ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  commi
6, 7 e 8, del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98  (Disposizioni
urgenti  per  la  stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio  2011,  n.
111 promosso dalla Corte dei conti, sezione  giurisdizionale  per  la
Regione siciliana, nel procedimento vertente tra D.D.B. e  l'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 6  agosto
2013, iscritta al n. 259 del registro  ordinanze  2013  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  49,  prima   serie
speciale, dell'anno 2013. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  12  maggio  2015  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Luigi Caliulo  per  l'INPS  e  l'avvocato  dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la  Regione
siciliana, con ordinanza depositata il 6 agosto 2013 ed  iscritta  al
n. 259  del  registro  ordinanze  2013,  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale  dell'art.  18,  commi  6,  7  e  8,  del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art.  1,  comma  1,  della  legge  15  luglio  2011,   n.   111,
prospettando la violazione degli artt. 2, 3, primo comma, 117,  primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Il giudice rimettente afferma di dover  decidere  sulla  domanda,
proposta da D.D.B. con  ricorso  del  7  febbraio  2007  e  volta  ad
ottenere l'indennita' integrativa speciale  ai  sensi  dell'art.  10,
comma 4, del decreto-legge 29 gennaio 1983,  n.  17  (Misure  per  il
contenimento del costo del  lavoro  e  per  favorire  l'occupazione),
convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79. 
    Il ricorrente ha dedotto di essere un  ferroviere,  collocato  in
quiescenza per dimissioni volontarie il  19  luglio  1983,  prima  di
avere raggiunto l'eta' massima pensionabile. Egli ha  rivendicato  il
diritto all'indennita' integrativa  speciale  per  l'intero  importo,
secondo quanto previsto dal citato art. 10, comma 4, al  momento  del
collocamento a riposo d'ufficio, avvenuto il 18 dicembre 1997. 
    Alla richiesta, formulata  dal  ricorrente  il  27  maggio  2005,
l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)  ha  opposto  un
diniego,  motivato  dall'inapplicabilita'   della   norma   invocata.
L'indennita' integrativa speciale, a dire dell'INPS, avrebbe perso la
consistenza di elemento autonomo del trattamento pensionistico. 
    Il ricorrente ha impugnato tale diniego, incardinando il giudizio
dinanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la  Regione
siciliana. 
    L'INPS si e' costituito nel giudizio principale e ha concluso per
il  rigetto  delle  pretese  del  ricorrente,  sulla   scorta   delle
disposizioni oggi censurate ed intervenute in  pendenza  della  lite:
«6. L'articolo 10, quarto comma, del decreto-legge 29  gennaio  1983,
n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo  1983,  n.
79, si intende abrogato implicitamente dall'entrata in  vigore  delle
disposizioni di cui all'articolo 21 della legge 27 dicembre 1983,  n.
730. 7. L'articolo 21, ottavo comma, della legge 27 dicembre 1983, n.
730, si  interpreta  nel  senso  che  le  percentuali  di  incremento
dell'indennita' integrativa speciale ivi previste  vanno  corrisposte
nell'aliquota massima, calcolata sulla quota dell'indennita' medesima
effettivamente spettante  in  proporzione  all'anzianita'  conseguita
alla data di cessazione dal servizio. 8. L'articolo 21,  nono  comma,
della legge 27 dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che  e'
fatta salva la disciplina prevista per l'attribuzione, all'atto della
cessazione dal servizio, dell'indennita' integrativa speciale di  cui
alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e  successive  modificazioni,  ivi
compresa la normativa stabilita dall'articolo 10 del decreto-legge 29
gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  25
marzo 1933, n.  79,  ad  eccezione  del  comma  quarto  del  predetto
articolo 10 del decreto-legge n. 17 del 1983». 
    Il  giudice  a  quo  ritiene  di  dover  dare  applicazione  alla
normativa sopravvenuta, che  conduce  all'inevitabile  rigetto  delle
pretese del ricorrente, incentrate sull'art. 10,  quarto  comma,  del
d.l. n. 17 del 1983, e solleva d'ufficio la questione di legittimita'
costituzionale di tali disposizioni, in riferimento agli artt. 2,  3,
primo comma, 117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 della CEDU. 
