LA CORTE DEI CONTI
(Sezione regionale di controllo per il Piemonte)
La Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte, composta dai
Magistrati:
dott. Mario Pischedda Presidente f.f.;
dott. Giuseppe Maria Mezzapesa Consigliere;
dott.ssa Alessandra Olessina Primo Referendario;
dott. Massimo Valero Primo Referendario;
dott. Adriano Gribaudo Primo Referendario;
dott. Cristiano Baldi Referendario.
Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di
parificazione del rendiconto della Regione Piemonte, per l'esercizio
finanziario 2013.
Visti gli articoli 81, 97, 100, comma 2, 103, comma 2 e 119 della
Costituzione;
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive
modificazioni;
Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213;
Vista la legge regionale 11 aprile 2001 n. 7, in materia di
ordinamento contabile della Regione Piemonte;
Visto il disegno di legge della Giunta Regionale n. 10 trasmesso
a questa Sezione con nota n. 10.000/SB0100/PRE del 29 luglio 2014 e
depositato presso il Consiglio Regionale il 30 luglio 2014, con il
quale e' stata approvata la proposta di rendiconto generale per
l'esercizio finanziario 2013, completa del conto del bilancio e del
conto del patrimonio, unitamente alla relazione dei Revisori dei
conti e alla relazione di accompagnamento;
Viste le leggi regionali: 28 dicembre 2012, n. 19, avente per
oggetto «Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della
Regione Piemonte per l'anno 2013 e altre disposizioni finanziarie»;
30 gennaio 2013, n. 2, avente per oggetto «Proroga
dell'autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della
Regione Piemonte per l'anno finanziario 2013»; 27 marzo 2013, n. 4,
avente per oggetto «Ulteriore proroga dell'autorizzazione
all'esercizio provvisorio del Bilancio della Regione Piemonte per
Panno 2013»; 7 maggio 2013, n. 8, avente per oggetto «Legge
finanziaria per l'anno 2013»; 7 maggio 2013, n. 9 avente per oggetto
«Bilancio di previsione per l'anno finanziarlo 2013 e bilancio
pluriennale per gli anni finanziari 2013-2015»; 6 agosto 2013, n. 15,
avente per oggetto «Rendiconto generale per l'esercizio finanziario
2012»; 6 agosto 2013, n. 16, avente per oggetto «Assestamento al
bilancio di previsione per l'anno finanziario 2013 e al bilancio
pluriennale per gli anni finanziari 2013/2015»; 29 ottobre 2013, n.
19, avente per oggetto «Ulteriori disposizioni finanziarie per l'anno
2013 e pluriennale 2013-2015»;
Vista l'ordinanza n. 41 dell'11 settembre 2014, con la quale il
Presidente f.f. di questa Sezione regionale di controllo ha fissato
l'odierna udienza, per la decisione sulla parificazione del
rendiconto generale della Regione Piemonte relativo all'esercizio
finanziario 2013;
Uditi nella pubblica udienza del 10 ottobre 2014 il Presidente ed
i relatori, il Procuratore regionale Piero Carlo Floreani, il
Presidente della Giunta regionale del Piemonte Sergio Chiamparino e
l'Assessore al Bilancio della Regione Piemonte Aldo Reschigna;
Vista la decisione in pari data con la quale si e' proceduto alla
parifica, nelle sue componenti del conto del bilancio e del conto del
patrimonio, del rendiconto generale della Regione Piemonte per
l'esercizio 2013, adottato dalla Giunta regionale in data 25 giugno
2014, ad eccezione dei capitoli 59300 (UPB DB902) e 59350 (UPB DB902)
in entrata e dei capitoli 200/0 (UPB DB09010), 156981 (UPB D620151),
156985 (UPB DB20151) in uscita, e del quadro riassuntivo del
disavanzo finanziario, come risultante dal prospetto riportato
all'art. 4 del disegno di legge di approvazione del rendiconto stesso
e della voce delle passivita' patrimoniali del conto del patrimonio,
relative alla restituzione delle anticipazioni di liquidita' concesse
ai sensi del decreto legge 8 aprile 2013 n. 35, convertito con
modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64;
Ritenuto in fatto
Con nota n. 10.000/SB0100/PRE del 29 luglio 2014 il Presidente
della Regione Piemonte ha trasmesso a questa Sezione, ai fini della
parifica, il rendiconto generale della Regione Piemonte per
l'esercizio 2013, completo del conto del bilancio e del conto del
patrimonio, unitamente alla relazione dei Revisori dei conti, alla
relazione di accompagnamento e al disegno di legge approvato dalla
Giunta regionale nella seduta del 25 giugno 2014.
Questa Sezione regionale di controllo, terminata l'istruttoria e
le verifiche di competenza, peraltro gia' iniziate sulla base dei
dati di preconsuntivo, con deliberazione n. 188 in data 26 agosto-9
settembre 2014 ha approvato la bozza della relazione prevista
dall'art. 1, comma 5, del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174,
sopra richiamato e dall'art. 41 del regio decreto 12 luglio 1934, n.
1214, ed ha trasmesso la stessa all'Amministrazione ed al Procuratore
regionale.
Con ordinanza n. 40 in data 10 settembre il Presidente f.f. ha
fissato per il 23 settembre apposita adunanza pubblica, al fine di
garantire il contraddittorio sulle osservazioni contenute nella bozza
di relazione.
L'Amministrazione ha depositato le proprie osservazioni, che sono
state illustrate nella predetta adunanza istruttoria alla quale hanno
partecipato il Procuratore regionale ed i rappresentanti
dell'Amministrazione nelle persone del vice Presidente della Giunta,
dell'Assessore al bilancio e dell'Assessore alla sanita'.
Al termine dell'adunanza il Collegio ha fissato il termine del 1°
ottobre per il deposito di ulteriori memorie scritte e di eventuali
repliche ed ha sollecitato le parti, anche ai sensi dell'art. 101
c.p.c., a pronunziarsi espressamente sui dubbi di costituzionalita'
prospettati sulle leggi regionali con le quali e' stato disposto
l'utilizzo delle anticipazioni di liquidita' concesse dallo Stato ai
sensi del decreto legge 8 aprile 2013 n. 35, convertito con
modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.
Su quest'ultimo punto, l'Amministrazione ha depositato, nei
termini prescritti, una memoria, osservando quanto segue:
«In merito ai presunti dubbi di costituzionalita' sulle leggi
regionali con le quali e' stato disposto l'utilizzo delle
anticipazioni di liquidita' concesse dallo Stato ai sensi
del decreto-legge n. 35/2013, per violazione degli art. 81, quarto
comma e 119, sesto comma della Costituzione, si rammenta che la Corte
costituzionale, con le recenti sentenze n. 39/2014 e n. 40/2014 si e'
occupata della definizione e puntualizzazione dei compiti e dei
limiti cui sono chiamati i giudici contabili, ai sensi della
normativa implementata dal decreto-legge n. 174/2012.
Con la prima delle due sentenze (n. 39/2014), la Consulta ha
ritenuto che le attribuzioni della Corte dei Conti non possano
spingersi sino a vincolare il contenuto degli atti legislativi o a
privarli dei loro effetti, in quanto si configurerebbe come invasivo
dell'autonomia legislativa regionale, nonche' travalicante i poteri
riconosciuti alla stessa Corte dei Conti.
La Corte costituzionale e' pervenuta ad una tale conclusione
ritenendo che, nel caso di specie, il sindacato giurisdizionale del
giudice contabile operasse nei confronti dei bilanci regionali,
approvati con legge e in quanto tali solo analogamente modificabili.
Un potere come quello attribuito alla Corte dei conti avrebbe,
invece, finito per incidere su provvedimenti di carattere
legislativo, mortificando cosi' l'autonomia dei consigli regionali,
non vincolabili nelle loro decisioni.
L'impugnato comma 7 dell'art. 1 del decreto-legge n. 174 del
2012, nella parte in cui si riferisce al controllo dei bilanci
preventivi e dei rendiconti consuntivi delle Regioni, contrasta con
gli invocati parametri costituzionali e statutari che garantiscono
alle Regioni la potesta' legislativa nelle materie di loro
competenza.
La Corte costituzionale, in particolare con la sentenza n.
