ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  13  della
legge della Provincia autonoma di  Trento  19  febbraio  1993,  n.  6
(Norme sulla espropriazione per pubblica utilita'),  come  modificato
dall'art. 58, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento
29 dicembre 2006, n. 11 (Disposizioni per la formazione del  bilancio
annuale 2007 e pluriennale  2007-2009  della  Provincia  autonoma  di
Trento - legge finanziaria 2007), promosso dalla Corte  d'appello  di
Trento con ordinanza del 12 luglio 2012,  nel  procedimento  vertente
tra T.G., il Comune di Trento  ed  altra,  iscritta  al  n.  226  del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  maggio  2014  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte d'appello di Trento, con  ordinanza  del  12  luglio
2012 (r.o. n. 226 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli  artt.
42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione
all'art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla legge 4 agosto
1955, n. 848, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  13
della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6
(Norme sulla espropriazione per pubblica utilita'),  come  modificato
dall'art. 58, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento
29 dicembre 2006, n. 11 (Disposizioni per la formazione del  bilancio
annuale 2007 e pluriennale  2007-2009  della  Provincia  autonoma  di
Trento - legge finanziaria 2007). 
    2.- La rimettente espone che il  signor  T.G.  ha  proposto,  nei
confronti del Comune di Trento e della Provincia autonoma di  Trento,
opposizione alla stima  dell'indennita'  per  l'espropriazione  della
p.f. n. 498/2 CC Gardolo della superficie  di  mq.  637,  finalizzata
alla realizzazione di un sottopasso ciclopedonale secondo il progetto
esecutivo dei  lavori  approvato  dal  Comune  di  Trento;  che,  con
determinazione  del  dirigente  del  servizio  espropriazioni   della
Provincia autonoma di Trento, l'indennita' di espropriazione e' stata
indicata in euro 12,70 al mq. per la parte  del  terreno  espropriato
coltivata ad orto industriale (mq. 377) e in euro 2,10 a mq.  per  la
parte ad  incolto  produttivo  (mq.  260),  nel  presupposto  che  si
trattasse di un'area non edificata, ne' edificabile; che  l'opponente
ha addotto l'erroneita'  di  tale  valutazione,  stante  il  maggiore
valore  di  mercato  del  suolo  in   oggetto   e   ha   chiesto   la
rideterminazione dell'indennita' sulla base  della  reale  condizione
del bene espropriato. 
    Il giudice a quo riferisce che, nel giudizio  principale,  si  e'
costituita la Provincia autonoma  di  Trento,  eccependo  la  propria
carenza  di  legittimazione  passiva  in  ordine  alla  richiesta  di
condanna al pagamento dell'indennita' espropriativa, sul  presupposto
che  il  ruolo  della  stessa  fosse  limitato  alla  gestione  della
procedura espropriativa medesima e che l'ente espropriante  fosse  il
Comune di Trento, unico legittimato a resistere  all'opposizione.  Il
collegio aggiunge che, nel giudizio a quo, si e' costituito anche  il
Comune di Trento, sostenendo che la determinazione dell'indennita' in
sede  amministrativa   fosse   congrua,   in   considerazione   della
destinazione  urbanistica   a   viabilita'   dell'area   espropriata,
costituita da una striscia di terreno, in parte coltivata  e  per  il
resto incolta, della larghezza di mq. 4,50, interposta tra una strada
comunale e la massicciata di una  ferrovia.  In  particolare  -  come
ricordato dalla rimettente  -  il  Comune  di  Trento  ha  contestato
l'assunto dell'opponente in ordine all'ubicazione del terreno  in  un
contesto edificato e ha sottolineato come le tabelle predisposte  per
la valutazione delle aree agricole fossero vincolanti anche  in  sede
giudiziale. 
    La  Corte  d'appello  riferisce,  altresi',  che,  nel   giudizio
principale, era stata disposta C.T.U.  per  la  determinazione  della
giusta indennita' espropriativa in base alle disposizioni della legge
prov. Trento n. 6 del 1993, previa verifica della natura  edificabile
o meno dell'area espropriata. 
