivo strumenti o  modalita'  per
il perseguimento dei suddetti obiettivi». 
    Sussisterebbe, altresi', una lesione dell'art. 118, primo  comma,
Cost., il quale non fa riferimento  alle  unioni  di  Comuni  o  alle
convenzioni  tra   Comuni,   che,   pertanto,   «dovrebbero   essere,
soprattutto nel rispetto del  fondamentale  art.  114  Cost.,  libere
forme associative cui il Comune puo'  (non  deve)  ricorrere»;  cosi'
come sarebbero vulnerati gli artt. 3 e 97 Cost., essendo i Comuni con
popolazione fino a 5.000 abitanti «obbligati tout court (e quindi  in
violazione  del   principio   costituzionale   di   differenziazione)
all'esercizio mediante unione di  Comuni  o  convenzione  delle  loro
funzioni fondamentali». 
    2.6.- Il comma 3, ed il  connesso  comma  4,  dell'art.  19  sono
impugnati da tutte le ricorrenti Regioni  a  statuto  ordinario,  che
convergono nel prospettare la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.,
posto che dette censurate disposizioni inciderebbero sulla competenza
regionale riferita alla disciplina degli strumenti e delle  modalita'
a disposizione dei Comuni per l'esercizio  congiunto  delle  funzioni
loro spettanti. 
    In  particolare  la   Regione   Puglia   argomenta   la   dedotta
illegittimita' del comma 3 dell'art. 19 con distinto riferimento alle
parti in cui esso sostituisce sia i commi 1, 2, 3 e 4, sia per  altro
verso il comma 7 dell'art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali). 
    Sotto il primo profilo di censura,  la  norma  violerebbe  l'art.
117, secondo comma, lettera p), e quarto comma,  Cost.,  giacche'  lo
Stato non potrebbe far valere una competenza legislativa  diversa  da
quella  inerente  alla   legislazione   elettorale,   alle   funzioni
fondamentali e agli organi di governo di Province,  Comuni  e  Citta'
metropolitane, per cui non avrebbe titolo  alcuno  «per  disciplinare
l'istituzione e l'organizzazione di enti locali differenti da  quelli
appena menzionati, quali le unioni di comuni, tanto piu' e a  maggior
ragione se la suddetta disciplina pretende di  assumere  -  come  nel
caso di specie - natura  vincolante  e  conformativa  delle  potesta'
normative e amministrative della Regione e dei  comuni  interessati»,
cosi' da incidere su  un  ambito  affidato  alla  potesta'  regionale
residuale. 
    In relazione all'altro profilo della doglianza, sussisterebbe  un
contrasto sia con l'art. 119, primo, secondo e  sesto  comma,  Cost.,
che  impedisce  che  la  legge  statale  possa  sottrarre   autonomia
impositiva e di entrata, nonche'  risorse  patrimoniali  ai  suddetti
enti  autonomi  costitutivi  della   Repubblica,   attribuendole   in
titolarita' a nuovi e diversi enti territoriali e cioe'  alle  unioni
di  Comuni;  sia  con  l'art.  117,  terzo  e  quarto  comma,  Cost.,
esorbitando dai principi fondamentali in  materia  di  «coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario» e invadendo  percio'
gli  spazi  costituzionalmente  affidati  alla  potesta'  legislativa
regionale concorrente e residuale. 
    2.7.- La Regione autonoma Sardegna - nell'impugnare, in forza  di
censure sostanzialmente indistinte, l'intero art. 19 - ha,  con  piu'
specifica attinenza  al  suo  comma  3,  prospettato,  anzitutto,  la
violazione  dell'art.  3,  primo  comma,  lettera  b),  della   legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna), sul rilievo che la  normativa  denunciata,  nell'istituire
obbligatoriamente unioni di Comuni, e nel ridurre  contestualmente  i
consigli comunali a puri organi di  partecipazione  e  il  sindaco  a
semplice  ufficiale  di  Governo,  provocherebbe,   di   fatto,   «la
soppressione dei comuni che partecipano a questa forma associativa  e
la loro sostituzione con un nuovo tipo  di  ente  territoriale»,  con
conseguente contrasto con le  norme  che  garantiscono  alla  Regione
Sardegna una sfera di autonomia legislativa esclusiva in  materia  di
«ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». 
