ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  commi
da 1 ad 8, 2, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, promosso dalla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia con ricorso notificato il 25  febbraio
2012, depositato in cancelleria il 5 marzo 2012 ed iscritto al n.  50
del registro ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione, fuori termine, del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  28  gennaio  2014  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    udito l'avvocato Giandomenico  Falcon  per  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25 febbraio 2012  e  depositato  il
successivo 5 marzo, la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  ha
impugnato, tra gli altri, gli artt. 1, commi da 1 a 8, e 2, commi 1 e
2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201  (Disposizioni  urgenti
per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei  conti  pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214. 
    Le norme censurate prevedono deduzioni che vanno ad abbassare  la
base imponibile delle imposte IRES, IRPEF ed IRAP, con  l'effetto  di
diminuirne il gettito, destinato pro  quota  o  interamente  ad  essa
Regione, in virtu' di quanto disposto dalla legge  costituzionale  31
gennaio 1963, n. 1 (Statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia), che - dopo aver stabilito che «La  Regione  ha  una  propria
finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi
della solidarieta'  nazionale,  nei  modi  stabiliti  dagli  articoli
seguenti» (art. 48) - prevede che «Spettano alla Regione le  seguenti
quote fisse delle sottoindicate entrate tributarie erariali  riscosse
nel territorio della  Regione  stessa:  1)  sei  decimi  del  gettito
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche; 2) quattro  decimi  e
mezzo del gettito dell'imposta sul reddito delle persone  giuridiche;
3) sei decimi del gettito delle ritenute alla fonte di cui agli artt.
23, 24, 25 e 29 del d.P.R. 29 settembre 1973,  n.  600,  ed  all'art.
25-bis aggiunto allo stesso decreto; [...]» (art. 49). 
    La  ricorrente  osserva   che   le   norme   censurate   incidono
negativamente  sui  predetti  meccanismi  di  compartecipazione,  che
rappresentano la fondamentale forma di finanziamento di essa Regione,
la quale subisce cosi' una rilevante riduzione di entrate, senza  che
sia previsto alcun meccanismo compensativo. Tanto piu'  che  cio'  si
ripercuote, quanto alle deduzioni relative all'IRPEF ed all'IRES,  in
modo differente rispetto alle Regioni ordinarie, che non godono della
compartecipazione a quelle imposte; mentre la finanza di tali Regioni
non  e'  pregiudicata  neppure  dalla  deduzione  IRAP,  giacche'  la
diminuzione   del   relativo   gettito   viene   compensata   da   un
corrispondente aumento della compartecipazione IVA, con  garanzia  di
integrale finanziamento della spesa sanitaria regionale. 
    La  ricorrente  precisa  di  non  contestare  la  previsione   di
deduzioni in se', ma la mancata compensazione in favore delle Regioni
speciali, in quanto - seppure lo stesso decreto-legge n. 201 del 2011
contiene anche altre norme volte ad aumentare le entrate  tributarie,
quali l'art. 48  (anch'esso  impugnato),  secondo  cui  «Le  maggiori
entrate  erariali  derivanti  dal  presente  decreto  sono  riservate
all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate  alle
esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica  concordati  in  sede  europea,  anche   alla   luce   della
eccezionalita'  della  situazione  economica  internazionale»   -   i
previsti effetti economici favorevoli (a titolo di  compartecipazione
ai tributi erariali)  delle  relative  entrate  tributarie  sarebbero
"annullati" (almeno) per cinque anni; cosi' traducendosi  la  manovra
in una mera riduzione di  entrata,  non  compensata  dall'aumento  di
imposte al cui gettito la Regione ricorrente dovrebbe partecipare. 
    Per la ricorrente, dunque, risulta violato, innanzitutto,  l'art.