    Dalla relazione tecnica - prosegue la rimettente - e' emerso che:
1) l'area espropriata, relativa all'intera p.f. 498/2/CC  Gardolo  di
mq. 637, era costituita da una striscia di terreno della larghezza di
mt. 4.50 circa e della lunghezza di mt.  140,  posta  tra  un'arteria
stradale e una linea ferroviaria; 2) l'area espropriata ricadeva, dal
punto di vista urbanistico, in  parte,  in  zona  F2  destinata  alla
viabilita' e, in parte, in zona F3 destinata al  sistema  ferroviario
secondo il piano regolatore generale  comunale;  3)  si  trattava  di
destinazioni urbanistiche  che  non  consentivano  l'edificazione  e,
pertanto, anche in considerazione  dell'art.  12  della  legge  prov.
Trento  n.  6  del  1993  -  secondo  cui  costituiscono   aree   non
edificabili,  tra  l'altro,  quelle  destinate  alla   viabilita'   -
l'indennita' espropriativa andava determinata sulla base del disposto
dell'art.  13  della  medesima  legge  provinciale;  4)  per  effetto
dell'applicazione di tale norma, che  fa  riferimento  ai  cosiddetti
valori agricoli tabellari per la  determinazione  dell'indennita'  di
espropriazione in presenza di aree  non  edificabili,  la  C.T.U.  ha
determinato un'indennita' complessiva di euro 5.333,90  di  cui  euro
546,00 per la parte di incolto produttivo  della  superficie  di  mq.
260, considerato il valore tabellare di euro  2.10  a  mq.,  ed  euro
4.787,90 per la parte  coltivata  ad  orto-industriale  di  mq.  377,
stante il valore tabellare di euro 12,70 al mq.; 5)  con  riferimento
all'incolto produttivo, il  valore  tabellare  unitario  risulterebbe
eccessivamente modesto considerato  il  maggiore  valore  di  mercato
(pari a euro 16,00 al mq.) attribuibile al terreno de  quo,  in  base
alle caratteristiche del fondo in oggetto. 
    La  Corte  d'appello  osserva  che,  in  base  agli  accertamenti
tecnici, l'indennita' espropriativa  determinata  secondo  la  citata
normativa provinciale e' risultata pari a complessivi euro  5.333,90,
mentre il valore di mercato dell'area espropriata, secondo  la  stima
del C.T.U., sarebbe di euro 10.192,00 (mq. 637 per euro 16,00 a mq.). 
    3.- In questo quadro, la Corte d'appello di Trento  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge prov. Trento  n.
6 del 1993, come modificato dall'art. 58, comma 1, della legge  prov.
Trento n. 11 del 2006, in riferimento agli artt. 42, terzo  comma,  e
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del primo protocollo
addizionale della CEDU. 
    La rimettente riporta preliminarmente  il  contenuto  del  citato
art. 13 (commi 1 e 2) e ricorda che,  secondo  la  giurisprudenza  di
questa  Corte  (sentenza  n.  181  del   2011),   la   determinazione
dell'indennita' espropriativa non  potrebbe  prescindere  dal  valore
effettivo del  bene  espropriato;  il  legislatore,  pur  non  avendo
l'obbligo di commisurare  integralmente  l'indennita'  al  valore  di
mercato, non  potrebbe  trascurare  tale  parametro,  costituente  un
importante termine di riferimento ai fini della individuazione di una
congrua indennita', in modo da garantire il "giusto  equilibrio"  tra
l'interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei  diritti
fondamentali degli individui. E' ancora richiamata la citata sentenza
n. 181 del  2011,  in  base  alla  quale  si  e'  ritenuto  che,  con
riferimento  alle  aree  agricole  o  comunque  non  edificabili,  la
normativa statale che commisurava l'indennita' di  espropriazione  al
valore agricolo  medio  delle  colture  in  atto  o  di  quella  piu'
redditizia  nella  regione  agraria  di  appartenenza  dell'area   da
espropriare,  calcolate  annualmente  da  apposite  commissioni,  non
tenesse conto delle  caratteristiche  di  posizione  del  suolo,  del
valore intrinseco del terreno e di quant'altro potesse  incidere  sul
valore venale di esso. 