    Sarebbe leso, altresi', secondo la ricorrente, anche l'art.  117,
quarto comma, Cost., posto che la competenza esclusiva dello Stato di
cui alla lettera p) dell'art. 117, secondo comma, Cost.,  cosi'  come
non puo' riguardare le comunita' montane (la cui  disciplina  rientra
in quella residuale regionale,  siccome  garantita,  per  il  tramite
dell'art. 10  della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3
«Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», anche
alla Regione autonoma Sardegna), cosi' del pari non potrebbe attenere
alle unioni di Comuni. 
    3.-  Possono  essere  scrutinate  preliminarmente  le   questioni
proposte dalla Regione autonoma Sardegna, giacche'  queste,  rispetto
alle altre impugnazioni, presentano un profilo  peculiare,  derivante
dalla connotazione di ente ad autonomia speciale della ricorrente. 
    Va, infatti, evidenziato che il d.l. n. 95 del 2012,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, ha previsto  all'art.
24-bis, la seguente "Clausola di salvaguardia":  «Fermo  restando  il
contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome
di  Trento  e  di  Bolzano  all'azione  di  risanamento  cosi'   come
determinata dagli articoli 15 e 16,  comma  3,  le  disposizioni  del
presente decreto  si  applicano  alle  predette  regioni  e  province
autonome  secondo  le  procedure  previste  dai  rispettivi   statuti
speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con  riferimento
agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le  funzioni
in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali  dei
predetti  enti  territoriali  e  agli  altri  enti  o  organismi   ad
ordinamento regionale o provinciale». 
    Su  tale  clausola  di  salvaguardia  questa  Corte  si  e'  gia'
pronunciata (sentenze n. 236, n. 225 e n. 215 del 2013),  ponendo  in
rilievo che essa «ha la precisa funzione di  rendere  applicabili  le
disposizioni del decreto agli enti ad autonomia differenziata solo  a
condizione che, in ultima analisi, cio' avvenga nel "rispetto"  degli
statuti speciali» (segnatamente, sent. n. 236 del 2013),  derivandone
la non fondatezza della questione sollevata sulla norma del  d.l.  n.
95 del 2012 anche la' dove questa sia in contrasto con  la  normativa
statutaria. 
    Sicche', interferendo le disposizioni censurate con  la  potesta'
esclusiva in materia  di  «ordinamento  degli  enti  locali  e  delle
relative circoscrizioni», di cui all'art.  3  dello  statuto  per  la
Sardegna, viene, nella specie, appunto, ad  operare  la  clausola  di
salvaguardia di cui all'art. 24-bis del d.l.  n.  95  del  2012,  con
conseguente declaratoria di non fondatezza della questione  sollevata
dalla Regione Sardegna. 
    4.- Vengono ora in  esame  le  impugnative  delle  altre  Regioni
ricorrenti, con distinto riferimento alle varie disposizioni  oggetto
di censura. 
    4.1.- Le questioni che  investono  la  lettera  a)  del  comma  1
dell'art. 19 non sono fondate. 
    4.1.1.- Per meglio  cogliere  la  portata  delle  censure,  giova
premettere una sintetica ricognizione del quadro normativo  entro  il
quale si colloca  il  thema  decidendum,  rammentando  anzitutto  che
l'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. riserva  allo  Stato  la
potesta' legislativa in materia di «legislazione  elettorale,  organi
di governo e funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane». 
    Quanto alle «funzioni fondamentali di Comuni» -  che  interessano
in questa sede  -  l'art.  2  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131
(Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3),   modificato
dall'art. 1 della legge 28 maggio 2004, n. 140 (Conversione in legge,
con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo 2004,  n.  80,  recante
disposizioni urgenti in materia di enti locali. Proroga di termini di
deleghe legislative) e, successivamente, dall'art. 5 della  legge  27
dicembre 2004, n. 306 (Conversione in legge, con  modificazioni,  del
decreto-legge 9 novembre 2004, n. 266, recante proroga o differimento
di termini previsti  da  disposizioni  legislative.  Disposizioni  di
proroga di termini per l'esercizio di deleghe legislative), assegnava
al Governo la delega, da esercitare entro il 31 dicembre 2005, per la
«individuazione delle funzioni fondamentali, ai  sensi  dell'articolo
117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il
funzionamento di Comuni, Province e Citta' metropolitane nonche'  per
il  soddisfacimento   di   bisogni   primari   delle   comunita'   di
riferimento». 