    Il giudice rimettente, in punto  di  non  manifesta  infondatezza
della questione, evidenzia che la normativa sopravvenuta si configura
come «abrogazione legislativa sostanziale, con  effetti  retroattivi,
mascherata  da  norma  interpretativa»  e   segnala   una   stridente
contraddizione tra l'art. 21 della legge 27  dicembre  1983,  n.  730
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 1984), che salvaguarda l'applicazione
dell'art. 10 del d.l. n. 17 del  1983,  senza  eccettuare  il  quarto
comma, e l'art. 18, comma 6, del d.l. n. 98 del 2011, che, di contro,
sancisce l'abrogazione implicita del citato quarto comma a  decorrere
dall'entrata in vigore dell'art. 21 della legge n. 730 del 1983. 
    Il giudice a quo stigmatizza un «eccesso di potere legislativo» e
denuncia il contrasto della norma interpretativa, contraddistinta  da
una  «palese  irragionevolezza»,  con  il  principio   di   legittimo
affidamento, che trova tutela nella Costituzione sotto l'egida  degli
artt. 2 e 3. 
    Il principio di affidamento, invero,  sarebbe  l'estrinsecazione,
per un verso,  del  generale  precetto  di  buona  fede,  che  ha  un
fondamento  costituzionale  nei  doveri  di  solidarieta'  consacrati
dall'art. 2 Cost., e, per altro verso, dei principi di eguaglianza  e
di ragionevolezza, presidiati dall'art. 3 Cost. 
    Il giudice rimettente soggiunge che la normativa sopravvenuta non
solo  non   esplicita   una   variante   di   senso   dell'originaria
disposizione,  ma   contraddice   l'interpretazione   avvalorata   in
precedenza dal legislatore, con l'art. 21 della legge n. 730 del 1983
e con la salvezza, allora disposta, di tutte le previsioni -  nessuna
esclusa - dell'art. 10, del d.l. n. 17 del 1983. 
    Poste tali premesse, il giudice  a  quo  ravvisa  una  violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost., sulla base dell'art. 6 della CEDU,
che assurge a parametro  interposto,  nell'interpretazione  enunciata
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    Dalla norma convenzionale -  argomenta  il  giudice  contabile  -
discende   l'illegittimita'   di   ogni    innovazione    legislativa
retroattiva, che alteri le condizioni di  parita'  processuale  delle
parti e  si  traduca  in  un'ingerenza  del  potere  legislativo  nel
funzionamento del  potere  giudiziario,  diretta  ad  influenzare  la
decisione della lite. 
    2.- Nel giudizio e' intervenuto l'INPS  e  ha  insistito  per  la
declaratoria   di   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    L'INPS, a sostegno di tali conclusioni, ha rilevato che le  norme
sospettate d'illegittimita' costituzionale si situano in un  contesto
di emergenza e perseguono l'obiettivo di salvaguardare gli  equilibri
di bilancio e di contenere la spesa previdenziale. 
    Nel  caso  di  specie,  il  ricorrente  conserverebbe  inalterato
l'importo della pensione percepita, in quanto  la  norma  inciderebbe
soltanto sull'indennita' integrativa speciale. 
    La retroattivita' della norma non contrasterebbe neppure  con  il
canone  di  ragionevolezza:  le  indefettibili  esigenze  di  finanza
pubblica, la necessita'  di  preservare  la  tenuta  complessiva  del
sistema sarebbero preminenti rispetto all'interesse di una  categoria
di pensionati, cessati anticipatamente dal servizio. 
    La  difesa  dell'INPS  puntualizza,   inoltre,   che   le   norme
convenzionali, evocate  quale  parametro  interposto,  devono  essere
contemperate  con  altri  diritti   costituzionalmente   protetti   e
richiama, a  tale  riguardo,  le  enunciazioni  della  giurisprudenza
costituzionale (sentenza n. 264 del 2012). 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha  chiesto  di  dichiarare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale inammissibile o, comunque, infondata. 
    La difesa dello Stato osserva che e' solo apparente il  contrasto
tra l'art. 21, comma 9, della legge n. 730 del 1983, che  salvaguarda
la disciplina dell'art. 10, senza indicare analiticamente i disparati
ed eterogenei commi che lo compongono, ed il combinato  disposto  dei
commi 6 e 8 dell'art. 18,  che  specifica  come,  dalla  salvaguardia
della disciplina dell'art. 10, sia esclusa la previsione  del  quarto
comma. 
    Secondo questa prospettazione, la normativa sopravvenuta  darebbe
conto  di  un'abrogazione  implicita,  gia'  desumibile  per  effetto
dell'entrata in vigore della legge n. 730 del 1983. 