    Con  tale  sentenza,   e'   stata   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale del criterio del  cosiddetto  valore  agricolo  medio,
ritenuto elusivo del legame,  richiesto  dalla  giurisprudenza  della
Corte EDU, che l'indennita' deve avere con il valore di  mercato  del
bene   espropriato.   Detto   criterio   non   sarebbe    rispondente
all'esigenza, espressa piu'  volte  da  questa  Corte,  di  garantire
all'espropriato un serio ristoro. 
    La Corte territoriale osserva che il criterio  di  determinazione
dell'indennita' espropriativa per le aree non  edificabili,  previsto
dalla normativa  provinciale  sopra  richiamata,  sarebbe  del  tutto
simile a quello che regolava, ai sensi dell'art. 5-bis, comma 4,  del
decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333  (Misure  urgenti  per   il
risanamento della finanza pubblica), convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, della legge 8 agosto 1992, n. 359, la  medesima  materia
nell'ambito della normativa statale, oggetto  della  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale di cui alla menzionata sentenza n.  181
del 2011. Pertanto, sussisterebbero le condizioni per ritenere l'art.
13 della legge prov. Trento  n.  6  del  1993,  come  modificato,  in
contrasto con gli artt. 42, terzo comma, e 117, primo  comma,  Cost.,
in relazione all'art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU. 
    In  punto  di  rilevanza,  la  Corte   d'appello   richiama   gli
accertamenti del C.T.U. espletati nel corso del  giudizio  principale
di opposizione alla stima, alla luce dei  quali  sarebbe  emersa  una
notevole differenza tra  l'importo  calcolato  secondo  le  modalita'
previste dal censurato art. 13 e quello determinato  sulla  base  del
valore di mercato dell'area espropriata. 
    4.- Con memoria  depositata  in  data  9  novembre  2012,  si  e'
costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, chiedendo che
la sollevata questione di legittimita' costituzionale sia  dichiarata
inammissibile  per  difetto  di   rilevanza   o   per   insufficiente
motivazione sulla rilevanza e, nel merito, non fondata. 
    In    primo    luogo,    la    Provincia    autonoma    eccepisce
l'inammissibilita'  della  questione  per  genericita',  ovvero   per
mancanza di precisione dell'oggetto, «laddove essa estende  la  eadem
ratio, che ha sorretto la dichiarazione di incostituzionalita'  della
norma  nazionale,  a  norme  della   legislazione   provinciale   che
disciplinano in maniera assai differente l'assetto tra aree edificate
ed  aree  non  edificate  e  relative  conseguenze  in  ordine   alla
determinazione della indennita' di  esproprio,  sicche'  il  richiamo
tout court alla sentenza n. 181/2011 risulta improprio, senza che sia
stato  tenuto  adeguatamente  conto  delle  differenze  del   sistema
trentino». 
    Infatti, mentre, nella legislazione nazionale, ai sensi dell'art.
37 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n.  327
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di espropriazione per pubblica  utilita'  -  Testo  A),  sono
definite positivamente soltanto le  «aree  edificabili»  come  quelle
aventi «possibilita' legali ed effettive di edificazione»,  per  cui,
le «aree non edificabili» sono, in via residuale, tutte quelle  prive
di possibilita' legali  di  edificazione,  aventi  o  meno  vocazione
agricola (art. 40, commi 1 e 2 del  citato  testo  unico),  la  legge
provinciale n. 6 del 1993, definisce positivamente - sempre  ai  fini
della determinazione dell'indennita' di espropriazione - le «aree non
edificabili» (art. 12), adottando un criterio residuale per le  «aree
edificabili». 
    La Provincia autonoma di Trento  evidenzia,  quindi,  come  nella
legislazione nazionale la categoria delle «aree non edificabili»  sia
piu' ampia di  quella  determinata  nella  legislazione  provinciale,
essendo in quest'ultima la categoria  delle  «aree  non  edificabili»
coincidente con quelle definite tali per  legge  e  per  destinazione
urbanistica specifica. 
    Pertanto, ad avviso  della  parte  resistente,  non  si  potrebbe
affermare, con  trasposizione  automatica  della  questione  -  come,
invece, fatto dalla rimettente - che  la  normativa  provinciale,  la
quale, a  differenza  di  quella  statale,  proprio  sulle  aree  non
edificabili e' piu'  articolata  e  precisa,  non  contenga,  al  suo
interno, una strumentazione atta a consentire  la  valutazione  delle
caratteristiche oggettive del bene. 