    Tra i  principi  e  criteri  direttivi  della  delega,  oltre  al
rispetto delle competenze legislative e costituzionali ai sensi degli
artt. 114, 117 e 118 Cost.,  era  annoverata  (comma  4,  lettera  b)
l'individuazione  delle  funzioni  fondamentali  dei  Comuni,   delle
Province e delle Citta' metropolitane «in modo da prevedere, anche al
fine della tenuta e della coesione dell'ordinamento della Repubblica,
per ciascun livello di governo locale,  la  titolarita'  di  funzioni
connaturate alle caratteristiche proprie di  ciascun  tipo  di  ente,
essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell'ente e per  il
soddisfacimento di bisogni primari delle  comunita'  di  riferimento,
tenuto conto, in  via  prioritaria,  per  Comuni  e  Province,  delle
funzioni storicamente svolte». 
    Peraltro, si prevedeva, anche una valorizzazione dei «principi di
sussidiarieta',  di   adeguatezza   e   di   differenziazione   nella
allocazione  delle  funzioni  fondamentali  in  modo  da  assicurarne
l'esercizio  da  parte  del  livello  di  ente  locale  che,  per  le
caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantisca  l'ottimale
gestione anche mediante l'indicazione dei  criteri  per  la  gestione
associata tra i Comuni»  (comma  4,  lettera  c);  la  previsione  di
«strumenti che  garantiscano  il  rispetto  del  principio  di  leale
collaborazione  tra  i  diversi  livelli  di  governo  locale   nello
svolgimento delle funzioni fondamentali che richiedono  per  il  loro
esercizio la partecipazione di piu'  enti,  allo  scopo  individuando
specifiche forme di consultazione e  di  raccordo  tra  enti  locali,
Regioni e Stato» (comma 4,  lettera  d);  nonche'  la  valorizzazione
delle «forme  associative  anche  per  la  gestione  dei  servizi  di
competenza statale affidati ai comuni» (comma 4, lettera n). 
    La delega anzidetta non e' stata esercitata,  sicche'  la  prima,
provvisoria, individuazione delle funzioni fondamentali si e'  avuta,
nell'ambito del processo di attuazione  del  cosiddetto  "federalismo
fiscale", con l'art. 21 della legge 5 maggio 2009, n. 42  (Delega  al
Governo  in   materia   di   federalismo   fiscale,   in   attuazione
dell'articolo 119 della  Costituzione),  orientata,  in  particolare,
secondo il comma 2, alla «determinazione dell'entita' e  del  riparto
dei fondi  perequativi  degli  enti  locali  in  base  al  fabbisogno
standard o alla capacita' fiscale» di Comuni e Province. 
    In attesa dell'emanazione della legislazione delegata, il comma 3
dello stesso art. 21 ha «provvisoriamente» individuato per  i  Comuni
le seguenti funzioni: «a) funzioni generali  di  amministrazione,  di
gestione e di controllo, nella misura complessiva del  70  per  cento
delle  spese  come  certificate  dall'ultimo   conto   del   bilancio
disponibile alla data di entrata in vigore della presente  legge;  b)
funzioni di polizia locale; c) funzioni di istruzione  pubblica,  ivi
compresi i  servizi  per  gli  asili  nido  e  quelli  di  assistenza
scolastica e refezione, nonche' l'edilizia  scolastica;  d)  funzioni
nel campo della viabilita' e dei trasporti; e)  funzioni  riguardanti
la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta  eccezione  per  il
servizio di edilizia  residenziale  pubblica  e  locale  e  piani  di
edilizia nonche' per il servizio idrico integrato;  f)  funzioni  del
settore sociale». 
    Nell'esercizio della anzidetta delega e' poi intervenuto l'art. 3
del decreto legislativo 26 novembre 2010,  n.  216  (Disposizioni  in
materia di determinazione dei costi  e  dei  fabbisogni  standard  di
Comuni, Citta' metropolitane e Province), che, per i  fini  specifici
dello stesso decreto legislativo, ha  ribadito  l'individuazione  «in
via provvisoria» delle funzioni fondamentali di cui all'art. 21 delle
legge n. 42 del 2009, precisando anch'esso che  cio'  avveniva  «fino
alla data di entrata in vigore della legge statale di  individuazione
delle  funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Citta'  metropolitane   e
Province». 
