ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  37-bis,
comma 4, del decreto del Presidente  della  Repubblica  29  settembre
1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia  di  accertamento  delle
imposte  sui  redditi),  promosso  dalla  Corte  di  cassazione,  nel
procedimento vertente tra l'Agenzia  delle  entrate  e  la  Cassa  di
Risparmio di Rieti spa, con ordinanza del 5 novembre  2013,  iscritta
al n. 278 del registro ordinanze 2013  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  1,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2014. 
    Visti l'atto di costituzione della Cassa di  Risparmio  di  Rieti
spa, nonche' l'atto di intervento del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  26  maggio  2015  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato Augusto Fantozzi per la Cassa  di  Risparmio  di
Rieti spa e l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 novembre 2013, la Corte di cassazione  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art.  37-bis,
comma 4, del decreto del Presidente  della  Repubblica  29  settembre
1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia  di  accertamento  delle
imposte sui  redditi),  in  riferimento  agli  artt.  3  e  53  della
Costituzione. 
    La questione e' sorta nel corso di  un  giudizio  promosso  dalla
Cassa di Risparmio di  Rieti  spa,  che  ha  impugnato  davanti  alla
Commissione tributaria provinciale di Rieti un avviso di accertamento
- e la derivata cartella esattoriale - in materia di IRPEF e di  ILOR
per l'anno 1997. 
    Con l'avviso di accertamento, che trae  origine  da  un  processo
verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza,  l'Agenzia
delle entrate ha sottoposto a tassazione, tra il resto, la  somma  di
760.558,00 euro, dedotta quale perdita  generata  dalla  cessione  di
crediti, in quanto operazione elusiva, ai sensi dell'art. 37-bis  del
d.P.R. n. 600 del 1973. 
    Con  sentenza  depositata  il  12  luglio  2007,  la  Commissione
tributaria regionale del Lazio, in totale riforma della  sentenza  di
primo grado, ha annullato l'avviso di accertamento, giacche'  la  sua
notifica e' avvenuta prima del decorso del termine di sessanta giorni
dal  ricevimento  della   lettera   di   chiarimenti   richiesti   al
contribuente, in violazione dell'art. 37-bis, comma 4, del d.P.R.  n.
600 del 1973. 
    La sentenza di appello  e'  stata  impugnata  dall'Agenzia  delle
entrate, sulla base di quattro motivi. 
    La Corte di cassazione precisa di  dovere  esaminare  per  primo,
atteso il suo carattere preliminare, il secondo motivo  del  ricorso,
con il quale l'Agenzia delle entrate deduce  che  il  rispetto  delle
regole sul contraddittorio preventivo con il contribuente,  ai  sensi
del comma  4  dell'art.  37-bis,  e'  divenuto  irrilevante,  dovendo
prevalere  la  necessita'  di   reprimere   l'elusione,   a   seguito
dell'introduzione nell'ordinamento nazionale del generale divieto  di
abuso  del  diritto,  in  forza  del  quale  l'amministrazione   puo'
disattendere gli effetti di operazioni compiute essenzialmente per il
conseguimento di un vantaggio fiscale. 
    2.- Ad avviso della rimettente, la questione  sarebbe  rilevante,
in quanto l'avviso di accertamento impugnato nel giudizio  principale
e' stato notificato cinquantaquattro giorni dopo il ricevimento della
richiesta  di  chiarimenti,  sicche'  dall'applicazione  della  norma
censurata conseguirebbe la nullita' dell'atto. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, la  norma  contrasterebbe
in primo luogo con l'art. 3 Cost.,  per  disparita'  di  trattamento,
perche' e' "distonica" rispetto al diritto vivente, costituito  dalla
costante  giurisprudenza  di  legittimita'  secondo  cui  nel  nostro
ordinamento esiste un principio  generale,  ricavabile  dall'art.  53
Cost., che vieta di conseguire indebiti vantaggi fiscali abusando del
diritto. 
    Secondo la rimettente, solo l'art. 37-bis del d.P.R. n.  600  del
1973, che ha natura speciale rispetto al generale divieto  dell'abuso
del diritto, prevede  forme  di  contraddittorio  preventivo  con  il
contribuente da osservare a pena di nullita', sicche' ne  deriva  una
irragionevole  disparita'   di   trattamento   con   le   fattispecie
antielusive che non sono riconducibili alla norma denunciata, nonche'
con   altre    disposizioni    che    consentono    l'inopponibilita'
all'amministrazione finanziaria di negozi elusivi, come l'art. 20 del
decreto del Presidente  della  Repubblica  26  aprile  1986,  n.  131
(Approvazione  del  Testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
l'imposta di registro), in relazione alle quali la legge non  prevede
analoga sanzione. 
    L'irragionevolezza  della  sanzione  di  nullita'  sarebbe   resa
evidente  anche  dal  confronto  con  la   natura   officiosa   della
rilevabilita' delle fattispecie elusive ad  opera  del  giudice,  che
implica l'impossibilita' di instaurare un contraddittorio  preventivo
tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente. 
    La norma violerebbe, in secondo luogo, il principio che impone  a
tutti l'adempimento delle obbligazioni tributarie, ai sensi dell'art.