3, primo  comma,  della  Costituzione  (che  la  Regione  si  ritiene
legittimata ad evocare, lamentando la disparita' di  trattamento  fra
Regioni, che si riflette in lesione della sua autonomia finanziaria),
poiche', da un lato, l'istituzione  rappresentativa  della  comunita'
regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia  "partecipa"  al  peso   della
riduzione delle imposte dirette in misura piu'  rilevante  del  resto
della comunita' nazionale; e, dall'altro lato (nonostante i cittadini
della Regione paghino, come tutti  gli  altri,  il  previsto  aumento
delle imposte), tale aumento di entrata non si traduce affatto in  un
corrispondente aumento della capacita' di spesa della Regione. 
    In secondo luogo - ricordato che l'art. 63 dello statuto speciale
prevede che le disposizioni finanziarie di cui al Titolo IV  «possono
essere modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun  membro
delle Camere, del Governo e della Regione» ma, «in ogni caso, sentita
la Regione» -, le norme impugnate contrasterebbero con tale  articolo
e con «l'insieme delle disposizioni del titolo IV»,  in  quanto  (pur
non  verificandosi  una  formale  modificazione  delle   disposizioni
statutarie), il loro effetto equivale ad una riduzione della quota di
partecipazione,  che  determina  una  alterazione  del  rapporto  tra
finanza statale e finanza regionale quale fissato dall'art. 49  dello
statuto.  Per  cui,  la  mancata  attivazione  di  una  procedura  di
consultazione  comporta,  ad  avviso  della  ricorrente  Regione,  la
violazione dell'art. 63  dello  statuto  e  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    Infine, per la ricorrente, le norme in questione ledono anche  il
principio di corrispondenza tra entrate  e  funzioni,  implicito  nel
sistema statutario (di cui richiama l'art. 50) ed espresso  nell'art.
119,  quarto  comma,  Cost.,  essendo  evidente  come  la  dimensione
quantitativa delle entrate  regionali  sia  correlata  alla  ampiezza
delle funzioni proprie della stessa Regione, e come un "taglio" delle
risorse a sua disposizione comporti lo squilibrio  tra  queste  e  le
funzioni. Sul punto, peraltro,  la  Regione  -  pur  consapevole  del
precedente ostativo di cui alla sentenza n.  155  del  2006  (secondo
cui, «a  seguito  di  manovre  di  finanza  pubblica,  possono  anche
determinarsi  riduzioni  nella   disponibilita'   finanziaria   delle
Regioni, purche' esse non siano tali  da  comportare  uno  squilibrio
incompatibile con le complessive esigenze di spesa  regionale  e,  in
definitiva, rendano insufficienti i mezzi  finanziari  dei  quali  la
Regione stessa dispone per l'adempimento dei propri compiti») osserva
che quella richiesta alla Regione, in  ordine  all'insufficienza  dei
mezzi finanziari, e' una probatio diabolica e che lo Stato  non  puo'
diminuire unilateralmente le  risorse  senza  alcuna  valutazione  di
adeguatezza  finanziaria,   cioe'   di   una   diminuita   necessita'
finanziaria della Regione. 
    2.- Con atto depositato  l'11  maggio  2012,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, si e' costituito fuori termine. 
    3.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  ha  depositato  in
data 16 ottobre 2012 e 3 gennaio 2014 due memorie in cui ribadisce le
censure proposte nel ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  ha  impugnato
numerose  norme  del  decreto-legge   6   dicembre   2011,   n.   201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, tra le quali l'art. 1,
commi da 1 ad 8, e l'art. 2, commi 1 e 2. 
    1.1.- I commi da 1 ad 8 dell'art. 1 prevedono quanto  segue:  «1.