    Un richiamo espresso all'art. 21 della legge n. 42  del  2009  si
rinveniva  nell'art.  14,  comma  27  del  d.l.  n.  78   del   2010;
disposizione che e' stata  poi  sostituita  da  quella  denunciata  e
sottoposta all'attuale esame. Anche in questo caso, il rinvio era per
i fini «dei commi da 25 a 31» (cioe' per l'esercizio associato  delle
funzioni fondamentali tramite convenzioni  o  unioni  di  Comuni)  e,
segnatamente, «fino alla data di entrata in vigore  della  legge  con
cui sono individuate le funzioni  fondamentali  di  cui  all'articolo
117, secondo comma, lettera p), della Costituzione». 
    E', dunque, con la censurata disposizione della  lettera  a)  del
comma 1 dell'art. 19  del  d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, che,  nel  riscrivere  il
comma 27 dell'art. 14 citato, vengono individuate, non  piu'  in  via
dichiaratamente  provvisoria,  ne'  con   espressa   limitazione   od
orientamento verso  specifici  fini,  le  funzioni  fondamentali  dei
Comuni, tramite una elencazione piu' ampia di quella che  recavano  i
citati artt. 21 della legge n. 42 del 2009 e 3 del d.lgs. n. 216  del
2010. 
    La  nuova  disposizione  appare  ispirata  da   quanto   previsto
dall'art. 2 del d.d.l. n. 2259 (attualmente  all'esame  del  Senato),
noto come "Carta delle  autonomie",  sebbene  quest'ultimo  rechi  un
numero ancor piu' ampio di funzioni fondamentali dei Comuni. 
    4.1.2.- Questa Corte ha ritenuto, in  linea  piu'  generale,  che
l'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.  «indica  le  componenti
essenziali dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali,  per
loro natura disciplinate da leggi destinate  a  durare  nel  tempo  e
rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali  di  lungo  periodo,
secondo le linee  di  svolgimento  dei  principi  costituzionali  nel
processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato  da
quelli regionali» (sentenza n. 220 del 2013). 
    Peraltro, al di la' di quale possa essere la  configurazione  del
rapporto tra le «funzioni fondamentali»  degli  enti  locali  di  cui
all'articolo 117, secondo comma, lettera p), e le «funzioni  proprie»
di cui all'art. 118, secondo comma, Cost., in ogni caso «sara' sempre
la  legge,  statale  o  regionale,  in  relazione  al  riparto  delle
competenze legislative, a  operare  la  concreta  collocazione  delle
funzioni, in conformita' alla generale attribuzione costituzionale ai
Comuni o in deroga ad essa per esigenze di  "esercizio  unitario",  a
livello sovracomunale, delle funzioni medesime» (sentenza n.  43  del
2004). Sicche', in tale prospettiva, si e' escluso (sentenze  n.  325
del 2010 e  n.  272  del  2004)  che  la  disciplina  concernente  le
modalita' dell'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica possa ascriversi  all'ambito  delle  «funzioni
fondamentali dei Comuni,  delle  Province  e  Citta'  metropolitane»,
perche' «la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi
esplicazione di  una  funzione  propria  ed  indefettibile  dell'ente
locale». 