    Il giudice rimettente, dal canto  suo,  si  limiterebbe  a  porre
l'accento  sull'apparente  antitesi   tra   le   due   norme,   senza
approfondirne la reale portata precettiva. 
    La difesa  dello  Stato  nota  che  le  norme  della  CEDU,  come
interpretate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, devono essere
bilanciate  con  altre  norme  costituzionali,  che  a   loro   volta
garantiscono   diritti   fondamentali,   suscettibili    di    essere
pregiudicati dall'espansione di una singola tutela. 
    Per quel che riguarda l'asserita retroattivita' della  norma,  il
divieto  di  retroattivita'  non  avrebbe  rango   costituzionale   e
incontrerebbe l'unico limite  della  ragionevolezza  e  del  rispetto
degli altri valori ed interessi costituzionalmente  protetti,  limite
che, nella specie, non sarebbe in alcun modo travalicato. 
    Peraltro, la norma impugnata, lungi  dall'essere  innovativa,  si
collocherebbe  in  una  situazione   di   contrasto   ermeneutico   e
interverrebbe a chiarire in maniera plausibile il  significato  della
legge precedente. 
    Difatti, per una parte della giurisprudenza, la legge n. 730  del
1983 avrebbe reso inoperante il disposto dell'art. 10, comma  4,  del
d.l. n. 17 del 1983. 
    Secondo tale indirizzo, l'art. 21 della legge n.  730  del  1983,
riconoscendo la perequazione  dell'intero  trattamento  pensionistico
nelle due componenti di pensione e indennita'  integrativa  speciale,
risulterebbe   incompatibile   con   l'attribuzione   dell'indennita'
integrativa speciale, secondo gli incrementi  riconosciuti  dall'art.
10, comma 4, del d.l. n. 17 del 1983. 
    La norma interpretativa, sottoposta  al  vaglio  di  legittimita'
costituzionale, avrebbe l'unico intento di ribadire uno dei possibili
significati  della  norma  originaria,  senza  incorrere  in   alcuna
violazione dell'art. 6 della CEDU. 
    La difesa dello Stato, nel passare in rassegna la  giurisprudenza
della  Corte  europea   dei   diritti   dell'uomo   e   della   Corte
costituzionale, esclude che sussista,  nell'ordinamento,  un  divieto
assoluto di interventi legislativi retroattivi. 
    A questa  stregua,  sarebbero  legittime  le  norme  retroattive,
soprattutto quando sorrette, come avviene nella vicenda dibattuta, da
preminenti interessi generali e da ragioni imperative, che  investono
gli stessi equilibri della finanza pubblica. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la  Regione
siciliana, dubita della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18,
commi 6, 7 e 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98  (Disposizioni
urgenti  per  la  stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio  2011,  n.
111. Le disposizioni censurate incidono  sul  meccanismo  di  calcolo
delle variazioni dell'indennita' integrativa  speciale,  spettante  a
quanti abbiano fruito del  pensionamento  anticipato  e  stabiliscono
che, sin dall'entrata in vigore della legge 27 dicembre 1983, n.  730
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 1984),  tali  variazioni  si  debbano
calcolare sulla quota dell'indennita'  «effettivamente  spettante  in
proporzione all'anzianita' conseguita alla  data  di  cessazione  dal
servizio». 
    Il giudice  rimettente  assume  che  le  disposizioni  impugnate,
dietro  lo  schermo  della  dichiarata  natura   interpretativa,   si
atteggino come sostanzialmente  retroattive  e  distorcano  l'univoco
significato della legge n. 730 del 1983, che faceva  salve  tutte  le
previsioni dell'art. 10 del decreto-legge  29  gennaio  1983,  n.  17
(Misure per il contenimento del  costo  del  lavoro  e  per  favorire
l'occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge  25  marzo
1983, n. 79. 
    Ad avviso  della  Corte  rimettente,  il  legislatore  non  aveva
affatto inteso escludere - da una salvaguardia che si  caratterizzava
come generale - il quarto comma dell'art. 10 del d.l. n. 17 del 1983,
che disciplinava specificamente  l'attribuzione  per  l'intero  delle
variazioni dell'indennita' integrativa speciale. 