53  Cost.,  giacche'  fa  dipendere  la   nullita'   dell'avviso   di
accertamento da un mero vizio di forma del contraddittorio, il  quale
deve  avere  invece  carattere  di  effettivita'  sostanziale  e  non
formalistico, come si desume dall'applicazione, nel ben piu' delicato
campo processuale, della regola, riconosciuta  dalla  giurisprudenza,
in base alla quale la nullita' delle notificazioni degli atti fiscali
e' sanata per raggiungimento dello scopo, se il contribuente  impugna
correttamente l'atto, ai sensi degli  artt.  156,  terzo  comma,  del
codice di procedura civile, e 60 del d.P.R. n. 600 del 1973. 
    La  rimettente  conclude  rilevando  che  la  norma  non   sembra
suscettibile di interpretazioni  adeguatrici,  attesa  la  perentoria
formulazione della  comminatoria  di  nullita',  «diretta  proprio  a
protezione delle forme del preventivo contraddittorio». 
    3.- La Cassa di Risparmio di Rieti spa, costituitasi in giudizio,
ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente  infondata,
sottolineando la legittimita' e la ragionevolezza della procedura  di
contraddittorio preventivo delineata nel comma  4  dell'art.  37-bis,
che costituisce  il  contraltare,  a  tutela  del  contribuente,  del
penetrante e  invasivo  potere  dell'amministrazione  finanziaria  di
accertare  fattispecie  elusive,  permeato   da   ampie   valutazioni
discrezionali. 
    A tale proposito, richiama  il  principio  generale  del  "giusto
procedimento   amministrativo",    che    prevede    l'obbligo    del
contraddittorio con  l'interessato  prima  dell'emanazione  dell'atto
amministrativo, e ricorda che il legislatore ha piu' volte  previsto,
a pena di nullita' dell'accertamento, l'obbligo  del  contraddittorio
preventivo tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente, tutte
le volte che ha ritenuto di rilevante interesse la partecipazione del
privato  in  chiave  difensiva,  e  che  la  giurisprudenza,  in  via
interpretativa, ha ravvisato la nullita' dell'atto impositivo in casi
nei   quali   il   legislatore,   pur   prevedendo   l'obbligo    del
contraddittorio preventivo, non ha tuttavia specificato  la  sanzione
per la sua violazione. 
    Ne conseguirebbe che la norma  censurata,  la'  dove  prevede  la
nullita' dell'avviso di accertamento per violazione delle regole  sul
contraddittorio  preventivo,  non  e'  "distonica"  nemmeno  in   una
prospettiva sistematica, al contrario di quanto ritiene il giudice  a
quo. 
    La Cassa di Risparmio di Rieti spa nega, altresi', che il divieto
di abuso del diritto in materia tributaria costituisca idoneo tertium
comparationis, e contesta la legittimita' della creazione  stessa  di
un simile divieto per via giurisprudenziale, con particolare riguardo
ai tributi non armonizzati,  creazione  che  si  risolverebbe  in  un
eccesso di potere giurisdizionale, in quanto l'art. 53 Cost. -  norma
dalla quale, malgrado  la  sua  natura  programmatica,  la  Corte  di
cassazione  fa  discendere  l'indicato  divieto  -  non  esprime   un
principio generale antielusivo direttamente applicabile alle  singole
fattispecie, risultando cio' incompatibile con l'art. 23  Cost.,  che
prevede una riserva di legge in materia. 
    Osserva poi che e' arbitrario il confronto di una norma di  legge
con un orientamento giurisprudenziale  e  che  si  dovrebbero  semmai
estendere anche alle altre fattispecie antielusive, individuate sulla
base del generale divieto di abuso del diritto,  le  stesse  garanzie
difensive previste a tutela del contribuente dalla norma  denunciata,
in  ossequio  al  richiamato  principio   del   giusto   procedimento
amministrativo, che e' riconosciuto anche dall'art.  41  della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000, e che la Corte di  giustizia  dell'Unione  europea  ha
piu' volte applicato in tema di accertamento dei tributi armonizzati,
facendo  cosi'  sorgere  una  esigenza  di   pari   trattamento   dei
comportamenti abusivi  riguardanti  i  tributi  non  armonizzati,  in
particolare le imposte dirette. 
    Nega,  quindi,  che  l'art.  20  del  d.P.R.  n.  131  del  1986,
individuato dalla rimettente quale ulteriore  tertium  comparationis,
costituisca in realta' una norma antielusiva e che il  richiamo  alla
rilevabilita'  d'ufficio  dell'abuso   del   diritto   nel   processo
tributario sia conferente, poiche' si tratta di un istituto  estraneo
alla fase  dell'accertamento  tributario,  alla  quale  si  riferisce
invece la norma denunciata, e poiche' comunque il  rilievo  officioso
non esonera il giudice dal dovere di instaurare  sulla  questione  il
contraddittorio tra le parti. 