    Tale assunto e' stato fatto proprio anche dalla sentenza  n.  307
del 2009, la quale pero' ha ritenuto, con  specifico  riferimento  al
servizio idrico integrato, che la non separabilita' tra  la  gestione
della rete e la gestione  di  detto  servizio  costituisca  principio
riconducibile alla competenza esclusiva dello  Stato  in  materia  di
funzioni fondamentali dei Comuni, posto che «le  competenze  comunali
in ordine al servizio idrico sia per  ragioni  storico-normative  sia
per l'evidente essenzialita' di  questo  alla  vita  associata  delle
comunita' stabilite nei territori comunali devono essere  considerate
quali  funzioni  fondamentali  degli  enti   locali»,   restando   la
competenza regionale nella materia di servizi pubblici locali «in  un
certo senso limitata  dalla  competenza  statale  suddetta»,  potendo
«continuare ad essere esercitata  negli  altri  settori,  nonche'  in
quello dei servizi fondamentali, purche' non  sia  in  contrasto  con
quanto stabilito dalle leggi  statali».  Diversamente  si  e'  invece
opinato quanto, per l'appunto,  alle  modalita'  di  affidamento  dei
servizi pubblici locali a  rilevanza  economica,  per  cui  non  puo'
essere evocata la lettera p) del secondo comma dell'art.  117  Cost.,
giacche' «la regolamentazione di tali modalita' non riguarda un  dato
strutturale del servizio ne' profili funzionali degli enti locali  ad
esso interessati (come, invece, la precedente questione relativa alla
separabilita' tra gestione della  rete  ed  erogazione  del  servizio
idrico), bensi' concerne l'assetto competitivo da dare al mercato  di
riferimento». 
    Sin d'ora giova inoltre rammentare che la competenza  legislativa
esclusiva statale di cui alla citata lettera p) non e' invocabile  in
riferimento alle "comunita' montane", atteso che il richiamo limitato
a Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane,  ivi  presente,  «deve
ritenersi tassativo» (sentenze n. 237 del 2009, n. 397 del  2006,  n.
456 del 2005 e n. 244 del 2005). 
    Specifico e peculiare rilievo assume, inoltre, la sentenza n. 148
del 2012 di questa Corte, che ha dichiarato non fondate le  questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 27, del d.l. n. 78
del 2010, su cui e' intervenuta la norma denunciata. 
    Si trattava, invero, di censure mosse  dalla  Regione  Puglia  in
forza di argomentazioni che, in  parte,  sono  riproposte  in  questa
sede. La Regione allora sosteneva, infatti, che il richiamo  all'art.
21, comma 3, della  legge  n.  42  del  2009  avrebbe  consentito  di
estendere la qualifica di "funzioni fondamentali dei  Comuni"  -  con
conseguente  attribuzione  allo  Stato  della   relativa   competenza
legislativa      esclusiva      -       «anche       a       funzioni
"amministrativo-gestionali", o comunque, piu' in generale, a funzioni
volte alla cura concreta di interessi». Sicche', la  norma  impugnata
sarebbe stata in  contrasto  con  «i  limiti  che  caratterizzano  la
potesta' legislativa attribuita allo  Stato  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera p), Cost., ledendo gravemente l'autonomia  legislativa
della Regione, riconosciuta dai commi terzo e  quarto  dell'art.  117
Cost.  e  richiamata  dal  comma  secondo  dell'art.  118  Cost.,  in
riferimento  alla  disciplina  ed  alla  allocazione  delle  funzioni
amministrative dei Comuni». 
    La Corte ha ritenuto, invece, che le questioni muovessero «da  un
erroneo presupposto interpretativo, in  quanto  il  richiamo  operato
dalla norma impugnata alla generica elencazione di cui  all'art.  21,
comma 3, della legge n. 42 del 2009 non e', di  per  se',  lesivo  di
competenze legislative e amministrative delle  Regioni»,  rispondendo
esso «all'esigenza di sopperire,  sia  pure  transitoriamente  ed  ai
limitati fini indicati nella stessa  norma  impugnata,  alla  mancata
attuazione della delega contenuta nell'art. 2 della  legge  5  giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento  della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3)». 
    4.1.3.- Superata, con la norma denunciata, la provvisorieta' e la
settorialita' degli interventi normativi precedenti  in  materia,  ne
deve, quindi, conseguire che allo Stato spetta l'individuazione delle
funzioni fondamentali dei Comuni tra quelle che  vengono  a  comporre
l'intelaiatura  essenziale  dell'ente  locale,  cui,   pero',   anche
storicamente, non sono estranee le funzioni che attengono ai  servizi
pubblici locali; sicche' l'elencazione di cui alla  norma  denunciata
non si discosta da siffatto criterio elettivo. 
    La disciplina di dette funzioni e', invece, nella potesta' di chi
- Stato o Regione - e' intestatario della  materia  cui  la  funzione
stessa si riferisce. 
    In definitiva,  la  legge  statale  e'  soltanto  attributiva  di
funzioni   fondamentali,    dalla    stessa    individuate,    mentre
l'organizzazione  della  funzione  rimane  attratta  alla  rispettiva
competenza  materiale  dell'ente  che  ne  puo'   disporre   in   via
regolativa. 
