ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  1,
2, 3, 4 e 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174  (Disposizioni
urgenti  in  materia  di   finanza   e   funzionamento   degli   enti
territoriali, nonche' ulteriori disposizioni  in  favore  delle  zone
terremotate  nel  maggio  2012),   convertito,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n.  213,  promossi
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Regione autonoma
Sardegna, con ricorsi notificati il 5 febbraio 2013,  rispettivamente
depositati in cancelleria l'8 e il 15 febbraio 2013, ed  iscritti  ai
nn. 17 e 20 del registro ricorsi 2013. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  3  dicembre  2013  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia, Tiziana Ledda per la Regione autonoma Sardegna
e l'avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia (ricorso n. 17  del
2013) e Sardegna (ricorso n. 20 del 2013)  hanno  impugnato  numerose
disposizioni del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174  (Disposizioni
urgenti  in  materia  di   finanza   e   funzionamento   degli   enti
territoriali, nonche' ulteriori disposizioni  in  favore  delle  zone
terremotate  nel  maggio  2012),   convertito,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213. 
    Le impugnazioni che vengono qui all'esame sono quelle relative ai
commi 1, 2, 3, 4 e 5 (i commi 3 e  5  impugnati  dalla  sola  Regione
autonoma Sardegna) dell'art. 2  citato  e  rubricato  «Riduzione  dei
costi della politica nelle regioni». 
    2.- La Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  premette  di  non
disconoscere l'esigenza di  ridurre  i  costi  della  politica,  come
sarebbe dimostrato sia dalla recente  approvazione,  da  parte  della
Camera dei  deputati,  di  un  disegno  di  legge  costituzionale  ad
iniziativa del Consiglio regionale, mediante il quale il suo  statuto
e' stato modificato con riduzione del  numero  dei  consiglieri,  sia
dall'approvazione della legge regionale 29 ottobre 2012, n. 21 (Norme
urgenti in materia di riduzione  delle  spese  di  funzionamento  dei
Gruppi consiliari. Modifiche all'articolo 3 della legge regionale  n.
54/1973 e alla legge regionale n.  52/1980),  con  cui  le  spese  di
funzionamento dei gruppi consiliari sono state ridotte e assoggettate
al controllo di un Collegio di revisori,  ed  e'  stata  prevista  la
relativa pubblicita' sul sito istituzionale del Consiglio regionale. 
    2.1.- Cio' premesso, la ricorrente osserva come i  commi  1  e  2
dell'art.  2  censurato,  dal  punto  di  vista  letterale,  sembrino
stabilire non un «obbligo»  in  capo  alle  Regioni  ma  soltanto  un
«onere» di adeguamento dei propri ordinamenti alle  prescrizioni  ivi
dettate, ovverosia una condizione per evitare il taglio  dell'ottanta
per cento dei trasferimenti erariali; in realta', prosegue la Regione
autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  si  tratterebbe   proprio   di   un
«obbligo», come reso palese dal successivo  comma  5,  in  forza  del
quale il mancato adeguamento entro il termine previsto integra «grave
violazione di legge  ai  sensi  dell'art.  126,  primo  comma,  della
Costituzione» e conduce allo scioglimento del Consiglio regionale. 
    Dalla mancata  realizzazione  delle  prescrizioni  del  comma  1,
dunque, deriverebbero sia le sanzioni  economiche  ivi  previste  che
quella «organica» del comma 5. 
    2.2.- La ricorrente, tuttavia, ritiene che l'art. 2 citato  possa
essere interpretato nel senso che i commi 1 e  2  non  riguardino  le
autonomie speciali, dal momento che, ai sensi del successivo comma 4,
«Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e  di
Bolzano provvedono ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto
dal comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia  e  con
le relative norme di attuazione». 
    Lo stesso comma 5, poi, facendo riferimento alla grave violazione
di legge ai sensi dell'art. 126, primo  comma,  Cost.,  richiamerebbe
una norma che vale per le sole Regioni ordinarie, mentre  la  materia
in esame, per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, e'  regolata
dall'art. 22  della  legge  costituzionale  31  gennaio  1963,  n.  1
(Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). 
    2.3.-   La   ricorrente,   tuttavia,   dichiara    di    proporre
l'impugnazione dei commi 1, 2 e 4 dell'art. 2, in via «tuzioristica»,
dal momento che alcuni  difetti  redazionali,  quali  l'utilizzo,  al
comma 4, dell'ambiguo avverbio  «compatibilmente»  e  il  riferimento
della clausola di salvezza solo al primo  e  non  al  secondo  comma,
potrebbero  avallare  la  tesi  dell'applicabilita'  dei   meccanismi
sanzionatori previsti dal legislatore anche alle Regioni autonome. 
    2.4.- In tale  ipotesi,  dunque,  i  commi  1  e  2  dell'art.  2
sarebbero incostituzionali per violazione della autonomia finanziaria
regionale e dell'art. 3 Cost., in quanto irragionevoli. 
    2.4.1.- Sotto il primo profilo, deduce la ricorrente  che  l'art.
48 dello statuto riconosce ad essa «una propria  finanza,  coordinata
con quella dello Stato, in armonia con i principi della  solidarieta'
nazionale»; ai sensi dell'art. 49, poi, ad essa spettano quote  fisse
di entrate tributarie erariali riscosse  nel  suo  territorio;  e  la
disponibilita' di adeguate risorse  finanziarie  e'  strumentale  non
solo all'esercizio delle proprie funzioni ma anche  all'azione  delle
Province e dei Comuni, cui essa assegna,  ex  art.  54,  quote  delle
proprie entrate. 
    Sostiene la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia che la lesione
degli artt. 48 e 49 dello statuto sarebbe  macroscopica,  laddove  il
decurtamento  dell'ottanta  per  cento  dei  trasferimenti   erariali
dovesse includere le quote  delle  entrate  tributarie  elencate  dal
predetto art. 49, non avendo lo Stato alcun potere  di  incidere  sui
meccanismi di finanziamento previsti in sede statutaria (si citano le
sentenze della Corte n. 133 del 2010 e n. 74 del 2009). 
    Prosegue la Regione ricorrente evidenziando come,  anche  laddove
si ritenesse che la riduzione dei trasferimenti non ricomprenda  tali
quote, le disposizioni  in  esame  sarebbero  comunque  lesive  della
propria autonomia finanziaria: il comma 152 dell'art. 1  della  legge
13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  -  Legge  di  stabilita'  2011)
prevede, infatti, che la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,  nel
rispetto dei principi indicati nella  legge  5  maggio  2009,  n.  42
(Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,  in  attuazione
dell'articolo 119 della  Costituzione),  contribuisce  all'attuazione
del federalismo fiscale, tra  l'altro,  mediante  «la  rinuncia  alle
assegnazioni statali derivanti dalle leggi  di  settore,  individuate
nell'ambito del tavolo di confronto di  cui  all'art.  27,  comma  7,
della citata legge n. 42 del 2009»: quindi in forza di un accordo tra
Regione e Governo. 