    Infine, osserva che  nel  caso  concreto  e'  stata  radicalmente
omessa la richiesta di chiarimenti al contribuente, con  macroscopica
violazione della norma, e che la Corte  di  cassazione  sembra  avere
confuso la disciplina speciale di cui all'art. 37-bis, comma  4,  del
d.P.R. n. 600 del 1973 con quella  generale  prevista  dall'art.  12,
comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in  materia
di statuto dei diritti del  contribuente),  che  contempla  una  mera
facolta'  del   contribuente   di   instaurare   il   contraddittorio
preventivo,  imponendo  all'amministrazione  solo  di  rispettare  il
termine dilatorio  di  sessanta  giorni  dal  rilascio  del  processo
verbale di constatazione, prima di notificare l'atto impositivo. 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile. 
    A suo avviso, il giudice a  quo  ha  in  primo  luogo  omesso  di
esperire il doveroso tentativo di interpretare la norma denunciata in
senso  costituzionalmente  orientato,  alla  luce  della  sua  stessa
giurisprudenza, che ha piu' volte escluso, in materia processuale, la
legittimita' di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo  a
formalismi non giustificati da effettive garanzie difensive, mediante
il richiamo al principio del «giusto processo», come  introdotto  dal
novellato art. 111 Cost., e ha altresi' escluso la nullita'  prevista
dall'art. 42, secondo e terzo comma, del d.P.R. n. 600  del  1973  in
materia di motivazione degli avvisi di accertamento, se e' rispettato
il diritto di difesa. 
    Si dovrebbe inoltre considerare  che  l'origine  comunitaria  del
divieto dell'abuso del diritto impone di  disapplicare  le  eventuali
regole processuali di diritto interno che impediscono  la  sua  piena
attuazione. 
    In secondo luogo, il giudice a quo non  avrebbe  sufficientemente
motivato sulla rilevanza della questione, omettendo  di  valutare  la
infondatezza del terzo e del  quarto  motivo  di  impugnazione  della
sentenza di appello - entrambi idonei ad assorbire il secondo motivo,
erroneamente qualificato come preliminare -, con  i  quali  l'Agenzia
delle entrate ha dedotto, rispettivamente, che il  termine  dilatorio
di sessanta giorni venne osservato, decorrendo esso dal giorno in cui
il processo verbale di constatazione era entrato nel  possesso  della
contribuente, e che non ci fu alcuna violazione del  contraddittorio,
sia perche' durante la verifica fiscale vi era stato uno  scambio  di
informazioni e di chiarimenti con i  responsabili  della  banca,  sia
perche' il ritardo di soli sei giorni rispetto alla scadenza era,  da
un lato, giustificato dalla necessita' di impedire la decadenza della
pretesa  impositiva  e,  d'altro  lato,  non  aveva   impedito   alla
contribuente di esercitare il diritto di difesa. 
    5.- La Cassa di Risparmio di Rieti spa ha depositato una  memoria
illustrativa, nella quale contesta le ragioni dedotte dal  Presidente
del Consiglio dei ministri, ribadendo che la sanzione  in  esame  non
attribuisce  rilievo  a  formalismi  non  giustificati  da   concrete
esigenze difensive del contribuente e risponde anche alla «necessita'
di evitare una inaccettabile "discriminazione a  rovescio"»,  che  si
verificherebbe a danno dei rapporti  disciplinati  dal  solo  diritto
interno rispetto a quelli soggetti anche al diritto  comunitario,  in
relazione  ai  quali,  con   particolare   riferimento   ai   tributi
armonizzati,  si   applica   il   principio   del   giusto   processo
amministrativo. 
    Osserva poi che, dopo la pronuncia dell'ordinanza di  rimessione,
la Corte di cassazione medesima ha  dapprima  recepito  il  principio
fondamentale      dell'obbligatorieta'      del       contraddittorio
endoprocedimentale  in  materia  tributaria,  a  pena   di   nullita'
dell'atto, ogni volta  che  deve  essere  adottato  un  provvedimento
lesivo   dei   diritti   e   degli   interessi   del    contribuente,
indipendentemente dal fatto che cio' sia  previsto  espressamente  da
una  norma  positiva,  e  con  successive  pronunce  ha  superato  il
presupposto  stesso  da  cui   muove   l'ordinanza,   statuendo   che
l'amministrazione finanziaria, nel caso  in  cui  intenda  contestare
fattispecie elusive, indipendentemente dalla loro riconducibilita'  o
meno alle ipotesi contemplate dall'art. 37-bis, comma 3,  del  d.P.R.
n. 600 del 1973, e' tenuta a richiedere i preventivi  chiarimenti  al
contribuente e ad osservare il termine dilatorio di  sessanta  giorni
prima di emettere l'atto, che e' altrimenti viziato da nullita'. 
    L'evoluzione della giurisprudenza, che esclude  anche  la  natura
elusiva della fattispecie disciplinata dall'art. 20 del d.P.R. n. 131
del 1986, dimostrerebbe  pertanto  la  manifesta  infondatezza  della
questione. 
    Infine, la Cassa di Risparmio di Rieti  contesta  l'eccezione  di
irrilevanza  della  questione,  osservando  sia  che  la   Corte   di
cassazione ha  sufficientemente  motivato  sul  punto,  la'  dove  ha
sottolineato  che  dall'applicazione  della  norma  conseguirebbe  la
nullita' dell'avviso,  sia  che  il  terzo  e  il  quarto  motivo  di
impugnazione, al contrario di cio' che sostiene  l'intervenuto,  sono
in concreto infondati. 
