ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 51, secondo
comma, del codice di procedura civile promosso, nel giudizio vertente
tra S.C. ed altra e M.A. ed altri, dal Giudice di pace di Milano  con
ordinanza del 22 ottobre  2012,  iscritta  al  n.  170  del  registro
ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 29, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il  22  ottobre  2012,  il
Giudice di pace di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,
54,  secondo  comma,  e  111,  secondo  comma,  della   Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51  (rectius:  51,
secondo comma) del codice di procedura civile, nella parte in cui non
prevede che il giudice di pace - che ritenga di non poter essere o di
non  poter  apparire  imparziale  a  causa  del  proprio  trattamento
economico fondato sul "cottimo", ai  sensi  dell'art.  11,  comma  2,
della legge 21 novembre 1991, n.  374  (Istituzione  del  giudice  di
pace), cioe' basato  su  un  certo  compenso  per  ogni  procedimento
definito  o  cancellato   dal   ruolo   -   possa   astenersi   senza
autorizzazione del capo dell'ufficio; 
    che il rimettente, adito dalla conducente e dalla proprietaria di
un'autovettura tamponata da un veicolo risultato privo  di  copertura
assicurativa  al  momento  del  sinistro,  dovendo   decidere   sulle
eccezioni di difetto di legittimazione passiva e di  improponibilita'
della domanda formulate dalla Societa' Generali Assicurazioni s.p.a.,
evocata in giudizio quale impresa designata dal Fondo di garanzia per
le vittime della strada, ritiene di dover  sollevare  preliminarmente
la suddetta questione di legittimita' costituzionale; 
    che il giudice a quo  evidenzia  che,  ai  sensi  dell'art.  111,
secondo comma, Cost., ogni processo deve svolgersi davanti «a giudice
terzo e imparziale», il quale dovrebbe  non  solo  essere,  ma  anche
apparire tale; 
    che, a suo avviso, quanto previsto dall'art. 11, comma  2,  della
legge n. 374 del 1991  -  secondo  cui  «Ai  magistrati  onorari  che
esercitano  la  funzione  di   giudice   di   pace   e'   corrisposta
un'indennita' [...] di euro 56,81 per ogni altro processo assegnato e
comunque definito o cancellato  dal  ruolo»  -  farebbe  sorgere  nel
giudicante un interesse personale a decidere la  causa  in  un  certo
senso - quello che  gli  consentirebbe  di  ottenere  il  compenso  -
circostanza che ne pregiudicherebbe l'imparzialita'; 
    che, dichiarandosi consapevole del difetto di  rilevanza  di  una
questione di legittimita' costituzionale della norma sul  trattamento
economico dei giudici di pace, con riferimento alla  quale  sollecita
comunque questa Corte ad esercitare il potere di  autorimessione,  il
rimettente precisa che la questione da lui  sollevata  riguarda  solo
l'art. 51 cod. proc. civ., nella parte in cui, al di fuori  dei  casi
espressamente previsti, non consentirebbe  al  giudice  di  astenersi
senza autorizzazione del capo dell'ufficio; 
    che  quanto  alla  non   manifesta   infondatezza,   secondo   il
rimettente, l'art. 51 cod. proc.  civ.  -  nella  parte  censurata  -
violerebbe, oltre all'art. 111, secondo comma, Cost., anche l'art.  3
Cost. (in quanto irragionevole) e l'art. 54, secondo comma, Cost. (in
quanto i cittadini a cui sono affidate funzioni  pubbliche  hanno  il
dovere di adempierle con disciplina ed onore); 
    che, con specifico riferimento al giudizio principale, osserva il
giudice a  quo  che,  pronunciando  sulle  eccezioni  di  difetto  di
legittimazione passiva e di improponibilita' della domanda,  potrebbe
accoglierle - nel qual caso riceverebbe il «compenso» di euro 56,81 -
o rigettarle, senza ricevere alcunche'; 
    che, pertanto, a suo avviso, nel decidere  sulle  eccezioni,  non
potrebbe «obiettivamente» essere o, quantomeno, apparire  imparziale,
ragione per cui considererebbe doveroso astenersi; 
    che, tuttavia, la sua istanza di astensione non e' stata  accolta
dal capo dell'ufficio; 
    che da tutto cio' deriverebbe la rilevanza della questione; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, deducendo l'inammissibilita' e, comunque, l'infondatezza della
questione; 
    che, ad avviso della difesa dello Stato, le norme sul trattamento
economico  dei  giudici  non  assumerebbero  rilevanza  alcuna  nella
decisione  delle  controversie  loro  sottoposte  ne'   inciderebbero
sull'indipendenza degli organi giudiziari  dagli  altri  poteri,  con
conseguente irrilevanza della questione sollevata; 
    che, rammenta inoltre il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
accanto ai casi tipici in cui ha  gia'  espresso  la  valutazione  di
esistenza di un pregiudizio all'imparzialita' dell'organo giudicante,
il legislatore ha previsto la possibilita' di situazioni che  rendono
opportuna  l'astensione   per   «gravi   ragioni   di   convenienza»,