    2.4.2.- In ordine  al  lamentato  profilo  dell'irragionevolezza,
poi,  andrebbe  considerato,   prosegue   la   ricorrente,   che   la
decurtazione in esame ha carattere sanzionatorio e la  giurisprudenza
costituzionale  ha  piu'  volte  riconosciuto  come   le   leggi   di
coordinamento della finanza pubblica possano si' stabilire sanzioni a
carico degli enti inadempienti, ma a condizione che non  siano,  come
nel caso di specie, in contrasto con le disposizioni degli statuti  o
delle relative norme di attuazione. 
    Da altra angolazione,  poi,  tra  vincoli  sostanziali  e  misure
sanzionatorie  (o  premiali)  dovrebbe  sussistere  una  correlazione
diretta e ragionevole (si citano le sentenze della  Corte  n.  8  del
2013 e n. 190 del 2008), che nel  caso  di  specie  difetterebbe:  la
riduzione dei trasferimenti, infatti, sarebbe connessa ad  una  serie
assolutamente eterogenea di misure sostanziali,  alcune  delle  quali
non avrebbero neanche un significato finanziario; ancora, sotto altro
profilo,  l'irragionevolezza  discenderebbe  dal   rilievo   che   la
decurtazione e' stabilita in modo fisso,  quale  che  sia  il  numero
delle condizioni che la Regione non abbia realizzato. 
    2.5.- Evidenzia ancora la ricorrente che il comma 2  dell'art.  2
censurato prevede, quale ulteriore sanzione,  che  la  riduzione  dei
trasferimenti erariali a favore della Regione inadempiente  sia  pari
«alla meta' delle somme da essa destinate  per  l'esercizio  2013  al
trattamento economico complessivo spettante ai membri  del  consiglio
regionale e ai membri della giunta regionale». 
    Anche tale misura non avrebbe «alcun collegamento con un  vincolo
sostanziale» e  sarebbe  incostituzionale  per  le  medesime  ragioni
evidenziate con riferimento al comma 1. 
    2.6.- In ordine alla clausola di salvaguardia prevista dal  comma
4,  prosegue  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  laddove
dovesse ritenersi operante solo con riferimento alle  previsioni  del
primo comma e non del secondo, violerebbe gli artt. 116  Cost.  e  65
dello statuto, poiche' molte delle disposizioni  del  predetto  primo
comma  (richiamate  dal  secondo)  richiederebbero,   per   la   loro
attuazione, modifiche statutarie. 
    Cosi' la prescrizione di cui alla  lettera  a)  circa  il  numero
massimo di consiglieri regionali sarebbe in contrasto con l'art.  13,
comma 2, dello statuto; la prescrizione sul numero  degli  assessori,
nonche' quelle di cui alle lettere f), g), h) e l), colliderebbe  con
l'art. 12; le disposizioni  relative  alle  indennita'  spettanti  ai
titolari e ai componenti  degli  organi  di  vertice  della  Regione,
infine, sarebbero in contrasto con gli artt. 19 e 41. 
    Conclude la ricorrente evidenziando come  per  il  tramite  delle
prescrizioni   in   esame   il    legislatore    ordinario    finisca
inammissibilmente con l'imporre  modifiche  di  fonti  statutarie  di
rango costituzionale (si cita la sentenza  della  Corte  n.  198  del
2012). 
    2.7.- Da ultimo, in caso di mancato accoglimento  della  proposta
interpretazione   adeguatrice,   l'art.   2,   comma    4,    sarebbe
incostituzionale, nella parte in cui non  prevede  che  alla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia non si  applichino  le  riduzioni  dei
trasferimenti erariali, anche  per  le  stesse  ragioni  esposte  con
riferimento ai commi 1 e 2. 
    3.- La Regione autonoma Sardegna evidenzia come l'art. 2 in esame
rechi numerose disposizioni che obbligano le Regioni  ad  intervenire
sull'attivita' dei loro organi di governo  e  che,  essendo  talmente
estranee alla logica della specialita', sarebbe lecito dubitare della
loro applicabilita' alla Regione medesima.  Stante  l'ambiguo  tenore
del comma 4, prosegue la ricorrente,  si  rende  tuttavia  necessaria
l'impugnazione innanzi alla Corte costituzionale. 
    3.1.- La ricorrente muove alle disposizioni in esame  due  ordini
di censure. 
    Da un lato,  vi  sarebbe  una  palese  violazione  della  propria
competenza legislativa nella regolazione  dell'autonomia  finanziaria
e, specularmente, un abnorme esercizio da  parte  dello  Stato  della
competenza concorrente in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica; il travalicamento dell'ambito  riservato  alla  ricorrente,
poi, avrebbe determinato anche l'invasione di alcune  sue  competenze
statutarie. 
    Dall'altro, lo Stato, per  il  tramite  dell'articolo  impugnato,
avrebbe imposto  alla  ricorrente  di  produrre  effetti  di  finanza
pubblica che possono darsi solo mediante la revisione dello  statuto,
che, essendo approvato con legge costituzionale,  non  e'  nella  sua
disponibilita' allo stesso modo di una Regione ordinaria. 
    3.2.- Sostiene la Regione autonoma Sardegna, piu' in particolare,
che con le prescrizioni di cui al primo comma dell'art.  2  impugnato
lo Stato avrebbe esorbitato  dalle  sue  attribuzioni  nella  materia
concorrente del coordinamento della finanza pubblica. 
    La  piana  lettura  delle  disposizioni  impugnate,  prosegue  la
ricorrente,  «rende  evidente  la  impossibilita'  di  ricondurre  la
disposizione censurata ad un  esercizio  del  potere  legislativo  di
determinazione dei principi fondamentali»,  poiche'  le  disposizioni
normative «sono tutte assai particolareggiate ed anche in  parte  tra
loro eterogenee» (sentenza n. 159 del 2008; si cita anche la sentenza
n. 139 del 2012): di qui la violazione degli artt. 117, terzo  comma,
e  119  Cost.,  nonche'  degli  artt.  7  e  8  dello  statuto,   che
garantiscono l'autonomia finanziaria della Regione. 
    In via consequenziale sarebbero illegittimi i commi 2, 3 e 5, che
ricollegano effetti ancor piu' lesivi dell'autonomia  regionale  alla
mancata ottemperanza alle prescrizioni del comma 1: di  qui,  secondo
la ricorrente, la violazione non solo dei parametri appena  detti  ma
anche degli artt. 3, 4 e 5 della  legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 3 (Statuto  speciale  per  la  Sardegna),  perche'  verrebbe
impedito alla Regione di  svolgere  le  funzioni  pubbliche  ad  essa
affidate dalla Costituzione, dallo statuto speciale e dalle leggi. 
    3.3.- Non meno evidente, prosegue la Regione  autonoma  Sardegna,
sarebbero le violazioni, da parte delle  norme  impugnate,  di  altre
previsioni dello statuto:  in  particolare,  il  comma  1  violerebbe
l'art. 16, che stabilisce il  numero  dei  componenti  del  Consiglio
regionale; il medesimo comma, poi, nella  parte  in  cui  prevede  la
determinazione del numero e degli emolumenti dei consiglieri e  degli
assessori, violerebbe l'art. 15, che affida alla legge  regionale  la
determinazione della forma di governo della Regione  e  dei  rapporti
tra i suoi organi, e l'art. 26, che assegna alla legge  regionale  la
competenza a fissare l'indennita' dei consiglieri regionali. 