    5.1.- Con una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha illustrato ulteriormente  le
ragioni  a  sostegno  delle  eccezioni  di   inammissibilita'   della
questione, ribadendo che l'esame preliminare del terzo e  del  quarto
motivo di ricorso per cassazione avrebbe consentito  alla  rimettente
di  pronunciare  l'annullamento  della  sentenza   impugnata,   senza
necessita' di sollevare la questione di legittimita'  costituzionale,
e che il tentativo di interpretazione adeguatrice avrebbe condotto il
giudice a quo alla stessa conclusione, alla luce della giurisprudenza
relativa all'analoga fattispecie di cui all'art. 12, comma  7,  della
legge n. 212 del 2000, che nega la  nullita'  dell'atto  emesso  ante
tempus,  qualora  il  contraddittorio   sia   stato   sostanzialmente
rispettato. 
    L'intervenuto contesta poi la tesi secondo la quale il  principio
generale dell'abuso del diritto in  materia  tributaria  non  sarebbe
ammissibile, in mancanza di una norma  positiva  che  lo  prevede,  e
richiama un recente contrario orientamento espresso  dalla  Corte  di
giustizia dell'Unione europea in materia di IVA. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La   Corte   di   cassazione   dubita   della   legittimita'
costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 53 della  Costituzione
- dell'art.  37-bis,  comma  4,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in  materia
di accertamento delle  imposte  sui  redditi),  nella  parte  in  cui
sanziona con la nullita'  l'avviso  di  accertamento  che  sia  stato
emesso prima della  scadenza  del  termine  di  sessanta  giorni  dal
ricevimento da parte del contribuente della richiesta di chiarimenti. 
    La questione e' sorta nel corso di  un  giudizio  promosso  dalla
Cassa di Risparmio di Rieti spa per l'annullamento di  un  avviso  di
accertamento in materia di IRPEF e di ILOR per l'anno  1997,  con  il
quale l'Agenzia delle entrate ha  sottoposto  a  tassazione,  tra  il
resto, la somma di 760.558,00 euro, dedotta  quale  perdita  generata
dalla cessione di crediti, in  quanto  operazione  elusiva  ai  sensi
dell'art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973. 
    La Commissione tributaria regionale del Lazio, in  riforma  della
sentenza di primo grado, aveva annullato l'avviso di accertamento, in
quanto notificato prima  della  scadenza  del  termine  dilatorio  di
sessanta  giorni  previsto  dalla  norma  censurata.  La   Corte   di
cassazione, investita dell'impugnazione della  sentenza  di  appello,
ritiene la questione rilevante, perche' all'applicazione della  norma
stessa consegue la nullita' dell'atto, come statuito  dalla  sentenza
impugnata. La ritiene inoltre non manifestamente  infondata,  perche'
la norma contrasterebbe in  primo  luogo  con  l'art.  3  Cost.,  per
disparita' di trattamento, essendo "distonica"  rispetto  al  diritto
vivente, secondo cui  esiste  nel  nostro  ordinamento  un  principio
generale, ricavabile dall'art. 53 Cost., che  vieta  di  abusare  del
diritto per conseguire indebiti vantaggi fiscali. 
    Ad avviso della rimettente, solo l'art. 37-bis del d.P.R. n.  600
del 1973, che ha natura speciale rispetto  alla  disciplina  generale
del divieto dell'abuso del diritto, prevede forme di  contraddittorio
preventivo con il contribuente da osservare a pena di nullita'.  Alla
fattispecie in esso prevista sarebbe quindi riservato un  trattamento
irragionevolmente diverso rispetto a quello generale stabilito per le
fattispecie antielusive  non  riconducibili  alla  norma  denunciata,
nonche' a quello previsto da altre disposizioni che, come  l'art.  20
del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile  1986,  n.  131
(Approvazione  del  Testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
l'imposta    di     registro),     stabiliscono     l'inopponibilita'
all'amministrazione finanziaria di negozi  elusivi,  senza  prevedere
una analoga sanzione. 
    In secondo luogo, facendo dipendere la  nullita'  dell'avviso  di
accertamento da un mero vizio di forma del contraddittorio, la  norma
violerebbe l'art. 53 Cost., che impone a  tutti  l'adempimento  delle
obbligazioni tributarie. La garanzia del contraddittorio  deve  avere
invece carattere di effettivita' sostanziale,  come  si  desume,  nel
campo processuale, dagli  artt.  156,  terzo  comma,  del  codice  di
procedura  civile,  e  60  del  d.P.R.  n.  600  del  1973,  che   la
giurisprudenza  interpreta  nel   senso   che   la   nullita'   della
notificazione dell'atto fiscale e' sanata  per  raggiungimento  dello
scopo, se il contribuente impugna correttamente l'atto. 
    Secondo la rimettente, infine, la norma non sarebbe  suscettibile
di   interpretazioni   adeguatrici,   considerata    la    perentoria
formulazione della  comminatoria  di  nullita',  «diretta  proprio  a
protezione delle forme del preventivo contraddittorio». 