40/2014, ha altresi' precisato la competenza della Corte dei conti in
materia di controllo di legalita' e regolarita' sulla finanza
pubblica territoriale, ribadendo il carattere di assoluta cogenza
delle decisioni assunte nei confronti degli enti destinatari (enti
locali), con la sola eccezione dei bilanci delle regioni approvati
con legge regionale, allo scopo di prevenire o contrastare gestioni
contabili non corrette e, in quanto tali, in grado di alterare
l'equilibrio del bilancio consolidato dello Stato, da ritenersi
effettuate in violazione del principio del «pareggio di bilancio» ex
artt. 81, 97, comma primo, e 119, comma primo, della Costituzione.
L'eccezione e l'esclusione dei bilanci regionali, infatti,
deriva:
a) dalla considerazione che l'art. 1, comma 7, decreto-legge n.
174 del 2012, conv. in L. n. 231 del 2012, e' stato dichiarato
illegittimo nella parte in cui finiva per attribuire alla Corte dei
conti, sezione controllo, il potere di sindacare le leggi regionali,
di condizionarne il contenuto e/o di inibirne l'efficacia;
b) dalla differenza tra le norme del TUEL e quelle precipue
della contabilita' regionale, in 54 particolare per cio' che concerne
lo strumento normativo di approvazione dei documenti contabili.
E' pur vero, pero', che e' stato recentemente introdotto un
radicale cambiamento della funzione del controllo, che, da una
funzione statica, diretta ad accertare il «pareggio del bilancio», e'
passata ad una funzione dinamica, diretta ad «assicurare l'equilibrio
del bilancio».
Non si discute piu' di «pareggio» (che era un dato proprio della
visuale statica del bilancio), ma di «equilibrio», termine ben piu'
elastico, che vale a sganciare il principio del pareggio del bilancio
dal principio dell'annualita' del bilancio, tenendo conto delle fasi
del ciclo economico, ponendo in evidenza la possibilita' di riferirsi
a periodi di medio termine, come quello rappresentato dai bilanci
pluriennali.
Si rammenta, pero', che seppur l'art. 20 della legge 24 dicembre
2012, n. 243 preveda che la Corte dei conti possa gia' svolgere il
controllo successivo sul rispetto dell'equilibrio dei bilanci delle
regioni e degli enti locali, tuttavia l'art. 9 della stessa legge 24
dicembre 2012, n. 243 - capo IV, concernente l'equilibrio dei bilanci
delle Regioni e degli enti locali, ne prevede un'applicazione dal 1°
gennaio 2016.
In conclusione, si condivide l'attribuzione alla Corte dei conti
di un potere collaborativo di suggerire «misure correttive», che
l'amministrazione, pero', deve decidere ed attuare, tenendosi cosi'
distinta l'attivita' amministrativa delle singole amministrazioni da
quella indipendente ed autonoma del «controllo» della Corte dei
conti, considerata come funzione autonoma, indipendente e sovrana,
nell'ambito dell'ordinamento dello Stato comunita'».
Anche il Procuratore Regionale ha depositato, nei termini, una
memoria nella quale «considera non rilevante e manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale prospettata
dalla Sezione di controllo nella Relazione sulla gestione finanziaria
e sulla regolarita' dell'azione amministrativa della regione Piemonte
per l'esercizio finanziario 2013.»
A tale conclusione il Procuratore Regionale perviene, rilevando
che «una violazione di precetti costituzionali non sembra profilarsi,
per la ragione che, da un lato l'efficace espletamento dei controlli
e' in grado di consentire il riequilibrio contabile laddove
l'applicazione concreta dell'Amministrazione si rivelasse non
conforme a legge, trattandosi di applicazione di regole che di' per
se' non genera nuove spese, dall'altro che, riferendosi le leggi
richiamate della cui costituzionalita' si dubita ad un esercizio
ormai concluso, la questione non pare rilevante, stante l'inidoneita'
della pronuncia che intervenisse sulla materia ad incidere sulla
disciplina concreta della spesa in realta' gia' realizzata. La
corretta contabilizzazione dei fondi che si considerano appare
piuttosto collegata alla necessita' che i controlli di riferimento
abbiano ad oggetto l'adeguato impiego delle risorse, in sostanza, non
idonee a generare nuove spese, bensi' ad attuare una manovra di
riduzione del debito in realta' rivelatasi non possibile a causa
della consistenza forte dell'indebitamento. Il parametro
costituzionale rinvenibile nell'art. 81 e' pertanto inadeguato, posto
che non e' astrattamente possibile riscontrare una violazione per il
solo fatto che le risorse non siano state correttamente
contabilizzate. Per quanto attiene all'art. 119, parimenti chiamato
in causa, va preliminarmente rilevato che le relative censure non
possono formare oggetto di questioni di legittimita' costituzionale
nell'ambito del giudizio di parificazione, se non quando vertono
direttamente sulle leggi di approvazione del rendiconto o del
bilancio, atteso che qui, diversamente, la legittimazione della Corte
e' limitata alla proposizione di questioni aventi come parametro
costituzionale di riferimento il solo art. 81 (arg. ex C. cost. 6
marzo 2014 n. 39; cfr. C. cost. 9 febbraio 2011 n. 37). Qualora si
ritenesse che il quinto capoverso dell'art. 119 possa essere
minacciato dalle leggi regionali che si considerano in relazione al
vincolo all'indebitamento ivi previsto, va osservato che comunque non
consta l'avvenuta utilizzazione delle risorse del decreto 35 per
spese diverse da quelle costituenti debito esigibile alla data del 31
dicembre 2012.»
In data 6 ottobre il Procuratore Regionale ha depositato una
seconda memoria scritta nella quale dopo aver richiamato la delibera
19/2014 della Sezione delle Autonomie di questa Corte, in base alla
quale le anticipazioni di liquidita' vanno contabilizzate in maniera
che esse non possano concorrere alla determinazione del risultato di
amministrazione, ritiene che «le modalita' di contabilizzazione
adottate dalla Regione non sembrano contrastare di per se', dunque,
con la disciplina particolare del decreto legge 35, atteso che, a
fronte dell'obbligo di restituzione in rate annuali costanti fino al
2043, appare coerente l'iscrizione nel conto del bilancio della quota
capitale e della corrispondente quota interessi di competenza. Il
riferimento all'archetipo negoziale del mutuo si rivela, pertanto,
pertinente».
All'odierna udienza le parti come in epigrafe rappresentate hanno
sostanzialmente confermato le argomentazioni sopra esposte.
Considerato in diritto
1. L'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,
convertito con modificazioni nella legge 7 dicembre 2012, n. 213,
dispone che «Il rendiconto generale della Regione e' parificato dalla
sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi degli
articoli 39, 40 e 41 del testo unico di cui al regio decreto 12
luglio 1934, n. 1214. Alla decisione di parifica e' allegata una
relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni
in merito alla legittimita' ed alla regolarita' della gestione e
propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che
ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio
del bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa.
La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al presidente
della giunta regionale e al consiglio regionale».
Gli articoli del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti
richiamati si riferiscono alla parifica del rendiconto generale dello
Stato e disciplinano la procedura del giudizio di parificazione (art.
40), il profilo contenutistico (art. 39) e la contestualizzazione
dell'attivita' di parifica con una relazione sul rendiconto (art.
41).
L'estensione del giudizio di parifica alle Sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti e' coerente con il ruolo di «garante
imparziale dell'equilibrio economico - finanziario del settore
pubblico» che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti e che
e' stato confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
60/2013, nella quale, richiamando anche la pregressa giurisprudenza,
e' stato affermato che «alla Corte dei conti e' attribuito il
controllo sull'equilibrio economico-finanziario del complesso delle
amministrazioni pubbliche a tutela dell'unita' economica della
Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119
e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia
all'Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.)». Infatti, il
giudizio di parifica per le Regioni a statuto ordinario e' stato
introdotto, come precisa il primo comma dell'art. 1 del citato
decreto-legge n. 174/2012, «al fine di rafforzare il coordinamento
della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo
statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli
finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione
europea, le disposizioni del presente articolo sono volte ad
adeguare, ai sensi degli articoli 28, 81, 97, 100 e 119 della
Costituzione, il controllo della Corte dei conti sulla gestione
finanziaria delle regioni di cui all'art. 3, comma 5, della legge 14
gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno
2003, n. 131, e successive modificazioni».