    Il comma 2, dal canto suo, violerebbe gli artt. 3  e  119  Cost.,
anche in relazione al combinato disposto con gli artt. 3, 4,  5  e  6
dello statuto, poiche' il trasferimento dei fondi  necessari  per  lo
svolgimento  delle  funzioni  statutarie  sarebbe   irragionevolmente
subordinato alla rinuncia della Regione  all'esplicazione  della  sua
autonomia costituzionalmente garantita, anche finanziaria. 
    Ancora violato, secondo la ricorrente,  sarebbe  l'art.  8  dello
statuto, poiche'  i  trasferimenti  erariali  oggetto  di  potenziale
blocco  statale  ricomprendono  le  compartecipazioni  erariali   ivi
stabilite,  con   conseguente   esorbitamento   dalla   materia   del
coordinamento della finanza pubblica. 
    I  medesimi  vizi,  secondo   la   Regione   autonoma   Sardegna,
affliggerebbero anche il comma 3, relativo alla  prova  del  rispetto
delle condizioni imposte, da  fornirsi  mediante  comunicazione  agli
organi statali indicati, in quanto strumentale  all'attuazione  delle
previsioni dei commi 1 e 2. 
    3.4.- Quanto al comma 5, secondo cui il mancato adeguamento delle
Regioni alle disposizioni dell'intero  art.  2  determina  una  grave
violazione di legge ai sensi dell'art. 126, primo comma,  Cost.,  con
conseguente  scioglimento  del  Consiglio  regionale  e   contestuale
rimozione del Presidente della Regione, ritiene la ricorrente che sia
lecito dubitare della sua  applicabilita'  alle  autonomie  speciali,
essendo richiamato un parametro costituzionale applicabile alle  sole
Regioni ordinarie. 
    Per  l'ipotesi  di  ritenuta  applicabilita',  dovrebbero   dirsi
violati non solo lo stesso art. 126 Cost. ma anche gli artt. 15, 35 e
50 dello statuto, ove sono disciplinati i  rapporti  tra  gli  organi
regionali,  dettati  tassativamente  i  casi  di   scioglimento   del
Consiglio e della Giunta regionale, nonche' di  fine  anticipata  del
mandato del Presidente della Regione, e previste  speciali  forme  di
leale collaborazione tra Stato e Consiglio regionale nel caso in  cui
a perpetrare le violazioni sia la Giunta. 
    Inoltre, il comma 5 dell'art. 2 violerebbe anche l'art. 3  Cost.,
in combinato disposto con gli artt. 50  e  54  dello  statuto  e  116
Cost.,  perche'  ricollegherebbe  l'ipotesi   di   scioglimento   del
Consiglio regionale e di rimozione del  Presidente  della  Regione  a
eventi,  quali  la  revisione  dello  statuto,  che  non  sono  nella
disponibilita' della ricorrente, con conseguente violazione anche del
principio di eguaglianza,  nella  parte  in  cui  tratta  la  Regione
autonoma Sardegna in modo deteriore rispetto alle Regioni  ordinarie,
che possono liberamente modificare la propria legge fondamentale. 
    3.5.- Evidenzia la ricorrente, poi, piu' in generale, come sia la
gran  parte  delle  «condizioni»  richieste  dall'art.  2  a  potersi
avverare solo attraverso una modifica  dello  statuto,  ma  la  Corte
costituzionale con la sentenza n. 198 del 2012 avrebbe  chiarito  che
una legge ordinaria non puo' imporre limiti e condizioni ad una fonte
di rango costituzionale. Per queste ragioni, dunque, le  disposizioni
censurate violerebbero gli artt. 54 dello statuto e 116 Cost. 
    Inoltre, prosegue la ricorrente, lo statuto,  a  mente  dell'art.
54,  puo'  essere  riformato  esclusivamente  con   il   procedimento
stabilito  per  la  revisione  costituzionale,  procedimento  che  la
Regione   autonoma   Sardegna   puo'    solo    avviare;    di    qui
l'irragionevolezza di considerarla responsabile in  caso  di  mancato
adeguamento. 
    3.6.- Anche il comma 4, secondo la ricorrente, sarebbe  violativo
di tutti  i  parametri  statutari  e  costituzionali  individuati  in
precedenza, perche' non limita l'applicabilita' dell'art. 2  ai  soli
ambiti di competenza del legislatore statale. La clausola  in  esame,
sebbene in  apparenza  finalizzata  alla  tutela  delle  attribuzioni
statutarie delle autonomie speciali, finirebbe per mortificarle. 
    Essa, infatti, nella sua formulazione letterale, differirebbe  in
maniera  evidente  da   quella   contenuta   nell'art.   19-bis   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14  settembre  2011,
n. 148, analizzata dalla Corte con la sentenza n. 241 del  2012,  ove
si sarebbe chiarito come la funzione di clausole di questo  tipo  sia
di escludere l'applicazione delle normative cui accedono, laddove  in
contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione. 
    4.- In entrambi i giudizi si  e'  costituito  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  spiegando  difese  ed  eccezioni  identiche  e
chiedendo il rigetto dei ricorsi. 
    Evidenzia la difesa erariale come l'art. 2 del d.l.  n.  174  del
2012 preveda una serie di  misure  volte  a  ridurre  i  costi  della
politica; le Regioni, prosegue  l'Avvocatura,  sarebbero  chiamate  a
introdurre tali misure per potere ricevere l'ottanta  per  cento  dei
trasferimenti  erariali  loro  spettanti,  ad  eccezione  di   quelli
destinati al Servizio sanitario nazionale  e  al  trasporto  pubblico
locale. 
    Per le autonomie speciali, poi,  sarebbe  espressamente  previsto
che  adeguino  i  rispettivi  ordinamenti  alle  suddette  misure  di
contenimento della spesa compatibilmente con i relativi statuti e  le
norme di attuazione, ovvero  mediante  strumenti  che  consentano  di
assicurare il rispetto della loro autonomia (art. 2, comma 4, e  art.
11-bis del decreto-legge citato). 
    Il riconoscimento alle autonomie statutarie di un ruolo attivo  e
di un margine di manovra nell'adeguamento dei rispettivi  ordinamenti
alle nuove misure comporterebbe, secondo il Presidente del Consiglio,
l'infondatezza delle questioni. 
    5.- In data 12 novembre 2013  la  Regione  autonoma  Sardegna  ha
depositato una memoria, con cui ha evidenziato come il Presidente del
Consiglio non abbia replicato alle proprie  censure,  limitandosi  ad
affermare  che  il  decreto-legge  impugnato,  con  le  clausole   di
salvaguardia di cui agli artt. 2, comma 4, e 11-bis, ha  riconosciuto
alle autonomie speciali un certo margine di manovra  nell'adeguamento
alle disposizioni del decreto. 