    2.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  nel
giudizio, ha eccepito  l'inammissibilita'  della  questione  per  non
essere stato esperito il tentativo di interpretare la norma in  senso
costituzionalmente  orientato  e   per   omessa   motivazione   sulla
rilevanza. 
    Per priorita' logica si inizia  con  l'esame  di  questo  secondo
profilo. 
    Ad avviso dell'intervenuto, la rimettente  avrebbe  dovuto  prima
respingere gli altri motivi di ricorso proposti dalla  Agenzia  delle
entrate, al cui accoglimento dovrebbe  seguire  la  cassazione  della
sentenza impugnata, indipendentemente dalla soluzione della questione
di costituzionalita'. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Secondo il costante orientamento di questa Corte, nel giudizio di
costituzionalita' non e' sindacabile l'ordine logico secondo il quale
il rimettente reputa, in modo  non  implausibile,  di  affrontare  le
varie questioni o i motivi  di  ricorso  portati  al  suo  esame  (ex
plurimis, sentenze n. 272 del 2007, n. 409 e n. 226 del 1998, n.  213
del 1994). Il giudice a quo ha precisato che il  secondo  motivo  del
ricorso ha carattere preliminare, perche' con  esso  l'Agenzia  delle
entrate deduce che il rispetto del procedimento previsto dal comma  4
dell'art.  37-bis  e'  ormai  irrilevante,   dovendo   prevalere   la
necessita'  di  reprimere  l'elusione,  a  seguito  dell'introduzione
nell'ordinamento nazionale del generale divieto di abuso del diritto,
in forza del quale l'amministrazione puo' disattendere gli effetti di
operazioni  compiute  essenzialmente  per  conseguire  un   vantaggio
fiscale. 
    La rimettente ha cosi' fornito una motivazione  non  implausibile
della rilevanza della questione con riferimento alla  necessita',  ai
fini  della  soluzione  della  controversia,  di  stabilire   se   la
notificazione dell'avviso  di  accertamento  prima  del  decorso  del
termine dilatorio stabilito dalla norma censurata determini o meno la
nullita' dell'atto. 
    Nemmeno l'altra eccezione di inammissibilita' e' fondata. 
    Secondo l'intervenuto, la rimettente avrebbe potuto  interpretare
la norma nel senso, da ritenere costituzionalmente conforme,  che  la
previsione di nullita' in essa contenuta non e'  vincolante.  A  tale
fine viene menzionata la giurisprudenza di legittimita' che  ha  piu'
volte escluso, in materia processuale, la legittimita'  di  soluzioni
interpretative  dirette  a  conferire  rilievo   a   formalismi   non
giustificati da effettive garanzie difensive, mediante il richiamo al
principio del «giusto processo», come introdotto dal  novellato  art.
111 Cost., e ha altresi' escluso che si possa dichiarare la  nullita'
dell'avviso di accertamento per  difetto  di  motivazione,  ai  sensi
dell'art. 42, secondo e terzo comma, del  d.P.R.  n.  600  del  1973,
qualora sia rispettato il diritto di difesa. 
    Il richiamo all'art. 111 Cost., tuttavia, non e'  conferente.  La
questione sottoposta all'esame di questa Corte non  riguarda  infatti
la nullita'  di  un  atto  processuale,  bensi'  quella  di  un  atto
impositivo. Si consideri inoltre che l'orientamento giurisprudenziale
invocato applica il principio del «giusto processo»  per  limitare  i
casi di inesistenza delle notificazioni degli atti  processuali  ogni
qual volta vi sia un astratto collegamento tra il luogo di esecuzione
della notifica e il suo destinatario, confermando che in tali casi si
tratta pur sempre di nullita' della notifica, suscettibile, in quanto
tale, di essere sanata dall'intervenuto raggiungimento dello scopo ai
sensi dell'art. 156 cod. proc. civ. 
    Neppure    e'    conferente    il    richiamo    all'orientamento
giurisprudenziale in tema di motivazione dell'avviso di accertamento,
richiesta a pena di nullita' dall'art. 42, secondo e terzo comma, del
d.P.R. n. 600 del 1973. Secondo il menzionato orientamento, l'obbligo
di motivazione e'  soddisfatto  ogni  qual  volta  sia  enunciato  il
petitum dell'ufficio impositore  e  risultino  indicate  le  relative
ragioni in termini sufficienti a definire la materia del  contendere.
La norma denunciata, tuttavia, non fa dipendere la nullita' dell'atto
impositivo dal suo contenuto, ma da un vizio del procedimento diretto
a instaurare  il  contraddittorio  anticipato  con  il  contribuente.
L'interpretazione della norma stessa, pertanto, non  puo'  essere  in
alcun modo orientata dall'individuazione dei requisiti  minimi  della
motivazione dell'avviso di accertamento. 