    Il  giudice  rimettente  lamenta   che   una   normativa,   cosi'
congegnata, contravvenga ai principi  di  certezza  del  diritto,  di
ragionevolezza, di affidamento, di parita' processuale  delle  parti,
in violazione degli artt. 2, 3, primo comma, 117, primo comma, Cost.,
in relazione alla norma  interposta  dell'art.  6  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    L'INPS e il Presidente del Consiglio dei ministri  sostengono  la
legittimita' della norma impugnata, che attribuisce al testo di legge
uno dei significati racchiusi nella sua formulazione, senza violare i
principi di ragionevolezza e di affidamento,  in  quanto  dettata  da
motivi imperativi d'interesse generale.  Tale  e'  da  intendersi  la
salvaguardia dell'equilibrio complessivo del sistema previdenziale. 
    2.- La questione non e' fondata. 
    I  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  si  appuntano   sulla
disciplina delle variazioni dell'indennita' integrativa speciale, che
adempiono ad una  funzione  di  rivalutazione  e  di  attualizzazione
dell'importo  dell'indennita'  integrativa  speciale,  a  sua   volta
finalizzata a salvaguardare  l'adeguamento  del  valore  reale  della
retribuzione  alla  variazione  del  valore  reale  della  moneta  e,
attraverso tale adeguamento,  il  rapporto  di  proporzionalita'  tra
retribuzione e quantita' e qualita' del lavoro prestato. 
    La ricognizione del  quadro  normativo  deve  prendere  le  mosse
dall'art. 10 del d.l. n. 17 del 1983. 
    Tale norma, al primo  comma,  primo  periodo,  per  l'ipotesi  di
pensionamento  anticipato,  determina   la   misura   dell'indennita'
integrativa speciale «in ragione di un quarantesimo per ogni anno  di
servizio, utile ai fini  del  trattamento  di  quiescenza»,  per  poi
precisare, al quarto comma, che le variazioni  «sono  attribuite  per
l'intero  importo  dalla  data  del   raggiungimento   dell'eta'   di
pensionamento da parte del titolare della pensione, ovvero dalla data
di  decorrenza  della  pensione  di  riversibilita'  a   favore   dei
superstiti». 
    Prima   del   raggiungimento   dell'eta'   necessaria   per    il
pensionamento di vecchiaia, l'indennita' integrativa speciale  doveva
essere  corrisposta  secondo   un   principio   di   proporzionalita'
attenuata,  commisurata  agli  anni  di  servizio  utili,  mentre  le
variazioni  dell'indennita'  integrativa  speciale  dovevano   essere
liquidate in misura intera. 
    In  questo  quadro,  sono  intervenute  le  profonde  innovazioni
apportate dalla legge n. 730 del 1983, che attengono al  concetto  di
pensione   complessiva,   comprensiva   del   trattamento   base    e
dell'indennita' integrativa speciale. I parametri di  quantificazione
degli aumenti periodici sono unificati e raccordati all'indice  ISTAT
del costo della vita, oltre  a  essere  differenziati  per  fasce  di
reddito. 
    Tale rinnovato contesto normativo  ha  indotto  l'amministrazione
previdenziale  e  una  parte   della   giurisprudenza   contabile   a
riconoscere  l'incompatibilita'  tra  la   disciplina   sopravvenuta,
ispirata  a  principi  regolatori  peculiari,  e  il  meccanismo  del
ripristino integrale  delle  variazioni  dell'indennita'  integrativa
speciale, in concomitanza con il raggiungimento dell'eta' massima. 
    In  particolare,  secondo  tale   interpretazione   del   dettato
normativo, la legge n. 730 del 1983 delinea una  nuova  modalita'  di
calcolo della perequazione automatica e passa dal criterio basato sul
valore unitario del  punto  di  contingenza,  misurato  autonomamente
sulla    pensione    e    sull'indennita'    integrativa    speciale,
all'applicazione di una percentuale  sull'ammontare  del  trattamento
complessivo,  comprensivo  di  pensione  e   indennita'   integrativa
speciale. 
    Tale meccanismo non si concilierebbe con il diritto  ad  ottenere
l'attribuzione  dell'indennita'  integrativa  speciale  secondo   gli
incrementi riconosciuti dall'art. 10 del d.l.  n.  17  del  1983,  in
quanto sarebbe venuto a cessare il parametro di riferimento,  su  cui
si calcolava in precedenza l'indennita' integrativa speciale. 
    Tali considerazioni non sono state condivise da una  parte  della
giurisprudenza contabile, che ha posto in risalto il  dato  letterale
dell'art. 21, comma 9, della legge n. 730 del 1983, argomentando  per
la salvezza dell'intero art. 10 del d.l. n. 17 del  1983,  anche  con
riferimento alle variazioni dell'indennita' integrativa speciale  (ex
plurimis, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la  Lombardia,
sentenze 2 luglio 2010, n. 344 e 29 giugno 2006, n.  393;  Corte  dei
conti, sezione giurisdizionale per il  Veneto,  sentenza  14  gennaio
2009,  n.  17;  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  il
Piemonte, sentenza 7 febbraio 2006, n. 27). 
