ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 99,  quinto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio
1975, n. 354, in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di
giudizio di comparazione delle circostanze di reato per  i  recidivi,
di usura e di prescrizione), promosso dalla Corte d'assise  d'appello
di Milano nel procedimento penale a carico di D.U.R.  ed  altri,  con
ordinanza del 28  luglio  2014,  iscritta  al  n.  211  del  registro
ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 29  aprile  2015  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che la Corte d'assise d'appello di Milano, con ordinanza
del 28  luglio  2014  (r.o.  n.  211  del  2014),  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della  Costituzione,  una
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto  comma,
del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre
2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n.
354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), «nella parte in cui prevede il divieto  di  prevalenza
della circostanza attenuante speciale di cui all'art. 630,  5°  comma
cod.  pen.  e  della  ulteriore  circostanza   attenuante   ordinaria
introdotta  nell'art.  630  cod.  pen.  dalla  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 68/2012»; 
    che, come riferisce il giudice rimettente, il  Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale ordinario  di  Milano  aveva  proposto
appello avverso la sentenza di condanna, emessa l'8 maggio  2013  dal
Giudice  dell'udienza  preliminare  del   medesimo   Tribunale,   nei
confronti di una pluralita' di persone  imputate  del  reato  di  cui
all'art. 630 cod. pen., per aver segregato una donna per  tre  giorni
al fine di estorcerle la promessa di non farsi piu' vedere o  sentire
da uno dei coimputati, dal quale aspettava un figlio; 
    che,  con  la  sentenza  impugnata,   il   Giudice   dell'udienza
preliminare aveva derubricato il reato contestato  agli  imputati  in
quello meno grave di cui all'art. 605 cod. pen. e determinato la pena
riconoscendo, sia la continuazione con altri reati contestati sia, in
taluni casi, le circostanze  attenuanti  generiche  prevalenti  sulla
contestata recidiva; 
    che, nel  suo  atto  di  appello,  il  pubblico  ministero  aveva
sostenuto l'erroneita' di tale  derubricazione  e  aveva  chiesto  la
condanna degli imputati per il  reato  previsto  dall'art.  630  cod.
pen.; 
    che,  ad  avviso  della  Corte  rimettente,  l'impugnazione   del
pubblico ministero le avrebbe imposto di pervenire a un «giudizio  di
mera equivalenza fra circostanze di opposto segno, qualora  la  Corte
[avesse ritenuto] sussistente il delitto di  cui  all'art.  630  cod.
pen. anche con le specifiche attenuanti che  alla  norma  competono»,
perche', rientrando tale reato tra  quelli  indicati  dall'art.  407,
comma 2, lettera a), del codice di procedura  penale,  sarebbe  stata
applicabile la recidiva prevista dall'art.  99,  quinto  comma,  cod.
pen.; 
    che la questione concernente  il  limite  posto  al  giudizio  di
comparazione tra le circostanze sarebbe rilevante, «non solo  per  la
richiesta del PG a proposito della specifica  circostanza  attenuante
per l'imputato G., ma anche per  la  astratta  possibilita'  che  [la
Corte d'assise d'appello], attese  le  modalita'  di  esecuzione,  la
durata   ed    altri    fattori    emergenti    nella    consumazione
dell'eventualmente ritenuto delitto di sequestro di persona  a  scopo
di estorsione, debba decidere di applicare la circostanza  attenuante
di  natura  oggettiva  discendente  dalla   pronuncia   della   Corte
costituzionale n. 68/2012»; 
    che tale  questione  sarebbe  non  manifestamente  infondata,  in
riferimento   ai   principi   di   uguaglianza,   ragionevolezza    e
proporzionalita', espressi dagli artt. 3 e 27,  terzo  comma,  Cost.,
per le ragioni indicate, sia nella citata pronuncia di  questa  Corte
n. 68 del 2012,  sia  «in  quella,  nella  quale  e'  stata  proposta
questione parzialmente sovrapponibile alla presente e  accolta  dalla
Corte costituzionale, con la recentissima sentenza n. 106/2014»; 
    che,  infatti,  il  divieto  di  prevalenza   delle   circostanze
attenuanti  relative  all'art.  630  cod.  pen.,  ponendo   l'accento
esclusivamente sulle condizioni del reo, comporterebbe che, anche  in
presenza   di   una   recidiva   aspecifica,   l'imputato    «sarebbe
irragionevolmente attinto dalla  stessa  gravissima  pena  in  editto
prevista [per] chi ha posto in essere un comportamento ben piu' grave
del suo, contrastando cio' anche con la finalita'  rieducativa  della
pena che implica un costante principio di proporzione tra qualita'  e
quantita' di sanzione e offesa»; 
    che e' intervenuto nel giudizio di  legittimita'  costituzionale,
con  memoria  depositata  il  9  dicembre  2014,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o, comunque, infondata; 
    che, ad avviso della difesa dello Stato,  la  maggiore  severita'
della  «disciplina  [...]  della  recidiva  reiterata  nel  caso   di
realizzazione di un delitto di cui  all'art.  407  c.p.p.,  comma  2,
lett. a, non  e'  irragionevole  in  quanto  limitata  a  fattispecie
specifiche,  caratterizzate   da   notevole   allarme   sociale,   [e
indicative] del perdurare della capacita' a delinquere  del  reo»,  e
dipende da una scelta legislativa non in  contrasto  con  i  principi
costituzionali, essendo finalizzata a  sanzionare  piu'  severamente,
sia pure comprimendo gli spazi di discrezionalita' del  giudice,  chi
abbia  continuato  a  commettere  reati  nonostante   le   precedenti
condanne; 
    che la questione, comunque,  sarebbe  inammissibile,  perche'  la
Corte rimettente non ha preliminarmente verificato la possibilita' di
una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi
di costituzionalita' prospettati; 
    che, infatti, il giudice a quo mostrerebbe di aderire all'opzione
ermeneutica  secondo  cui  anche  la  recidiva  obbligatoria  di  cui
all'art. 99, quinto comma,  cod.  pen.  rientrerebbe  nell'ambito  di
operativita' del divieto di cui all'art. 69, quarto comma, cod. pen.,
mentre  in  senso  contrario  deporrebbe,  ad  avviso  della   difesa
erariale, il tenore letterale dell'art. 69, quarto comma, cod.  pen.,
che fa riferimento al solo quarto comma dell'art. 99 cod. pen. 
