ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  89,  comma
4, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti
e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
relativi stati di tossicodipendenza), promosso  dal  Giudice  per  le
indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Catanzaro   nel
procedimento penale a carico di P.M.  con  ordinanza  del  10  giugno
2014, iscritta al n. 243 del registro  ordinanze  2014  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale,
dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8  luglio  2015  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 10 giugno 2014, il Giudice per le
indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di   Catanzaro   ha
sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  32  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma  4,  del
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo
unico delle leggi in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza), nella parte in cui - nel  prevedere  che
le disposizioni dei  commi  1  e  2  dello  stesso  articolo  non  si
applicano quando si procede per il delitto di  cui  all'art.  74  del
medesimo  decreto  n.  309  del  1990  (associazione  finalizzata  al
traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope)  -  «non  fa
salva  l'ipotesi  in  cui  siano  acquisiti  elementi  specifici,  in
relazione al caso concreto, dai  quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza»; 
    che il rimettente premette di essere  investito  dell'istanza  di
sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con gli
arresti   domiciliari   presso   una   comunita'   terapeutica    per
tossicodipendenti, ai sensi dell'art. 89, comma 2, del d.P.R. n.  309
del 1990, presentata da una persona  sottoposta  ad  indagini  per  i
delitti di cui agli artt. 73 e 74 del medesimo decreto e  agli  artt.
56 e 629 del codice penale; 
    che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  l'istanza   risulterebbe
meritevole di  accoglimento,  avendo  il  ricorrente  documentato  la
sussistenza dei presupposti richiesti dal citato art.  89,  comma  2,
per la concessione della misura e non essendo, altresi',  ravvisabili
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; 
    che all'adozione del provvedimento richiesto osterebbe, tuttavia,
il comma 4 del medesimo art. 89, in forza del quale  le  disposizioni
dei precedenti commi 1 e 2 non si applicano quando si procede per uno
dei delitti previsti dall'art. 4-bis della legge 26 luglio  1975,  n.
354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla  esecuzione  delle
misure privative e limitative della liberta'): delitti tra i quali e'
compreso  anche  quello  di  associazione  finalizzata  al   traffico
illecito di stupefacenti, per cui il richiedente e' indagato; 
    che  il   rimettente   dubita,   tuttavia,   della   legittimita'
costituzionale della norma; 
    che, quanto alla rilevanza della  questione,  il  giudice  a  quo
osserva come l'art. 89, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990,  in  una
prospettiva  di  tutela   della   salute,   consenta   alla   persona
tossicodipendente o alcooldipendente sottoposta a custodia  cautelare
in carcere - quando pure non vi sia  un'attenuazione  delle  esigenze
cautelari che giustifichi la  sostituzione  della  misura,  ai  sensi
dell'art. 299 del codice di procedura penale  -  di  essere  comunque
ammessa agli arresti domiciliari presso una comunita' terapeutica  al
fine di iniziare o proseguire un programma di recupero,  con  l'unico
limite che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; 
    che nel caso di specie, se, per un verso, non  sussisterebbero  -
come detto - esigenze cautelari di eccezionale rilevanza,  per  altro
verso, non sarebbe,  tuttavia,  nemmeno  ravvisabile  un'attenuazione
delle esigenze cautelari poste a  base  della  misura  carceraria  in
atto, idonea a  legittimare  la  sua  sostituzione  con  gli  arresti
domiciliari ai sensi del citato art. 299 cod. proc. pen.; 
