ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214, promosso dal Tribunale ordinario di  Milano  -
sezione  specializzata  in  materia  di  impresa,  nel   procedimento
vertente tra M.M.  ed  altri  e  la  Banca  d'Italia  ed  altro,  con
ordinanza del  28  aprile  2014,  iscritta  al  n.  19  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 7  ottobre  2015  il  Giudice
relatore Daria de Pretis. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 aprile 2014, il Tribunale  ordinario  di
Milano - sezione specializzata in materia di  impresa,  ha  sollevato
questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   26   del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214, secondo il quale «In deroga alle  disposizioni
di cui all'articolo 3, commi 1 ed 1-bis, della legge 7  aprile  1997,
n.  96,  e  all'articolo  52-ter,  commi  1  ed  1-bis,  del  decreto
legislativo 24 giugno 1998, n. 213, le banconote, i  biglietti  e  le
monete in  lire  ancora  in  circolazione  si  prescrivono  a  favore
dell'Erario con decorrenza immediata ed il relativo  controvalore  e'
versato all'entrata del bilancio dello Stato per  essere  riassegnato
al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato». 
    La questione e' sorta nel corso di un giudizio promosso  da  M.M.
ed altri, che hanno chiesto  la  condanna  della  Banca  d'Italia  al
pagamento del controvalore delle banconote in lire in loro  possesso,
pari alla somma complessiva di 27.543,67 euro, oltre al  risarcimento
dei danni, affermando di avere inutilmente tentato di  convertire  le
banconote in euro presso varie filiali della Banca d'Italia,  ma  che
le loro richieste sono  state  respinte  in  quanto  presentate  dopo
l'entrata in vigore dell'art. 26 del decreto-legge n. 201  del  2011,
che ha disposto l'immediata  estinzione  del  diritto  di  convertire
banconote, biglietti e monete in lire ancora in circolazione. 
    Al giudizio partecipa anche il Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, chiamato in causa dalla Banca d'Italia. 
    1.1.- Il giudice a quo -  che  ha  rigettato,  con  sentenza  non
definitiva, l'eccezione  di  difetto  di  giurisdizione  del  giudice
ordinario e di difetto di legittimazione passiva della Banca d'Italia
- espone che gli attori presentarono le banconote per la  conversione
dopo il 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore del  d.l.  n.  201
del 2011, che coincide  con  quella  della  sua  pubblicazione  nella
Gazzetta Ufficiale, ma prima  del  28  febbraio  2012,  data  in  cui
sarebbe  scaduto  l'originario  termine  di   prescrizione   previsto
dall'art. 3, comma 1-bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96 (Norme  in
materia di circolazione monetaria). A suo  avviso,  la  questione  e'
rilevante,  perche'  l'applicazione  della  norma  denunciata  e'  il
presupposto necessario per la decisione  della  causa,  che  dovrebbe
essere definita con una sentenza di rigetto delle domande, qualora la
norma non fosse dichiarata incostituzionale,  in  quanto  il  rifiuto
della conversione sarebbe, in tale caso, legittimo. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, la norma  violerebbe,  in
primo luogo, gli artt. 3 e 97 della Costituzione, per  contrasto  con
il principio di  affidamento  e  di  certezza  del  diritto,  perche'
avrebbe disposto una  vera  e  propria  estinzione,  «con  decorrenza
immediata», del  diritto  di  convertire  in  euro  le  banconote,  i
biglietti e le monete in lire ancora in circolazione, anticipando  di
poco meno di  tre  mesi  la  scadenza  del  termine  di  prescrizione
originariamente  fissata  al  28  febbraio  2012.  Ne   conseguirebbe
l'evidente frustrazione del credito vantato dai  possessori  di  lire
nei confronti della Banca d'Italia. 