    Considerato che la Corte d'assise d'appello di Milano dubita,  in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della
legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto  comma,  del  codice
penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354,  in
materia  di  attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), «nella parte in cui prevede il divieto  di  prevalenza
della circostanza attenuante speciale di cui all'art. 630,  5°  comma
cod.  pen.  e  della  ulteriore  circostanza   attenuante   ordinaria
introdotta  nell'art.  630  cod.  pen.  dalla  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 68/2012»; 
    che la questione e' manifestamente inammissibile per mancanza  di
motivazione sulla rilevanza; 
    che nel giudizio a quo gli imputati - a cui era stato  contestato
il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione -  sono  stati
condannati per un diverso titolo di reato (art. 605 cod. pen.); 
    che questa mutata qualificazione giuridica  e'  stata  contestata
dal pubblico ministero con l'atto di appello; 
    che la Corte rimettente ha ritenuto che l'eventuale condanna  per
il  delitto  di  cui  all'art.  630  cod.  pen.  avrebbe   comportato
l'applicazione della recidiva prevista dall'art.  99,  quinto  comma,
cod. pen. e il conseguente divieto di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti previste dallo stesso art. 630 cod. pen.; 
    che, quindi, ad avviso del giudice a quo, la «richiesta del  PG»,
da  un  lato,  e  l'«astratta  possibilita'»  di  dover  decidere  se
applicare l'art. 630 cod. pen. e le relative circostanze  attenuanti,
dall'altro,  renderebbero  rilevante  la  questione,   imponendo   un
«giudizio di mera equivalenza» fra tali circostanze e la recidiva; 
    che la Corte rimettente non spiega  perche'  la  norma  censurata
dovrebbe trovare applicazione  nel  caso  sottoposto  al  suo  esame,
considerato che la sentenza impugnata ha condannato gli imputati  per
sequestro di  persona  (art.  605  cod.  pen.)  e,  che,  quindi,  la
configurabilita' della diversa  e  piu'  grave  fattispecie  prevista
dall'art. 630 cod. pen. (sequestro di persona a scopo di  estorsione)
e' meramente ipotetica, cosi' come ipotetica e' l'applicazione  delle
circostanze attenuanti speciali previste dall'art. 630 cod. pen.; 
    che  la  formulazione  della  questione  in   termini   meramente
ipotetici si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza; 
    che, inoltre, la questione e' manifestamente inammissibile  anche
perche', nel formulare il quesito di costituzionalita', il giudice  a
quo ha erroneamente individuato la disposizione da censurare; 
    che la Corte rimettente, infatti, ha sottoposto  a  scrutinio  di
costituzionalita' una norma inconferente rispetto  all'oggetto  delle
proprie  censure,  avendo  denunciato  come  contrario  ai  parametri
costituzionali evocati l'art.  99,  quinto  comma,  cod.  pen.,  come
modificato dall'art. 4 della legge n. 251 del 2005, che si  limita  a
introdurre un'ipotesi di recidiva obbligatoria,  quando,  invece,  il
rilevato vulnus costituzionale sarebbe scaturito,  semmai,  dall'art.
69, quarto comma, cod. pen., come modificato dall'art. 3 della  legge
n. 251 del 2005, che pone il divieto di prevalenza delle  circostanze
attenuanti  sulla  recidiva  reiterata  prevista  dal  quarto   comma
dell'art. 99 cod. pen.; 
    che,  peraltro,  appare  dubbia  l'applicabilita'  del  censurato
limite al giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto,
quando non ricorra la recidiva del quarto  comma  dell'art.  99  cod.
pen., ma esclusivamente quella del successivo quinto  comma,  oggetto
della questione in esame; 
    che l'inesatta identificazione  della  norma  da  censurare,  per
costante  giurisprudenza  costituzionale,   comporta   la   manifesta
inammissibilita' della questione (ex plurimis, ordinanze n.  358  del
2010, n. 198 e n. 42 del 2007); 
    che  la  questione  va   dichiarata,   pertanto,   manifestamente
inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.