2. Dal conto del bilancio dei rendiconto generale della Regione
Piemonte per l'esercizio 2013 risulta un disavanzo d'amministrazione
pari ad euro 364.983.307,72, risultante dal saldo algebrico tra fondo
cassa (+598,037.823,71), residui attivi (+3.328.145.970,67) e residui
passivi (-4.291.167.102,10).
L'analisi effettuata dalla Sezione ha evidenziato che questo
risultato deriva anche dall'utilizzo, come fonti di finanziamento del
pregresso disavanzo d'amministrazione e di alcune nuove spese in
materia sanitaria, delle risorse messe a disposizione dallo Stato in
applicazione degli articoli 2 e 3 dei decreto-legge 8 aprile 2013, n.
35, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64. L'utilizzo in tal senso
delle suddette risorse finanziarie e' stato disposto dalle leggi
regionali n. 16 del 6 agosto 2013 e n. 19 del 29 ottobre 2013.
In particolare, nel corso del 2013, la Regione Piemonte, In
virtu' delle norme sopra richiamate, ha sottoscritto quattro
contratti con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, ottenendo
risorse finanziarie per un importo complessivo di euro
2.554.603.200,01.
Tali risorse finanziarie hanno avuto la seguente destinazione:
a) euro 447.693.392,78, concessi per l'estinzione dei debiti
certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero
dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta
equivalente di pagamento entro il predetto termine, diversi da quelli
finanziari e sanitari. L'importo e' stato destinato a finanziare
parzialmente il disavanzo risultante dal conto del bil'ancio 2012
(euro 1.150.257.926,03). La relativa variazione di bilancio e' stata
disposta in sede di assestamento con la legge regionale 6 agosto
2013, n. 16, che ha previsto in entrata il capitolo 59300 (UPB DB902)
con uno stanziamento di euro 447.693.392,78, interamente riscosso, ed
in uscita ha iscritto lo stesso importo quale disavanzo di
amministrazione (capitolo 200/0 UPB D809010).
b) euro 803.724,000,00, concessi per l'estinzione dei debiti
certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero
dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta
equivalente di pagamento entro il predetto termine degli enti del
Servizio Sanitario Nazionale. L'importo e' stato destinato a
finanziare il capitolo 156981 avente per oggetto «trasferimenti alle
aziende sanitarie regionali per Perogazione delle risorse di cui
all'anticipazione di liquidita' ai sensi dell'art. 3, comma 2, del
decreto legge n. 35/2013», per allineamento con la situazione
patrimoniale delle aziende sanitarie regionali (importo rilevato
dalla Sezione in sede di parificazione 2012 a rettifica, in
incremento, del disavanzo 2012 di' euro 1.150.257.926), Anche in
questo caso la variazione del bilancio e' stata disposta in sede di
assestamento di bilancio con la legge regionale 6 agosto 2013, n. 16,
che ha previsto in entrata il capitolo 59350 (UPB DB902) ed in uscita
il capitolo 156981 (UPB DB20151), entrambi con uno stanziamento di
euro 803.724.000,00 ed i relativi importi sono stati interamente
riscossi e pagati.
c) euro 660.206.607,23, concessi per l'estinzione dei debiti
certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero
dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta
equivalente di pagamento entro il predetto termine diversi da quelli
finanziari e sanitari; l'importo e' stato destinato ad ulteriore
parziale finanziamento del disavanzo risultante dal conto del
bilancio 2012, la relativa variazione di bilancio e' stata disposta
dall'allegato A) della Legge 29 ottobre 2013, n. 19, che in entrata
ha incrementato il capitolo 59300 (UPB DB902) di euro 660.206.607,23,
Interamente riscossi, ed in uscita ha incrementato di pari importo il
disavanzo d'amministrazione 2012 da ripianare (capitolo 200/0 UPB
D609010).
d) euro 642.979.200,00, concessi per il pagamento dei debiti
certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei
debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente
di pagamento entro il predetto termine degli enti del Servizio
Sanitario Nazionale. L'importo (emerso successivamente alla
parificazione del rendiconto 2012) e' stato destinato a ripianare le
perdite derivanti dai c.d. «ammortamenti non sterilizzati delle
aziende sanitarie» e la relativa variazione di bilancio e' stata
disposta dall'allegato C) della Legge 29 ottobre 2013 n. 19, che ha
incrementato in entrata il capitolo 59350 (UPB D6902) di euro
642.979.200,00, interamente riscossi, ed in uscita ha istituito il
capitolo 156985 (UPB DB20151) avente per oggetto «trasferimenti alle
aziende sanitarie regionali per l'erogazione delle risorse di cui
all'anticipazione di liquidita' al sensi dell'art. 3, comma 2, del
decreto-legge n. 35/2013 e dell'art. 13, comma 6, del decreto-legge
102/2013», con uno stanziamento di euro 642.979.200,00 interamente
pagato.
La somma delle variazioni sopra descritte, pari ad euro
2.554.603.200,01, corrisponde-: al totale dei quattro contratti
stipulati con il MEF.
La Sezione dubita della legittimita' costituzionale delle
suddette variazioni di bilancio e, conseguentemente, delle leggi
regionali n. 16/2013 e n. 19/2013 che le hanno disposte.
Tuttavia, prima di illustrare la non manifesta infondatezza di
tali dubbi, si ritiene necessario soffermarsi preliminarmente sulla
legittimazione di questa Corte ad adire il Giudice delle Leggi,
nonche' sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso.
3. Per quanto riguarda la legittimazione della Sezione di
controllo a sollevare questioni di legittimita' costituzionale in
sede di parificazione del rendiconto, si osserva che questo giudizio
si svolge con le formalita' della giurisdizione contenziosa, prevede
la partecipazione del Procuratore generale in contraddittorio con i
rappresentanti dell'Amministrazione e si conclude con una pronunzia
adottata in esito a pubblica udienza, sicche' la consolidata
giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 165/1963, n.
121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995 e n. 213/2008) ha riconosciuto
«alla Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione del
bilancio, la legittimazione a promuovere, In riferimento all'art. 81
della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale, avverso
tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti
modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di
incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire sui
capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il
sistema dei risultati differenziali» (sentenza n. 213/2008).
Sebbene le pronunce della Corte costituzionale, sopra richiamate,
siano state emesse in riferimento al giudizio di parifica del
rendiconto dello Stato e delle Regioni ad autonomia speciale, ritiene
la Sezione che i principi espressi siano applicabili anche al
giudizio di parifica del rendiconto delle Regioni a statuto
ordinario. Infatti, l'unica differenza riscontrabile tra i due
procedimenti e' data dall'organo innanzi al quale si svolge il
giudizio, che non sono le Sezioni Riunite, centrali o regionali, ma
le Sezioni regionali di controllo. Tale circostanza, tuttavia, non
pare rilevante atteso che, da un lato, la legge attribuisce la
titolarita' del giudizio di parificazione alle Sezioni regionali di
controllo, non essendo previste nelle Regioni a statuto ordinario le
Sezioni riunite, e dall'altro che la Sezione regionale di controllo
e' composta, anch'essa, da magistrati contabili «dotati delle piu'
ampie garanzie di indipendenza (art. 100, secondo comma, Cost.), che,
analogamente ai magistrati dell'ordine giudiziario, si distinguono
tra loro solo per diversita' di funzioni (art. 10 legge 21 marzo
1953, n. 161)» (Corte costituzionale, sentenza n. 226/1976).
Peraltro, trattasi di modalita' organizzativa gia' prevista per la
Regione Friuli Venezia Giulia dall'art. 33, comma 3, del D.P.R. 25
novembre 1975, n. 902.
Quel che viene in rilievo, invece, e' la funzione esercitata, che
e' la stessa e si svolge nello stesso modo, sia innanzi alle Sezioni
riunite, sia davanti alla Sezione regionale di controllo, come si
ricava dai richiamo espresso agli articoli 39, 40 e 41 del TU della
Corte dei conti contenuto nella norma che ha introdotto il giudizio
di parificazione nelle Regioni a statuto ordinario (art. 1, comma 5,
del di n. 174/2012 sopra richiamato).