    L'unico  modo  che  possa  consentire  il  rispetto  della   loro
autonomia, secondo la ricorrente, e' la non  applicabilita'  in  toto
dell'art.  2,  sia  perche',  non  avendo  esse  la  possibilita'  di
riformare i  propri  statuti,  non  avrebbero  alcuno  strumento  per
soddisfare le condizioni dettate dallo Stato, sia perche'  l'articolo
censurato conterrebbe disposizioni particolareggiate, in quanto  tali
esulanti dal coordinamento della finanza pubblica. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia  e  Sardegna  hanno
promosso  questioni  di  legittimita'  costituzionale   di   numerose
disposizioni del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174  (Disposizioni
urgenti  in  materia  di   finanza   e   funzionamento   degli   enti
territoriali, nonche' ulteriori disposizioni  in  favore  delle  zone
terremotate  nel  maggio  2012),   convertito,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213. 
    L'esame di questa Corte e' qui limitato alle  questioni  relative
all'art. 2, commi da 1 a 5, restando riservata a separate pronunce la
decisione di quelle riguardanti altre disposizioni del decreto. 
    L'articolo impugnato prevede, per quanto rileva in  questa  sede:
al comma  1,  il  taglio  dei  trasferimenti  erariali  nella  misura
dell'ottanta per cento,  fatta  eccezione  per  quelli  destinati  al
finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale,  delle  politiche
sociali e per le non autosufficienze e al trasporto pubblico  locale,
laddove le Regioni non adottino, nei termini ivi indicati, tutta  una
serie di provvedimenti elencati dalla lettera a) alla lettera m);  al
comma 2, quale ulteriore sanzione, un taglio pari  alla  meta'  delle
somme  destinate  per  l'esercizio  2013  al  trattamento   economico
complessivo  spettante  ai  membri  del  Consiglio  e  della   Giunta
regionali; al comma 3, l'obbligo di  comunicazione,  alla  Presidenza
del Consiglio dei ministri  e  al  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, del rispetto delle condizioni previste dal comma 1; al comma
4, l'operativita', per le Regioni a statuto speciale  e  le  Province
autonome, delle disposizioni del comma 1 compatibilmente con i propri
statuti e le relative norme di attuazione; al comma 5, l'assegnazione
alle Regioni, in caso di mancato adeguamento nei termini previsti, di
un ulteriore termine di novanta giorni, il cui  mancato  rispetto  e'
considerato grave violazione di legge ai sensi dell'art.  126,  primo
comma, della Costituzione. 
    Il comune presupposto interpretativo di tutte le censure  risiede
nella ritenuta applicabilita',  prospettata  in  termini  dubitativi,
delle norme impugnate alle Regioni autonome ricorrenti. 
    I parametri invocati sono: 1) gli artt.  3,  con  riferimento  ai
principi di eguaglianza e ragionevolezza, 116, 117, terzo comma,  119
e 126 Cost.; 2) gli artt. 12, 13, comma 2, 19, 41 48, 49, 54, 63 e 65
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.  1  (Statuto  speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia); 3) gli artt. 3, 4, 5, 6, 7,  8,
15, 16, 26, 35, 50 e 54 della legge costituzionale 26 febbraio  1948,
n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna); 4) gli artt. 1,  comma  152,
della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di  stabilita'
2011), e 27, comma 7, della legge 5 maggio 2009,  n.  42  (Delega  al
Governo  in   materia   di   federalismo   fiscale,   in   attuazione
dell'articolo 119 della Costituzione). 
    2.-  In  considerazione  della  parziale  identita'  delle  norme
denunciate e delle censure proposte, i giudizi devono essere  riuniti
per essere decisi congiuntamente. 
    3.- In via preliminare va esaminata, d'ufficio,  l'ammissibilita'
delle questioni sollevate con riferimento al  comma  1  dell'art.  2,
essendo stato il suo primo alinea modificato dall'art. 10,  comma  7,
del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per
la  promozione  dell'occupazione,  in  particolare  giovanile,  della
coesione sociale, nonche' in materia di Imposta sul  valore  aggiunto
"IVA"  e  altre  misure   finanziarie   urgenti),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 9  agosto  2013,  n.
99, che ha introdotto, quale ulteriore ambito di esclusione dai tagli
dei trasferimenti, quello relativo alle politiche sociali  e  per  le
non autosufficienze. 
    Questa Corte «ha costantemente ritenuto che, nell'ipotesi in  cui
le modifiche normative non siano satisfattive rispetto alle  censure,
la  questione  di  costituzionalita'  vada  trasferita  sulla   nuova
disposizione, salvo che quest'ultima appaia dotata  di  un  contenuto
radicalmente innovativo rispetto alla norma originaria (ex  plurimis,
sentenze n. 193 e n. 30 del 2012)» (sentenza n. 219 del 2013). 
    Ebbene, la natura «marginale» della modifica normativa  (sentenza
n. 219 del 2013), specie in relazione al perimetro e al tenore  delle
censure delle ricorrenti, rispetto a cui puo' dirsi solo  minimamente
satisfattiva,  rende  necessario  operare  il   trasferimento   della
questione di costituzionalita' sulla  nuova  formulazione  del  testo
dell'art. 2. 
    4.- Prima di procedere all'esame delle censure, occorre  vagliare
il  presupposto  interpretativo,  da  cui  muovono   le   ricorrenti,
dell'effettiva applicabilita'  delle  norme  impugnate  alle  Regioni
autonome: la sua prospettazione in termini dubitativi nei giudizi  in
via  principale  non  comporta,  infatti,  l'inammissibilita'   delle
questioni sollevate (sentenze n. 62 del 2012, n. 412 del 2001, n. 244
del 1997). 
    A tal fine rileva il comma 4 dell'art. 2 in  esame,  secondo  cui
«Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e  di
Bolzano provvedono ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto
dal comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia  e  con
le  relative  norme  di  attuazione».  E'  questa  la   clausola   di
salvaguardia  invocata  dalle  ricorrenti  e  che   in   effetti   e'
applicabile per specialita', come si desume dalla stessa collocazione
nell'art. 2 censurato. 
    Non assume rilievo, al contrario, la clausola generale  contenuta
nell'art. 11-bis - peraltro richiamata solo dalla difesa  erariale  e
non dalle Regioni interessate - posta a chiusura del decreto-legge  e
alla cui stregua  «Le  regioni  a  statuto  speciale  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano attuano le  disposizioni  di  cui  al
presente decreto nelle forme  stabilite  dai  rispettivi  statuti  di
autonomia e dalle relative norme di attuazione». Con la  disposizione
impugnata, infatti, non si pone un problema di  recepimento,  che  e'
appunto regolato dall'art. 11-bis, limitandosi essa a  prevedere  una
sanzione in mancanza dell'eventuale adeguamento. 
    Ebbene, a mezzo della clausola di salvaguardia di cui all'art. 2,
comma 4, gli evocati  parametri  di  rango  statutario  assumono  «la
funzione di generale limite» (sentenze n. 241 e n. 64  del  2012,  n.
152 del 2011) per l'applicazione delle disposizioni del comma 1,  nel
senso  che  la  prima  ha  la  funzione  di  rendere  queste   ultime
applicabili agli enti ad autonomia differenziata, «solo a  condizione
che, in ultima analisi, cio' avvenga  nel  "rispetto"  degli  statuti
speciali» (sentenza n. 215 del 2013). 