    che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza,  il  rimettente
rileva come  nel  sistema  delle  misure  cautelari  personali  siano
rinvenibili plurimi «correttivi» alla disciplina  generale  circa  la
scelta della misura da applicare, allorche'  la  persona  interessata
versi in particolari condizioni: da un lato,  infatti,  a  norma  dei
commi 4 e seguenti dell'art. 275  cod.  proc.  pen.,  sono  richieste
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza per disporre la  custodia
in carcere nei confronti di una donna incinta o  madre  di  prole  di
eta' non superiore a sei anni con lei  convivente,  ovvero  padre  di
essa, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a
dare assistenza alla prole, o di persona ultrasettantenne  o  che  si
trovi  in  condizioni  di  salute  incompatibili  con  lo  stato   di
detenzione;  dall'altro,  l'art.  286  cod.  proc.  pen.  prevede  la
custodia in un luogo di cura, anziche' in carcere, con riguardo  alla
persona totalmente o parzialmente inferma di mente; 
    che,  in  tali  casi,  le  finalita'  cautelari  della   custodia
carceraria  risultano,  dunque,  cedevoli  di  fronte  a   situazioni
soggettive  peculiari,  reputate  dal   legislatore   prevalenti,   a
prescindere dal reato per  cui  si  procede,  con  l'unico  limite  -
omologo a quello previsto dall'art. 89, comma 2, del  d.P.R.  n.  309
del 1990 - della sussistenza di  esigenze  cautelari  di  eccezionale
rilevanza; 
    che, per questo verso, la norma censurata si porrebbe  quindi  in
contrasto con l'art. 32 Cost., in quanto accorderebbe al diritto alla
salute dei tossicodipendenti e degli alcooldipendenti una  protezione
irragionevolmente piu' ridotta rispetto a quella  prefigurata  per  i
casi dianzi ricordati; 
    che la norma denunciata violerebbe,  altresi',  l'art.  3  Cost.,
sotto il profilo della ingiustificata discriminazione tra le  persone
tossicodipendenti o alcooldipendenti  imputate  del  delitto  di  cui
all'art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e  quelle  imputate  di  reati
diversi, per le quali trova piena applicazione  il  regime  delineato
dai commi 1 e 2 del citato art. 89 ed  e',  dunque,  privilegiata  la
misura  cautelare  non  carceraria,  salvo  che  ricorrano   esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza; 
    che mentre,  infatti,  il  limite  delle  esigenze  cautelari  di
eccezionale rilevanza lascia al giudice la possibilita' di  stabilire
se la normativa in esame debba operare  o  meno  sulla  base  di  una
valutazione degli elementi specifici del caso concreto, la previsione
di una preclusione legata al titolo del  reato  per  cui  si  procede
implicherebbe una presunzione assoluta e insuperabile di  sussistenza
delle predette esigenze eccezionali; 
    che si tratterebbe, peraltro, di una  presunzione  irragionevole,
posto che il delitto di cui all'art. 74 del d.P.R. n.  309  del  1990
costituisce una «fattispecie aperta», idonea ad abbracciare  fenomeni
criminali marcatamente eterogenei tra loro e  tali  da  poter  essere
fronteggiati, sul piano cautelare, anche con misure diverse da quella
carceraria,  quale  quella  prevista  dall'art.  89,  qualora   siano
acquisiti elementi specifici, in  relazione  al  caso  concreto,  dai
quali risulti che non sussistono esigenze  cautelari  di  eccezionale
rilevanza; 
    che varrebbero di conseguenza, in materia, «mutatis mutandis», le
stesse considerazioni che hanno indotto  la  Corte  costituzionale  a
dichiarare costituzionalmente illegittima, con la sentenza n. 231 del
2011, la presunzione assoluta sul «grado»  delle  esigenze  cautelari
stabilita proprio per il reato  associativo  in  questione  dall'art.
275, comma 3, cod. proc. pen.; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile,  ovvero
manifestamente infondata. 
    Considerato che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale ordinario di Catanzaro dubita, in riferimento agli artt.  3
e 32 della Costituzione, della legittimita' costituzionale  dell'art.