    Secondo quest'indirizzo, il dato letterale  non  e'  smentito  da
rilievi di carattere sistematico. 
    Non vi sono antinomie di sorta - si afferma - tra un  meccanismo,
che, pur commisurando gli incrementi alle fasce di reddito,  continua
ad offrire una rappresentazione distinta delle voci  del  trattamento
(pensione   base   e   indennita'   integrativa   speciale)   e    la
quantificazione   delle   variazioni   dell'indennita'    integrativa
speciale, secondo i criteri tratteggiati dall'art. 10, quarto  comma,
del d.l. n. 17 del 1983. 
    Tale orientamento e' stato recepito - in sede di composizione del
contrasto - dalle sezioni riunite della Corte dei  conti,  che  hanno
compiuto un'approfondita  disamina  dell'evoluzione  dell'istituto  e
delle   diverse   norme   succedutesi   nel   tempo,    privilegiando
l'interpretazione   letterale,   rafforzata   dall'insussistenza   di
argomenti sistematici di segno contrario (Corte  dei  conti,  sezioni
riunite, sentenza 1° giugno 2011, n. 10). 
    Le  sezioni  riunite  della  Corte  dei  conti  pervengono   alla
conclusione che, per i lavoratori che siano stati collocati a  riposo
prima  del  raggiungimento   dell'eta'   pensionabile,   l'incremento
percentuale dell'indennita' integrativa speciale  debba  operare  non
gia' sull'indennita' integrativa  speciale  effettivamente  pagata  e
modulata in quarantesimi, secondo  il  dettato  dell'art.  10,  primo
comma, ma sull'importo che sarebbe spettato in caso di cessazione dal
servizio per il raggiungimento del massimo di anzianita'. 
    La norma censurata  si  prefigge  di  chiarire,  in  merito  alle
variazioni  dell'indennita'  integrativa  speciale,  i  rapporti  tra
l'art. 10 del d.l. n. 17 del 1983 e l'art. 21 della legge n. 730  del
1983. Essa si inscrive in un testo normativo composito, approvato  in
condizioni di emergenza economica e finanziaria. 
    Questo  dato  emerge  con  chiarezza  dalla  relazione   tecnica,
allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del  2011,
che  illustra  la  necessita'   di   evitare   una   maggiore   spesa
pensionistica. Tale maggiore spesa, suffragata dal  riferimento  alla
documentazione  amministrativa  fornita  dall'Istituto  nazionale  di
previdenza  e  assistenza  per  i   dipendenti   dell'amministrazione
pubblica (INPDAP), non sarebbe stata considerata «negli andamenti  di
finanza pubblica a normativa vigente». 
    3.- Il quadro giurisprudenziale  e',  pertanto,  piu'  articolato
rispetto a quel che traspare dall'ordinanza di rimessione. 
    Il giudice a quo non si attarda ad analizzare il dibattito  della
giurisprudenza contabile sui  problematici  rapporti  tra  l'art.  21
della legge  n.  730  del  1983  e  la  disciplina  delle  variazioni
dell'indennita' integrativa speciale, contenuta nell'art. 10,  quarto
comma, del d.l. n. 17 del 1983. 
    Alcune pronunce prefigurano, infatti, l'opzione ermeneutica,  che
il legislatore ha poi deciso di  far  propria  nel  2011  (Corte  dei
conti, sezione terza giurisdizionale centrale d'appello, sentenze  19
settembre 2006, n. 408 e 30 agosto 2006, n. 337). 
    Le pronunce citate dichiarano di conformarsi ad  un  orientamento
pregresso,  che  ha  gia'  trovato  eco  anche  nella  giurisprudenza
contabile di primo grado, e non individuano alcuna ragione che induca
a    rimeditarlo    e    a    rinnegare    l'argomento    sistematico
dell'inconciliabilita' del nuovo sistema, delineato  dalla  legge  n.
730  del  1983,  con  il  computo  delle  variazioni  dell'indennita'
integrativa speciale secondo i criteri sanciti dall'art.  10,  quarto
comma, del d.l. n. 17 del 1983. 