    Il   rimettente   richiama   la   giurisprudenza   costituzionale
sull'illegittimita' delle leggi retroattive extrapenali, quando  esse
trasmodino in un regolamento irrazionale  di  situazioni  sostanziali
fondate su leggi precedenti, e sostiene che il medesimo principio  e'
applicabile anche nel caso concreto, in quanto la  norma  denunciata,
pur non avendo efficacia retroattiva, incide con effetti immediati su
situazioni  sostanziali  di  analoga  natura.   Richiama,   altresi',
l'orientamento di questa Corte secondo il quale il  legislatore  gode
di ampia discrezionalita' in materia di  fissazione  del  termine  di
prescrizione,  con  l'unico  limite  dell'eventuale  irragionevolezza
qualora il termine venga determinato in  modo  tale  da  non  rendere
effettiva  la  possibilita'  di  esercizio  del  diritto  a  cui   si
riferisce. L'irragionevolezza sarebbe resa ancora piu' evidente dalla
previsione del versamento del  «controvalore»  delle  banconote,  dei
biglietti e delle monete in  lire  non  convertiti  «all'entrata  del
bilancio  dello  Stato  per   essere   riassegnato   al   Fondo   per
l'ammortamento dei titoli di  Stato»,  perche'  in  questo  modo,  ad
avviso del rimettente, il legislatore ha inteso favorire i possessori
dei titoli di Stato, rafforzando  la  garanzia  dei  loro  crediti  a
discapito dei possessori di lire, mediante una  scelta  preferenziale
tra diverse categorie di  creditori  dello  Stato,  priva  di  alcuna
giustificazione. 
    1.2.- La norma denunciata contrasterebbe, inoltre, con gli  artt.
42, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione  all'art.  1
del Protocollo addizionale alla Convenzione per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, in quanto realizzerebbe, di fatto, una sorta  di
espropriazione ai danni dei possessori delle banconote in lire, della
quale  beneficiano  in  prima   battuta   lo   Stato,   mediante   il
trasferimento del relativo controvalore al Fondo  per  l'ammortamento
dei titoli di Stato, e in ultima analisi i possessori dei titoli  del
debito pubblico, i quali vedono cosi' rafforzata la garanzia dei loro
crediti. 
    Il rimettente richiama l'orientamento  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo  (Corte  EDU),  secondo  il  quale  e'  considerato
«bene», ai fini dell'applicazione della norma convenzionale indicata,
anche un profitto futuro, se il guadagno  e'  stato  acquisito  o  e'
stato oggetto di un credito esigibile, sicche' l'eventuale  interesse
generale sotteso alla scelta legislativa non sarebbe sufficiente, nel
caso concreto, a legittimare l'espropriazione  disposta  dalla  norma
denunciata. 
    2.- Con atto depositato il 24 marzo  2015  si  e'  costituito  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che   ha   concluso
chiedendo che la  questione  venga  dichiarata  inammissibile  o,  in
subordine, infondata. 
    L'intervenuto eccepisce, in via  preliminare,  l'inammissibilita'
della questione per aberratio  ictus,  in  quanto  il  rimettente  ha
sollevato l'incidente di costituzionalita' con riguardo  all'articolo
26 di  un  inesistente  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  "121",
convertito da una, del pari inesistente, legge 22 dicembre  2011,  n.
"201", mentre la modifica  del  diritto  di  convertire  in  euro  le
banconote  in  lire  e'  stata  introdotta   dall'articolo   26   del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. "201", come modificato dalla  legge
di conversione 22 dicembre 2011, n. "214". 
    Nel merito, osserva che la norma denunciata non  e'  retroattiva,
al contrario di quanto sembrerebbe ritenere il giudice a quo, perche'
e'  destinata  a  operare  dal  giorno   successivo   a   quello   di
pubblicazione del d.l. n. 201  del  2011  nella  Gazzetta  Ufficiale.