    La Provincia autonoma sottolinea la  differenza  di  fatto  e  di
diritto tra i presupposti caratterizzanti la questione  decisa  dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 181 del 2011 ed i presupposti
della questione sollevata dalla Corte d'appello di Trento. 
    In particolare, pone in rilievo come un terreno ubicato a ridosso
del centro cittadino, con  una  destinazione  ad  «uso  pubblico  per
servizi vari» - che, nel giudizio principale, nel corso del quale era
stata sollevata la questione decisa con la sentenza n. 181 del  2011,
era stato qualificato dal C.T.U.  come  «non  edificabile»  ai  sensi
dell'art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001, con conseguente applicazione
ad esso del valore agricolo medio di un seminativo arborato  ai  fini
di  determinazione  dell'indennita'   di   espropriazione   -   nella
legislazione provinciale sarebbe stato, all'opposto, qualificato come
«area edificabile» ai sensi dell'art. 12, comma 2, della legge  prov.
Trento n. 6 del 1993. 
    La Provincia autonoma  rileva,  quindi,  che  nella  legislazione
provinciale, in applicazione degli artt. 12 e 14  della  legge  prov.
Trento n. 6  del  1993,  le  «aree  non  edificabili»  costituiscono,
nell'ambito  della  procedura  espropriativa,  ipotesi  numericamente
limitate rispetto ai casi  di  espropriazione  di  aree  edificate  o
edificabili, mentre nella legislazione nazionale varrebbe  la  regola
opposta. 
    Infatti, la lettura del censurato art.  13  non  potrebbe  essere
disgiunta  da  quella  dell'art.  12   che   classifica   come   «non
edificabili» le aree che sono definite  dagli  strumenti  urbanistici
come agricole, le aree con vincolo  di  inedificabilita'  assoluta  e
quelle destinate alla  realizzazione  di  infrastrutture  stradali  e
piste da sci completamente inserite nelle sopra citate aree agricole. 
    La parte resistente rimarca che, essendo, in ambito  provinciale,
le  aree  non  edificabili  completamente  inserite  in  un  contesto
agricolo,  risulta  coerente,  ai  fini  della  determinazione  della
indennita' di espropriazione, l'applicazione dei valori agricoli medi
(in conformita' anche con l'art. 40, comma 1, del d.P.R. n.  327  del
2001, non oggetto della sentenza n. 181 del 2011). 
    La  Provincia  autonoma  osserva,  altresi',  che,  per  come  e'
strutturato il sistema del Trentino-Alto Adige, non esisterebbe  quel
distacco dal valore reale del bene che si registra nella applicazione
della normativa statale. 
    La legge provinciale in oggetto, infatti, con la  previsione  dei
valori agricoli medi (VAM) tabellari,  offrirebbe  un  sistema  molto
piu' articolato  e  garantista  di  quello  applicato  in  base  alla
normativa  nazionale  in  quanto,  da  un  lato,  sarebbe  minore  la
discrezionalita'  nell'individuare  le  aree   non   edificabili   e,
dall'altro, i VAM, come enucleati dalla Commissione  provinciale  per
le espropriazioni (CPE), considererebbero delle variabili  (quali  la
giacitura del fondo, l'accessibilita'  ad  esso,  la  fertilita'  del
bosco e cosi' via) atte ad identificare le caratteristiche reali  del
bene. 
    La Provincia autonoma  sottolinea,  inoltre,  che  il  territorio
provinciale e' ripartito  in  quaranta  zone  omogenee  agricole:  in
ciascuna di essa sono presenti tutte le colture agricole a  cui  sono
attribuiti  tre  distinti  valori  a  seconda  che  il  terreno   sia
lavorabile  con   mezzi   meccanici,   sia   irrigato,   ovvero   sia
momentaneamente incolto. 