    La soluzione prescelta dal legislatore si allinea, dunque, ad una
giurisprudenza, che gia' la accreditava come praticabile, in base  al
raffronto tra il sistema delineato dal d.l. n. 17 del 1983  e  quello
risultante dalle modifiche recate dalla legge n. 730 del 1983. 
    Alla luce  di  questo  primo  rilievo,  le  censure  del  giudice
rimettente devono essere disattese, nei molteplici profili in cui  si
articolano. 
    4.-  Tali  censure  vertono  sulla  scelta  del  legislatore   di
attribuire alla norma un significato estraneo alle possibili varianti
di senso. 
    Quest'assunto non coglie nel segno, sol che si  consideri  quella
giurisprudenza contabile, che gia' si attestava  sull'interpretazione
successivamente avallata dal legislatore. 
    La legge, dunque, ha natura interpretativa, in quanto impone  una
scelta ermeneutica che rientra tra le possibili  varianti  di  senso,
compatibili  con  il  tenore  letterale  del  testo  interpretato,  e
interviene a comporre il conflitto  tra  le  diverse  interpretazioni
offerte dalla giurisprudenza contabile. 
    La formulazione letterale  della  norma  non  aveva  fugato  ogni
dubbio ermeneutico e non aveva mancato di dare adito a considerazioni
sistematiche  volte  a  circoscrivere  la  portata  precettiva  della
clausola di salvaguardia delle disposizioni dell'art. 10 del d.l.  n.
17 del 1983. Ne era scaturita una situazione di oggettiva incertezza,
che la norma si prefigge di eliminare. 
    La  finalita'   eminentemente   interpretativa   perseguita   dal
legislatore si giustifica per il rapido avvicendarsi, nell'arco dello
stesso anno, di interventi normativi non sempre armonici e coerenti. 
    Non rileva, in  senso  contrario,  che  la  norma  interpretativa
recepisca e convalidi un orientamento giurisprudenziale  minoritario.
E' sufficiente che la norma imponga una delle possibili  varianti  di
senso del  testo  originario,  vincolando  l'interprete  ad  uno  dei
significati ascrivibili alla norma anteriore  (sentenza  n.  227  del
2014). 
    A  questa  Corte,  infatti,  non  e'  demandato  un  giudizio  di
fondatezza  circa  le   divergenti   interpretazioni   emerse   prima
dell'intervento  legislativo  chiarificatore,  che  ad  una  di  esse
accorda la preferenza (sentenza n. 170 del 2008). 
    5.- Riconosciuta la sua natura interpretativa, la  disciplina  si
sottrae  alle  censure  prospettare  e   supera   il   controllo   di
ragionevolezza, sollecitato a questa Corte. 
    Il  principio  di  ragionevolezza,  nell'ottica  di  un  prudente
bilanciamento e di un'accorta integrazione delle tutele, richiede una
valutazione sistematica dei molteplici valori  coinvolti,  anche  con
riguardo ai valori che la CEDU concorre a presidiare. 
    In  un  precedente  riferito   ad   una   tematica   di   diritto
previdenziale - terreno elettivo di confronto con le affermazioni  di
principio della Corte di Strasburgo  sulle  norme  interpretative  e,
come tali, retroattive - questa Corte ha ribadito la legittimita'  di
una disciplina interpretativa e ha ricordato che «La norma CEDU,  nel
momento in cui va ad integrare il primo comma  dell'art.  117  Cost.,
come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento,  secondo  le
ordinarie operazioni cui questa Corte e' chiamata in tutti i  giudizi
di sua competenza (sentenza n. 317 del 2009).  Operazioni  volte  non
gia' all'affermazione della primazia dell'ordinamento  nazionale,  ma
alla integrazione delle tutele» (sentenza n. 264 del 2012, punto 4.2.
del Considerato in diritto). 
    6. - Quanto alla dedotta  lesione  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost., la Corte EDU ha affermato  che,  in  linea  di  principio,  al
legislatore non e' precluso  intervenire  nella  materia  civile  con
nuove disposizioni  retroattive,  che  dispieghino  gli  effetti  sui
diritti sorti in base alle leggi vigenti. 
    Tuttavia, i principi dello stato  di  diritto  e  la  nozione  di
processo equo, sancito dall'art. 6 della CEDU, vietano l'interferenza
del legislatore  nell'amministrazione  della  giustizia  destinata  a
influenzare l'esito  della  controversia,  fatta  eccezione  che  per
motivi imperativi di interesse generale  (ex  plurimis,  sentenze  11
dicembre 2012, De Rosa e altri contro Italia, 14 febbraio 2012, Arras
e altri contro Italia, 7 giugno 2011, Agrati e altri  contro  Italia,
21 giugno 2007, SCM  Scanner  de  L'Ouest  Lyonnais  e  altri  contro
Francia). 