Osserva, altresi', che la norma non lede l'affidamento dei  cittadini
nella sicurezza dei  rapporti  giuridici,  dovendosi  considerare  il
lungo periodo di tempo durante il quale i possessori di  banconote  e
di monete in lire hanno potuto convertirle in euro, precisamente  dal
28  febbraio  2002  (data  di  cessazione  del   doppio   regime   di
circolazione della lira e dell'euro) fino al 6 dicembre 2011, sicche'
la scelta del legislatore di anticipare di circa tre mesi la scadenza
del  termine  per  la  conversione,  fissata  originariamente  al  28
febbraio 2012, non puo'  essere  considerata  ne'  irragionevole  ne'
arbitraria.  Secondo  l'intervenuto,  inoltre,  la   norma   non   ha
determinato alcun  ingiustificato  privilegio  di  una  categoria  di
creditori dello Stato rispetto a un'altra, in quanto manca  qualsiasi
elemento da cui desumere che il controvalore riassegnato al Fondo per
l'ammortamento  dei  titoli  di  Stato,  quale  effetto  della  norma
denunciata, sia stato impiegato  per  estinguere  titoli  del  debito
pubblico scaduti in data prossima all'entrata in vigore del  d.l.  n.
201 del 2011. 
    Nemmeno sarebbe fondato  il  secondo  profilo  di  illegittimita'
sollevato dal rimettente. Secondo la difesa  dello  Stato,  la  norma
incide sul possesso di una moneta che non ha piu' corso legale dal 28
febbraio 2002 e si  e'  limitata,  come  gia'  detto,  ad  anticipare
l'estinzione del diritto di chiederne la conversione di poco meno  di
tre  mesi  rispetto  alla   scadenza   del   termine   decennale   di
prescrizione, decorrente dalla  cessazione  del  corso  legale  della
lira. Di conseguenza,  il  legislatore  avrebbe  operato  una  scelta
giustificata e non sproporzionata, intervenendo in una situazione che
faceva  presumere  il  disinteresse  dei  possessori  delle   residue
banconote o monete in lire alla loro conversione in euro,  anche  per
la probabile esiguita' del relativo controvalore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Milano - sezione  specializzata  in
materia  di  impresa,  dubita   della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 22 dicembre 2011, n. 214, secondo  il  quale  «In  deroga  alle
disposizioni di cui all'articolo 3, commi 1 ed 1-bis, della  legge  7
aprile 1997, n. 96, e all'articolo 52-ter,  commi  1  ed  1-bis,  del
decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, le banconote, i biglietti
e le monete in lire ancora in circolazione si  prescrivono  a  favore
dell'Erario con decorrenza immediata ed il relativo  controvalore  e'
versato all'entrata del bilancio dello Stato per  essere  riassegnato
al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato». 
    Tale norma contrasterebbe con gli artt. 3, 97, 42, terzo comma, e
117, primo comma, della Costituzione, in  relazione  all'art.  1  del
Protocollo addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    La questione e' sorta nel corso di un giudizio in cui gli  attori
hanno chiesto la condanna  della  Banca  d'Italia  al  pagamento  del
controvalore delle banconote in  lire  in  loro  possesso,  oltre  al
risarcimento dei danni, affermando di avere  inutilmente  tentato  di
convertire le banconote in euro  presso  varie  filiali  della  Banca
d'Italia, ma che le loro richieste  sono  state  respinte  in  quanto
presentate dopo l'entrata in vigore dell'art. 26 del d.l. n. 201  del
2011. 
    2.-  L'intervenuto  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha
eccepito, in via preliminare, l'inammissibilita' della questione  per
aberratio ictus. 
    L'eccezione e' infondata. 
    E' vero che, come rileva l'intervenuto, il rimettente  indica  la
norma censurata facendo riferimento all'art.  26  di  un  inesistente
d.l.  6  dicembre  2011,  n.  "121",  convertito  da  una,  del  pari
inesistente, legge 22 dicembre 2011, n. "201", mentre la modifica del
diritto  di  convertire  in  euro  le  banconote  in  lire  e'  stata
introdotta dall'art. 26 del d.l. 6  dicembre  2011,  n.  "201",  come
modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. "214". 
    Dall'ordinanza di rimessione si desume facilmente, tuttavia,  che
la norma impugnata e' effettivamente l'art. 26 del d.l.  n.  201  del
2011 - cosi' come modificato dalla legge di conversione  n.  214  del
2014 -, del quale e' riportato il testo  con  esattezza,  sicche'  e'
evidente che l'erronea indicazione del  numero  progressivo  sia  del
d.l. che della  legge  di  conversione  costituisce  un  mero  lapsus
calami, privo di rilevanza ai fini  del  giudizio  di  ammissibilita'
della questione. 