espressione cosi' generica da comportare, in  sede  applicativa,  una
valutazione  concreta  di  ricorrenza  dei  presupposti   idonei   ad
integrarla, trattandosi di ragioni prettamente soggettive ed anormali
che non potrebbero essere  rappresentate  dal  trattamento  economico
riservato alla categoria; 
    che, infine, secondo l'intervenuto, la motivazione dell'ordinanza
sarebbe illogica, non  considerando  che,  quand'anche  la  questione
fosse accolta ed il rimettente potesse dichiarare  di  astenersi,  la
controversia verrebbe assegnata ad un  altro  giudice  di  pace,  che
verserebbe nella medesima situazione di pregiudizio all'imparzialita'
dedotta dal rimettente; 
    che, pertanto, il Presidente del Consiglio  dei  ministri  chiede
che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
    Considerato che il Giudice di pace di  Milano  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 54, secondo comma, e  111,  secondo  comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 51 (rectius: 51, secondo comma)  del  codice  di  procedura
civile, nella parte in cui non prevede che il giudice di pace  -  che
ritenga di non poter essere o apparire imparziale a causa del proprio
trattamento economico fondato sul "cottimo" ai  sensi  dell'art.  11,
comma 2, della legge  21  novembre  1991,  n.  374  (Istituzione  del
giudice di  pace),  cioe'  basato  su  un  certo  compenso  per  ogni
procedimento definito o cancellato dal ruolo - possa astenersi  senza
autorizzazione del capo dell'ufficio; 
    che, a suo avviso, quanto previsto dell'art. 11, comma  2,  della
legge n. 374 del 1991  -  secondo  cui  «Ai  magistrati  onorari  che
esercitano  la  funzione  di   giudice   di   pace   e'   corrisposta
un'indennita' [...] di euro 56,81 per ogni altro processo assegnato e
comunque definito o cancellato  dal  ruolo»  -  farebbe  sorgere  nel
giudicante un interesse personale a decidere la  causa  in  un  certo
senso - quello che  gli  consentirebbe  di  ottenere  il  compenso  -
circostanza che ne pregiudicherebbe l'imparzialita'; 
    che, sostiene il  rimettente,  pronunciando  sulle  eccezioni  di
difetto  di  legittimazione  passiva  e  di  improponibilita'   della
domanda,  potrebbe  accoglierle  -  nel  qual  caso  riceverebbe   il
«compenso» di euro 56,81 - o rigettarle, senza ricevere alcunche'; 
    che, nel deciderla, afferma di non poter  essere  o,  quantomeno,
apparire imparziale,  circostanza  per  cui  considererebbe  doveroso
astenersi,   facolta'   che   gli    e'    preclusa    dal    diniego
dell'autorizzazione da parte del capo del suo ufficio; 
    che, conseguentemente, a suo avviso  l'art.  51,  secondo  comma,
cod. proc. civ. - nella parte denunciata  -  violerebbe  l'art.  111,
secondo  comma,  Cost.,   nonche'   l'art.   3   Cost.   (in   quanto
irragionevole) e  l'art.  54,  secondo  comma,  Cost.  (in  quanto  i
cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il  dovere  di
adempierle con disciplina ed onore); 
    che questa Corte, con l'ordinanza n.  128  del  2013,  successiva
all'atto di promovimento  dell'odierno  giudizio,  ha  dichiarato  la
manifesta inammissibilita' di una questione  sollevata  dal  medesimo
giudice a quo e sostanzialmente identica a quella in esame; 
    che  nella  fattispecie  sono  ravvisabili  analoghe  ragioni  di
inammissibilita'; 
    che,  in  particolare,  la  prospettazione  della  questione   e'
contraddittoria, in quanto, in base alle  stesse  argomentazioni  del
rimettente, anche la dichiarazione di astensione - quale risulterebbe
possibile  in  esito  all'intervento  additivo  invocato  -   sarebbe
contrastata dall'interesse economico del giudicante a  non  astenersi
per non perdere il compenso; 
    che un ulteriore profilo d'inammissibilita'  va  ravvisato  nella
genericita' delle argomentazioni con le quali il rimettente deduce la
violazione   dell'art.   3   Cost.,   espressivo   del   canone    di
«ragionevolezza», e dell'art. 54, secondo comma,  Cost.,  di  cui  si
limita a richiamare l'incipit «I cittadini cui sono affidate funzioni
pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore»; 
    che, infine, va ribadito che in un  ambito,  quale  quello  della
disciplina  del  processo  e  della  conformazione   degli   istituti
processuali - caratterizzato dall'ampia discrezionalita' spettante al
legislatore col solo limite della  manifesta  irragionevolezza  delle
scelte compiute - la questione risulta inammissibile perche'  diretta
a chiedere  a  questa  Corte  un  intervento  non  costituzionalmente
obbligato, oltre che largamente  creativo,  come  tale  riservato  al
legislatore; 
    che,  pertanto,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
sollevata e' manifestamente inammissibile,  restando  assorbito  ogni
altro profilo. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.