    Pertanto - ad avviso della parte resistente -  sebbene  anche  la
legislazione provinciale sia rimasta legata ad un  sistema  tabellare
di valori, definiti in ragione delle colture agrarie a seconda  delle
classi  colturali  (frutteto,  vigneto,  seminativo  e   cosi'   via)
praticate nel terreno, detto sistema, essendo  applicato  soltanto  a
zone  delimitate  di  sicura  inedificabilita',  non   creerebbe   un
eccessivo divario dal valore venale. 
    Secondo la Provincia autonoma, eliminando il valore tabellare, si
riporterebbe il sistema vigente in materia di espropriazione  ad  una
situazione  in  cui,  ogni   volta   che   si   dovesse   prospettare
l'espropriazione di una zona non edificabile, si dovrebbe dare  corso
ad  un  contenzioso  e  ad  una  serie  di  consulenze  tecniche  per
determinare  il   valore   del   terreno,   con   evidente   aggravio
procedimentale ed economico. 
    Inoltre,  qualora  si  dichiarassero  incostituzionali  i  valori
tabellari e  si  facesse  riferimento  esclusivamente  ai  valori  di
mercato   del   bene   espropriato,   l'indennita'   aggiuntiva    da
corrispondere ai  coltivatori  ed  agli  affittuari  (che,  ai  sensi
dell'art. 20 della legge prov. n. 6 del 1993, e' pari  all'indennizzo
riconosciuto   all'espropriato)   sarebbe   simile   a   quella    da
corrispondere  a  titolo  di  espropriazione  al   proprietario   con
effettivo superamento del valore patrimoniale del bene medesimo. 
    Pertanto,  ad  avviso  della  parte  resistente,   la   questione
rilevante non riguarderebbe la validita' o meno del sistema tabellare
dei VAM, ma la corretta "quotazione"  ed  adeguatezza  economica  dei
valori previsti. 
    In  particolare,  secondo  la  Provincia  autonoma,  il  collegio
rimettente avrebbe potuto ricercare, nella giurisprudenza della Corte
costituzionale  e  nei  principi  enunciati  dalla  Corte  EDU,   gli
strumenti interpretativi per discostarsi dall'indicazione dei  valori
fissati nelle tabelle sui VAM, attraverso una  loro  disapplicazione,
trattandosi di atti amministrativi a  carattere  generale  di  natura
tecnico-discrezionale.  Sotto  tale  profilo,  la  questione  sarebbe
inammissibile per difetto di rilevanza. 
    La Provincia autonoma  ritiene,  inoltre,  che  la  questione  di
legittimita' costituzionale posta dalla rimettente  non  riguardi  la
validita' del sistema tabellare, ne' l'adeguatezza dei  parametri  di
valore in esso stabiliti, ma solo l'eccessiva rigidita' della  norma,
che  impedirebbe  al  giudice  di  discostarsi  dai  parametri  delle
tabelle, qualora esse comportino un eccessivo scostamento dal  valore
di mercato. 
    Detta Provincia osserva, infine, che, stante  la  non  automatica
estensibilita' al caso di specie della soluzione adottata dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 181 del 2011, la questione  potrebbe
essere  ritenuta  inammissibile  per  genericita'  dell'oggetto,  non
avendo il collegio rimettente precisato il contenuto della  possibile
pronuncia additiva ed  avendo  contestato  la  validita'  dell'intero
sistema tabellare della legislazione provinciale trentina. 
    5.- In data 24 aprile 2014, la Provincia autonoma  di  Trento  ha
depositato memoria illustrativa, insistendo per  la  declaratoria  di
inammissibilita' -  per  difetto  di  rilevanza  ovvero  per  carente
motivazione  sulla  rilevanza  -  ovvero,  in   subordine,   per   la
dichiarazione di  non  fondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Trento,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe (r.o. n. 226 del 2012), dubita - in riferimento  agli  artt.
42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione
all'art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla legge 4 agosto
1955, n. 848 - della legittimita' costituzionale dell'art.  13  della
legge della Provincia autonoma di  Trento  19  febbraio  1993,  n.  6
(Norme sulla espropriazione per pubblica utilita'),  come  modificato
dall'art. 58, comma 1, della legge della Provincia autonoma  in  data
29 dicembre 2006, n. 11 (Disposizioni per la formazione del  bilancio
annuale 2007 e pluriennale  2007-2009  della  Provincia  autonoma  di
Trento - legge finanziaria 2007), concernente la determinazione della
indennita' di espropriazione per le aree non edificabili. 