    Sempre con riguardo al comma 4, va poi precisato  che  nonostante
esso faccia riferimento solo  al  comma  1,  deve  ritenersi  che  la
clausola di salvaguardia presidi anche i  successivi  commi  2  e  3;
difatti, se le prescrizioni del primo comma dovessero  ritenersi  non
operanti nei confronti  delle  Regioni  ad  autonomia  speciale,  non
potrebbe darsi luogo neanche alle  ulteriori  sanzioni  previste  dal
secondo comma, ne' ai conseguenti obblighi di comunicazione  previsti
dal terzo. 
    5.-   Le   ricorrenti   contestano,   allora,   la   legittimita'
costituzionale della clausola in esame poiche' renderebbe applicabili
le disposizioni impugnate  alle  autonomie  speciali,  in  violazione
della loro autonomia finanziaria e  di  numerose  disposizioni  degli
statuti (artt. 3, 116, 117, 119 e 126 Cost.; artt. 12, 13,  comma  2,
19, 41, 48, 49, 54, 63 e 65 della legge cost. n. 1 del 1963; artt. 3,
4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 26, 35, 50 e 54 della legge  cost.  n.  3  del
1948). 
    Aggiunge la Regione autonoma Sardegna che la clausola non sarebbe
idonea a tutelare le proprie prerogative, poiche',  nel  limitarsi  a
richiamare il rispetto degli statuti e  delle  norme  di  attuazione,
differirebbe dall'art. 19-bis del decreto-legge 13  agosto  2011,  n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione  finanziaria  e
per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma
1, della legge  14  settembre  2011,  n.  148,  che,  richiamando  il
percorso procedurale consensualistico  previsto  dall'art.  27  della
legge n. 42 del 2009, porrebbe le autonomie  speciali  al  riparo  da
qualsiasi intervento autoritativo del legislatore nazionale. 
    5.1.- Quest'ultima censura non e' fondata. 
    L'invocato art. 27 della legge n. 42 del 2009, di attuazione  del
federalismo fiscale previsto dall'art. 119 Cost.,  pur  ponendo  «una
vera e propria "riserva di competenza alle norme di attuazione  degli
statuti" speciali per la modifica della disciplina finanziaria  degli
enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012),  cosi'  da
configurarsi quale autentico presidio procedurale  della  specialita'
finanziaria di tali enti» (sentenza n. 241 del 2012), ha il rango  di
legge ordinaria, in quanto tale derogabile da atto successivo  avente
la medesima forza normativa. 
    Deve, allora, ritenersi che, specie in un contesto di grave crisi
economica,  quale  quello  in  cui  si  e'  trovato  ad  operare   il
legislatore, esso  possa  discostarsi  dal  modello  consensualistico
nella determinazione delle modalita'  del  concorso  delle  autonomie
speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012),
fermo restando  il  necessario  rispetto  della  sovraordinata  fonte
statutaria (sentenza n. 198 del 2012). 
    La clausola di salvaguardia in esame,  dunque,  non  puo'  essere
considerata lesiva delle prerogative autonomistiche solo perche'  non
prevede una procedura concertata, dal momento che quest'ultima non e'
costituzionalmente necessitata. 
    5.2.- Quanto alle rimanenti censure,  esse,  sebbene  formalmente
dirette contro la clausola di salvaguardia, sono in  realta'  rivolte
avverso le disposizioni sostanziali da essa rese applicabili, con  la
conseguenza che e' rispetto a queste ultime che vanno esaminate. 
    6.- Entrambe le ricorrenti lamentano  che  i  tagli  previsti  ai
commi 1 e 2 dell'art.  2  impugnato  sarebbero  in  contrasto  con  i
parametri costituzionali, statutari e interposti, invocati a garanzia
della loro autonomia finanziaria  (artt.  117,  terzo  comma,  e  119
Cost.; artt. 48, 49, 54 e 63, quinto comma, della legge  cost.  n.  1
del 1963; artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948; artt.
1, comma 152, della legge n. 220 del 2010 e 27, comma 7, della  legge
n. 42 del 2009). 
    La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia prospetta la  questione
in  via  alternativa,  a  seconda  che  l'espressione  «trasferimenti
erariali» venga intesa come  ricomprensiva  o  meno  delle  spettanze
finanziarie  previste  in  sede  statutaria:  nel  primo   caso,   si
inciderebbe sulla sua autonomia finanziaria e  sulle  relative  norme
statutarie  (artt.  48  e  49)  che  prevedono   diverse   quote   di
compartecipazione al gettito dei tributi ivi indicati;  nel  secondo,
sull'autonomia  finanziaria  e  sul  principio  consensualistico  che
reggerebbe il federalismo fiscale. 
    Secondo  la  Regione  autonoma  Sardegna,   invece,   il   taglio
dell'ottanta per cento dei trasferimenti erariali  determinerebbe  la
compressione della sua autonomia finanziaria, impedendole di svolgere
le funzioni ad essa affidate dallo statuto e dalla Costituzione. 
    6.1.-  Quanto  alla   prospettazione   della   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia, in effetti le norme impugnate non  specificano
di quali trasferimenti erariali si tratti, se non in negativo e  solo
parzialmente, per escludere dal "taglio" quelli relativi al trasporto
pubblico locale, al servizio sanitario e alle politiche sociali e per
le non autosufficienze.  L'espressione  utilizzata  dal  legislatore,
dunque, anche avuto riguardo  al  suo  impiego  nella  redazione  del
bilancio dello Stato, puo' ingenerare il dubbio  che  si  sia  inteso
fare riferimento a qualsiasi passaggio  di  denaro  alle  Regioni,  e
quindi anche alle somme devolute alle autonomie speciali a titolo  di
compartecipazioni ai tributi erariali. 
    E' noto, tuttavia, «il costante insegnamento di  questa  Corte  -
espresso soprattutto nei giudizi incidentali, ma che vale,  per  cio'
che attiene alla decisione  di  merito,  anche  nei  giudizi  in  via
principale (sentenza n. 21 del 2013, ordinanze n. 255  del  2012,  n.
287 del 2011 e n. 110 del 2010) - che di una disposizione legislativa
non  si  pronuncia  l'illegittimita'  costituzionale  quando  se   ne
potrebbe dare un'interpretazione in violazione della Costituzione, ma
quando  non  se  ne   puo'   dare   un'interpretazione   conforme   a
Costituzione» (sentenza n. 46 del 2013).  Ebbene,  un'interpretazione
costituzionalmente conforme impone di ritenere che  la  locuzione  in
esame non abbia riguardo anche  alle  compartecipazioni  previste  in
sede statutaria per le Regioni ad autonomia speciale, il che  sarebbe
costituzionalmente  illegittimo,  dal  momento  che  il   legislatore
ordinario non puo' imporre limiti o condizioni ad una fonte di  rango
costituzionale (sentenza n. 198 del 2012). 
    Cosi' circoscritto l'ambito operativo dei meccanismi sanzionatori
previsti dal legislatore, deve escludersi che esso contrasti con  gli
statuti e quindi, in questi termini, la questione non e' fondata. 