    Dai  principi  della  CEDU,  nella  prospettiva  condivisa  dalla
giurisprudenza di questa Corte, non deriva alcun divieto assoluto  di
norme interpretative, suscettibili di ripercuotersi sui  processi  in
corso (sentenze n. 257 del 2011 e n. 311 del 2009). 
    E' la stessa giurisprudenza della Corte  di  Strasburgo,  con  il
riferimento ai motivi imperativi  d'interesse  generale,  ad  evocare
l'idea di un bilanciamento, che possa  giustificare,  in  un  disegno
coerente che  rafforzi  ed  armonizzi  le  tutele,  una  legislazione
interpretativa. 
    I principi di rango costituzionale e i principi  affermati  dalla
CEDU sono chiamati, pertanto, ad interagire in un sistema  di  tutele
che, attraverso la clausola riferita ai motivi imperativi d'interesse
generale, consenta  di  individuare  un  punto  di  equilibrio  nella
dialettica  tra  i  valori  in  gioco  e  di   emanciparli   da   una
considerazione atomistica ed irrelata. 
    Tale clausola concorre ad attuare  un  ragionevole  bilanciamento
tra i diritti dei singoli (diritto ad un processo  equo,  affidamento
nella stabilita' delle relazioni giuridiche), che rivestono anche una
rilevanza superindividuale, e l'ispirazione  solidaristica  immanente
alla Carta costituzionale, che individua le finalita'  perequative  e
di   riequilibrio   in   un   sistema   piu'   vasto   di   interessi
costituzionalmente protetti. 
    7.- Nel caso di specie, la norma censurata, nel  contemperare  la
tutela previdenziale con le  inderogabili  esigenze  di  contenimento
della spesa pubblica e di  salvaguardia  della  concreta  ed  attuale
disponibilita' delle risorse finanziarie (sentenze n. 361  del  1996,
n. 240 del 1994, n. 119 del 1991, che  valorizzano,  per  il  sistema
pensionistico, la necessita' di tale  bilanciamento),  non  determina
alcuna  compressione   sproporzionata   dei   diritti   dei   singoli
lavoratori, che hanno avuto accesso al pensionamento anticipato. 
    In un disegno che persegue finalita' perequative e di complessivo
riequilibrio delle risorse, idonee a giustificare anche modificazioni
sfavorevoli di trattamenti economici con esiti privilegiati (sentenza
n.  74  del  2008,  punto  4.5.  del  Considerato  in  diritto),   il
legislatore ha attuato un intervento di razionalizzazione della spesa
pensionistica,  che,   inserito   in   una   serie   di   misure   di
stabilizzazione  finanziaria,  non   pregiudica   l'adeguatezza   del
trattamento  previdenziale  per  quanti  abbiano  beneficiato  di  un
pensionamento anticipato. 
    Il  legislatore  intervenuto  nel  2011,  nel   disciplinare   le
variazioni dell'indennita' integrativa speciale in modo coerente  con
l'evoluzione  del  sistema  inteso  nel  suo  complesso,  annette  il
necessario  e  non  irragionevole  rilievo   alla   circostanza   del
pensionamento anticipato, e lo fa in maniera  speculare  a  quel  che
accade per l'indennita' integrativa speciale in senso stretto,  senza
creare alcuna arbitraria disparita' di trattamento. 
    Peraltro, la disciplina sospettata  d'illegittimita',  incentrata
su un aspetto  circoscritto  dell'istituto  regolato,  «ha  perso  di
attualita' per le  variazioni  aventi  decorrenza  successiva  al  1°
gennaio 1999, anche per i trattamenti in  corso»  (Corte  dei  conti,
sezioni riunite, sentenza 1° giugno 2011, n.  10).  L'art.  34  della
legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di  finanza  pubblica  per  la
stabilizzazione e lo  sviluppo)  ha  introdotto,  infatti,  un  nuovo
sistema di perequazione automatica delle pensioni. 
    Anche il carattere anacronistico di tale meccanismo, che  non  si
profila   come   una   componente    essenziale    e    indefettibile
nell'assicurare la dinamica perequativa delle pensioni, ora  regolata
secondo criteri direttivi sensibilmente diversi, vale a delimitare la
portata  precettiva  di  un  intervento  normativo  settoriale  e  ne
ridimensiona  quelle  conseguenze  pregiudizievoli   sull'adeguatezza
complessiva del  trattamento  previdenziale,  che  sono  un  elemento
imprescindibile  di  valutazione   nel   sindacato   di   complessiva
ragionevolezza della disciplina in esame. 