    La competenza regionale, nelle materie - di carattere concorrente
o residuale - ad essa riservate,  non  viene,  dunque,  incisa  dalla
disposizione in esame,  per  cui  perdono  di  consistenza  tutte  le
censure proposte. 
    4.2.- Le questioni relative all'art. 19, comma 1, lettere b), c),
d) ed e), non sono fondate. 
    4.2.1.- Le doglianze attengono, in via generale, alla  disciplina
sulla gestione associata delle funzioni fondamentali. 
    Il comma 1, lettera b), dell'art. 19, sostituendo  il  previgente
comma 28 dell'art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, ha previsto che  tutti
i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino  a  3.000
abitanti se appartengono o  sono  appartenuti  a  comunita'  montane,
esercitino obbligatoriamente in forma associata, mediante  unioni  di
Comuni (art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000) o  convenzione  (art.  30
dello stesso d.lgs. n.  267  del  2000),  la  quasi  totalita'  delle
funzioni fondamentali, con esclusione della tenuta  dei  registri  di
stato civile e  di  popolazione  e  compiti  in  materia  di  servizi
anagrafici nonche' in materia di  servizi  elettorali  e  statistici,
nell'esercizio delle funzioni di competenza statale. 
    Rispetto  alle  previgente  disciplina,  non  sussiste  piu'   la
divisione tra Comuni sopra e sotto i 1000 abitanti. 
    La disposizione in esame ricomprende,  infatti,  anche  i  Comuni
sotto i 1.000 abitanti, ai quali, tuttavia, il comma 2  dello  stesso
art. 19 riserva la facolta' di  accedere  ad  un  modello  di  unione
derogatorio, regolato dall'art. 16 del decreto-legge 13 agosto  2011,
n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e
per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma
1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, come sostituito dal  citato
comma 2 dell'art. 19, e non gia' quella dell'art. 32 del d.lgs n. 267
del 2000, inciso dal comma 3 del medesimo  art.  19,  che  invece,  a
mente della denunciata lettera c) del comma 1, si applica alle unioni
di cui al comma 28 dell'art.  14  del  d.l.  n.  78  del  2010,  come
modificato dalla lettera b) citata. 
    Le lettere d) ed e) del comma 1 introducono modifiche ai commi 30
e 31 dell'art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, concernenti sia il termine
entro il quale la Regione  puo'  determinare  un  limite  demografico
minimo dell'unione dei Comuni diverso da quello pari a 10.000, sia  i
termini (gia' prorogati dal decreto-legge 29 dicembre  2011,  n.  216
«Proroga  di   termini   previsti   da   disposizioni   legislative»,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  24
febbraio 2012, n. 14) entro i quali i  Comuni  attuano  le  novellate
disposizioni in tema di obbligo di esercizio associato di funzioni. 
    In particolare: 
    - il limite demografico minimo  delle  unioni  e'  confermato  in
10.000 abitanti, salvo diverso limite determinato dalla Regione entro
il 1°  ottobre  2012  con  riguardo  ad  almeno  tre  delle  funzioni
fondamentali ed entro il 1° ottobre 2013 per le  altre.  Le  Regioni,
infatti,  nelle  materie  di  competenza  concorrente  e   residuale,
potranno individuare, previa concertazione con i Comuni da  svolgersi
nell'ambito  del  Consiglio  delle  autonomie  locali  (CAL),  limiti
diversi; 
    - la durata minima delle convenzioni per l'esercizio obbligatorio
delle funzioni in forma associata e' fissata in tre anni. Al  termine
di tale periodo, qualora non si dimostri l'efficacia  e  l'efficienza
nella gestione, i Comuni sono obbligati  ad  esercitare  le  funzioni
mediante unione; 
    - sono stati  ridefiniti  i  termini  per  dare  attuazione  alla
gestione  associata  tra  piccoli  Comuni  secondo  un   procedimento
articolato in due fasi: 
    a) entro il 1° gennaio 2013 i Comuni interessati devono  svolgere
in forma associata almeno tre delle funzioni fondamentali; 
    b) entro il 1° gennaio  2014  l'obbligo  di  esercizio  associato
coinvolge anche le altre sette funzioni. 