    Ad avviso della  rimettente,  la  norma  censurata  violerebbe  i
citati parametri costituzionali in quanto essa,  per  determinare  la
detta indennita', farebbe riferimento ai cosiddetti  valori  agricoli
tabellari, eccessivamente  modesti  rispetto  al  valore  di  mercato
attribuibile ai terreni in base alle loro caratteristiche; in  quanto
il criterio di determinazione dell'indennita', previsto  dalla  norma
provinciale censurata, sarebbe simile a quello che regolava, ai sensi
dell'art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio  1992,  n.  333
(Misure  urgenti  per  il  risanamento   della   finanza   pubblica),
convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  della  legge  8  agosto
1992,  n.  359,  la  medesima  materia  nell'ambito  della  normativa
statale,  norma  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  con  la
sentenza di questa Corte n. 181 del 2011, in relazione alla quale  il
criterio del cosiddetto  valore  agricolo  medio  e'  stato  ritenuto
elusivo  del  legame,  richiesto  dalla  giurisprudenza  della  Corte
europea per i diritti dell'uomo, che l'indennita' deve avere  con  il
valore di mercato  del  bene  espropriato,  nonche'  non  rispondente
all'esigenza, espressa piu'  volte  dalla  Corte  costituzionale,  di
garantire all'espropriato un serio ristoro. 
    2.-  La  Provincia  autonoma  di  Trento,  con  la   memoria   di
costituzione, ha eccepito l'inammissibilita' della questione, per  il
suo  carattere   generico   ovvero   per   mancanza   di   precisione
dell'oggetto, «laddove essa estende la eadem ratio, che  ha  sorretto
la dichiarazione di  incostituzionalita'  della  norma  nazionale,  a
norme della legislazione  provinciale  che  disciplinano  in  maniera
assai differente l'assetto fra aree edificate ed aree non edificate e
relative conseguenze in ordine alla determinazione  della  indennita'
di esproprio,  sicche'  il  richiamo  tout  court  alla  sentenza  n.
181/2011 risulta improprio, senza che sia stato tenuto  adeguatamente
conto delle differenze del sistema trentino». 
    Inoltre,  ad  avviso  della  Provincia  autonoma,  oggetto  della
questione non sarebbe il sistema tabellare in se' e per se',  ne'  la
circostanza che la modulazione dei valori medi  sarebbe  lontana  dai
valori di mercato. Sempre secondo la Provincia autonoma, tale  valore
«non puo' che essere valutato caso per caso; e se il Giudice ha  dato
corso ad una C.T.U. per conoscere la valutazione di mercato dell'area
in questione, avrebbe forse potuto cercare anche nella  legge,  nella
giurisprudenza di questa Corte e nei principi enunciati  dalla  Corte
EDU, gli strumenti interpretativi  per  discostarsi  dall'indicazione
dei valori fissati nelle tabelle sui  VAM,  mediante,  appunto,  loro
disapplicazione, come si e' sopra osservato.  E  allora,  sotto  tale
profilo, viene anche meno la rilevanza, con  la  conseguenza  che  la
proposta   questione   potrebbe   essere   dichiarata   tout    court
inammissibile». 
    Le suddette eccezioni non sono fondate. 
    Il denunziato carattere generico della questione non sussiste. 
    L'ordinanza  di  rimessione  descrive  in  modo  sufficiente   la
fattispecie (per quanto rileva ai fini di  causa)  ed  individua  con
chiarezza  il   petitum,   volto   ad   ottenere   la   dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale della  norma  censurata,  perche'  in
contrasto con i menzionati parametri costituzionali. 
    Quanto, poi, alla  differenza  di  disciplina  esistente  tra  la
normativa statale ed  il  sistema  trentino  (differenza  che,  nella
legislazione  nazionale,  renderebbe  la  categoria  delle  aree  non
edificabili  ben  piu'  ampia  rispetto  a  quella  determinata   dal
legislatore provinciale, il che non sarebbe privo di conseguenze  «al
fine  di  verificare  la  tenuta   costituzionale   della   normativa
provinciale»), si deve osservare che l'argomento non e' pertinente. 