89, comma 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.  309  (Testo  unico  delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza), nella  parte  in  cui  -  nel  prevedere  che  le
disposizioni dei commi 1 e 2 dello stesso articolo non  si  applicano
quando si procede per il delitto di  cui  all'art.  74  del  medesimo
decreto  n.  309  del  1990  (associazione  finalizzata  al  traffico
illecito di sostanze stupefacenti  o  psicotrope)  -  «non  fa  salva
l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione  al
caso  concreto,  dai  quali  risulti  che  non  sussistono   esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza»; 
    che siffatto petitum trova la sua  premessa  logica  nell'assunto
del rimettente, stando al quale la norma censurata  stabilirebbe  una
presunzione  assoluta  di  sussistenza  di  esigenze   cautelari   di
eccezionale rilevanza  nei  confronti  della  persona  sottoposta  ad
indagini o imputata del delitto in questione, presunzione da reputare
irragionevole ed arbitraria; 
    che la tesi e' palesemente inesatta; 
    che il denunciato art. 89, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990 si
limita, in realta', semplicemente ad escludere i soggetti indagati  o
imputati di reati di particolare gravita' e allarme sociale - tra cui
quello considerato - dallo speciale regime  cautelare  delineato  dai
primi due  commi  dello  stesso  articolo  in  favore  delle  persone
tossicodipendenti o alcooldipendenti che abbiano in corso o intendano
sottoporsi ad un programma terapeutico di  recupero  presso  apposite
strutture pubbliche o private: regime di favore in forza  del  quale,
quando pure sussistano gli ordinari presupposti di applicazione della
custodia cautelare in carcere, il giudice  deve  disporre  la  misura
extramuraria immediatamente meno gravosa (gli arresti domiciliari) al
fine di consentire la prosecuzione o l'avvio del predetto  programma,
salvo che ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; 
    che, in questo modo, la  norma  censurata  non  introduce  alcuna
presunzione, ne' in ordine alla sussistenza, ne' in ordine  al  grado
delle esigenze cautelari; 
    che  nei  confronti  della  persona  indiziata  del  delitto   di
associazione finalizzata al  traffico  illecito  di  stupefacenti  il
giudice puo', infatti, ritenere del tutto insussistenti  le  esigenze
cautelari (la contraria presunzione,  posta  anche  con  riguardo  al
reato in questione dall'art. 275, comma 3, del  codice  di  procedura
penale, e', infatti, solo relativa e, dunque,  superabile  ove  siano
acquisiti elementi che la smentiscano); 
    che, del pari,  il  giudice  puo'  ravvisare  nei  confronti  del
suddetto  soggetto  esigenze   cautelari   suscettibili   di   essere
soddisfatte, alla stregua dei criteri ordinari, con misure diverse  e
meno gravose della custodia  carceraria,  ivi  compresi  gli  arresti
domiciliari  presso   una   struttura   diretta   al   recupero   dei
tossicodipendenti: il che e',  peraltro,  riconosciuto  dallo  stesso
giudice rimettente; 
    che, al di la' dell'evidenziato vizio di prospettiva che  inficia
il petitum, il giudice a quo  ripropone  censure  gia'  disattese  da
questa Corte con  la  sentenza  n.  45  del  2014,  attualizzando  le
considerazioni svolte nella precedente ordinanza n. 339 del 1995; 
    che il giudice a quo reputa, in specie, violato l'art. 32  Cost.,
assumendo che la norma censurata accorderebbe al diritto alla  salute
del   tossicodipendente   (e   dell'alcooldipendente)   una    tutela
ingiustificamente meno energica di quella apprestata  dal  codice  di
rito - sempre in deroga all'ordinario regime delle misure cautelari -
a favore di altre categorie di soggetti, quali  la  donna  incinta  o
madre di prole convivente in tenera eta' (ovvero padre di  essa,  nel
caso di impedimento  della  madre),  l'ultrasettantenne,  la  persona
affetta da malattia particolarmente grave, l'infermo e il  seminfermo