    A  sostegno  dell'eccezione  in  esame,   l'intervenuto   invoca,
altresi', il potere-dovere del  giudice  di  conformarsi  al  diritto
comunitario nella decisione  della  controversia  e  quindi,  secondo
l'orientamento  della  stessa  Corte  di  cassazione,  l'obbligo   di
disapplicare le regole processuali di diritto  interno  (come  quelle
che precludono, in sede di legittimita',  l'esame  di  questioni  non
specificamente dedotte  dal  ricorrente  e  l'introduzione  di  nuove
questioni di fatto) che impediscono la piena applicazione delle norme
dell'Unione europea. Nemmeno questo argomento e' idoneo  a  orientare
l'interprete nel senso  indicato  dall'intervenuto,  sia  perche'  la
norma denunciata non costituisce una regola processuale, sia  perche'
dall'origine comunitaria del principio generale del divieto di  abuso
del  diritto  in  materia  tributaria  non  deriva,   di   per   se',
l'incompatibilita' con lo stesso diritto dell'Unione europea  di  una
norma nazionale che prevede misure  a  garanzia  del  contraddittorio
preventivo con il contribuente. Al contrario, il rispetto dei diritti
di difesa costituisce un principio generale del diritto  comunitario,
che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di
adottare nei confronti di un soggetto un atto per esso lesivo, con la
conseguenza che i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente
sui loro interessi devono essere messi in condizione  di  manifestare
utilmente il loro punto di vista in merito agli  elementi  sui  quali
l'amministrazione intende fondare la propria decisione (ex  plurimis,
Corte di giustizia delle  Comunita'  europee,  sentenza  18  dicembre
2008, in causa C-349/07). 
    3.- La questione sollevata  in  relazione  all'art.  3  Cost.  e'
infondata. 
    Nel porre  la  questione,  la  rimettente  individua  il  tertium
comparationis della lamentata violazione dell'art. 3 Cost., in  primo
luogo, nel principio generale antielusivo in materia tributaria,  che
non sanzionerebbe con la nullita' gli avvisi di accertamento  affetti
da vizi formali del contraddittorio preventivo con  il  contribuente.
Un ulteriore tertium comparationis e' individuato poi dal  giudice  a
quo nell'art. 20 del d.P.R. n. 131  del  1986,  che  dovrebbe  essere
considerato come una speciale norma antielusiva in materia di imposta
di registro. 
    3.1.- Secondo la  costante  giurisprudenza  di  legittimita'  (ex
plurimis, Corte di cassazione,  sezioni  unite  civili,  sentenze  23
dicembre 2008, n. 30055 e  n.  30057;  Corte  di  cassazione,  quinta
sezione civile, sentenza 7 novembre  2012,  n.  19234),  il  generale
divieto di abuso del diritto si traduce, in materia tributaria, in un
principio generale antielusivo,  che  trae  fondamento  dai  principi
costituzionali  di  capacita'  contributiva   e   di   progressivita'
dell'imposizione.  Tale  principio  preclude   al   contribuente   di
conseguire vantaggi fiscali mediante l'uso  distorto,  anche  se  non
contrastante  con  alcuna  specifica   disposizione,   di   strumenti
giuridici  idonei  ad  ottenere  un'agevolazione   o   un   risparmio
d'imposta, in difetto  di  ragioni  economicamente  apprezzabili  che
giustifichino l'operazione, diverse dalla mera  aspettativa  di  quei
benefici.  Esso  comporta  che  il   negozio   non   sia   opponibile
all'amministrazione  finanziaria  per  ogni   profilo   di   indebito
vantaggio tributario che il contribuente pretenda di  far  discendere
dall'operazione elusiva. 
    Il ricordato orientamento implica, come suo naturale  corollario,
che il divieto di  abuso  del  diritto  in  materia  tributaria  deve
considerarsi  operante  nel   nostro   ordinamento   fin   da   prima
dell'entrata in vigore dell'art. 37-bis del d.P.R. n. 600  del  1973,
con  la  conseguenza  che   quest'ultima   disposizione,   introdotta
dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 8 ottobre 1997, n.  358
(Riordino delle imposte sui redditi applicabili  alle  operazioni  di
cessione e conferimento di aziende, fusione, scissione e  permuta  di
partecipazioni), costituirebbe una norma speciale, con  la  quale  il
legislatore ha applicato la clausola generale antielusiva nel settore
delle imposte sui redditi. 
    La sussistenza della violazione del principio di eguaglianza, nei
termini prospettati  dal  giudice  a  quo,  presuppone  che,  per  le
fattispecie elusive non riconducibili all'art. 37-bis e  soggette  al
solo divieto generale di abuso  del  diritto,  non  operi  la  stessa
sanzione della nullita'  dell'atto  impositivo  che  risulti  affetto
dallo stesso vizio. 
    Tuttavia, non solo l'ordinanza di  rimessione  non  offre  alcuna
particolare motivazione sul punto, limitandosi ad affermare  che  per
le fattispecie elusive non disciplinate dall'art. 37-bis non  operano
regole analoghe, ma l'ipotesi dalla quale muove e' contraddetta dalla
stessa giurisprudenza di legittimita' - sia pure formatasi  in  epoca
successiva  all'ordinanza  di   rimessione   -   secondo   la   quale
l'amministrazione  finanziaria  che  intenda  contestare  fattispecie
elusive,  anche  se  non  riconducibili  alle   ipotesi   contemplate
dall'art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, e'  tenuta,  a  pena  di
nullita'  dell'atto   impositivo,   a   richiedere   chiarimenti   al
contribuente e a osservare il termine dilatorio di  sessanta  giorni,
prima di emettere l'avviso di accertamento, il  quale  dovra'  essere
specificamente motivato anche  con  riguardo  alle  osservazioni,  ai
chiarimenti  e  alle  giustificazioni,  eventualmente   forniti   dal
contribuente (Corte di cassazione, quinta sezione civile, sentenze 14
gennaio 2015, n. 406 e 5 dicembre 2014, n. 25759). 