In considerazione della esigenza di rilanciare lo sviluppo  economico
del Paese e fornire un aiuto alla  crescita  mediante  una  riduzione
della  imposizione  sui  redditi  derivanti  dal  finanziamento   con
capitale  di  rischio,  nonche'  per  ridurre   lo   squilibrio   del
trattamento fiscale tra imprese  che  si  finanziano  con  debito  ed
imprese che si finanziano con capitale proprio, e rafforzare, quindi,
la struttura patrimoniale delle  imprese  e  del  sistema  produttivo
italiano, ai fini della determinazione del reddito complessivo  netto
dichiarato dalle societa' e dagli  enti  indicati  nell'articolo  73,
comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui  redditi,
approvato con decreto del Presidente  della  Repubblica  22  dicembre
1986, n. 917, e' ammesso in deduzione un  importo  corrispondente  al
rendimento  nozionale  del  nuovo  capitale   proprio,   secondo   le
disposizioni dei commi da  2  a  8  del  presente  articolo.  Per  le
societa' e gli enti commerciali di  cui  all'articolo  73,  comma  1,
lettera d), del citato  testo  unico  le  disposizioni  del  presente
articolo si applicano relativamente alle stabili  organizzazioni  nel
territorio dello Stato.»;  «2.  Il  rendimento  nozionale  del  nuovo
capitale proprio  e'  valutato  mediante  applicazione  dell'aliquota
percentuale individuata con il provvedimento di cui al comma  3  alla
variazione  in  aumento  del  capitale  proprio  rispetto  a   quello
esistente alla  chiusura  dell'esercizio  in  corso  al  31  dicembre
2010.»; «3. Dal settimo periodo di imposta l'aliquota percentuale per
il calcolo del rendimento nozionale del  nuovo  capitale  proprio  e'
determinata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da
emanare  entro  il  31  gennaio  di  ogni  anno,  tenendo  conto  dei
rendimenti  finanziari  medi  dei  titoli  obbligazionari   pubblici,
aumentabili  di  ulteriori  tre  punti  percentuali   a   titolo   di
compensazione del maggior rischio. In via transitoria, per  il  primo
triennio di applicazione, l'aliquota e' fissata al 3 per  cento;  per
il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre  2014,  al  31  dicembre
2015 e al 31 dicembre 2016 l'aliquota e' fissata, rispettivamente, al
4 per cento, al 4,5 per cento e al 4,75 per cento.»; «4. La parte del
rendimento  nozionale  che  supera  il  reddito   complessivo   netto
dichiarato  e'  computata  in  aumento  dell'importo  deducibile  dal
reddito dei periodi d'imposta successivi.»; «5. Il  capitale  proprio
esistente alla chiusura dell'esercizio in corso al 31  dicembre  2010
e' costituito dal patrimonio netto risultante dal relativo  bilancio,
senza tener conto dell'utile del medesimo  esercizio.  Rilevano  come
variazioni in aumento i conferimenti  in  denaro  nonche'  gli  utili
accantonati a riserva ad esclusione di quelli destinati a riserve non
disponibili; come variazioni in  diminuzione:  a)  le  riduzioni  del
patrimonio netto con attribuzione, a  qualsiasi  titolo,  ai  soci  o
partecipanti;  b)  gli  acquisti  di   partecipazioni   in   societa'
controllate; c) gli acquisti di aziende o di rami di  aziende.»;  «6.
Gli incrementi derivanti da conferimenti in denaro rilevano a partire
dalla data del versamento; quelli  derivanti  dall'accantonamento  di
utili a partire dall'inizio dell'esercizio in cui le relative riserve
sono  formate.  I   decrementi   rilevano   a   partire   dall'inizio
dell'esercizio in cui  si  sono  verificati.  Per  le  aziende  e  le
societa' di nuova  costituzione  si  considera  incremento  tutto  il
patrimonio conferito.»; «7. Il presente articolo si applica anche  al
reddito d'impresa di persone fisiche, societa' in nome  collettivo  e
in accomandita semplice in regime di contabilita' ordinaria,  con  le
modalita' stabilite con il decreto del Ministro dell'Economia e delle
Finanze di cui al comma 8 in modo da assicurare un beneficio conforme
a  quello  garantito  ai  soggetti  di  cui  al  comma  1.»;  «8.  Le
disposizioni di attuazione del presente  articolo  sono  emanate  con
decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze  entro  30  giorni
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente  decreto.  Con  lo  stesso  provvedimento   possono   essere
stabilite disposizioni aventi finalita' antielusiva specifica». 
