ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  516  del
codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Lecce
nel procedimento penale a carico di D.M.J. ed  altri,  con  ordinanza
del 31 marzo 2014, iscritta al n. 119 del registro ordinanze  2014  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  30,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di costituzione di N.R.; 
    udito nella camera di consiglio del 28 gennaio  2015  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza  del  31  marzo  2014,  il  Tribunale
ordinario di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,  24  e
117 della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 516 del codice di procedura penale, nella parte in cui  non
prevede che l'imputato possa chiedere il giudizio abbreviato in corso
di  dibattimento,  ove  il  pubblico   ministero   abbia   modificato
l'imputazione per adeguarla alle nuove risultanze dibattimentali; 
    che il giudice a quo premette che, nel corso del dibattimento, il
pubblico ministero aveva modificato l'imputazione di associazione  di
tipo mafioso contestata ad uno degli imputati al  fine  di  adeguarla
alle  «risultanze  processuali»,  posticipando  la  cessazione  della
permanenza del reato dal giugno 2010 - data indicata nell'imputazione
originaria - al marzo 2013; 
    che il difensore dell'imputato aveva chiesto che, alla  luce  dei
principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  237
del 2012,  il  processo  fosse  definito  nelle  forme  del  giudizio
abbreviato in relazione all'imputazione cosi' modificata,  eccependo,
in subordine,  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  516  cod.
proc. pen., nella parte in cui non consente una simile richiesta; 
    che, ad avviso del giudice a quo, si  sarebbe  di  fronte,  nella
specie, alla contestazione di un fatto diverso, regolata  dal  citato
art. 516, e non gia' - come sostenuto dal pubblico ministero  -  alla
contestazione di un fatto nuovo, che a norma dell'art. 518 cod. proc.
pen. presuppone il consenso dell'imputato (il quale, non prestandolo,
potrebbe salvaguardare la facolta' di chiedere i riti alternativi nel
procedimento separato che occorrerebbe instaurare); 
    che secondo la costante giurisprudenza di legittimita',  infatti,
di contestazione  del  fatto  nuovo  puo'  parlarsi  solo  quando  il
pubblico ministero  estenda  l'imputazione  ad  un  fatto  ulteriore,
distinto da quello gia' contestato e ad esso non  connesso  ai  sensi
dell'art. 12, comma 1,  lettera  b),  cod.  proc.  pen.  (essendo  la
contestazione del reato  connesso  disciplinata  dall'art.  517  cod.
proc. pen. in modo analogo all'art. 516); 
    che lo spostamento in avanti della data  di  consumazione  di  un
reato permanente, e associativo in particolare, non implicherebbe, di
contro, la contestazione di un nuovo episodio criminoso, ma  soltanto
una diversa individuazione della durata del  reato  gia'  contestato:
introducendo cosi' un elemento che, potendo incidere  quantomeno  sul
trattamento  sanzionatorio,  determinerebbe  l'insorgenza  di  quelle
nuove esigenze difensive che la disciplina dell'art. 516  cod.  proc.
pen. mira a tutelare; 
    che, anche dopo le sentenze n. 333 del 2009 e  n.  237  del  2012
della  Corte  costituzionale,  la  norma  censurata   non   consente,
tuttavia, all'imputato di chiedere il giudizio abbreviato nel caso di
contestazione del fatto diverso finalizzata ad adeguare l'imputazione
agli elementi emersi in dibattimento: e  cio'  quantunque  la  scelta
relativa al rito da seguire rappresenti pacificamente una espressione
del diritto di difesa; 
    che la norma denunciata si porrebbe, di conseguenza, in contrasto
tanto con l'art. 24 Cost., che sancisce l'inviolabilita' del predetto
diritto, quanto con l'art. 117  Cost.,  in  riferimento  all'art.  6,
paragrafo  3,  lettera  b),  della   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che
riconosce alla persona accusata di un reato il  diritto  di  disporre
delle «facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa»; 
    che  risulterebbe  violato,  altresi',  l'art.  3  Cost.,  stante
l'ingiustificata  disparita'  di   trattamento   dell'ipotesi   della
contestazione del fatto diverso rispetto  a  quella,  sostanzialmente
analoga,  della  contestazione  del  reato  concorrente   emerso   in
dibattimento e oggetto di contestazione suppletiva ai sensi dell'art.
517 cod. proc.  pen.:  norma,  quest'ultima,  dichiarata  illegittima
dalla Corte costituzionale con la sentenza n.  237  del  2012,  nella
parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere il
giudizio  abbreviato  relativamente  al  reato  oggetto  della  nuova
contestazione; 
    che si e' costituito N.R., imputato nel giudizio a quo, il  quale
ha svolto deduzioni a sostegno delle  tesi  del  giudice  rimettente,
chiedendo l'accoglimento della questione. 
    Considerato che  il  Tribunale  ordinario  di  Lecce  dubita,  in
riferimento  agli  artt.  3,  24  e  117  della  Costituzione,  della
legittimita' costituzionale dell'art. 516  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui non prevede che l'imputato possa  chiedere
il giudizio abbreviato in corso  di  dibattimento,  ove  il  pubblico
ministero abbia modificato l'imputazione  per  adeguarla  alle  nuove
risultanze dibattimentali; 
    che, come si desume dall'argomento posto a sostegno della dedotta
violazione dell'art. 3 Cost., il giudice a quo mira a conseguire - in
rapporto  alla  contestazione  dibattimentale  del   fatto   diverso,
disciplinata dalla norma censurata - una pronuncia analoga  a  quella
adottata da questa Corte,  con  la  sentenza  n.  237  del  2012,  in
relazione  alla  contestazione  del   reato   concorrente,   regolata
dall'art. 517 cod.  proc.  pen.:  vale  a  dire,  una  pronuncia  che
riconosca all'imputato la  facolta'  di  richiedere  al  giudice  del
dibattimento il giudizio abbreviato relativamente  al  reato  oggetto
della nuova contestazione, anche quando si  tratti  di  contestazione
cosiddetta "tempestiva" o "fisiologica", intesa, cioe',  ad  adeguare
l'imputazione ai nuovi  elementi  emersi  nel  corso  dell'istruzione
dibattimentale, e non gia' di contestazione  cosiddetta  "tardiva"  o
"patologica", basata, cioe', su elementi gia' risultanti  dagli  atti
al momento dell'esercizio  dell'azione  penale  (fattispecie,  questa
seconda, attinta dalla  precedente  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale di cui  alla  sentenza  n.  333  del  2009,  tanto  in
riferimento all'art. 516 che all'art. 517 cod. proc. pen.); 
    che, successivamente all'ordinanza di  rimessione,  questa  Corte
e', peraltro, gia' intervenuta nei sensi  auspicati  dal  rimettente,
dichiarando costituzionalmente illegittima, con la  sentenza  n.  273
del 2014, la norma censurata «nella  parte  in  cui  non  prevede  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  il
giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso  nel  corso
dell'istruzione  dibattimentale,  che  forma  oggetto   della   nuova
contestazione»; 
    che, dunque, la questione deve essere  dichiarata  manifestamente
inammissibile per sopravvenuta mancanza  di  oggetto,  in  quanto,  a
seguito della sentenza da ultimo citata, la norma censurata e'  stata
gia' rimossa dall'ordinamento, in parte qua, con  efficacia  ex  tunc
(ex plurimis, ordinanze n. 276 e n. 206 del 2014, n. 321 e n. 177 del
2013, n. 315 del 2012). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.