    Rispetto ai termini di attuazione stabiliti, la nuova  disciplina
prevede che, qualora i Comuni non ottemperino,  il  prefetto  assegna
loro un termine perentorio, decorso il  quale  si  attiva  il  potere
sostitutivo del Governo ai sensi dell'art. 8 della legge n.  131  del
2003. 
    4.2.2.- La giurisprudenza  di  questa  Corte  in  tema  di  forme
associative di enti locali ha riguardato, segnatamente, le  comunita'
montane, che rappresentano «un caso speciale  di  unioni  di  Comuni,
create in vista della valorizzazione delle zone montane,  allo  scopo
di esercitare, in modo piu' adeguato di quanto non  consentirebbe  la
frammentazione dei  comuni  montani,  "funzioni  proprie",  "funzioni
conferite" e funzioni comunali» (cosi' la citata sentenza n. 244  del
2005). 
    Si e' gia' detto, peraltro, come la  competenza  statale  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. sia, in  tale  ambito,
inconferente,  giacche'  l'ordinamento  delle  comunita'  montane  e'
riservato alla competenza legislativa residuale delle Regioni, di cui
al  quarto  comma  dell'art.  117  Cost.,  pur  in   presenza   della
qualificazione di dette comunita'  come  enti  locali  contenuta  nel
d.lgs. n. 267 del 2000, in quanto  le  stesse  non  sono  contemplate
dall'art. 114 Cost. (oltre che, come detto, dalla citata lettera p). 
    La Corte, ha, quindi, ritenuto (sentenze n. 237 del 2009 e n. 456
del 2005) che non  possono  venire  in  rilievo  neppure  i  principi
fondamentali desumibili dal Testo unico sugli enti locali (d.lgs.  n.
267  del  2000)  e,  dunque,  non  puo'   trovare   applicazione   la
disposizione di cui all'art. 117, terzo comma, ultima  parte,  Cost.,
«la  quale  presuppone,  invece,  che  si  verta  nelle  materie   di
legislazione concorrente». 
    Tuttavia, si e' pure affermato (sentenze n. 151 del 2012,  n.  91
del 2011, n. 326 del 2010, n. 27 del 2010 e n. 237 del 2009)  che  un
titolo  di  legittimazione  statale   per   intervenire   nell'ambito
anzidetto  comunque  si  rinviene  nei   principi   fondamentali   di
«coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost., ove la disciplina dettata, nell'esercizio  di  siffatta
potesta' legislativa concorrente, sia  indirizzata  ad  obiettivi  di
contenimento della spesa pubblica. 
    A questi fini, come messo in rilievo in molteplici  occasioni  da
questa Corte (tra le tante, sentenze n. 236  del  2013,  n.  193  del
2012, n. 151 del 2012, n. 182 del 2011, n. 207 del 2010, n.  297  del
2009), il legislatore statale puo', con una disciplina di  principio,
legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali,  per  ragioni
di  coordinamento  finanziario  connesse  ad   obiettivi   nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti territoriali.
Vincoli che  possono  considerarsi  rispettosi  dell'autonomia  delle
Regioni  e  degli  enti  locali  quando   stabiliscano   un   «limite
complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi   ampia   liberta'   di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»;
e  siano  rispettosi  del  canone  generale  della  ragionevolezza  e
proporzionalita'  dell'intervento  normativo  rispetto  all'obiettivo
prefissato. 
    4.2.3.-  Nel  caso  in  esame,  le  norme  denunciate  risultano,
appunto,  decisamente  orientate  ad  un  contenimento  della   spesa
pubblica, creando un sistema  tendenzialmente  virtuoso  di  gestione
associata di  funzioni  (e,  soprattutto,  quelle  fondamentali)  tra
Comuni,  che  mira  ad  un  risparmio  di   spesa   sia   sul   piano
dell'organizzazione     "amministrativa",     sia      su      quello
dell'organizzazione  "politica",  lasciando  comunque  alle   Regioni
l'esercizio   contiguo   della   competenza   materiale    ad    esse
costituzionalmente garantita, senza, peraltro, incidere in alcun modo
sulla riserva del comma quarto dell'art. 123 Cost. In definitiva,  si
tratta di un legittimo esercizio della potesta'  statale  concorrente
in materia di «coordinamento della finanza pubblica»,  ai  sensi  del
terzo comma dell'art. 117 Cost. 