    Infatti, nella fattispecie in esame, non  e'  in  discussione  la
natura della superficie in esproprio che, come emerge  dall'ordinanza
di rimessione, «e'  costituita  da  una  striscia  di  terreno  della
larghezza di mt. 4,50 circa e lunga  mt.  140  posta  tra  un'arteria
stradale e una linea ferroviaria». La stessa  ordinanza  precisa  che
«dal punto di vista urbanistico l'area ablata ricadeva  in  parte  in
zona F2 destinata alla viabilita' e in parte in zona F3 destinata  al
sistema  ferroviario  secondo  il  PRG  comunale;  si   trattava   di
destinazioni  urbanistiche  che  non  consentivano  l'edificazione  e
pertanto, anche in considerazione di  quanto  previsto  dall'art.  12
della legge provinciale n. 6/1993 secondo cui costituiscono aree  non
edificabili, tra l'altro, quelle destinate a viabilita', l'indennita'
espropriativa andava determinata sulla base del disposto dell'art. 13
della medesima L. P.». 
    L'area in  questione,  dunque,  ha  senza  dubbio  carattere  non
edificabile, avuto riguardo alle destinazioni  urbanistiche  che  non
consentono   l'edificazione,   sicche'   essa   rientra   nell'ambito
applicativo del censurato art. 13 della legge prov. Trento n.  6  del
1993 (e successive modificazioni), a prescindere  dalle  identita'  o
difformita' dei presupposti  normativi  tra  legge  statale  e  legge
provinciale. 
    Infine,  in  ordine  alla  rilevanza  della  questione,  si  deve
rimarcare che la Corte d'appello ha ravvisato tale presupposto  nella
notevole differenza tra l'importo calcolato dal  C.T.U.,  secondo  le
modalita' previste dal citato art. 13,  e  quello  determinato  sulla
base del valore di mercato dell'area espropriata. Si  tratta  di  una
motivazione non implausibile, che merita  di  essere  condivisa.  Non
altrettanto  puo'  dirsi,  invece,  in  ordine  all'argomento   della
Provincia autonoma, secondo cui la Corte territoriale avrebbe  potuto
discostarsi dall'indicazione dei valori  fissati  nelle  tabelle  sui
valori agricoli medi (VAM) mediante loro  disapplicazione.  E'  vero,
infatti, che le tabelle sono atti amministrativi a carattere generale
e di natura tecnico-discrezionale. Tuttavia, la Provincia trascura di
considerare che esse sono state recepite in una norma di  legge,  del
cui precetto sono divenute parti, sicche' disapplicarle  equivarrebbe
a disapplicare la norma stessa. 
    Da qui la non fondatezza delle sollevate eccezioni. 
    3.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    Va premesso che le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno
competenza  legislativa   primaria,   tra   l'altro,   in   tema   di
espropriazione  per  pubblica  utilita',  per  tutte  le  materie  di
competenza provinciale (art. 8, numero 22, d.P.R. 31 agosto 1972,  n.
670 recante «Approvazione del testo unico delle leggi  costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»). 
    Le Province esercitano la  detta  potesta'  legislativa  entro  i
limiti indicati  dall'art.  4  dello  statuto  speciale,  ovvero  «In
armonia con la Costituzione e i principi  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica e con il rispetto degli  obblighi  internazionali  e
degli interessi nazionali  [...]  nonche'  delle  norme  fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica [...]» . 
    Pertanto,  la  legislazione  provinciale,  ancorche'  espressione
della competenza primaria dell'ente  autonomo,  deve  conformarsi  ai
principi   che   traggono   supporto   dal   testo   fondamentale   e
caratterizzano l'ordinamento giuridico dello Stato (sentenza  n.  231
del 1984). 
    In questo quadro, l'art. 13 della legge prov.  Trento  n.  6  del
1993, come modificato dall'art. 58, comma 1, della legge prov. Trento
n. 11 del 2006, dispone quanto segue: «1. Per le aree non edificabili
l'indennita' di espropriazione corrisponde al valore  agricolo  medio
che deve essere attribuito all'area quale terreno considerato  libero
da vincoli di contratti agrari e secondo il tipo di coltura  in  atto
al momento del deposito della domanda di cui all'articolo 4, comma 1. 