di mente (artt. 275, commi 4 e seguenti,  e  286  cod.  proc.  pen.):
ipotesi, queste ultime, nelle quali la disciplina  derogatoria  opera
indipendentemente dal reato per cui si procede; 
    che le situazioni poste a raffronto dal giudice a quo  risultano,
peraltro, «palesemente eterogenee e  tali,  quindi,  da  rendere  del
tutto  legittimo  un  trattamento  differenziato  (i  singoli  regimi
derogatori [...] sono, del resto,  anche  significativamente  diversi
tra loro)» (sentenza n. 45 del 2014); 
    che, in ogni caso, il  nucleo  incomprimibile  del  diritto  alla
salute del tossicodipendente resta «salvaguardato dalla stessa regola
di cui all'art. 275, comma 4-bis,  cod.  proc.  pen.  -  inclusa  del
rimettente fra i  tertia  comparationis,  ma  certamente  applicabile
anche al soggetto in questione - in forza della quale la custodia  in
carcere non puo' essere disposta o mantenuta quando le condizioni  di
salute   dell'interessato,   per   la   loro   gravita',    risultino
incompatibili con lo stato di  detenzione  e  comunque  tali  da  non
consentire adeguate cure in ambito carcerario» (sentenza  n.  45  del
2014); 
    che il  rimettente  lamenta,  in  secondo  luogo,  la  violazione
dell'art.  3   Cost.,   sotto   il   profilo   della   ingiustificata
discriminazione tra  i  tossicodipendenti  gravemente  indiziati  del
delitto di cui all'art. 74 del  d.P.R.  n.  309  del  1990  e  quelli
indiziati di altro delitto, che possono invece fruire della  speciale
disciplina di cui si discute; 
    che, anche in  questo  caso,  il  rimettente  pone,  tuttavia,  a
raffronto fattispecie disomogenee; 
    che - come gia' rilevato da questa Corte - in una prospettiva  di
contemperamento delle contrapposte esigenze che  vengono  in  rilievo
(difesa sociale, da un lato, disintossicazione e  riabilitazione  dei
soggetti in questione, dall'altro), il legislatore ben  puo',  «nella
sua  discrezionalita'  e  salvo  il  limite   della   ragionevolezza,
escludere da un regime cautelare di favore, quale quello in esame,  i
soggetti indagati o imputati per determinati  reati,  avuto  riguardo
alla  loro  gravita'  e  alla  pericolosita'   soggettiva   da   essi
solitamente  desumibile,  a  condizione   che   cio'   non   comporti
l'assoggettamento dell'interessato ad un indiscriminato  "automatismo
sfavorevole", che precluda ogni apprezzamento delle  singole  vicende
concrete» (sentenza n. 45 del 2014); 
    che tale situazione non si riscontra nell'ipotesi in esame,  dopo
che questa Corte, con la sentenza n.  231  del  2011,  ha  rimosso  -
trasformandola in presunzione solo relativa - la presunzione assoluta
di  adeguatezza  della  sola  custodia  in  carcere,  precedentemente
sancita dall'art. 275, comma 3, cod. proc.  pen.  nei  confronti  del
soggetto gravemente indiziato del delitto di associazione finalizzata
al  traffico  illecito  di  stupefacenti:  pronuncia  successivamente
recepita  dal  legislatore  in  sede  di  riscrittura  della   citata
disposizione del codice di rito con la recente legge 16 aprile  2015,
n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia  di  misure
cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354,  in
materia di visita a persone affette  da  handicap  in  situazione  di
gravita'); 
    che, in conseguenza di cio', il  tossicodipendente  imputato  del
delitto in parola - ancorche' non ammesso a  beneficiare  del  regime
cautelare "privilegiato" di cui all'art. 89, commi 1 e 2, del  d.P.R.
n. 309 del 1990 - puo' comunque fruire,  sulla  base  di  valutazione
"individualizzata" della singola vicenda, condotta  sul  metro  degli
ordinari criteri stabiliti dal codice di rito, (anche) degli  arresti
domiciliari finalizzati allo svolgimento di un programma di recupero; 
    che  la  questione  va   dichiarata,   pertanto,   manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  davanti  alla
Corte costituzionale.