ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della  sentenza  della  Corte  di  cassazione-sezioni
unite civili, 28 giugno 2013, n. 16305, promosso dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso depositato in  cancelleria  il  22
settembre 2014 ed iscritto al n. 5 del registro conflitti tra  poteri
dello Stato 2014, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 2015  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato in data  22  settembre  2014
(reg. confl. pot. amm. n. 5 del 2014), il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, in  proprio  e  a  nome  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
sollevato conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  nei
confronti  della  Corte  di  cassazione,  sezioni  unite  civili,  in
relazione alla sentenza n. 16305 del 12 marzo-28 giugno 2013  con  la
quale  e'  stato  respinto  il  ricorso  per  motivi  attinenti  alla
giurisdizione proposto dallo stesso Presidente del Consiglio  avverso
la sentenza del Consiglio di  Stato,  sezione  IV,  n.  6083  del  18
novembre 2011; 
    che il ricorrente riferisce in ordine alla richiesta  dell'Unione
degli atei e degli agnostici razionalisti  (UAAR),  associazione  non
riconosciuta, costituita con atto notarile nel 1991, la  quale  aveva
proposto ricorso avanti al TAR Lazio chiedendo  l'annullamento  della
delibera del Consiglio dei ministri in data 27 novembre 2003, con  la
quale, recependo il parere dell'Avvocatura generale dello  Stato,  il
Consiglio  dei  ministri  decideva  di  non  avviare  le   trattative
finalizzate alla conclusione dell'intesa ai sensi dell'art. 8,  terzo
comma, della Costituzione, ritenendo che la  professione  di  ateismo
non potesse essere assimilata ad una confessione religiosa; 
    che con sentenza  31  dicembre  2008,  n.  12359,  il  TAR  Lazio
dichiarava  inammissibile  il  ricorso  per   difetto   assoluto   di
giurisdizione,  ritenendo  che  la  determinazione  impugnata  avesse
natura di atto politico non sindacabile; 
    che il Consiglio di Stato, con la citata  sentenza  n.  6083  del
2011,  riformando  la  decisione  di  primo   grado,   affermava   la
giurisdizione  del  giudice  amministrativo  ritenendo   che   l'atto
impugnato fosse espressione di mera  discrezionalita'  tecnica  della
pubblica  amministrazione,  come   tale   sindacabile   dal   giudice
amministrativo in sede di giurisdizione generale  di  legittimita'  e
che,  pertanto,  l'avvio  delle   trattative   potesse   «addirittura
considerarsi obbligatorio sol che si possa pervenire a un giudizio di
qualificabilita' del soggetto  istante  come  confessione  religiosa,
salva restando da un lato  la  facolta'  di  non  stipulare  l'intesa
all'esito delle trattative ovvero - come gia' detto - di non tradurre
in legge  l'intesa  medesima,  e  dall'altro  lato  la  possibilita',
nell'esercizio della discrezionalita' tecnica cui si e' accennato, di
escludere motivatamente che il soggetto presenti  le  caratteristiche
che le consentirebbero di rientrare fra le "confessioni religiose"»; 
    che le parti venivano quindi rimesse avanti al primo giudice; 
    che avverso tale  decisione,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri proponeva ricorso  straordinario  ai  sensi  dell'art.  111,
ultimo comma, Cost., alle sezioni unite della  Corte  di  cassazione,
sostenendo che il rifiuto di avviare le trattative per la conclusione
dell'intesa ex art. 8 Cost. doveva qualificarsi come "atto politico",
come tale insindacabile; 
    che la Corte di cassazione,  con  sentenza  n.  16305  del  2013,
respingeva  il  ricorso  affermando  che  l'accertamento  preliminare
relativo alla qualificazione dell'istante come confessione  religiosa
costituirebbe  esercizio  di  discrezionalita'   tecnica   da   parte
dell'amministrazione atteso che il soggetto che avanza  l'istanza  di