    A loro volta, i commi 1 e 2 dell'art.  2  prevedono  che:  «1.  A
decorrere dal periodo d'imposta in  corso  al  31  dicembre  2012  e'
ammesso in deduzione ai sensi dell'articolo 99, comma  1,  del  testo
unico delle  imposte  sui  redditi,  approvato  con  il  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e  successive
modificazioni, un importo pari all'imposta regionale sulle  attivita'
produttive determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446,  relativa  alla  quota
imponibile delle spese per il personale dipendente  e  assimilato  al
netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell'articolo 11,  commi  1,
lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del medesimo decreto legislativo n.
446 del 1997.»; «2. All'articolo 11, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n.  446,  sono  apportate  le  seguenti
modificazioni: a) al numero 2), dopo le parole "periodo  di  imposta"
sono  aggiunte  le  seguenti:  ",  aumentato  a  10.600  euro  per  i
lavoratori di sesso femminile nonche' per quelli di eta' inferiore ai
35 anni"; b) al numero 3), dopo le parole "Sardegna e  Sicilia"  sono
aggiunte le seguenti: ", aumentato a 15.200 euro per i lavoratori  di
sesso femminile nonche' per quelli di eta' inferiore ai 35 anni".». 
    1.2.- Tali disposizioni sono state censurate in quanto (senza che
sia previsto alcun meccanismo  compensativo)  stabiliscono  deduzioni
che vanno ad abbassare la base imponibile delle imposte  IRES,  IRPEF
ed IRAP, con l'effetto di diminuirne il gettito, destinato pro  quota
o interamente ad essa Regione, in virtu'  di  quanto  disposto  dalla
legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1  (Statuto  speciale  della
Regione  Friuli-Venezia  Giulia),  che  (all'art.  49)   prevede   la
spettanza di determinate quote fisse di entrate  tributarie  erariali
(quali quelle in esame) riscosse nel territorio della Regione stessa. 
    Secondo  la  ricorrente,  che  non  contesta  la  previsione   di
deduzioni in se', ma la mancata compensazione a favore delle  Regioni
speciali, le norme impugnate si pongono in contrasto: a)  con  l'art.
3,  primo  comma,  della   Costituzione,   poiche',   da   un   lato,
l'istituzione   rappresentativa   della   comunita'   regionale   del
Friuli-Venezia Giulia  "partecipa"  al  peso  della  riduzione  delle
imposte dirette in misura piu' rilevante del  resto  della  comunita'
nazionale; e, dall'altro lato (nonostante i cittadini  della  Regione
paghino, come tutti gli altri, il previsto  aumento  delle  imposte),
tale aumento di entrata non si traduce affatto in  un  corrispondente
aumento della capacita' di spesa della  Regione;  b)  con  l'art.  63
dello statuto speciale (che prevede che le  disposizioni  finanziarie
di cui al Titolo IV «possono essere modificate con  leggi  ordinarie,
su proposta di ciascun membro  delle  Camere,  del  Governo  e  della
Regione» ma, «in ogni caso, sentita la Regione») e con  il  principio
di leale collaborazione, in quanto (pur non  apportando  una  formale
modificazione  delle  disposizioni  statutarie),  il   loro   effetto
equivale  ad  una  riduzione  della  quota  di  partecipazione,   che
determina un'alterazione del rapporto tra finanza statale  e  finanza
regionale quale fissato dall'art.  49  dello  statuto,  senza  alcuna
attivazione di una procedura di consultazione; c) con il principio di
corrispondenza  tra  entrate  e  funzioni,  implicito   nel   sistema
statutario (art. 50) ed espresso nell'art. 119, quarto comma,  Cost.,
essendo  evidente  come  la  dimensione  quantitativa  delle  entrate
regionali sia correlata all'ampiezza  delle  funzioni  proprie  della
stessa Regione, e come un "taglio" delle risorse a  sua  disposizione
comporti lo squilibrio tra queste e le funzioni. 
    2.- La  trattazione  della  suddetta  questione  di  legittimita'
costituzionale va affrontata in modo distinto rispetto a quella delle
altre  questioni  proposte  con  il  medesimo  ricorso,  riservate  a
separate pronunce. 
    3.- La questione non e' fondata. 