    Questa  conclusione  si  collega   idealmente,   rappresentandone
l'evoluzione, a precedenti decisioni delle sezioni unite della  Corte
di cassazione, con le quali e' stato riconosciuto, nella  fattispecie
di cui al richiamato art. 12, comma 7, della legge n. 212  del  2000,
che  l'inosservanza  da  parte   dell'amministrazione   del   termine
dilatorio di sessanta giorni dal rilascio della  copia  del  processo
verbale di chiusura delle operazioni, posto a garanzia del diritto di
difesa  del  contribuente,  determina  la   nullita'   dell'atto   di
accertamento emesso ante tempus  anche  in  mancanza  di  un'espressa
comminatoria, salvo che non ricorrano specifiche ragioni di  urgenza,
le quali devono essere adeguatamente motivate (Corte  di  cassazione,
sezioni unite civili, sentenza 29 luglio 2013, n. 18184), ed e' stato
riconosciuto, altresi', in materia di iscrizione ipotecaria  prevista
dall'art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla
riscossione  delle  imposte  sul  reddito),  che  l'attivazione   del
contraddittorio   endoprocedimentale   costituisce    un    principio
fondamentale immanente nell'ordinamento, operante anche in difetto di
una espressa e specifica previsione normativa,  a  pena  di  nullita'
dell'atto finale del procedimento,  per  violazione  del  diritto  di
partecipazione dell'interessato  al  procedimento  stesso  (Corte  di
cassazione, sezioni unite civili,  sentenza  18  settembre  2014,  n.
19667). Talune incertezze che  permangono,  nella  giurisprudenza  di
legittimita', intorno ai limiti e,  soprattutto,  alle  modalita'  di
applicazione di questi principi, specie nei casi  diversi  da  quelli
contemplati dall'art. 12, comma 7,  della  legge  n.  212  del  2000,
costituiscono   oscillazioni   interpretative   che    non    toccano
direttamente la portata applicativa della norma censurata. 
    Il quadro composito cosi' delineato chiarisce  che  il  principio
generale   antielusivo,   assunto   dalla   rimettente   a    tertium
comparationis, non impedisce affatto, con riguardo  alle  fattispecie
non riconducibili all'art. 37-bis del d.P.R. n.  600  del  1973,  che
debba   essere   instaurato    il    previo    contraddittorio    fra
l'amministrazione finanziaria e il contribuente, ne' esclude  che  il
vizio del contraddittorio conseguente  alla  violazione  del  termine
produca la nullita' dell'atto impositivo. 
    La sussistenza di un orientamento non isolato della stessa  Corte
di cassazione, che tende a riconoscere forza  espansiva  alla  regola
contenuta nella norma denunciata, non consente di ritenere  esistente
un diritto vivente in base al quale gli atti impositivi  adottati  in
applicazione  della  clausola   generale   antielusiva   si   debbano
considerare  validi  anche  se  emessi  in  violazione  della  regola
contenuta nella stessa norma. 
    In altri termini, il tertium comparationis indicato dal giudice a
quo non corrisponde a un principio generale,  rispetto  al  quale  la
disciplina  denunciata  rivesta  un   carattere   ingiustificatamente
derogatorio, come e' invece necessario ai  fini  del  giudizio  sulla
violazione del principio di eguaglianza (sentenze n. 43 del 1989 e n.
1064 del 1988). 
    Nemmeno l'art. 20  del  d.P.R.  n.  131  del  1986,  in  tema  di
applicazione dell'imposta di  registro,  secondo  cui  «L'imposta  e'
applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici  degli
atti presentati alla registrazione, anche se non  vi  corrisponda  il
titolo  o  la  forma  apparente»,  costituisce  un   idoneo   tertium
comparationis. Secondo la rimettente, anche tale norma avrebbe natura
antileusiva, ma la sua violazione non comporta una sanzione analoga a
quella stabilita dalla norma denunciata. 
    Senza entrare nel merito della  qualificazione  della  norma,  e'
sufficiente osservare che la mancanza  dell'espressa  previsione,  in
essa, del contraddittorio anticipato non sarebbe comunque  d'ostacolo
all'applicazione  del  principio  generale  di   partecipazione   del
contribuente al procedimento, di cui si  e'  detto.  Sicche'  nemmeno
questo termine di riferimento assunto dalla rimettente  e'  idoneo  a
dimostrare la denunciata disparita' di trattamento. 
    A sostegno del  giudizio  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione,    la    rimettente    richiama    anche    l'orientamento
giurisprudenziale  favorevole  alla  rilevabilita'  d'ufficio   delle
fattispecie elusive. E' tuttavia evidente la mancanza di  omogeneita'
dei due istituti - della sanzione della nullita' dell'accertamento in
violazione del contraddittorio procedimentale, per un  verso,  e  del
rilievo  d'ufficio,  per  l'altro  -,  giacche'  l'uno,  disciplinato
dall'art. 37-bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973,  attiene  alla
fase  propedeutica  all'accertamento  fiscale,  mentre   l'altro   si
collega,  secondo  l'indicato  orientamento,  al  potere-dovere   del
giudice di rilevare ex officio,  nelle  controversie  tributarie,  le
eventuali cause di invalidita' o di inopponibilita'  di  un  negozio,
che gia' appartengono all'oggetto del giudizio. 