Va inoltre ricordato che le Sezioni Riunite in speciale
composizione, con sentenza n. 27/2014, decidendo il ricorso proposto
da un'Amministrazione regionale, hanno confermato il carattere
giurisdizionale della pronunzia emessa in questo particolare
giudizio.
La legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di
legittimita' costituzionale, tuttavia, e' stata finora riconosciuta,
dalla consolidata giurisprudenza costituzionale con riferimento al
solo art. 81 della Costituzione. In particolare, il Giudice delle
leggi, dopo aver premesso che la Corte dei conti svolge «una funzione
di garanzia dell'ordinamento», di «controllo esterno, rigorosamente
neutrale e disinteressato preordinato a tutela del diritto
oggettivo», ha affermato che «tali caratteri costituiscono Indubbio
fondamento della legittimazione della Corte dei conti a sollevare
questioni di costituzionalita' limitatamente a profili attinenti alla
copertura finanziaria di leggi di spesa, perche' il riconoscimento
della relativa legittimazione, legata alla specificita' dei suoi
compiti nel quadro della finanza pubblica, si giustifica anche con
l'esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che, come
nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per altra
via, ad essa sottoposte» (sent. n. 226 del 1976). E' proprio in
relazione a queste ipotesi che la Corte ha auspicato (sent. n. 406
del 1989) che quando l'accesso al suo sindacato sia reso poco
agevole, come accade in relazione ai profili attinenti all'osservanza
dell'art. 81 della Costituzione, i meccanismi di accesso debbano
essere arricchiti. La Corte dei conti e' la sede piu' adatta a far
valere quei profili, e cio' in ragione della peculiare natura dei
suoi compiti, essenzialmente finalizzati alla verifica della gestione
delle risorse finanziarie» (sentenza n. 384/1991).
Ritiene la Sezione che le argomentazioni sopra riportate debbano
essere adeguate al mutato quadro dell'ordinamento costituzionale.
Infatti, mentre al momento delle pronunzie sopra richiamate l'unica
norma della Costituzione in materia di finanza pubblica era
costituita dall'art. 81, la legge costituzionale n. 3/2001, con la
nuova formulazione dell'art. 119 sesto comma della Costituzione, ha
introdotto il principio che limita il ricorso all'indebitamento solo
per spese di investimento. Successivamente, la legge costituzionale
n. 1/2012 ha previsto ulteriori norme costituzionali in materia di
finanza pubblica, tra tutte il nuovo art. 97, primo comma. Inoltre
l'art. 20, primo comma, della legge 24 dicembre 2012, n. 243
contenente «disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio
di bilancio ai sensi dell'art. 81, sesto comma, della Costituzione»
affida proprio alla Corte dei conti «il controllo successivo sulla
gestione dei bilanci degli enti di cui agli articoli 9 e 13, ai fini
del coordinamento della finanza -pubblica e dell'equilibrio dei
bilanci di cui all'art. 97 della Costituzione».
A cio' si aggiunga che, come precisato dalla stessa Corte
costituzionale con la recente 3»: «sentenza n. 188/2014, «il valore
costituzionalmente protetto del divieto di indebitamento per spese
diverse dagli investimenti trova espressa enunciazione nel predetto
art. 119, sesto comma, Cost., ma viene declinato - in modo
assolutamente coerente ed integrato, secondo esigenze meritevoli di
disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale - attraverso
altri parametri costituzionali, quali i citati artt. 81, 117, secondo
comma, lettera 1), e 117, terzo comma, Cost., venendo ad assumere
consistenza di vera e propria clausola generale in grado di colpire
direttamente - indipendentemente dall'esistenza di norme applicative
nella pertinente legislazione di settore - tutti gli enunciati
normativi che vi si pongono in contrasto (sulla immediata
precettivita' dei parametri costituzionali inerenti agli equilibri di
bilancio ed alla sana gestione finanziaria, sentenza n. 70 del 2012)»
e che il precetto costituzionale sotteso all'art. 119 sesto comma e'
«inscindibilmente collegato ed integrato con altri principi
costituzionali quali omissis) la tutela degli equilibri di bilancio
(art. 81 Cost., sia nella precedente formulazione che in quella
introdotta dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante
«Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale»)». Del resto «la ratio del divieto di indebitamento
per finalita' diverse dagli investimenti trova fondamento in una
nozione economica di relativa semplicita'. Infatti, risulta di chiara
evidenza che destinazioni diverse dall'investimento finiscono
inevitabilmente per depauperare il patrimonio dell'ente pubblico che
ricorre al credito» (sentenza n, 188/2014 citata).
Va, infine, evidenziato che il giudizio di parificazione, allo
stato della legislazione vigente, e' l'unica possibilita' offerta
dall'ordinamento per sottoporre a scrutinio di costituzionalita' in
via incidentale, in riferimento ai principi costituzionali In materia
di finanza pubblica, le disposizioni legislative che, incidendo sui
singoli capitoli, modificano l'articolazione del bilancio e ne
possono alterare gli equilibri complessivi. Conseguentemente, ove si
escludesse la legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di
costituzionalita' in riferimento ai parametri sopra individuati, si
verrebbe a creare, di fatto, una sorta di spazio legislativo immune
dal controllo di costituzionalita' attivabile in via incidentale,
laddove la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto la
legittimazione della Sezione di controllo a sollevare questioni di
legittimita' costituzionale anche in relazione all'esigenza di
assicurare «al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come
nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per altra
via, ad essa sottoposte» (Corte costituzionale sentenza n, 226/1976).
Ritiene, pertanto, la Sezione di essere legittimata a sollevare
questioni di legittimita' costituzionale, non solo con riferimento
all'art. 81 della Costituzione, ma anche con riguardo a tutte le
norme costituzionali in materia di finanza pubblica e, dunque, anche
con riferimento all'art. 119, sesto comma.
Alla luce di quanto sopra esposto appaiono del tutto
inconferenti, e comunque superate, le considerazioni formulate dalle
parti sulla mancanza di legittimazione di questa Corte a sollevare
questione di legittimita' costituzionale.
4. Al fine di evidenziare la rilevanza nel presente giudizio
della questione di costituzionalita' che si intende sollevare,
confutando anche le controdeduzioni mosse dalla Procura regionale sui
punto, la Sezione ritiene necessario precisare quale sia l'oggetto
del giudizio di parifica.
L'art. 39 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti
(regio decreto 12 luglio 1934, n, 1214),al quale l'art. 1, comma 5,
del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, l'art. 1, comma 5, del
decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174 rinvia, dispone che «La Corte
verifica il rendiconto generale dello Stato e ne confronta i
risultati tanto per le entrate, quanto per le spese, ponendoli a
riscontro con le leggi del bilancio. A tale effetto verifica se le
entrate riscosse e versate ed i resti da riscuotere e da versare
risultanti dal rendiconto, siano conformi ai dati esposti nei conti
periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dai singoli
ministeri; se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio
concordino con le scritture tenute o controllate dalla Corte ed
accerta i residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai
decreti ministeriali di impegno ed alle proprie scritture. La Corte
con eguali accertamenti verifica i rendiconti, allegati al rendiconto
generale, delle aziende, gestioni ed amministrazioni statali con
ordinamento autonomo soggette al suo riscontro».
In un primo tempo, la Corte costituzionale, pur ravvisando nel
giudizio di parifica del rendiconto generale dello Stato la presenza
delle condizioni ipotizzate dall'art. 1 della legge costituzionale 9
febbraio 1948, n. 1 per la proposizione davanti ad essa di questioni
di legittimita' costituzionale, dal tenore letterale del citato art.
39 aveva tratto la conclusione che esse non potevano investire la
legge di bilancio o le leggi di spesa, attesa la loro irrilevanza ai
fini del decidere, in considerazione dei peculiare ambito di
cognizione dei giudizio di parifica (Corte costituzionale, sentenza
n. 142/68).