    6.2.- Ferma, per le ragioni  gia'  chiarite,  la  non  fondatezza
della dedotta violazione del principio consensualistico, la  restante
parte della censura, comune a entrambe le Regioni autonome e relativa
ai  trasferimenti  erariali  diversi  dalle   spettanze   finanziarie
previste dagli statuti speciali, e' inammissibile per  genericita'  e
indeterminatezza dell'oggetto (sentenza n. 241 del 2012). 
    L'assunto che i tagli incidono sull'autonomia  finanziaria  delle
ricorrenti, sottraendo ad esse risorse indispensabili per l'esercizio
delle rispettive funzioni, non e'  sorretto  da  qualsivoglia  sforzo
argomentativo (sentenze n. 184 del 2012; n. 185, n. 129, n. 114 e  n.
68 del 2011; n. 278 e n. 45 del 2010), volto a chiarire, quanto meno,
l'incidenza della disposizione impugnata sui rispettivi bilanci. 
    6.3.- Per le stesse ragioni e' inammissibile la  censura  rivolta
dalla Regione autonoma Sardegna ai commi 2, 3 e 5 dell'art. 2,  nella
parte in cui  ricollegherebbero  all'inottemperanza  alle  condizioni
imposte dal  comma  1  effetti  lesivi  delle  proprie  competenze  e
dell'autonomia finanziaria (artt. 117 e 119 Cost., nonche'  artt.  3,
4, 5,  7  e  8  della  legge  cost.  n.  3  del  1948),  determinando
l'impossibilita' di svolgimento delle funzioni ad essa affidate. 
    7.- Sono invece  specifiche  ma  non  fondate  la  censura  della
Regione autonoma Sardegna rivolta al comma 1 dell'art.  2  impugnato,
per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., nonche' 7 e
8 dello  statuto,  e  la  connessa  censura  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia, rivolta ai  commi  1  e  2  dell'art.  2,  per
violazione dell'art.  3  Cost.:  lo  Stato,  secondo  le  ricorrenti,
avrebbe esorbitato dalle sue attribuzioni nella  materia  concorrente
del coordinamento della finanza pubblica, non  essendosi  limitato  a
dettare  disposizioni  di  principio,  ma   essendo   arrivato,   con
prescrizioni irragionevoli e prive  di  significato  finanziario,  «a
definire il piu' minuto dettaglio». 
    7.1.-  E'  pur  vero,  in  proposito,  che  nell'esercitare  tale
funzione lo Stato deve limitarsi a porre  obiettivi  di  contenimento
senza prevedere in modo esaustivo strumenti e modalita' per  il  loro
perseguimento, in modo che rimanga uno  spazio  aperto  all'esercizio
dell'autonomia regionale (sentenza n. 182 del 2011);  che  i  vincoli
imposti   con   tali   norme   possono    «considerarsi    rispettosi
dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando  stabiliscono
un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di  spesa"
(sentenza n. 182 del 2011, nonche' sentenze n. 297 del 2009;  n.  289
del 2008; n. 169 del 2007)» (sentenza n. 236  del  2013);  e  che  la
disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale
della ragionevolezza  e  proporzionalita'  dell'intervento  normativo
rispetto all'obiettivo prefissato (sentenze n. 236 del 2013 e n.  326
del 2010). 
    Occorre,  pero',  tenere  presente  la  struttura   della   norma
censurata, che e' ispirata alla logica premiale e sanzionatoria  gia'
delineata dal legislatore all'art. 2,  comma  2,  lettera  z),  della
legge  n.  42   del   2009,   quale   criterio   direttivo   generale
nell'esercizio della delega al  Governo  in  materia  di  federalismo
fiscale. Il censurato art. 2, comma 1, infatti, pur contenendo alcune
previsioni puntuali, le  configura  non  come  obblighi  bensi'  come
oneri.  Esso  non   utilizza,   dunque,   la   tecnica   tradizionale
d'imposizione di vincoli alla spesa ma un  meccanismo  indiretto  che
lascia alle Regioni la scelta se adeguarsi  o  meno,  prevedendo,  in
caso  negativo,  la  conseguenza   sanzionatoria   del   taglio   dei
trasferimenti erariali. 
    Ne' inficia  tale  ricostruzione,  come  pure  prospettato  dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, l'ulteriore conseguenza dello
scioglimento del Consiglio regionale prevista dal comma  5  dell'art.
2, dal momento che essa non e' applicabile alle  Regioni  ricorrenti,
come si dira' in seguito. 
    Il meccanismo cosi' delineato realizza il  duplice  obiettivo  di
indurre a  tagli  qualitativamente  determinati  e  di  garantire  il
contenimento della spesa  pubblica  secondo  la  tradizionale  logica
quantitativa: in linea di principio, dunque, le norme  censurate  non
esorbitano dai limiti propri della competenza statale concorrente  in
materia di coordinamento della finanza pubblica. 
    8.- Rimane da verificare se esse violino l'art.  3  Cost.,  nella
misura in cui l'imposizione degli oneri in  esame  costituirebbe  una
irragionevole compressione dell'autonomia finanziaria  delle  Regioni
ad autonomia speciale. 
    Il comma 1 censurato, introdotto nel notorio quadro di necessario
rispetto   dei   vincoli    economici    e    finanziari    derivanti
dall'appartenenza all'Unione europea e dell'equilibrio  di  bilancio,
prevede innanzitutto una serie di risparmi relativi al  funzionamento
del sistema politico che possono essere senza  dubbio  ricondotti  ad
una «scelta di fondo» (sentenza n.  151  del  2012)  del  legislatore
nazionale. 
    Ebbene, tale scelta  puo'  essere  considerata  un  principio  di
coordinamento   della   finanza   pubblica,   poiche',   secondo   la
giurisprudenza di questa  Corte,  «la  stessa  nozione  di  principio
fondamentale non puo' essere cristallizzata in una formula valida  in
ogni circostanza, ma deve tenere  conto  del  contesto,  del  momento
congiunturale in relazione ai  quali  l'accertamento  va  compiuto  e
della peculiarita' della materia» (sentenza n. 16 del 2010); di guisa
che «la specificita' delle prescrizioni, di  per  se',  neppure  puo'
escludere il carattere  di  principio  di  una  norma,  qualora  essa
risulti legata  al  principio  stesso  da  un  evidente  rapporto  di
coessenzialita' e di necessaria integrazione  (sentenze  n.  237  del
2009 e n. 430 del 2007)» (sentenza n. 16 del 2010); in  quest'ottica,
«possono essere ricondotti nell'ambito dei principi di  coordinamento
della finanza pubblica "norme puntuali adottate dal  legislatore  per
realizzare in concreto la finalita'  del  coordinamento  finanziario,
che per sua natura eccede le possibilita' di intervento  dei  livelli
territoriali sub-statali" (sentenza n. 237 del 2009 e  gia'  sentenza
n. 417 del 2005)» (sentenza n. 52 del 2010). 
    Pertanto, le prescrizioni dell'art. 2, comma 1, che costituiscono
espressione di tale principio, nonche'  le  conseguenze  del  mancato
adeguamento, essendo legate al principio  medesimo  da  un  «evidente
rapporto di coessenzialita' e di necessaria  integrazione»  (sentenze
n. 16 del 2010, n. 237 del 2009 e  n.  430  del  2007),  non  possono
considerarsi una irragionevole limitazione dell'autonomia finanziaria
regionale. 