    Si deve sottolineare, altresi',  che  il  rilievo  d'ufficio  del
giudice e' in ogni caso subordinato  all'avvenuta  instaurazione  del
previo contraddittorio  tra  le  parti,  a  pena  di  nullita'  della
sentenza ai sensi dell'art. 101,  secondo  comma,  cod.  proc.  civ.,
norma applicabile anche al processo tributario in virtu'  del  rinvio
di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992,
n. 546 (Disposizioni sul  processo  tributario  in  attuazione  della
delega al Governo contenuta nell'art.  30  della  legge  30  dicembre
1991, n. 413) 
    3.2.- Con  riguardo  alla  prospettata  violazione  dell'art.  53
Cost., si osserva che la nullita'  dell'avviso  di  accertamento  per
inosservanza del termine dilatorio prescritto dalla norma  denunciata
e' la conseguenza, come si e' detto, di un  vizio  del  procedimento,
consistente nel fatto di non essere stato messo  a  disposizione  del
contribuente l'intero lasso di tempo previsto dalla legge a  garanzia
della sua facolta' di partecipare al procedimento stesso  presentando
osservazioni e chiarimenti. Il rispetto del termine dilatorio assolve
anche allo scopo di  consentire  che  l'avviso  di  accertamento  sia
«specificamente motivato» dall'ufficio tributario, in relazione  alle
giustificazioni fornite dal contribuente, come  prescrive,  sempre  a
pena di nullita', il comma 5 dello stesso art. 37-bis. 
    Dalla considerazione unitaria delle prescrizioni dei commi 4 e 5,
che  scandiscono  in  modo  rigoroso  il   procedimento   preordinato
all'assunzione dell'avviso di accertamento della fattispecie elusiva,
emerge in modo ancora piu' evidente la funzione di  tutela  effettiva
del contraddittorio propria del termine  in  questione.  La  sanzione
della nullita'  dell'atto  conclusivo  del  procedimento  assunto  in
violazione del termine stesso trova dunque ragione in una  divergenza
dal modello  normativo  che,  lungi  dall'essere  qualificabile  come
meramente formale o innocua, o come di lieve entita',  e'  invece  di
particolare gravita', in considerazione della funzione di tutela  dei
diritti del contribuente della previsione presidiata  dalla  sanzione
della nullita', e del fatto che la violazione  del  termine  da  essa
previsto   a   garanzia   dell'effettivita'    del    contraddittorio
procedimentale impedisce il pieno svolgersi di tale funzione. 
    La sanzione prevista dalla norma censurata non e' dunque posta  a
presidio di un mero requisito di  forma  del  procedimento,  estraneo
alla sostanza del contraddittorio,  come  assume  la  rimettente,  ma
costituisce  invece  strumento  efficace  ed  adeguato  di   garanzia
dell'effettivita' del contraddittorio stesso,  eliminando  in  radice
l'avviso di accertamento emanato prematuramente. La necessita' che al
contribuente sia consentito  di  partecipare  al  procedimento  e  la
ragionevolezza della sanzione  in  caso  di  violazione  del  termine
stabilito per garantire l'effettivita' di tale  partecipazione,  sono
ancora   piu'   evidenti   se   si   considerano   le    peculiarita'
dell'accertamento delle fattispecie elusive e il ruolo  decisivo  che
in esso possono svolgere gli elementi forniti  dal  contribuente,  in
particolare in  vista  della  valutazione  che  l'amministrazione  e'
chiamata a  compiere  dell'esistenza  di  valide  ragioni  economiche
sottese alle operazioni esaminate. 
    E' poi evidente che, ai fini della decisione della  questione  in
esame, non puo' presentare alcun rilievo la  circostanza,  richiamata
nell'ordinanza   di   rimessione    a    sostegno    della    pretesa
irragionevolezza della norma censurata,  che  nel  caso  oggetto  del
giudizio a quo l'avviso  fosse  stato  notificato  poco  prima  dello
spirare del termine dilatorio di sessanta giorni. Cosi' come  non  e'
pertinente il richiamo, operato dalla rimettente, all'interpretazione
giurisprudenziale della regola sulla sanatoria della  nullita'  della
notificazione  degli  atti,  sia  processuali  che  impositivi,   per
raggiungimento dello scopo. Il giudice a  quo  censura  la  norma  in
quanto prescrive la nullita' dell'atto  per  violazione  del  termine
dilatorio, non gia' perche' il termine non sarebbe congruo o  perche'
non sarebbe prevista la  sanatoria  della  nullita'  cosi'  prodotta,
sicche' entrambi i menzionati argomenti sono da ritenere estranei  ai
termini  della  questione   di   legittimita'   costituzionale   come
sollevata. 
    La questione e', quindi, infondata anche in riferimento  all'art.
53 Cost.