Successivamente, prendendo atto dell'intervenuta riforma del
bilancio che, essendosi trasformato da «strumento descrittivo di
fenomeni di mera erogazione finanziaria» in «strumento di
realizzazione di nuove funzioni di governo (come la programmazione di
bilancio, le operazioni di tesoreria, ecc.) e piu' in generale di
politica economica e finanziaria», persegue, tra le altre, «la
finalita' di meglio programmare, definire e controllare le entrate e
le spese pubbliche, per assicurare l'equilibrio finanziario e la
sostanziale osservanza, in una proiezione temporale che supera
l'anno, dei principi enunciati dall'art. 81 della Costituzione», il
Giudice delle leggi, con sentenza n. 244/1995, ha ritenuto che «la
funzione di riscontro, che costituisce l'essenza del giudizio di
parificazione, attiene anche alla verifica degli scostamenti che,
negli equilibri stabiliti nel bilancio preventivo, si evidenziano in
sede consuntiva, coerentemente con la previsione del primo comma
dell'art 39 del regio decreto 12 luglio 1934, n, 1214».
Conseguentemente, pur precisando che oggetto del giudizio di
parificazione e' il riscontro e la verifica, rispetto alla legge di
bilancio, delle risultanze del rendiconto generale, la suprema Corte
ha ritenuto che, non potendo ignorarsi il rilievo che il raffronto
fra dati previsionali e consuntivi viene ad avere nel nuovo contesto
normativa, «la decisione da assumere non puo' non vertere anche sulla
verifica, a consuntivo, del rispetto degli accennati equilibri, in
relazione, tra l'altro, ai vincoli posti dalla legge finanziaria».
Questo orientamento e' stato confermato dalla sentenza n.
213/2008 nella quale, richiamando espressamente la sentenza n.
244/1995 sopra citata, la Corte costituzionale ha confermato la
legittimazione della Corte dei conti in sede di giudizio di
parificazione a sollevare questione di legittimita' costituzionale
«avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti
modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di
incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire sui
capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il
sistema dei risultati differenziali».
Puo', pertanto, ritenersi che, allo stato attuale della
giurisprudenza costituzionale, il giudizio di parifica ha come
oggetto la verifica delle riscossioni e dei pagamenti e dei relativi
resti (residui) e, soprattutto, ia verifica a consuntivo degli
equilibri di bilancio sulla base dei bilancio preventivo e di tutte
le disposizioni sopravvenute che ne hanno modificato la struttura. In
tal modo, il giudizio di parificazione si pone in linea con il ruolo
di «garante imparziale dell'equilibrio economico - finanziario del
settore pubblico» che il legislatore ha attribuito alla Corte dei
conti (al riguardo si rinvia a quanto sopra esposto al punto 1).
Cio' premesso, la possibilita' di procedere ad una parifica
parziale, gia' conosciuta dalla prassi applicativa (decisione n.
36/CONTR/2011 delle Sezioni Riunite per la Regione Trentino-Alto
Adige/Seidtirol, decisione n. 36/2014/PARI della Sezione Regionale di
controllo per la Calabria, decisione n. 46/201.4/PARI della Sezione
Regionale di controllo per la Liguria, decisione n.
2/2014/SS.RR./PARI delle Sezioni Riunite per la Regione Siciliana)
appare coerente con l'oggetto del giudizio che, come detto, si
sostanzia in piu' parifiche distinte delle diverse poste, che
confluiscono sul risultato complessivo.
Nella fattispecie la parifica dei capitoli 59300 (UPB DB902) e
59350 (UPB DB902) in entrata, dei capitoli 200/0 (UPB DB09010) 156981
(UPB D620151), 156985 (UPB DB20151), comporta l'applicazione delle
leggi regionali n. 16/2013 e n. 19/2013 che li hanno istituiti ed
evidenzia la rilevanza nel presente giudizio della questione di
costituzionalita' che si intende sollevare. E' evidente, infatti,
che, nella vigenza delle menzionate leggi regionali, la Sezione
dovrebbe parificare il rendiconto della Regione Piemonte, venendo
meno alle finalita' per le quali e' stata intestata a questa Corte,
tra le altre, la funzione di procedere alla parifica dei rendiconti
regionali.
Ancora a sostegno della rilevanza della proponenda ,questione di
legittimita' costituzionale, va evidenziata l'incidenza che le
variazioni di bilancio approvate dalle leggi regionali n. 16/2013 e
n. 19/2013, sopra menzionate, hanno sull'equilibrio del bilancio, sul
risultato d'amministrazione e, conseguentemente, anche
sull'equilibrio dei bilanci futuri. Infatti, applicando le suddette
leggi regionali, il disavanzo d'amministrazione dell'esercizio 2013
rimarrebbe fissato nell'importo di -364.983.307,72 esposto nel
progetto di legge di approvazione del rendiconto. Invece, se esse
fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, le spese
finanziate con le anticipazioni di liquidita' ottenute ai sensi degli
articoli 2 e 3 del decreto-legge n. 35/2013 sarebbero prive di
copertura e, conseguentemente, il disavanzo d'amministrazione
aumenterebbe del relativo importo (euro 2.554.603,200,01).
Al riguardo, appare opportuno sottolineare che il risultato
d'amministrazione consente di accertare l'equilibrio finanZiario
complessivo dell'ente. Pertanto, la sua esatta determinazione
costituisce l'oggetto principale e lo scopo del giudizio di
parificazione che, come sopra detto, riguarda, non solo la verifica
delle riscossioni e del pagamenti e dei relativi resti (residui) ma
anche, e soprattutto, la verifica a consuntivo degli equilibri di
bilancio. Inoltre, trattandosi di disavanzo d'amministrazione che
deve essere obbligatoriamente ripianato, esso condiziona anche
l'equilibrio degli esercizi futuri.
Alla luce di quanto esposto, la Sezione ritiene che la questione
di legittimita' costituzionale che di seguito si illustra, sia
rilevante, atteso il diverso esito del giudizio a seconda che vengano
applicate o meno le disposizioni dl legge impugnate.
5. La Sezione dubita della legittimita' costituzionale delle
leggi regionali 6 agosto 2013, n. 16 e 29 ottobre 2013, n. 19 - che
hanno disposto le variazioni di bilancio con le quali sono state
destinate le risorse finanziarie provenienti dai MEF, in virtu' degli
articoli 2 e 3 del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35 convertito in
legge 6 giugno 2013, n. 64 - in riferimento all'art. 81, quarto comma
(nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla L.
cost. 20 aprile 2012, n. 1).
In particolare, i dubbi di costituzionalita' riguardanti la legge
n. 16/2013, avente per oggetto «Assestamento al bilancio di
previsione per Panno finanziario 2013 e al bilancio pluriennale per
gli anni finanziari 2013/2015», sono limitati alle variazioni
apportate in entrata mediante l'istituzione del capitolo 59300 (UPB
DB902) con uno stanziamento di euro 447.693.392,78 e del capitolo
59350 (UPB DB902) con uno stanziamento di euro 803.724.000,00, ed in
uscita mediante la istituzione del capitolo 200/0 (UPB DB09010)
dell'importo di euro 447.693.392,78 e del capitolo 156981 (UPB
DB20151) con uno stanziamento di euro 803.724.000,00,
I dubbi relativi alla legge n. 19/2013 riguardano gli articoli 1
e 2 che hanno approvato gli allegati A) e C). In particolare,
l'allegato A) ha incrementato di euro 660.206.607,23 in entrata il
capitolo 59300 (UPB DB902) ed in uscita il disavanzo
d'amministrazione 2012 da ripianare (capitolo 200/0 UPB DB09010);
l'allegato C) ha incrementato in entrata il capitolo 59350 (UPB
DB902) di euro 642.979200,00 ed in uscita ha istituito il capitolo
156985 (UPB DB20151) con un stanziamento di pari importo.
In entrambi i casi, le poste in entrata sono state iscritte al
Titolo V (entrate derivanti da mutui, prestiti o altre operazioni
creditizie) e quelle in uscita al Titolo I (spese correnti).
Al fine di inquadrare correttamente la questione occorre
individuare la natura delle risorse erogate dallo Stato, tramite il
MEF, ai sensi degli articoli 2 e 3 dei decreto legge n. 35/2013 e,
conseguentemente, la loro idoneita' a costituire valida copertura
delle spese finanziate.
Ritiene la Sezione che le risorse in questione costituiscono una
mera anticipazione di cassa, definita dal legislatore «anticipazione
di liquidita'», che avviene entro un plafond predeterminato dalla
legge e la cui restituzione, ed in cio' consiste la sua peculiarita',
e' prevista in un periodo non superiore a 30 anni.