    Secondo la costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  infatti,
«l'indicazione inaccurata o erronea (si tratti di lapsus calami o  di
vero errore) delle disposizioni di  legge  impugnate  e'  irrilevante
quando i termini della questione risultino tuttavia  con  sufficiente
chiarezza (ord. n. 54 del 1965; sentt. nn. 47 del 1962, 40 del  1983,
212 del 1985)» (sentenza n. 142 del 1993), sicche' si deve  escludere
che «l'erronea indicazione della norma  censurata  ridondi  in  vizio
dell'ordinanza quando dal contesto della motivazione sia  agevolmente
individuabile  la  norma  effettivamente  impugnata  dal  rimettente»
(sentenze n. 154 del 2006 e n. 224 del 2004). 
    3.- Il rimettente espone che gli attori nel  processo  principale
hanno chiesto di convertire le banconote dopo l'entrata in vigore del
d.l. n. 201 del 2011, ma prima della scadenza del  termine  ordinario
di prescrizione del 28 febbraio 2012. 
    L'applicazione della norma denunciata costituisce un  presupposto
necessario per la risoluzione della controversia, in quanto,  per  un
verso, il rifiuto frapposto dalla  Banca  d'Italia  alla  conversione
delle banconote si fonda sulla loro  prescrizione  immediata  e,  per
altro verso, il  diritto  fatto  valere  dagli  attori  nel  processo
principale si fonda  sulla  tempestivita'  della  loro  richiesta  di
conversione delle banconote secondo le regole generali, alle quali la
norma denunciata deroga. 
    Ad avviso del rimettente, la norma contrasta, in primo luogo, con
gli  artt.  3  e  97   Cost.,   sotto   i   profili   della   lesione
dell'affidamento nella sicurezza giuridica,  dell'irragionevolezza  e
dell'ingiustificata preferenza accordata ai possessori di titoli  del
debito pubblico, perche' avrebbe disposto, in via anticipata rispetto
alla scadenza dell'originario termine di prescrizione, fissata al  28
febbraio 2012, una vera e propria estinzione immediata del diritto di
convertire in euro le banconote, i biglietti  e  le  monete  in  lire
ancora in circolazione. 
    La norma contrasterebbe, in secondo  luogo,  con  gli  artt.  42,
terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  riferimento
all'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla   CEDU,   in   quanto
realizzerebbe, di fatto, una sorta di  espropriazione  ai  danni  dei
possessori delle banconote in lire, della quale beneficiano in  prima
battuta lo Stato, mediante il trasferimento del relativo controvalore
al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, e in ultima  analisi
i possessori  dei  titoli  del  debito  pubblico,  che  vedono  cosi'
rafforzata la garanzia dei loro crediti. 
    4.-  La  questione  e'  fondata,  in  relazione  alla   censurata
violazione dell'art. 3 Cost. 
    4.1.- Con l'introduzione dell'euro, avvenuta il 1° gennaio  1999,
si apri' un periodo transitorio, durato sino al 31 dicembre 2001, nel
quale le monete metalliche e le  banconote  in  lire  continuavano  a
costituire il solo mezzo di pagamento in numerario, anche  quando  il
debito fosse espresso in euro. 
    Il 1° gennaio 2002, cessato il periodo  transitorio,  inizio'  la
circolazione delle banconote in euro e  delle  monete  metalliche  in
euro e in cent. Le banconote e le  monete  in  lire  continuarono  ad
avere corso legale per un periodo di due mesi, sino  al  28  febbraio
2002, ex art. 155, comma 1, della legge  23  dicembre  2000,  n.  388
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2001). Da  tale  data,  terminata  la
fase di doppia  circolazione,  inizio'  a  decorrere  il  termine  di
prescrizione delle lire ancora circolanti. 
    L'art. 3, comma 1, della legge 7 aprile 1997,  n.  96  (Norme  in
materia di circolazione monetaria), dispone che «Le  banconote  ed  i
biglietti a debito dello Stato si prescrivono  a  favore  dell'Erario
decorsi dieci anni dalla data di cessazione del corso legale». L'art.
87, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289  (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria 2003), ha aggiunto all'art. 3 della legge n. 96 del  1997
un comma 1-bis, secondo cui «Le  banconote  in  lire  possono  essere
convertite in euro presso le filiali della Banca d'Italia  non  oltre
il 28 febbraio 2012». 
    L'art. 52-ter, comma 1, del decreto legislativo 24  giugno  1998,
n. 213 (Disposizioni per  l'introduzione  dell'EURO  nell'ordinamento
nazionale, a norma dell'articolo 1, comma 1,  della  L.  17  dicembre
1997, n. 433), prevede che «Le monete  metalliche  si  prescrivono  a
favore dell'erario decorsi dieci anni dalla data  di  cessazione  del
corso legale». L'art. 87, comma 2, della legge n.  289  del  2002  ha
aggiunto un comma 1-bis anche all'art. 52-ter del decreto legislativo
n. 213 del 1998, secondo  cui  «Le  monete  in  lire  possono  essere
convertite in euro presso le filiali della Banca d'Italia  non  oltre
il 28 febbraio 2012». 
    Per effetto della cessazione del corso legale della lira, quindi,
il diritto di convertire in euro le banconote e le monete  metalliche
in lire poteva essere  esercitato  fino  alla  scadenza  del  termine
decennale di  prescrizione  stabilito,  in  via  generale,  a  favore
dell'erario, e cioe' fino al 28 febbraio 2012. 
    In questo quadro si e' inserito l'art. 26 del  d.l.  n.  201  del
2011, come convertito, il quale, al dichiarato  fine  di  ridurre  il
debito pubblico (la disposizione e' contenuta nel Capo V del decreto,
intitolato «Misure per la riduzione del debito pubblico») e in deroga
alle norme sopra richiamate, ha disposto la prescrizione  anticipata,
con effetto immediato,  delle  lire  ancora  in  circolazione,  e  ha
stabilito, altresi',  che  il  relativo  controvalore  fosse  versato
all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al  Fondo
per l'ammortamento dei titoli di Stato. 
    4.2.- Come questa Corte ha piu' volte affermato,  il  valore  del
legittimo  affidamento,  il  quale  trova  copertura   costituzionale
nell'art. 3 Cost., non esclude  che  il  legislatore  possa  assumere
disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la
disciplina di rapporti giuridici «anche se l'oggetto  di  questi  sia
costituito da diritti soggettivi perfetti», ma esige che cio' avvenga
alla  condizione  «che  tali  disposizioni  non  trasmodino   in   un
regolamento  irrazionale,  frustrando,  con  riguardo  a   situazioni
sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,   l'affidamento   dei
cittadini nella sicurezza giuridica,  da  intendersi  quale  elemento
fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 56 del 2015, n. 302
del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo in  presenza  di  posizioni
giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero  in  seguito
alla sopravvenienza di  interessi  pubblici  che  esigano  interventi
normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma  sempre
nei  limiti  della  proporzionalita'  dell'incisione  rispetto   agli
obiettivi di interesse pubblico perseguiti, e' consentito alla  legge
di  intervenire  in   senso   sfavorevole   su   assetti   regolatori
precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015). 
    Non e' dubitabile  che  il  quadro  normativo  preesistente  alla
disposizione denunciata di  incostituzionalita',  come  descritto  in
precedenza, fosse tale da far sorgere nei possessori di banconote  in
lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del  termine  fino  alla
sua prevista scadenza decennale, come disposto, sia dalla norma sulla
prescrizione delle banconote cessate dal corso legale (art. 3,  comma
1, della legge n. 96 del  1997),  sia  dalla  norma  che  prevede  il
diritto di convertire le banconote in euro presso  le  filiali  della
Banca d'Italia (art. 3, comma 1-bis, della  legge  n.  96  del  1997,
introdotto dall'art. 87 della legge n. 289 del 2002). 