    2. A tal fine, entro il 31  dicembre  di  ogni  anno  per  l'anno
successivo, la  C.P.E.  provvede  alla  ripartizione  del  territorio
provinciale in zone agrarie omogenee ed alla determinazione di valori
agricoli medi secondo i tipi di coltura praticati in  relazione  alle
singole zone  agrarie,  nonche'  del  criterio  di  stima  dei  danni
arrecati dal punto  di  vista  del  valore  agrario  alle  proprieta'
residue nel caso di espropriazioni parziali di terreni agricoli. 
    2-bis. I  provvedimenti  adottati  ai  sensi  del  comma  2  sono
pubblicati nel Bollettino ufficiale della Regione». 
    Il criterio  seguito  dal  legislatore  regionale  per  calcolare
l'indennita'   di   espropriazione   delle   aree   non   edificabili
(espressione che comprende le aree agricole e quelle non suscettibili
di classificazione edificatoria) e', dunque, il valore agricolo medio
del suolo secondo i tipi  di  coltura  praticati  in  relazione  alle
singole zone agrarie, valore da determinare annualmente ad  opera  di
un'apposita   commissione   previa   ripartizione   del    territorio
provinciale in zone agrarie omogenee. 
    Orbene, come questa Corte ha gia' osservato,  nella  sentenza  n.
181 del 2011, con riguardo ad analoga normativa statale,  «il  valore
tabellare   cosi'   calcolato   prescinde   dall'area   oggetto   del
procedimento espropriativo, ignorando ogni dato  valutativo  inerente
ai  requisiti  specifici  del  bene.  Restano  cosi'  trascurate   le
caratteristiche di posizione del  suolo,  il  valore  intrinseco  del
terreno (che non  si  limita  alle  colture  in  esso  praticate,  ma
consegue anche alla presenza  di  elementi  come  l'acqua,  l'energia
elettrica,  l'esposizione),  la  maggiore  o  minore  perizia   nella
conduzione del fondo e quant'altro puo' incidere sul valore venale di
esso. Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente  astratto,
che  elude  il  "ragionevole  legame"  con  il  valore  di   mercato,
"prescritto  dalla  giurisprudenza  della  Corte  di   Strasburgo   e
coerente,  del  resto  con  il  "serio   ristoro"   richiesto   dalla
giurisprudenza consolidata di questa  Corte"  (sentenza  n.  348  del
2007, punto 5.7 del Considerato in diritto)». 
    E' vero - prosegue la citata sentenza n. 181 del 2011 -  che  «il
legislatore  non  ha   il   dovere   di   commisurare   integralmente
l'indennita' di espropriazione al valore di mercato del bene ablato e
che non sempre e' garantita dalla  CEDU  una  riparazione  integrale,
come la stessa Corte di Strasburgo ha affermato, sia pure aggiungendo
che in caso di "espropriazione isolata", pur se a  fini  di  pubblica
utilita', soltanto una riparazione integrale puo' essere  considerata
in rapporto ragionevole con il valore  del  bene.  Tuttavia,  proprio
l'esigenza   di   effettuare   una    valutazione    di    congruita'
dell'indennizzo  espropriativo,  determinato   applicando   eventuali
meccanismi  di  correzione  sul  valore  di   mercato,   impone   che
quest'ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore
(sentenza n. 1165  del  1988),  in  guisa  da  garantire  il  "giusto
equilibrio"  tra  l'interesse  generale  e   gli   imperativi   della
salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui». 
    Il   criterio    della    determinazione    dell'indennita'    di
espropriazione delle «aree non edificabili»  di  cui  alla  normativa
nazionale dichiarata costituzionalmente  illegittima  con  la  citata
sentenza  e'  sostanzialmente  riprodotto  dalla  normativa  trentina
oggetto di  censura.  La  conclusione  teste'  enunciata  si  impone,
pertanto, anche  per  la  denunziata  norma  provinciale  di  cui  va
dichiarata l'illegittimita' costituzionale per contrasto  con  l'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del primo protocollo
addizionale della CEDU, nell'interpretazione datane  dalla  Corte  di
Strasburgo, e con l'art. 42, terzo comma, Cost.