Tale conclusione e' fondata sulle seguenti considerazioni.
In primo luogo l'interpretazione letterale delle disposizioni
evidenzia il carattere di anticipazione di tali somme: in
particolare, l'art. 2 comma 1 del decreto-legge dispone testualmente
che le Regioni «che non possono far fronte ai pagamenti dei debiti
... a causa di carenza di liquidita' ... chiedono al Ministero
dell'economia e delle finanze ... l'anticipazione di somme da
destinare ai predetti pagamenti». Analogamente il primo comma
dell'art. 3 autorizza lo Stato ad effettuare anticipazioni di
liquidita' alle Regioni «al fine di favorire l'accelerazione dei
pagamenti dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale».
Ancora l'art. 2, comma 6, prevede che «il pagamento dei debiti
oggetto del presente articolo deve riguardare, per almeno due terzi,
residui passivi in via prioritaria di parte capitale, anche perenti,
nei confronti degli enti locali, purche' nel limite di corrispondenti
residui attivi degli enti locali stessi ovvero, ove inferiori, nella
loro totalita'». Appare evidente che se le somme servono per pagare
residui passivi (cioe' spese gia' finanziate), non possono costituire
esse stesse ulteriore finanziamento.
Da un punto di vista sistematico si osserva, inoltre, che il
legislatore, quando ha inteso erogare dei finanziamenti, non ha fatto
ricorso all'istituto dell'anticipazione ma ha utilizzato diverse
modalita', come, ad esempio, e' previsto dall'art. 11, commi 6 e 7,
dello stesso decreto legge n. 35/2013 per il trasporto pubblico
locale della Regione Piemonte.
Depongono a favore della natura di anticipazione anche i motivi
di urgenza che hanno determinato l'emanazione del decreto legge.
Infatti, nelle premesse del decreto legge e' indicata «l'assoluta
necessita' di predisporre interventi di immediata eseguibilita'
rivolti a graduare il flusso dei pagamenti, accordando priorita' ai
crediti che le imprese non hanno ceduto al sistema creditizio» e la
«straordinaria necessita' ed urgenza di intervenire in materia di
pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione».,
La stessa conclusione e' avvalorata anche dall'esame dei lavori
preparatori della legge di «, conversione, i quali evidenziano che
l'intenzione del legislatore era di considerare l'erogazione delle
risorse in questione quale mera anticipazione di cassa. Infatti, la
Prima Commissione della Camera dei Deputati (Affari costituzionali,
della Presidenza del Consiglio e interni) ha espresso parere
favorevole dopo aver valutato le disposizioni alla luce dell'art.
119, sesto comma, della Costituzione, ed ha ritenuto che la norma
costituzionale non risultava violata «in quanto nel caso delle
disposizioni sopra citate si tratterebbe di un'erogazione avente
natura di anticipazione di liquidita': come precisato in particolare
in una nota della Ragioneria generale dello Stato - consegnata in
occasione dell'audizione della medesima sul decreto-legge in esame -
sulla base delle vigenti regole contabili le somme da pagare da parte
degli enti territoriali risultano, relativamente a quelle diverse da
spese di parte capitale, gia' iscritte in competenza, a fronte della
fornitura del bene, del servizio o di altra prestazione e della
insorgenza del corrispondente credito; in quanto iscritte in
competenza, le somme medesime non rilevano - secondo la Ragioneria
generale dello Stato - ai fini della copertura e, per i riflessi sui
saldi di finanza pubblica, incidono solo sul fabbisogno e sul debito,
ma non sull'indebitamento, su cui ha effetto solo la parte
riguardante i pagamenti di conto capitale; di conseguenza, secondo la
nota della Ragioneria, «non si tratta di un vero e proprio prestito
da includere nel campo di applicazione dell'art. 119, comma sesto,
della Costituzione, in quanto non comporta un ampliamento di
copertura finanziaria in termini di competenza, ma si configura come
mera anticipazione di liquidita', a fronte di coperture gia'
individuate» (parere della I Commissione permanente, «Affari
costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni» sul disegno
di legge n. 676-A).
Infine, ad ulteriore conferma della tesi esposta, si osserva che
l'art. 1, comma 13, dello stesso decreto legge, prevede
un'anticipazione di liquidita' a favore degli enti locali,
sostanzialmente analoga a quelle previste per le Regioni dagli
articoli 2 e 3, con la sola differenza che e' concessa dalla Cassa
Depositi e Prestiti. Con riferimento a questa fattispecie ii MEF, con
nota del 7 maggio 2013 indirizzata alla predetta Cassa, ha precisato
che per i debiti fuori bilancio puo' essere concessa l'anticipazione
purche' essi siano stati preventivamente riconosciuti, prevedendo la
relativa copertura finanziaria ed ha fornito le istruzioni per la
loro corretta contabilizzazione (entrata titolo V, spesa titolo III),
precisando che «l'anticipazione di liquidita' non comporta
ampliamento di copertura finanziaria in termini di competenza». Tali
concetti sono stati confermati con successiva nota del 28 giugno
2013, prot. n. 53240, indirizzata ad una Unione di comuni in risposta
ad un quesito relativo alla corretta contabilizzazione delle
anticipazioni di liquidita'.
Non ignora la Sezione che la normativa in questione presenta
alcuni profili di ambiguita' che sembrerebbero deporre per la
concessione di un vero e proprio finanziamento.
Innanzi tutto, va evidenziato che la restituzione delle somme,
comprensive di capitale ed interessi, e' prevista per un periodo non
superiore a 30 anni mediante la predisposizione di un piano di
ammortamento, cosi' venendo meno la breve durata dell'indebitamento
che costituisce uno degli elementi caratteristici dell'anticipazione
(Corte costituzionale sentenza n. 188/2014, citata).
Si evidenzia ancora che l'art. 3, comma 4, dello stesso decreto
legge, afferma che l'anticipazione in questione e' fatta «in deroga
all'art. 10, secondo comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, e
all'art. 32, comma 24, lettera b), della legge 12 novembre 2011, n.
183H, norme che stabiliscono i limiti di indebitamento per le Regioni
(analoga disposizione e' contenuta nell'art. 1 comma 13 per i Comuni
dove la deroga e' riferita agli articoli 42, 203 e 204 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267).
Altre ambiguita' si rilevano in ordine all'utilizzo delle
anticipazioni nel settore sanitario: le previsioni normative, da un
lato, fanno riferimento a «anticipazioni di liquidita'» ed a
«pagamenti» (art. 3, comma 1), lasciando intendere che trattasi
effettivamente di mera anticipazione di cassa, dall'altro prevedono
l'utilizzo a copertura per gli «ammortamenti non sterilizzati» (art.
3, comma 1, lettera a) e per «mancate erogazioni per Competenza»
(art. 3, comma 1, lettera b). Poiche' queste ultime due voci non
avevano alcuna copertura finanziaria, potrebbe sorgere il dubbio che
si possa fare riferimento a coperture di competenza, con un effetto
ampliativo della capacita' di spesa.
Tuttavia, qualora in base ai suddetti profili di ambiguita'
dovesse ritenersi che le somme in questione costituiscono un vero e
proprio finanziamento, e non una mera anticipazione di liquidita',
sorgerebbero fondati dubbi sulla costituzionalita' del decreto legge
n. 35/2013 in riferimento all'art. 119, sesto comma (al riguardo si
rinvia a quanto sopra esposto sui lavori preparatori). Cio' comporta
che in base ad un'interpretazione sistematica e costituzionalmente
orientata delle norme in esame, le risorse in questione vanno
considerate come delle semplici anticipazioni di cassa.
Peraltro, la natura di mera anticipazione delle risorse in
questione e' stata affermata anche dalla Sezione autonomie nella
deliberazione n. 19/2014, emessa ai sensi dell'art. 6, comma 4, del
decreto-legge n. 174/2012, alla quale questa Sezione non puo' non
conformarsi. In tale deliberazione, infatti, e' affermato il seguente
principio di diritto «le Sezioni regionali di controllo, nell'ambito
delle valutazioni di competenza finalizzate alla salvaguardia degli
equilibri di bilancio e delle regole sull'indebitamento, verificano
la corretta applicazione delle clausole contrattuali e dei principi
di corretta contabilizzazione in bilancio delle anticipazioni di
liquidita' concesse ai sensi degli art. 2 e 3, decreto-legge n.