    Si tratta,  in  particolare,  delle  disposizioni  relative  alla
fissazione del numero  massimo  dei  consiglieri  e  degli  assessori
regionali, alla commisurazione del trattamento  economico  dei  primi
all'effettiva  partecipazione   ai   lavori   del   Consiglio,   alla
definizione dell'importo delle indennita' di funzione  e  di  carica,
nonche' delle spese di esercizio del mandato,  alla  regolamentazione
dell'assegno di fine mandato, al divieto di cumulo  di  indennita'  o
emolumenti, alla gratuita' per  i  consiglieri  della  partecipazione
alle commissioni, all'obbligo di introdurre modalita' di  pubblicita'
e trasparenza  dello  stato  patrimoniale  dei  titolari  di  cariche
pubbliche elettive e di governo, alla  definizione  dell'importo  dei
contributi in favore dei gruppi  consiliari  e  delle  spese  per  il
relativo   personale,   al   passaggio   al   sistema   previdenziale
contributivo   dei    consiglieri    regionali    e    all'esclusione
dell'erogazione del vitalizio in favore di chi sia  stato  condannato
in via definitiva per  delitti  contro  la  pubblica  amministrazione
[rispettivamente, lettera a), nella parte in cui richiama l'art.  14,
comma 1, lettere a), b) e d), del  d.l.  n.  138  del  2011,  nonche'
lettere b), c), d), e), f), g), h), m) e n)]. 
    9.- Le stesse censure rivolte all'art. 2, comma  1,  lettera  i),
che richiama numerosi articoli di legge [artt. 6 e 9, comma  28,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'    economica)
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni; artt. 22, commi da 2
a 4, 23-bis,  commi  5-bis,  5-ter,  e  23-ter  del  decreto-legge  6
dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n.
214; artt. 3, commi 4, 5, 6 e 9; 4, 5, comma 6, e  9,  comma  1,  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini, nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese
nel settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma  1,  della  legge  7  agosto  2012,  n.   135],   sono   invece
inammissibili per genericita'. 
    Si tratta di una  vasta  congerie  di  disposizioni  ispirate  da
successive manovre finanziarie e  accomunate  solo  dall'esigenza  di
contenimento  della  spesa  pubblica.  Esse  presentano  tecniche   e
contenuti  precettivi  differenti,  incidendo  su  svariati   settori
pubblici e su materie non omogenee (a titolo  esemplificativo:  dalla
riduzione del numero delle societa' sottoposte a controllo  pubblico,
all'entita'  dei  gettoni   di   presenza,   alla   gratuita'   della
partecipazione  a  commissioni,  all'acquisto,  la  manutenzione,  il
noleggio e l'esercizio di autovetture, all'acquisto  di  buoni  taxi,
all'imposizione  di  limiti  nell'assunzione   di   personale,   alla
soppressione e/o riduzione di enti, agenzie e organismi), sicche'  e'
impossibile  procedere  allo  scrutinio   della   loro   legittimita'
costituzionale  in  assenza  di   argomentazioni   specifiche   delle
ricorrenti. 
    10.- Le restanti  prescrizioni  non  possono,  poi,  considerarsi
irragionevolmente lesive  dell'autonomia  finanziaria  delle  Regioni
ricorrenti, in quanto risultano poste dal  legislatore  nazionale  in
attuazione di altri precetti costituzionali ovvero nell'esercizio  di
una potesta' legislativa esclusiva. 
    10.1.- Quanto all'istituzione di  un  Collegio  di  revisori  dei
conti in raccordo con la Corte dei conti, questa Corte, con  la  gia'
citata sentenza n. 198 del 2012,  ha  affermato,  in  relazione  alle
Regioni ordinarie e con riferimento proprio  all'art.  14,  comma  1,
lettera e), del d.l. n. 138 del 2011  richiamato  dalla  disposizione
impugnata, che il controllo esterno cosi'  configurato,  sul  modello
gia'  sperimentato  per  gli  enti  locali,  «e'  "ascrivibile   alla
categoria del  riesame  di  legalita'  e  regolarita'",  e  che  esso
concorre "alla formazione  di  una  visione  unitaria  della  finanza
pubblica, ai fini  della  tutela  dell'equilibrio  finanziario  e  di
osservanza del patto di stabilita'  interno"  (sentenza  n.  179  del
2007)». 
    Si e' ivi ritenuto, poi, che  tale  attribuzione  trovi  «diretto
fondamento nell'art. 100 Cost., il  quale  "assegna  alla  Corte  dei
conti il controllo  successivo  sulla  gestione  del  bilancio,  come
controllo esterno ed imparziale" e che il  riferimento  dello  stesso
art. 100 Cost. al controllo "sulla gestione del bilancio dello Stato"
debba intendersi oggi esteso ai bilanci di tutti  gli  enti  pubblici
che costituiscono,  nel  loro  insieme,  il  bilancio  della  finanza
pubblica allargata». 
    In altri termini e conclusivamente, «l'art. 14, comma 1,  lettera
e), del decreto-legge n. 138 del 2011 consente alla Corte dei  conti,
organo dello Stato-ordinamento (sentenze n. 267 del 2006 e n. 29  del
1995), il controllo complessivo della finanza pubblica  per  tutelare
l'unita' economica della Repubblica (art. 120 Cost.)  ed  assicurare,
da parte dell'amministrazione controllata, il "riesame" (sentenza  n.
179 del 2007) diretto a ripristinare la regolarita' amministrativa  e
contabile» (sentenza n. 198 del 2012). 
    10.2.-  L'istituzione  di  un  sistema  informativo,   al   quale
affluiscono i  dati  relativi  al  finanziamento  dell'attivita'  dei
gruppi  politici,  da  pubblicarsi  sul  sito  istituzionale  e  resi
disponibili per via telematica al sistema informativo della Corte dei
conti, al Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  nonche'  alla
Commissione per la trasparenza e  il  controllo  dei  rendiconti  dei
partiti (art. 2, comma 1, lettera l), e'  invece  riconducibile  alla
materia del coordinamento informativo statistico  e  informatico  dei
dati dell'amministrazione statale,  regionale  e  locale  (art.  117,
secondo comma, lettera  r,  Cost.),  di  competenza  esclusiva  dello
Stato. 
    11.- Le  ricorrenti  sollevano,  poi,  nei  confronti  di  alcune
specifiche previsioni dell'art. 2, comma 1, impugnato (e, come si  e'
detto sopra, del comma 4 che  ne  consentirebbe  l'applicazione),  la
censura di violazione dell'art. 116 Cost. e di  diverse  disposizioni
dei rispettivi statuti (artt. 12, 13, comma 2, 19, 41, 48, 49, 54, 63
e 65 della legge cost. n. 1 del 1963; artt. 3, 4, 5, 7, 8, 15,  16  e
26, della legge cost. n. 3 del 1948). 
    11.1.- Quanto alla fissazione del numero massimo dei  consiglieri
prevista dall'art. 2,  comma  1,  lettera  a),  nella  parte  in  cui
richiama l'art. 14, comma 1, lettera a), del d.l. n. 138 del 2011, si
deduce, rispettivamente, la violazione degli artt. 13  dello  statuto
speciale della Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  e  16  dello
statuto speciale della Regione autonoma Sardegna. 