    4.3.- Le questioni che investono i commi 3 e 4 dell'art.  19  non
sono fondate. 
    4.3.1.- Le doglianze riguardano l'istituzione e disciplina  delle
«Unioni di comuni», di cui all'art. 32 del d.lgs. n.  267  del  2000,
come modificato dal comma 3, e si  estendono,  di  riflesso  e  senza
specifica  motivazione,  al  comma  4,  del  predetto  art.  19.   La
disciplina  impugnata  prevede,  anzitutto,   un'unione   di   Comuni
costituita in prevalenza da Comuni montani, che e' detta  «unione  di
comuni montani» e puo' esercitare anche le specifiche  competenze  di
tutela e di promozione della montagna (ex  art.  44,  secondo  comma,
Cost.) e delle leggi in favore dei territori montani. 
    Stabilisce poi che ogni  Comune  puo'  partecipare  ad  una  sola
unione ed e' previsto che  le  unioni  di  Comuni  possono  stipulare
apposite convenzioni tra loro o con singoli Comuni. 
    Individua, inoltre, nel dettaglio gli  organi  dell'unione  e  le
modalita'  della  loro  costituzione.  Stabilisce  che   lo   statuto
individui le funzioni svolte dall'unione e le corrispondenti  risorse
e non piu' la disciplina degli organi dell'unione; riconosce  in  via
generale la potesta' regolamentare e statutaria. 
    All'unione  sono  conferite  dai  Comuni  le  risorse   umane   e
strumentali  necessarie  all'esercizio   delle   funzioni   ad   essa
attribuite e vengono, quindi, introdotti nuovi vincoli in materia  di
spesa di personale: infatti, fermi restando i vincoli previsti  dalla
normativa vigente, la spesa sostenuta per  il  personale  dell'unione
non puo' comportare, in sede di prima  applicazione,  il  superamento
della somma delle spese di personale  sostenute  precedentemente  dai
singoli Comuni partecipanti;  inoltre,  si  dispone  che,  attraverso
specifiche misure di razionalizzazione organizzativa e  una  rigorosa
programmazione dei fabbisogni, devono essere  assicurati  progressivi
risparmi di spesa in materia di personale. 
    E', inoltre, confermato che  all'unione  competono  gli  introiti
derivanti da tasse, tariffe e dai  contributi  sui  servizi  ad  essa
affidati. 
    4.3.2.- Le argomentazioni  che  sono  state  gia'  sviluppate  in
precedenza (segnatamente, punti  4.2.2.  e  4.2.3.)  sono  riferibili
anche al denunciato comma 3, e si riflettono sul  connesso  comma  4,
considerato che tale disposizione e'  orientata  finalisticamente  al
contenimento della spesa pubblica, siccome posta da un  provvedimento
di riesame  delle  condizioni  di  spesa  e  con  contenuti  armonici
rispetto all'impianto complessivo della rimodulazione  delle  «unioni
di comuni». 
    Dunque, opera anche in questo caso il titolo  legittimante  della
competenza in materia di «coordinamento della finanza  pubblica»,  di
cui al comma  terzo  dell'art.  117  Cost.,  esercitata  dallo  Stato
attraverso previsioni che si configurano come principi fondamentali e
non si esauriscono in una disciplina di mero dettaglio. 
    Ne' puo' ravvisarsi la dedotta violazione  dell'art.  119  Cost.,
giacche' non solo e' legittimo incidere con una  manovra  finanziaria
sulle risorse degli enti territoriali,  purche'  non  siano  tali  da
determinare uno squilibrio incompatibile con le complessive  esigenze
di spesa e pregiudizievole per l'esercizio  delle  funzioni  ad  essi
riservate (sentenze n. 298 del 2009, n. 381 del 2004  e  n.  437  del
2001), ma rileva anche il fatto che  l'attribuzione  alle  unioni  di
Comuni di «introiti  derivanti  dalle  tasse,  dalle  tariffe  e  dai
contributi» riguarda  i  «servizi  ad  esse  affidati»,  sicche'  non
verrebbero sottratte risorse per l'esercizio di funzioni da parte  di
enti che non fanno parte dell'unione stessa.