avvio  delle  trattative  per  la  conclusione  dell'intesa   sarebbe
portatore di una  pretesa  costituzionalmente  tutelata  all'apertura
delle stesse, azionabile in giudizio, di tal che il  Governo  avrebbe
l'obbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8 Cost.  per  il
solo fatto che una qualsiasi associazione lo richieda e a prescindere
dalle evenienze che si possono  verificare  nel  prosieguo  dell'iter
legislativo; 
    che, ad avviso  della  Corte  di  cassazione,  «l'apertura  della
trattativa  e'   dovuta   in   relazione   alla   possibile   intesa,
disciplinata,  nel  procedimento,  secondo  i  canoni  dell'attivita'
amministrativa; [mentre] la legge di approvazione segue le  regole  e
le possibili vicende [...] proprie degli atti di formazione [per cui]
le variabili fattuali della seconda fase non  incidono  sulla  natura
della situazione giuridica che  sta  alla  base  delle  bilateralita'
pattizia voluta dal costituente»; 
    che «negare la  sindacabilita'  del  diniego  di  apertura  della
trattativa per il fatto  che  questa  e'  inserita  nel  procedimento
legislativo significa privare il soggetto istante di tutela e  aprire
la strada [...] a una discrezionalita' foriera di discriminazioni»; 
    che, successivamente a tale pronuncia, il TAR Lazio, con sentenza
3 luglio 2014 n. 7068, ha respinto nel merito il ricorso  della  UAAR
escludendo che essa possa qualificarsi come confessione religiosa; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri, ed il Consiglio dei
ministri, non  condividendo  i  principi  affermati  dalla  Corte  di
cassazione e ritenendo  che  il  rifiuto  di  avviare  le  trattative
finalizzate alla stipula dell'intesa sia un atto politico, come  tale
sottratto al sindacato giurisdizionale, hanno sollevato conflitto  di
attribuzione tra poteri nei confronti della Corte di cassazione; 
    che, in ordine alla ammissibilita' del  conflitto,  i  ricorrenti
sostengono che sarebbe  pacifica  la  legittimazione  soggettiva  del
Presidente del Consiglio dei ministri in proprio e del Consiglio  dei
ministri a dichiarare  definitivamente  la  volonta'  del  potere  di
riferimento e che, nel caso di specie,  il  rifiuto  all'avvio  delle
trattative sarebbe stato opposto dal Consiglio dei  ministri,  organo
al quale, ai sensi dell'art. 2, comma 3, della legge 23 agosto  1988,
n. 400 (Disciplina dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento  della
Presidenza  del  Consiglio   dei   Ministri),   sono   riservate   le
determinazioni sulle intese; 
    che, in ordine alla  legittimazione  passiva,  le  sezioni  unite
della Corte  di  cassazione  sarebbero  competenti  a  dichiarare  la
definitiva volonta' del potere giudiziario, in  considerazione  della
efficacia vincolante per tutti  i  giudici  comuni,  anche  in  altri
processi,  delle  decisioni  da   essa   assunte   in   ordine   alla
giurisdizione; 
    che, quanto al profilo oggettivo, i  ricorrenti  richiamando  gli
artt. 7, 8, 92 e 95 Cost., osservano come la Corte di cassazione, con
la sentenza n. 16305 del 2013, avrebbe illegittimamente esercitato il
suo  potere  giurisdizionale  menomando  la  funzione  di   indirizzo
politico che la Costituzione assegna al Governo in materia  religiosa
la  quale  sarebbe   assolutamente   libera   nel   fine   e   quindi
insuscettibile di controllo da parte dei giudici comuni; 
    che, nel merito, si afferma come non possa  essere  condivisa  la
conclusione delle sezioni unite in ordine alla doverosita' dell'avvio
delle trattative per la stipula dell'intesa ex art. 8,  comma  terzo,
Cost.; 
    che tale ultima disposizione costituirebbe norma sulle fonti, dal
momento che le  intese  integrerebbero  il  presupposto  per  l'avvio
dell'iter legislativo finalizzato alla  emanazione  della  legge  che
regola i rapporti tra Stato e  confessione  religiosa,  e,  pertanto,
parteciperebbero  della  stessa  natura,  di  atto  politico,   delle