    8.- Dai principi di rango costituzionale, arricchiti ed integrati
dalla fonte convenzionale e ricondotti cosi' ad  una  prospettiva  di
piu' ampio respiro sistematico, tale  disciplina,  pertanto,  non  si
discosta. 
    8.1.-  Quanto  alla  paventata   lesione   dell'affidamento   dei
consociati e  della  certezza  dei  rapporti  giuridici,  che  e'  il
referente oggettivo di tale affidamento, non si puo' ritenere che  il
legislatore, nel caso di  specie,  abbia  vanificato  un  affidamento
consolidato e meritevole di tutela. 
    Anzitutto, in materia di rapporti  di  durata,  fra  i  quali  si
annovera il rapporto previdenziale, non  si  puo'  discorrere  di  un
affidamento legittimo nella loro immutabilita'  (sentenza  n.  1  del
2011),   ne'   di   un   affidamento   ragionevole,   a   fronte   di
un'interpretazione giurisprudenziale non del  tutto  convergente  con
quanto indicato dal giudice a quo, peraltro  silente  sui  precedenti
difformi  e  quasi  coevi  all'azione  giudiziaria   intrapresa   dal
ricorrente nel giudizio principale. 
    Questa Corte, infatti, esclude - con  affermazione  di  principio
costante - che un legittimo affidamento possa sorgere sulla  base  di
un'interpretazione contrastata ed incerta (sentenza n. 156 del 2014). 
    Alla luce del gia' ricordato contrasto  interpretativo,  acuitosi
in tempi piu' recenti, prossimi  all'intervento  del  legislatore,  e
perdurante  al  momento  dell'azione  promossa  dal  ricorrente   del
giudizio a quo, svanisce la  forza  suggestiva  dell'argomento  della
distanza temporale tra la norma  interpretata  ed  il  sopraggiungere
della legge interpretativa. 
    8.2.- Quanto all'ingerenza nella funzione giurisdizionale, non si
puo' dire che quest'ultima sia  violata  per  il  sol  fatto  che  il
legislatore intervenga con una disposizione destinata a muoversi  sul
piano generale ed astratto delle  fonti  e  a  costruire  il  modello
normativo, cui la decisione del giudice si deve attenere (sentenza n.
432 del 1997). 
    La  legge  interpretativa,  difatti,  nel  porre  una  disciplina
generale  ed  astratta,  opera  su  un  piano   diverso   da   quello
dell'applicazione  giudiziale  della  regola  di  diritto  a  singole
fattispecie (sentenza n. 15 del 2012). Nel caso di specie,  la  legge
vale a porre rimedio  ad  una  situazione  di  oggettiva  incertezza,
propiziata dal susseguirsi nello  stesso  anno  (1983)  di  modifiche
normative non sempre facili da coordinare e dimostrata dai  contrasti
giurisprudenziali, che sono emersi proprio a ridosso  dell'intervento
della legge interpretativa. 
    La norma, inoltre, per espressa disposizione dell'art. 18,  comma
9, del d.l. n. 98 del  2011,  non  sovverte  il  giudicato  che,  nei
singoli contenziosi, abbia gia' definito i rapporti tra le parti. 
    Tali  caratteristiche  consentono  di  escludere  un'interferenza
indebita sull'esercizio della funzione giudiziaria, idonea a  violare
il principio di parita' nello specifico processo e  a  scardinare  la
forza della cosa giudicata, limite  invalicabile  di  ogni  legge  di
interpretazione autentica e di ogni legge  retroattiva  (sentenza  n.
118 del 1957, che inaugura un orientamento costante). 
    9.- Pertanto, la norma impugnata,  inquadrata  alla  luce  di  un
assetto  giurisprudenziale,  solcato  da  incertezze  e  contrasti  e
ispirata  a  un  disegno  ragionevole,   diretto   a   garantire   la
sostenibilita'  del  sistema   previdenziale   nel   suo   complesso,
attraverso sacrifici proporzionati e legati alla peculiare situazione
del   pensionamento   anticipato,   non   e'   lesiva   delle   norme
costituzionali evocate (artt. 2, 3, primo comma, e 117, primo  comma,
Cost.), lette anche alla stregua dell'art. 6 della CEDU.