    3.1.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia   Giulia   ripropone
(mutuandone,  finanche  letteralmente,   le   medesime   proposizioni
argomentative) altra questione gia'  proposta  e  decisa,  nel  senso
della non fondatezza, dalla sentenza n. 155 del 2006  sulla  base  di
argomentazioni motivazionali  che  vanno  integralmente  ribadite  in
questa sede, data la sostanziale identita' del thema decidendum. 
    Ora come allora, gli evocati profili di  censura  sono  tra  loro
essenzialmente collegati da un unico e comune motivo di  doglianza  e
cioe' dal rilievo che le norme oggetto di denuncia  abbiano  alterato
il rapporto tra finanza statale e finanza regionale, con  conseguente
lesione  dell'autonomia  regionale  -  garantita  dagli  artt.  49  e
seguenti dello statuto speciale di cui alla legge costituzionale n. 1
del 1963 - quanto alla capacita' di finanziare i propri compiti.  Ed,
in tal senso, e' da apprezzarsi anche la dedotta violazione dell'art.
3, primo comma, Cost.: la quale non assume autonomo rilievo  rispetto
alle altre  censure  e  si  palesa  ammissibile  proprio  perche'  la
prospettazione che la sorregge intende evidenziare e far valere  (non
gia', o non solo, una mera diversita' di  trattamento  rispetto  alla
Regioni ordinarie) bensi' un vulnus alla sfera  di  competenza  della
ricorrente in ambito finanziario. 
    La tesi che sostanzia dette censure e'  nuovamente,  in  sintesi,
quella per cui  il  legislatore  statale,  nell'esercizio  della  sua
potesta' esclusiva in materia tributaria,  in  forza  dell'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost.,  avrebbe  dovuto  contemplare  -  a
fronte di misure, quali quelle dettate dalle disposizioni denunciate,
che riducono il  gettito  fiscale  derivante  dalle  imposte  dirette
oggetto dell'intervento legislativo - anche  misure  compensative  in
favore  della  Regione  che  su  quel  gettito  fa  affidamento   per
finanziare la  realizzazione  dei  propri  compiti.  Pertanto,  anche
nell'odierno giudizio, e' alla luce di tale premessa che va letto  il
petitum sottoposto alla Corte, avente ad oggetto la dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale delle norme denunciate proprio a  causa
della mancata previsione, diversamente da quanto disposto  in  favore
delle Regioni ordinarie, di un riequilibrio della finanza regionale. 
    3.2.- Cio' premesso, va  sottolineato  che,  anche  nel  presente
giudizio, la ricorrente non contesta che la disciplina dei tributi su
cui incidono le norme denunciate appartenga alla competenza esclusiva
dello Stato, ai sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),
Cost., la quale  consente  al  legislatore  statale  di  variarne  la
disciplina,  incidendo  sulle  aliquote,  e  persino  di  sopprimerli
(sentenza n. 97 del 2013). 
    Orbene, nell'esercizio di tale potesta' esclusiva (e dunque, come
nel caso di specie, nella modulazione del prelievo fiscale), non puo'
reputarsi che ogni intervento  su  un  tributo  che,  in  ragione  di
siffatta modificazione, comporti un minor  gettito  per  le  Regioni,
debba «essere accompagnato da  misure  compensative  per  la  finanza
regionale, la quale - diversamente - verrebbe ad essere  depauperata»
(cosi' la citata sentenza n. 431  del  2004).  Cio'  in  quanto  deve
escludersi, da un lato, che possa essere  effettuata  una  atomistica
considerazione di isolate disposizioni incidenti sul  tributo,  senza
valutare nel suo complesso la manovra fiscale  entro  la  quale  esse
trovano collocazione, ben potendosi verificare che,  per  effetto  di
plurime  disposizioni,  contenute  nella  stessa  legge  oggetto   di
impugnazione principale, o in altre  leggi  dirette  a  governare  la
medesima manovra finanziaria, il gettito complessivo  destinato  alla
finanza regionale non subisca riduzioni (sentenze n. 298 del 2009, n.