successive fasi dell'iter; 
    che inoltre, se il Governo e' libero di  non  dare  seguito  alla
stipula  dell'intesa  omettendo  di   esercitare   l'iniziativa   per
l'emanazione della legge prevista dall'art. 8, terzo comma, Cost.,  a
maggior  ragione  deve  essere  libero,  nell'esercizio   delle   sue
valutazioni politiche, di non avviare alcuna trattativa; 
    che tale conclusione troverebbe  conferma  nella  sentenza  della
Corte costituzionale n. 346 del 2002, ove si afferma che  il  Governo
non e' vincolato a norme specifiche per quanto riguarda l'obbligo  di
negoziare e stipulare l'intesa; 
    che, infine, vi e' di cio' conferma  nella  recente  sentenza  di
questa Corte n. 81 del 2012 la quale avrebbe riconosciuto l'esistenza
di spazi riservati alla scelta politica; 
    che, in definitiva, il rifiuto  del  Consiglio  dei  ministri  di
avviare  le  trattative  per  la  conclusione   dell'intesa   sarebbe
espressione della fondamentale funzione di direzione e  di  indirizzo
politico  del  Governo,  in  quanto   tale   libera   nel   fine   ed
insuscettibile  di  controllo  da  parte  dei  giudici  comuni,   non
tollerando interferenze da parte del potere giudiziario  di  tal  che
sarebbe abnorme la sentenza che annulla il  diniego  di  avvio  delle
trattative imponendo al Governo di  riesaminare  la  questione  o  di
concludere l'intesa con un determinato soggetto; 
    che,  conseguentemente,  i   ricorrenti   chiedono   alla   Corte
costituzionale  di  dichiarare  che  non  spettava  alla   Corte   di
cassazione, sezioni unite civili, di affermare la sindacabilita',  ad
opera dei giudici comuni, del rifiuto del Consiglio dei  ministri  di
avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell'intesa di cui
all'art. 8, terzo comma, Cost. 
    Considerato che in questa fase del giudizio,  a  norma  dell'art.
37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo  1953,  n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
questa Corte e' chiamata a deliberare, senza contraddittorio,  se  il
ricorso sia ammissibile in quanto vi sia «materia di un conflitto  la
cui  risoluzione  spetti  alla  sua  competenza»,   sussistendone   i
requisiti soggettivo ed  oggettivo  e  restando  impregiudicata  ogni
ulteriore questione, anche in punto di ammissibilita' del conflitto; 
    che sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio  dei
ministri, sia in proprio sia  in  rappresentanza  del  Consiglio  dei
ministri, e' legittimato a promuovere il presente conflitto in quanto
organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere
cui appartiene in ordine alla stipula delle intese con le confessioni
religiose diverse da quella cattolica, ai sensi  dell'art.  8,  terzo
comma, della Costituzione; 
    che  sussiste,  altresi',  la  legittimazione  a  resistere   nel
conflitto della Corte di  cassazione  dal  momento  che,  secondo  la
costante giurisprudenza di  questa  Corte,  si  deve  riconoscere  ai
singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere  parti  di
conflitti di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato,  in  quanto  in
posizione  di  piena  indipendenza  garantita  dalla  Costituzione  e
competenti  a  dichiarare   definitivamente,   nell'esercizio   delle
relative funzioni,  la  volonta'  del  potere  cui  appartengono  (ex
plurimis, ordinanze n. 286 del 2014 e n. 69 del 2013); 
    che, quanto al profilo oggettivo del  conflitto,  il  ricorso  e'
finalizzato a tutelare la sfera  di  attribuzioni  costituzionalmente
garantite del Governo che, secondo la prospettazione del  ricorrente,
ad esso sarebbero attribuite dagli artt. 8,  terzo  comma,  92  e  95
Cost. i quali assegnano a  detto  organo  la  funzione  di  indirizzo
politico in materia religiosa, e  che  la  sentenza  della  Corte  di
cassazione, esorbitando dalle proprie competenze, avrebbe menomato.