35/2013, tenendo conto dell'esigenza di evitare che le relative somme
possano concorrere alla determinazione del risultato di
amministrazione, generando effetti espansivi della capacita' di
spesa».
Dalla ritenuta natura di semplici anticipazioni di cassa delle
risorse in questione, i dubbi di costituzionalita' delle leggi
regionali 6 agosto 2013, n. 16 e 29 ottobre 2013, n. 19 in
riferimento all'art. 81, quarto comma (nel testo vigente
antecedentemente alla modifica introdotta dalla L. cost. 20 aprile
2012, n. 1) sembrano al Collegio non manifestamente infondati.
Si' osserva, infatti, che con la gia' citata sentenza n. 188/2014
la Corte costituzionale, dopo aver precisato che «l'anticipazione di
cassa e' negozio caratterizzato da una causa giuridica nella quale si
combinano la funzione di finanziamento con quella di
razionalizzazione dello sfasamento temporale tra flussi di spesa e di
entrata, attraverso un rapporto di finanziamento a breve termine», ha
evidenziato che «la causa di finanziamento dell'anticipazione e'
stata ritenuta compatibile col divieto di cui all'art. 119, sesto
comma, Cost. nei casi in cui l'anticipazione sia di breve durata, sia
rapportata a limiti ben precisi e non costituisca surrettiziamente un
mezzo di copertura alternativo della spesa».
Tali principi sono espressi nell'art. 3, comma 17, della legge 24
dicembre 2003, n. 350, il quale dispone che agli effetti dell'art.
119, sesto comma, della Costituzione non costituiscono indebitamento
«le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono
di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa
statale vigente, una momentanea carenza di liquidita' e di effettuare
spese per le quali e' gia' prevista idonea copertura di bilancio».
L'anticipazione di cassa, pertanto, e' un indebitamento che ha lo
scopo di costituire la provvista di cassa necessaria per procedere al
pagamento di spese regolarmente impegnate e, quindi, finanziate. Cio'
che la distingue dalle altre forme di indebitamento, oltre alla
brevita' del termine di cui si e' gia' detto sopra, e' il fatto che
essa non determina un ampliamento della capacita' di spesa perche'
non comporta la disponibilita' di risorse aggiuntive.
In altre parole, l'anticipazione di cassa si distingue da
operazioni analoghe, quali l'apertura di credito, proprio perche' la
disponibilita' di denaro non puo' essere utilizzata per finanziare
nuove spese, ma serve unicamente per far fronte, in termini di cassa,
a spese gia' regolarmente finanziate: proprio per questo motivo le
anticipazioni non rientrano nel complesso del debito pubblico,
rilevante ai fini degli obblighi comunitari. Giova ricordare,
infatti, che la nozione di «indebitamento» fornita dall'art. 3, comma
17, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e' ispirata ai criteri
adottati in sede europea ai fini del controllo dei disavanzi
pubblici; si tratta, in definitiva, di tutte le entrate che non
possono essere portate a scomputo del disavanzo calcolato ai fini del
rispetto dei parametri comunitari (Corte costituzionale sentenza n.
425/2004).
Peraltro, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che
«l'applicazione alle Regioni dell'obbligo di copertura finanziaria
delle disposizioni legislative e' stata sempre ribadita da questa
Corte (ex plurimis, tra le piu' recenti: sentenze nn. 141 e 100 del
2010, nn. 386 e 213 del 2008, n. 359 del 2007), con la precisazione
che il legislatore regionale non puo' sottrarsi alla fondamentale
esigenza di chiarezza ed equilibrio del bilancio cui l'art. 81 Cost»
(sentenza n. 106/2011) e che, in relazione all'art. 81, quarto comma
Cost., la copertura finanziaria delle spese deve essere credibile,
sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale (sentenze n.
106/2011, n. 68/2011, n. 141/2010, n. 100/2010, n. 213/2008, n.
384/1991 e n. 1/1966).
Le leggi regionali piemontesi n. 16/2013 e n. 19/2013 hanno
finanziato delle spese non previste in bilancio con le anticipazioni
di liquidita' concesse dallo Stato in base agli articoli 2 e 3 del
decreto-legge n. 35/2013, ampliando conseguentemente la capacita' di
spesa della Regione. Cosi facendo, sembra alla Sezione che esse si
pongano in contrasto con l'art. 81,) quarto comma, della Costituzione
(nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla l.
cost. 20 aprile 2012, n. 1), essendo prive di una adeguata ed
effettiva copertura finanziaria. In particolare, esse hanno previsto
delle nuove spese - intendendosi per tali quelle che, ai sensi del
principio stabilito dall'art 156, secondo comma dei R.D. 23 maggio
1924 n 827, richiedono l'istituzione di uno o piu' capitoli nuovi -
senza la necessaria copertura finanziaria, attesa
«l'inutilizzabilita' ai fini della copertura della spesa» di una mera
anticipazione di cassa e, conseguentemente, hanno alterato
l'equilibrio di bilancio.
Peraltro, il principio di copertura finanziaria nelle leggi di
spesa sancito dall'art. 81, comma 4 vecchio testo, della Costituzione
e' confermato dal novellato testo dell'art. 81, al comma 3, vigente a
far data dall'esercizio 2014.
6. In conformita' alla consolidata giurisprudenza della Corte
costituzionale, la Sezione ritiene di dover verificare se siano
possibili ipotesi interpretative delle citate leggi regionali che
consentano di superare i dubbi di costituzionalita' sopra esposti.
Con riferimento alla fattispecie in esame si tratta di verificare se
le risorse erogate dallo Stato, tramite il MEF, ai sensi degli
articoli 2 e 3 del decreto-legge n. 35/2013, possano costituire una
valida copertura delle spese finanziate, anche facendo ricorso
«all'archetipo negoziale del mutuo» come ritenuto dalla Procura
regionale.
A tal fine, appare fondamentale accertare la natura delle spese
finanziate con le leggi regionali in questione, giacche', ove si
trattasse di spese di investimento, si potrebbe ritenere che le somme
erogate dal MEF siano un vero e proprio mutuo e verrebbero superati i
dubbi di costituzionalita' sopra prospettati.
Come sopra esposto, le leggi regionali sospettate di
incostituzionalita' utilizzano le risorse del decreto legge 35/2013
per finanziare parte dei disavanzo di amministrazione risultante dal
rendiconto 2012, nonche' i trasferimenti alle ASR per allineamento
con la situazione patrimoniale e per copertura delle perdite
derivanti dagli ammortamenti non sterilizzati.
In particolare, per quanto riguarda le spese relative al settore
sanitario, le nuove spese previste sono i «trasferimenti alle aziende
sanitarie regionali per l'erogazione delle risorse di cui
all'anticipazione di liquidita ai sensi dell'art. 3, comma 2
del decreto-legge 35/2013» (capitolo 156981) ed i «trasferimenti alle
aziende sanitarie regionali per l'erogazione delle risorse di cui
all'anticipazione di liquidita ai sensi dell'art. 3, comma 2
del decreto-legge 35/2013 e dell'art. 13, comma 6 del decreto-legge
102/2013» (capitolo 156985).
L'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 35/2013, richiamato nella
denominazione dei capitoli, prevede il riparto tra le Regioni di
un'anticipazione di liquidita' in proporzione ai valori degli
ammortamenti non sterilizzati (art. 3 comma 1, lettera a, del
decreto-legge n, 35/2013), come risultanti dai modelli CE per il
periodo dal 2001 al 2011, ponderati al 50%, ed ai valori delle
mancate erogazioni per competenza e/o per cassa delle somme dovute
dalle regioni ai rispettivi servizi sanitari regionali a titolo di
finanziamento del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i
trasferimenti di somme dai conti di tesoreria e dal bilancio statale
e le coperture regionali dei disavanzi sanitari, come risultanti
nelle voci «crediti verso regione per spesa corrente» e «crediti
verso regione per ripiano perdite» nelle voci di credito degli enti
del SSN verso le rispettive regioni dei modelli SP (art. 3, comma 1,
lettera b, del decreto-legge n. 35/2013), ponderati al 50%, come
presenti nell'NSIS alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
L'art. 13, comma 6, del decreto-legge 31 agosto 2013, n, 102
convertito con modificazioni dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124,
richiamato nell'oggetto del capitolo 156985, si limita a prevedere la
possibilita' di accesso anticipato alle risorse stanziate dal decreto
legge 35/2013 per il 2014, per ie stesse finalita' dell'art. 3, comma
2, fino ad un importo pari all'80% delle somme gia' assegnate in
attuazione della suddetta norma e dell'art. 3-bis del decreto-legge
21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9
agosto 2013, n. 98. Quest'ultima norma prevede che le risorse
ripartite tra le Regioni ai sensi dell'art. 3, comma 2, del
decreto-legge 35/2013 e non richieste dalle stesse, possano essere
assegnate alle Regioni che ne facciano richiesta, «prioritariamente
in funzione dell'adempimento alla diffida prevista dall'art. 1, comma
174, della legge 30 dicembre 2004, n, 311, e successive
modificazioni» (la disposizione richiamata e' relativa al
finanziamento del servizio sanitario regionale e prevede una diffida
del Presidente del Consiglio dei ministri, con successiva eventuale
nomina di un commissario ad acta, qualora, sulla base del
monitoraggio trimestrale, si prospetti una situazione di squilibrio o
si evidenzi un disavanzo di gestione e la Regione non adotti i
provvedimenti necessari ovvero quelli adottati si siano rilevati
insufficienti).
Dalla complessa normativa sopra esposta si evince che le spese in
materia sanitaria finanziate con le anticipazioni di liquidita'
costituiscono in via prevalente, se non esclusiva, spese correnti.
Con particolare riferimento al debito derivante dagli
«ammortamenti non sterilizzati», appare opportuno precisare che nella
contabilita' economica, adottata dalle aziende sanitarie, la
sterilizzazione e' il procedimento contabile (consistente nello
storno di una quota del contributo in conto capitale iscritto nel
patrimonio netto e alla sua imputazione a ricavo), mediante il quale
viene annullato (per l'appunto «sterilizzato») l'effetto sul
risultato d'esercizio dell'ammortamento dei cespiti finanziati da
contributi in conto capitale. Gli ammortamenti non sterilizzati,
dunque, comportano un aggravio della gestione operativa e del
risultato d'esercizio delle aziende e la conseguente necessita' di
copertura da parte della Regione, prima del 2011, invece, gli
ammortamenti non sterilizzati erano sottratti dalle perdite da
coprire da parte delle Regione (circostanza peraltro stigmatizzata
nelle relazioni di questa Sezione regionale di controllo, cfr, da
ultimo la delibera 246/2011), dal momento in cui si e' riconosciuto
l'obbligo di copertura dell'intera perdita di esercizio (comprensiva
delle predette voci non monetarie) anche per gli anni pregressi, e'
cresciuto il disavanzo sostanziale corrente della Regione,
corrispondente a queste mancate coperture.
Ad ulteriore conferma che le spese in questione non possono
essere considerate spese di investimento, si evidenzia che le stesse
leggi regionali hanno iscritto le poste in uscita al titolo primo,
nel quale trovano allocazione le spese correnti.
Per quanto riguarda il disavanzo d'amministrazione accertato con
il rendiconto dell'esercizio 2012, alla cui copertura sono state
destinate risorse per euro 447.693.392,78 e per euro 660,206,607,23,
si osserva che la copertura del risultato d'amministrazione negativo
non e' compresa tra le operazioni che, in base all'art. 3, comma 18,
della legge 24 dicembre 2003, n, 350 costituiscono investimenti, ai
fini di cui all'art. 119, sesto comma, della Costituzione. Inoltre,
l'art. 193, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,
esclude espressamente che, «per il ripiano dell'eventuale disavanzo
di amministrazione risultante dal rendiconto approvato», possano
essere utilizzate le disponibilita' provenienti dall'assunzione di
prestiti.
Ad ulteriore conferma che le spese in questione non sono
annoverabili tra quelle di investimento, vi sono i dati del conto del
patrimonio dai quali non risulta alcun incremento dell'attivo
patrimoniale che, ipercuotendosi nel tempo, giustifichi
l'indebitamento in questione, i cui oneri, giova ricordarlo, saranno
a carico delle generazioni future. In particolare, a fronte
dell'iscrizione tra le passivita' patrimoniali del debito per la
restituzione delle anticipazioni per complessivi euro
2.554.603.200,01, tra le attivita' patrimoniali non si rinviene alcun
aumento corrispondente, anzi vi e' un saldo negativo delle variazioni
per complessivi -16.725.787,36 derivante dal saldo tra le variazioni
in aumento (40.381.308,31) e quelle in diminuzione (57.107.095,67).
Come ha affermato la Corte costituzionale, «la ratio del divieto di
indebitamento per finalita' diverse dagli investimenti trova
fondamento in una nozione economica di relativa semplicita'. Infatti,
risulta di chiara evidenza che destinazioni diverse dall'investimento
finiscono inevitabilmente per depauperare il patrimonio dell'ente
pubblico che ricorre al credito» (Corte costituzionale, sentenza n.
188/2014, gia' cit.).
Conclusivamente, anche se si volessero qualificare le risorse
erogate dallo Stato, tramite il MEF, ai sensi degli articoli 2 e 3
del decreto-legge n. 35/2013, non come anticipazioni di cassa ma come
un vero e proprio mutuo, i dubbi di costituzionalita' sul
finanziamento delle spese, disposto dalla leggi regionali in
questione non sarebbero eliminati, ma verrebbero ulteriormente
rafforzati, giacche' risulterebbe violato l'art. 119 sesto comma, che
consente l'indebitamento solo per le spese di investimento, e, di
rimando, sempre lo stesso art. 81, quarto comma della Costituzione
(nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla L.
cost. 20 aprile 2012, n. 1).
Infatti, come precisato dalla Corte costituzionale, il precetto
dettato dall'art. 119, sesto comma, e' inscindibilmente collegato ed
integrato con altri principi costituzionali quali il coordinamento
della finanza pubblica, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., la
tutela degli equilibri di bilancio, di cui all'art. 81 Cost. (sia
nella precedente formulazione che in quella introdotta dalla legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante «Introduzione del
principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»). «In
definitiva, il valore costituzionalmente protetto del divieto di
indebitamento per spese diverse dagli investimenti trova espressa
enunciazione nel predetto art. 119, sesto comma, Cost., ma viene
declinato - in modo assolutamente coerente ed integrato, secondo
esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio
nazionale - attraverso altri parametri costituzionali, quali i citati
artt. 81, 117, secondo comma, lettera I), e 117, terzo comma, Cost.,
venendo ad assumere consistenza di vera e propria clausola generale
in grado di colpire direttamente - indipendentemente dall'esistenza
di norme applicative nella pertinente legislazione di settore - tutti
gli enunciati normativi che vi si pongono in contrasto (sulla
immediata precettivita' dei parametri costituzionali inerenti agli
equilibri di bilancio ed alla sana gestione finanziaria, sentenza n.
70 del 2012)» (sentenza n. 188/2014).
Risulta in ogni caso alterato l'equilibrio del bilancio,
principio «immanente nell'ordinamento finanziario delle
Amministrazioni pubbliche», derivante sempre dall'art. 81 e la cui
rilevanza si e' molto accentuata negli ultimi anni, tanto da essere
formalmente introdotto nel testo della Costituzione dalla legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, significativamente intitolata
«Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale». Detto principio consiste nella «continua ricerca di
un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e
spese necessarie per il perseguimento delle finalita' pubbliche» ed
e' immanente nell'ordinamento finanziario delle amministrazioni
pubbliche in quanto derivante dall'art. 81 della Costituzione e «non
si realizza soltanto attraverso il rispetto del meccanismo autorizza
tono della spesa, il quale viene salvaguardato dal limite dello
stanziamento di bilancio, ma anche mediante la preventiva
quantificazione e copertura degli oneri derivanti da nuove
disposizioni» (sentenze n. 70/2012, n. 115/2012, n. 250/2013 e n.
266/2013).