155 del 2006 e n. 431  del  2004).  E  dall'altro  lato,  che,  dalla
evocata previsione statutaria (art. 49) di spettanza alla Regione  di
quote fisse di entrate tributarie erariali  riscosse  nel  territorio
della stessa, sia desumibile un principio di invarianza  del  gettito
per la Regione in caso  di  modifica  di  tributi  erariali,  che  si
traduca in una rigida garanzia "quantitativa"  di  disponibilita'  di
entrate  tributarie  non  inferiori  a  quelle  ottenute  in  passato
(sentenza n. 241 del 2012). 
    E va nuovamente ribadito come, a seguito di  manovre  di  finanza
pubblica,   ben   possano   anche   determinarsi   riduzioni    nella
disponibilita' finanziaria delle Regioni, purche' esse non siano tali
da  comportare  uno  squilibrio  incompatibile  con  le   complessive
esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i
mezzi  finanziari  dei  quali   la   Regione   stessa   dispone   per
l'adempimento dei propri compiti (sentenze n. 97 del 2013, n. 241 del
2012, n. 298 del 2009 e n. 256 del 2007). Evenienza, questa, che  non
e' possibile verificare,  giacche'  -  al  di  la'  di  una  generica
contestazione in ordine al fatto che, quella richiesta alla  Regione,
sarebbe   una   probatio   diabolica    -    l'assunto    riguardante
l'inadeguatezza  finanziaria  della  manovra  non  e'  stato  oggetto
neppure di un tentativo  di  dimostrazione  da  parte  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, la quale non ha  fornito  alcun  dato
quantitativo concreto, dal quale poter desumere l'effettiva incidenza
negativa  della  diminuzione  del  gettito  derivante   dalle   norme
impugnate rispetto allo svolgimento delle sue funzioni costituzionali
di ente dotato di autonomia speciale. 
    3.3.- Altrettanto infondato risulta, infine, il correlato profilo
di doglianza riguardante la dedotta violazione dell'art.  63,  quinto
comma, dello statuto (secondo  cui  «Le  disposizioni  contenute  nel
titolo IV possono essere modificate con leggi ordinarie, su  proposta
di ciascun membro delle Camere, del Governo e della  Regione,  e,  in
ogni  caso,  sentita  la  Regione»)  e   del   principio   di   leale
collaborazione, proposto in ragione della mancata attivazione,  nella
specie, della  procedura  di  consultazione,  prevista  dalla  citata
norma, allorquando  si  debba  provvedere  alla  modificazione  delle
disposizioni finanziarie di cui al Titolo IV dello statuto medesimo. 
    In merito a tale  censura  risulta,  di  per  se',  dirimente  la
considerazione che, nella specie, nessuna delle norme  statutarie  e'
stata oggetto di alcuna modificazione, ne' formale, ne'  sostanziale,
da parte delle disposizioni impugnate, che,  come  detto,  hanno  per
oggetto la determinazione della base imponibile di tributi  erariali,
di competenza esclusiva del legislatore statale.  D'altronde,  questa
Corte ha ripetutamente  e  costantemente  escluso  che  le  procedure
collaborative fra Stato  e  Regioni  (salvo  che  l'osservanza  delle
stesse  sia  imposta   direttamente   o   indirettamente   da   norme
costituzionali)  trovino  applicazione   nell'attivita'   legislativa
esclusiva dello Stato, per cui  non  vi  e'  concorso  di  competenze
diversamente allocate, ne' ricorrono i presupposti per la chiamata in
sussidiarieta' (sentenze n. 121 e n. 8 del 2013, n. 207 del 2011);  e
che l'esclusione della rilevanza di tali procedure, che e'  formulata
in riferimento al procedimento legislativo ordinario, «vale a maggior
ragione per una fonte come  il  decreto-legge,  la  cui  adozione  e'
subordinata, in forza del secondo comma dell'art. 77 Cost., alla mera
occorrenza  di  "casi  straordinari  di  necessita'   e   d'urgenza"»
(sentenze n. 79 del 2011 e n. 298 del 2009).