    La materia e' in effetti regolata  dagli  articoli  invocati:  il
primo prevede che «il numero dei consiglieri regionali e' determinato
in ragione di uno ogni 20.000 abitanti o frazioni superiori a  10.000
abitanti,  secondo  i  dati  ufficiali  dell'ultimo  censimento».  Il
secondo,  invece,  fissa  direttamente  in  sessanta  il  numero  dei
consiglieri regionali. 
    Ne consegue che nei confronti della disposizione censurata  opera
la clausola di salvaguardia e pertanto la questione non e' fondata. 
    11.2.- La censura e' poi rivolta all'art. 2, comma 1, lettera a),
nella parte in cui richiama l'art.  14,  comma  1,  lettera  b),  del
citato d.l. n. 138  del  2011,  secondo  il  quale  il  numero  degli
assessori regionali deve essere pari o inferiore  ad  un  quinto  del
numero dei componenti del  Consiglio  regionale,  con  arrotondamento
all'unita' superiore. 
    Entrambi gli statuti speciali, al riguardo, rinviano ad una legge
(cosiddetta statutaria) regionale  rinforzata,  in  quanto  approvata
dalla maggioranza assoluta dei  componenti  il  Consiglio  regionale,
avente ad oggetto la determinazione della forma di governo (cosi' gli
artt. 12 dello statuto della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e
15 dello statuto della Regione  autonoma  Sardegna);  legge  che,  in
quanto  integrante  lo  statuto  nella  definizione   degli   aspetti
fondamentali  dell'organizzazione   interna   della   Regione,   deve
ritenersi, con riferimento al suo  contenuto  necessario,  ricompresa
nell'ambito della salvaguardia prevista dal comma 4. 
    11.2.1.- La legge statutaria del Friuli-Venezia Giulia 18  giugno
2007, n. 17 (Determinazione della  forma  di  governo  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia e del sistema elettorale  regionale,  ai  sensi
dell'articolo 12 dello Statuto di autonomia), all'art. 15,  comma  1,
secondo periodo, prevede  che  «Il  numero  minimo  e  massimo  degli
assessori e' stabilito dalla legge regionale». 
    Il legislatore regionale ha, dunque, collocato fuori dalla  legge
statutaria la disciplina del numero degli assessori, cosi'  affidando
a  maggioranze  semplici  un  assetto  che  evidentemente  non  viene
considerato come qualificante la «forma di governo». 
    La censura, dunque, non e' fondata. 
    11.2.2.- La legge statutaria della Regione autonoma  Sardegna  10
luglio 2008, n. 1 (Disciplina riguardante la forma  di  governo  e  i
rapporti fra gli organi, i principi fondamentali di organizzazione  e
di funzionamento della Regione, l'esercizio del diritto di iniziativa
legislativa  popolare  e  i   referendum   regionali,   i   casi   di
ineleggibilita' e incompatibilita' alla carica  di  Presidente  della
Regione, consigliere e assessore regionale) dal canto  suo,  all'art.
19, comma 1, stabiliva che la Giunta e' composta da «non meno di otto
e non piu' di dieci assessori». 
    Con la sentenza n. 149 del 2009 questa Corte, decidendo  in  sede
di conflitto di attribuzione  sollevato  dallo  Stato  nei  confronti
della Regione autonoma Sardegna, ha dichiarato che  non  spettava  al
Presidente della Regione stessa procedere  alla  promulgazione  della
suddetta  legge  statutaria  e,  per  l'effetto,  ha   annullato   la
promulgazione medesima. 
    Il numero degli assessori, pertanto, risulta  allo  stato  essere
fissato  dalla  legge  regionale  7  gennaio  1977,   n.   1   (Norme
sull'organizzazione  amministrativa  della  Regione  sarda  e   sulle
competenze  della  Giunta,  della  Presidenza  e  degli   Assessorati
regionali). 
    Valgono, dunque, le medesime considerazioni svolte al  punto  che
precede, con la conseguenza che, anche con riferimento  alla  Regione
autonoma Sardegna, la censura non e' fondata. 
    11.3.- Non fondata e' anche la censura di violazione delle  norme
statutarie riferita alle disposizioni  relative  alla  determinazione
del trattamento  economico  dei  consiglieri  e  alla  percezione  di
indennita' o altri emolumenti comunque denominati [art. 2,  comma  1,
lettera a), nella parte in cui richiama l'art. 14, comma  1,  lettera
d), del d.l. n. 138 del 2011, nonche', lettere b), c), d), e), n)]. 
    Gli statuti, infatti, si  limitano  a  prevedere  la  fissazione,
mediante legge regionale, di una indennita' di carica (art. 26  dello
statuto della Sardegna) o di presenza  (art.  19  dello  statuto  del
Friuli-Venezia  Giulia),  tacendo  sulla  loro  misura  e  su   altre
eventuali spettanze. Valgono in proposito  le  stesse  considerazioni
sopra svolte al punto 11.2.1. 
    11.4.-  E'  egualmente  non  fondata  la  censura  di  violazione
dell'art. 12 dello statuto, sollevata  dalla  sola  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia, con riferimento tanto  alla  disposizione  che
disciplina le modalita' di  pubblicita'  e  trasparenza  dello  stato
patrimoniale dei titolari di cariche elettive e di governo  (art.  2,
comma 1, lettera f), quanto a quelle  relative  ai  rimborsi  e  alle
spese dei gruppi politici (art. 2, comma 1, lettere g ed h). 
    Difatti, ne' l'art. 12 invocato, ne' la legge statutaria cui esso
rimanda, si occupano di queste materie, con la conseguenza che  anche
su tale punto deve escludersi la lamentata violazione dello statuto. 
    12.- Una censura specifica, infine, viene rivolta avverso  l'art.
2, comma 5, nella parte in cui prevede  che  il  mancato  adeguamento
delle Regioni alle disposizioni dell'intero art. 2  citato  determina
«una grave violazione di legge ai sensi dell'art. 126,  primo  comma,
della  Costituzione»,  con  conseguente  scioglimento  del  Consiglio
regionale e  contestuale  rimozione  del  Presidente  della  Regione,
laddove  ritenuto  applicabile  anche  alle  Regioni   ad   autonomia
speciale. 
    La norma contrasterebbe con gli artt. 3 e 126 Cost., nonche'  con
gli artt. 15, 35 e 50 dello statuto, ove sono disciplinati i rapporti
tra gli organi regionali, e, fra l'altro, i casi di scioglimento  del
Consiglio e della Giunta regionale, nonche' di  fine  anticipata  del
mandato del Presidente della Regione. 
    La questione  non  e'  fondata  per  erroneita'  del  presupposto
interpretativo, dal momento che la  disposizione  censurata  richiama
l'art. 126 Cost., che e' pacificamente applicabile alle sole  Regioni
ordinarie (sentenza n. 219  del  213),  mentre  la  disciplina  dello
scioglimento dei  Consigli  regionali  delle  autonomie  speciali  e'
contenuta nei rispettivi statuti.