    Il  fatto  che,  al  momento   dell'entrata   in   vigore   della
disposizione censurata, fossero gia' trascorsi nove anni e nove  mesi
circa dalla cessazione del corso legale della lira non  e'  idoneo  a
giustificare il sacrificio della posizione di coloro che,  confidando
nella perdurante pendenza del termine originariamente  fissato  dalla
legge, non avevano ancora esercitato il  diritto  di  conversione  in
euro delle banconote in lire  possedute.  Il  lungo  tempo  trascorso
senza alcuna modifica dell'assetto normativo regolatore del  rapporto
rende anzi ancora piu' evidente il carattere  certamente  consolidato
della posizione giuridica dei possessori di banconote in lire e della
loro legittima aspettativa a convertirle in euro entro il termine che
sarebbe  venuto  a  scadenza  il  28  febbraio  2012  e  tanto   piu'
censurabile l'improvviso intervento del legislatore su di esso. 
    Proprio con riguardo alla fissazione del termine di  prescrizione
dei singoli diritti, questa Corte ha costantemente affermato che  «il
legislatore  gode  di  ampia  discrezionalita',  con  l'unico  limite
dell'eventuale irragionevolezza, qualora "esso venga  determinato  in
modo da non  rendere  effettiva  la  possibilita'  di  esercizio  del
diritto cui si riferisce,  e  di  conseguenza  inoperante  la  tutela
voluta accordare al cittadino leso" (ex plurimis, ordinanze n. 16 del
2006 e n. 153 del 2000)» (sentenza n.  234  del  2008;  nello  stesso
senso, sentenza n. 10 del 1970). 
    Nemmeno  la  sopravvenienza  dell'interesse  dello   Stato   alla
riduzione  del  debito  pubblico,  alla   cui   tutela   e'   diretto
l'intervento legislativo nell'ambito del quale si  colloca  anche  la
norma denunciata, puo'  costituire  adeguata  giustificazione  di  un
intervento cosi'  radicale  in  danno  ai  possessori  della  vecchia
valuta, ai quali era stato concesso un termine di ragionevole  durata
per convertirla nella nuova. Se l'obiettivo di ridurre il debito puo'
giustificare scelte anche assai onerose e, sempre  nei  limiti  della
ragionevolezza  e  della   proporzionalita',   la   compressione   di
situazioni  giuridiche  rispetto  alle  quali  opera   un   legittimo
affidamento, esso non puo' essere perseguito  senza  una  equilibrata
valutazione comparativa degli interessi in gioco e,  in  particolare,
non puo' essere raggiunto trascurando completamente gli interessi dei
privati, con i quali va invece ragionevolmente contemperato. Nel caso
in esame non risulta  operato  alcun  bilanciamento  fra  l'interesse
pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto  ai
possessori di banconote in lire,  dal  momento  che  l'incisione  con
effetto immediato delle posizioni consolidate di questi ultimi appare
radicale e irreversibile, nel senso che la  disposizione  non  lascia
alcun termine residuo, fosse anche minimo, per la  conversione.  Ne',
d'altro  canto,  lo  scopo  perseguito  imponeva  un  tale  integrale
sacrificio, visto che, come si poteva prevedere fin dall'approvazione
della  norma,  per  la  maggior  parte  delle   banconote   in   lire
corrispondenti al controvalore versato all'entrata del bilancio dello
Stato non sarebbe stata chiesta la conversione. 
    La  lesione  dell'affidamento  risulta   tanto   piu'   grave   e
intollerabile in quanto  la  norma  censurata,  sebbene  si  presenti
formalmente diretta a ridurre il termine di prescrizione in corso, in
realta' estingue ex abrupto il diritto  a  cui  si  riferisce,  senza
lasciare alcun residuo margine temporale per il  suo  esercizio,  sia
pure ridotto rispetto al termine originario  decennale  e  della  cui
durata si potesse in ipotesi valutare la ragionevolezza. 
    5.-  Va  pertanto  dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art.  26  del  d.l.  n.  201  del  2011,  come  convertito,  per
violazione   dei   principi   di   tutela   dell'affidamento   e   di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Rimangono assorbiti gli altri profili sollevati, con  riferimento
agli artt. 97, 42,  terzo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU.