ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi
496, 497, 498, 499, 500 e 501, della legge 27 dicembre 2013,  n.  147
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - Legge di stabilita' 2014), promossi con  ricorsi  delle
Regioni Veneto e Puglia, il primo notificato il 25 febbraio 2014,  il
secondo  spedito  per  la  notifica  in  pari  data,  depositati   in
cancelleria il 7 marzo 2014 ed iscritti rispettivamente ai nn.  21  e
23 del registro ricorsi 2014. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  3  novembre  2015  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Ezio  Zanon  e  Salvatore  Di  Mattia  per  la
Regione Veneto, Marcello Cecchetti per  la  Regione  Puglia  e  Wally
Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25 febbraio 2014, depositato  il  7
marzo 2014 e iscritto al n. 23 del  registro  ricorsi  del  2014,  la
Regione Puglia ha impugnato l'art. 1, commi 496, lettere b) e  c),  e
497, della legge 27  dicembre  2013,  n.  147  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale - Legge  di  stabilita'
2014), in riferimento agli artt. 3, 117, terzo e quarto  comma,  118,
primo e secondo comma, 119, primo e quinto comma, della Costituzione,
nonche'  ai  principi  di  razionalita',   ragionevolezza   e   leale
collaborazione. 
    L'art. 1, comma 496, della citata legge, modificando il comma 449
dell'unico  articolo  della  legge   24   dicembre   2012,   n.   228
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2013), ridefinisce il tetto massimo
di spese finali che non  puo'  essere  superato  dal  comparto  delle
regioni a statuto ordinario nel suo complesso, abbassandolo  rispetto
a  quanto  indicato  dalla  normativa  previgente  (in   particolare,
stabilisce, per il comparto, che il complesso delle spese  finali  in
termini di competenza eurocompatibile non puo' essere superiore:  per
l'anno 2014 a 19.390 milioni di euro,  determinando  cosi',  rispetto
alla legislazione previgente, un risparmio di 700  milioni  di  euro;
per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, a 19.099 milioni di  euro,
determinando un risparmio di 941 milioni di euro). 
    La medesima disposizione modifica il comma 449 dell'art. 1  della
legge n. 228 del 2012 anche nella parte relativa alla  procedura  per
la ripartizione del limite di spesa per ciascuna  regione,  limitando
al solo anno 2013 la procedura  ivi  prevista  (accordo  in  sede  di
Conferenza  Stato-regioni,  da  concludersi  entro  il  31   gennaio,
recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze). 
    Il comma 497 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2003 ha  inserito
all'art. 1 della legge n. 228 del 2012, dopo il comma 449,  il  nuovo
comma 449-bis, recante una tabella che fissa il complesso delle spese
finali in termini di competenza eurocompatibile di ciascuna regione a
statuto ordinario per ciascuno degli anni dal 2014 al 2017. 
    1.1.- Con un primo ordine di censure, la ricorrente  lamenta  che
il combinato disposto dell'impugnato art. 1, commi 496 e 497,  avendo
escluso per gli esercizi successivi al 2013 qualunque  partecipazione
delle singole regioni  alla  distribuzione  degli  importi  di  spesa
complessiva ammissibile ai fini del patto di stabilita'  interno,  si
porrebbe in contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto  comma,  118,
primo e secondo comma,  119,  primo  comma,  Cost.,  nonche'  con  il
principio di leale collaborazione, per le seguenti ragioni. 
    La determinazione del concreto riparto della dotazione di  spesa,
spettante   a   ciascuna   regione,   in   termini   di    competenza
eurocompatibile integrerebbe una norma di dettaglio  e  non  gia'  un
mero  principio  di  «coordinamento  della  finanza   pubblica»,   in
violazione del riparto  verticale  di  competenza  costituzionalmente
garantito nelle materie di legislazione concorrente. 
    Sotto altro profilo, la restrizione dei margini  di  autonomia  a
disposizione delle regioni  sarebbe  irragionevole  e  sproporzionata
rispetto  agli  obiettivi  da  perseguire,  in  quanto  al  fine   di
raggiungere l'obiettivo del contenimento della spesa pubblica sarebbe
stata assolutamente adeguata la disciplina di principio contenuta nel
previgente testo dell'art. 1, comma 449, della legge n. 228 del 2012.
Quest'ultimo determinava il limite  complessivo  di  spesa  spettante
all'intero comparto delle regioni ordinarie, accompagnandola  con  la
specifica  previsione  di  un  procedimento  concertato  volto   alla
determinazione delle singole quote regionali, aperto  alla  reciproca
collaborazione delle regioni  stesse  e  in  grado  di  garantire  il
raggiungimento   del   risultato,   all'occorrenza   anche   mediante
l'esercizio di  un  potere  ministeriale  "sostitutivo"  in  caso  di
mancato accordo tra le  regioni  entro  il  termine  legislativamente
stabilito del 31 gennaio. Incidendo sull'esercizio  delle  competenze
costituzionali delle regioni e sulla  loro  autonomia  di  spesa,  la
determinazione unilaterale dello Stato dei limiti  di  spesa  avrebbe
dovuto essere attuata mediante procedimenti rispettosi del  principio
di leale collaborazione (si citano, al riguardo,  le  sentenze  della
Corte costituzionale n. 54 del 2012, n. 251, n.  250  e  n.  232  del
2009, n. 88 del 2003). 
    1.2.- Con un secondo ordine  di  censure,  la  ricorrente  invoca
l'illegittimita' costituzionale del solo comma 497 dell'art. 1  della
legge 147 del 2013, nella parte in cui quantifica il complesso  delle
spese finali in termini di competenza eurocompatibile  della  Regione
Puglia in 1.305 milioni di euro per il 2014 e 1.289 milioni  di  euro
per gli anni 2015-2017, per violazione dell'art. 3 Cost., nonche' dei
principi di razionalita' e ragionevolezza, in riferimento agli  artt.
117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo e
quinto comma, Cost. 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  lo  Stato  avrebbe  operato   una
quantificazione gravemente  discriminatoria,  giacche'  la  quota  di
spesa  massima  complessiva  attribuitale  per   l'anno   2014,   ove
rapportata al numero di abitanti  della  Regione  Puglia  (4.050.803,
dato aggiornato al 31 dicembre 2012) in modo da individuare la  spesa
pro capite (322,16  euro),  sarebbe  largamente  inferiore  a  quella
attribuita  alla  stragrande   maggioranza   delle   altre   regioni,
risultando superiore soltanto a quella della Regione  Veneto  (310,34
euro pro capite) e della Regione Lombardia (308,95 euro pro  capite),
le quali, pero', dovrebbero imputare  su  tale  spesa,  a  differenza
della Regione Puglia che ricade nell'obiettivo convergenza, una quota
significativamente inferiore relativamente agli  interventi  speciali
dello Stato ex art. 119, quinto comma, Cost. La quota assegnata  alla
Regione  Puglia  risulterebbe,  poi,   significativamente   inferiore
rispetto a quella attribuita, ad  esempio,  alla  Regione  Basilicata
(935,45 euro pro  capite),  alla  Regione  Molise  (832,96  euro  pro
capite)  o  alla  Regione  Umbria  (618,34  euro  pro  capite);   ma,
soprattutto,  sarebbe  decisamente  inferiore  rispetto  alla   quota
attribuita a regioni che presentano situazioni ed esigenze  di  spesa
del tutto assimilabili a quelle della Puglia,  come  nel  caso  della
Calabria (521,90 euro pro capite) o della Campania (403,31  euro  pro
capite).  Tale  disparita'  di  trattamento  non   troverebbe   alcun
ragionevole fondamento giustificativo,  considerato  che  la  Regione
Puglia risulta tra le maggiori destinatarie sia di finanziamenti  che
provengono dai fondi per i programmi di sviluppo dell'Unione europea,
sia di interventi speciali statali a destinazione vincolata,  erogati
a favore delle regioni piu'  svantaggiate  ai  sensi  dell'art.  119,
quinto comma, Cost. 
    Al fine di evidenziare la "ridondanza" delle lamentate violazioni
sulle proprie prerogative costituzionali, la Regione  Puglia  rimarca
come il contrasto dell'impugnato art. 1,  comma  497,  con  l'art.  3
Cost.  avrebbe  prodotto  una  "lesione  indiretta"   della   propria
autonomia legislativa,  amministrativa  e  finanziaria  (riconosciuta
dagli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma,  e
119,  primo  e  quinto  comma,  Cost.),  dal  momento  che  la  quota
complessiva di spesa pubblica ad essa concretamente assegnata sarebbe
«del tutto insufficiente per esercitare in modo adeguato le  funzioni
regionali», incidendo «profondamente, senz'altro  riducendoli,  sugli
spazi di  autonomia  che  dovrebbero  caratterizzare  l'esercizio  di
quelle funzioni». 
    1.3.-  Il  14  aprile  2014  si  e'  costituito  in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  replicando  che  le   norme
contestate  sarebbero  del  tutto  coerenti  con  la   giurisprudenza
costituzionale. In base ad  essa,  il  legislatore  statale  potrebbe
legittimamente  imporre  alle  regioni  vincoli  alle  politiche   di
bilancio, anche indirettamente incidenti sull'autonomia regionale  di
spesa,   per   ragioni   di   coordinamento   finanziario   volte   a
salvaguardare,  proprio  attraverso  il  contenimento   della   spesa
corrente, l'equilibrio unitario della finanza  pubblica  complessiva,
in  connessione  con  il  perseguimento   di   obiettivi   nazionali,
condizionati anche da obblighi comunitari, purche' le  norme  statali
non  prevedano  in  modo  esaustivo  strumenti  o  modalita'  per  il
perseguimento dei suddetti obiettivi (si cita la sentenza n.  39  del
2014). 
    La tabella di cui all'art. 1, comma 497, della legge n.  147  del
2013,  infatti,  avrebbe  stabilito  gli  obiettivi  del   patto   di
stabilita' interno di ciascuna regione, senza definire gli  strumenti
con cui debbano essere raggiunti. 
    Non risulterebbe, poi, alcuna incongruenza normativa,  in  quanto
le norme in esame si  limiterebbero  a  modificare  le  modalita'  di
riparto degli obiettivi a decorrere dall'anno 2014. 
    1.4.- Con successiva memoria depositata il 12  ottobre  2015,  la
Regione  Puglia  ha  aggiunto  che,  nelle  more  del  giudizio,   e'
intervenuta la legge 23 dicembre 2014, n. 190  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita' 2015), il cui art. 1, commi da 460 a 483, ha integralmente
sostituito la precedente disciplina  del  concorso  delle  regioni  a
statuto ordinario  alla  realizzazione  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica ai fini del patto di stabilita' interno. 
    In particolare, il comma  460  del  richiamato  art.  1  prevede:
«[l]'articolo 1, commi da 448 a 466, della legge 24 dicembre 2012, n.
228, e successive modificazioni, e  tutte  le  norme  concernenti  la
disciplina  del  patto  di  stabilita'  interno  cessano   di   avere
applicazione per le regioni a statuto ordinario, con riferimento agli
esercizi  2015   e   successivi,   ferma   restando   l'applicazione,
nell'esercizio 2015, delle sanzioni nel caso di mancato rispetto  del
patto di stabilita' interno nel 2014». 
    In   ragione   di   tale   sopravvenuta    modifica    normativa,
l'applicazione  della  disciplina  relativa  alle  quote   di   spesa
complessiva assegnate alle  regioni  dall'art.  1,  commi  449  (come
modificato dall'art. 1, comma 496, lettere b e c, della legge n.  147
del 2013) e 449-bis (introdotto  dal  comma  497  dell'art.  1  della
medesima legge n. 147 del 2013), della legge n. 228 del 2012 e' stata
dunque espressamente limitata (oltre  che  all'esercizio  finanziario
2013, rispetto al quale, tuttavia, nel presente giudizio non e' stata
formulata alcuna censura) al solo esercizio finanziario 2014. 
    Secondo la Regione  Puglia,  lo  ius  superveniens  non  potrebbe
condurre ad una pronuncia che dichiari la  cessazione  della  materia
del contendere, dal momento che l'intervento modificativo operato dal
legislatore statale del  2014  non  potrebbe  in  alcun  modo  essere
ritenuto integralmente  satisfattivo  delle  sue  pretese.  Le  norme
censurate, infatti, ancorche' non piu' applicabili per le  regioni  a
statuto  ordinario  a  partire   dall'esercizio   finanziario   2015,
continuerebbero   a   spiegare   piena   efficacia   in   riferimento
all'esercizio  2014.  Insiste,  pertanto,  per  l'accoglimento  delle
censure formulate nel ricorso introduttivo avverso  l'art.  1,  commi
496, lettere b) e c), e 497, della legge n. 147 del 2013. 
    La  ricorrente  conclude  sostenendo  che  la   declaratoria   di
illegittimita'  costituzionale  delle  norme  statali  impugnate  non
inciderebbe sul rispetto dei vincoli complessivi di finanza  pubblica
discendenti,  innanzi  tutto,  dagli  impegni  assunti  con  l'Unione
europea. Infatti,  il  limite  di  spesa  complessivo  stabilito  dal
legislatore statale per il comparto delle Regioni a statuto ordinario
(in  riferimento,  peraltro,  al  solo  esercizio  finanziario  2014)
rimarrebbe assolutamente invariato (corrispondente a  19.390  milioni
di euro, individuato dall'art. 1, comma 496, lettera a,  della  legge
n. 147 del 2013, non impugnato  in  questa  sede).  Dall'accoglimento
delle questioni deriverebbe  soltanto  l'esigenza  di  provvedere  in
concreto (in prima battuta per il tramite della Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano e con la garanzia ultima del  potere  sostitutivo
affidato al Ministero dell'economia e delle finanze, cosi' come  gia'
espressamente  previsto   dalla   stessa   normativa   censurata   in
riferimento all'anno finanziario 2013) alla redistribuzione  ex  post
tra le regioni a statuto ordinario delle quote  di  spesa  finale  in
termini di competenza eurocompatibile spettanti  a  ciascuna  regione
per l'anno finanziario 2014, nel rispetto del sopra menzionato limite
complessivo  inderogabile  stabilito  dal  legislatore  statale.   La
concreta utilita' di tale operazione di rideterminazione  deriverebbe
dal fatto che il rispetto di  quei  limiti  di  spesa  (da  applicare
all'esercizio finanziario 2014) e' «pur sempre affidato dalla vigente
legislazione a specifici procedimenti di verifica e di controllo, con
la conseguenza che a tutt'oggi e nel prossimo futuro e' ben possibile
che -in plurime  sedi  (anche  giurisdizionali)  e  sotto  molteplici
profili - sia fatto oggetto di contestazione a carico della  Regione,
dei suoi organi e dei suoi agenti contabili». 
    2.- Con ricorso notificato il 25 febbraio 2014, depositato  il  7
marzo 2014 e iscritto al n. 21 del  registro  ricorsi  del  2014,  la
Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni  della  gia'  citata
legge n. 147 del 2013, fra le quali l'art. 1, commi  496,  497,  498,
499, 500 e 501, in riferimento agli artt. 117, terzo, quarto e quinto
comma, 119,  primo  comma,  e  120  Cost.,  nonche'  ai  principi  di
ragionevolezza e leale collaborazione. 
    Secondo la ricorrente, «le nuove disposizioni hanno modificato il
precedente assetto che attraverso lo strumento della legge fissava il
limite di spesa euro compatibile solo in via  cumulativa,  assegnando
alle regioni a statuto ordinario,  nel  loro  insieme,  l'importo  da
rispettare e demandando a una apposita concertazione, da svolgersi in
sede di raccordo istituzionale tra Stato e Regioni, la determinazione
dei limiti  individuali  per  ciascun  ente  sulla  base  dei  comuni
parametri predefiniti per legge». Invece, l'impugnato art.  1,  comma
497, «determina, [...] in modo cogente e predeterminato nel tempo, il
limite di spesa» delle singole regioni. 
    Inoltre, la Regione Veneto riferisce che, il 14 novembre 2013, la
Conferenza unificata aveva espresso -  in  relazione  al  disegno  di
legge di stabilita' per il 2014 - un parere  favorevole  condizionato
ad alcuni emendamenti: con uno di essi si chiedeva di ripristinare il
metodo dell'accordo per la determinazione  del  limite  di  spesa  di
ciascuna regione e, inoltre, si auspicava  «un  diverso  criterio  di
identificazione del limite di spesa, correlato a una sua piu' congrua
determinazione in riferimento a un riparto del limite  di  spesa  pro
capite». Poiche' tale emendamento non e' stato  accolto,  la  Regione
Veneto osserva che il parere della Conferenza unificata  sul  disegno
di legge e' stato «nella sostanza negativo». 
    Ancora,  la  ricorrente  rileva   che   «il   limite   di   spesa
eurocompatibile varia da regione a regione in maniera particolarmente
sperequata». La Regione utilizza il criterio demografico,  dal  quale
risulterebbe che «il limite di spesa per il Veneto e' di 312 euro pro
capite», mentre altre regioni avrebbero una disponibilita'  di  spesa
pro capite ben piu' ampia. 
    2.1.- Premesse queste considerazioni, la Regione Veneto passa  ad
articolare le questioni di costituzionalita'. Esse sono divise in tre
punti (3.5, 3.6 e 3.7). Il punto 3.5 e' a sua  volta  diviso  in  tre
parti (lettere a, b e c), nelle quali sono individuabili due distinte
censure. 
    Nel punto 3.5, lettera a), la Regione Veneto impugna i commi  496
e 497 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013 per  «[v]iolazione  del
principio  di  leale  collaborazione  di  cui  all'art.   120   della
Costituzione in relazione agli art. 117, quinto comma, e  119,  primo
comma, della stessa». In primo luogo, la  determinazione  legislativa
unilaterale, da parte dello Stato, del limite di  spesa  di  ciascuna
regione violerebbe  il  principio  di  leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost. Il  diritto  delle  regioni  di  partecipare  alla
individuazione del limite di spesa di ciascuna  di  esse  deriverebbe
anche dall'art. 119, primo comma, Cost. in base al quale  le  regioni
«concorrono  ad  assicurare  l'osservanza  dei  vincoli  economici  e
finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione  europea».  Infine,
viene invocato l'art. 117, quinto comma, Cost. in base al quale «[l]e
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle  materie
di  loro  competenza,  partecipano  alle   decisioni   dirette   alla
formazione   degli   atti   normativi   comunitari    e    provvedono
all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e  degli
atti dell'Unione europea,  nel  rispetto  delle  norme  di  procedura
stabilite da legge  dello  Stato,  che  disciplina  le  modalita'  di
esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza». L'art.  1,
comma 449, della legge n.  228  del  2012  sarebbe  una  disposizione
«direttamente applicativa  del  Patto  di  stabilita'  imposto  dalla
Comunita' europea e  recepito  [...]  a  mezzo  della  L.  448/1998»:
«[p]oiche',  dunque,  le  norme  che  impongono  i  limiti  di  spesa
provengono  dal  rispetto  dei  vincoli  di  appartenenza  all'Unione
europea, si pone il problema del rispetto della partecipazione  delle
singole  regioni   all'attuazione   e   all'esecuzione   degli   atti
dell'Unione europea, come previsto dal menzionato comma  5  dell'art.
117». 
    In  sostanza,  sotto  questo  primo  profilo  la  Regione  Veneto
contesta il contenuto dei commi 496, lettere b) e c), e 497 dell'art.
1, della legge n. 147 del 2013, in quanto,  in  relazione  agli  anni
2014-2017,  sostituiscono  il  previgente  modulo  pattizio  con   la
determinazione unilaterale del limite di spesa. 
    Nel punto 3.5, lettera b), invece,  la  ricorrente  evidenzia  un
vizio  procedurale  delle  disposizioni  legislative  in   questione,
affermando che «la formulazione per legge del limite  di  spesa,  sia
individuale che cumulativo, non solo non e' avvenuto nell'ambito  del
processo collaborativo previsto dalle disposizioni  Costituzionali  e
nella originaria  versione  del  comma  449,  ma  con  uno  strumento
costituzionalmente incompatibile». Infatti, la legge n. 147 del  2013
e' stata approvata previo parere della Conferenza unificata ai  sensi
dell'art. 9, comma 2, lettera a), numero 1), del decreto  legislativo
28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e  Bolzano  ed  unificazione,  per  le
materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle
province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie
locali), mentre, «[p]er l'attivita' di concorrenza prevista  in  capo
alle regioni e per  i  contenuti  dell'art.  117,  comma  quinto,  si
ritiene invece che  necessitasse,  sulla  determinazione  dei  limiti
individuali in capo a ciascuna  regione,  lo  strumento  dell'intesa»
previsto alla successiva lettera c)  del  comma  2  dell'art.  9  del
decreto legislativo. 
    In conclusione, «i commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, dell'art.
1 della L. 147/2013, che hanno imposto limiti all'autonomia regionale
nella determinazione dei limiti di spesa euro compatibile», sarebbero
«incostituzionali nella loro integrita'  perche'  in  violazione  del
combinato parametro dettato dagli artt. 119, comma 1, 117, comma 5  e
120 della Costituzione». 
    2.2.- Nel punto 3.6 la Regione Veneto rappresenta che, «alla luce
delle stesse norme di rango costituzionale (per la  precisione  degli
art. 117, commi 3 e 4, 119, comma 1) si e' determinata  una  indebita
limitazione della competenza amministrativa della regione», la quale,
«per effetto dei commi 496, 497, 498, 500 e 501 ha anche  subito  una
invasione esterna delle proprie competenze  essendole  stato  imposto
dallo Stato una riduzione della propria funzione  amministrativa,  in
termini di etero  imposizione  di  un  limite  di  spesa,  altrimenti
riconosciuta come  espressione  dell'autonomia  costituzionale  della
regione medesima». 
    2.3.-  Infine,  nel  punto  3.7  la  ricorrente  avanza  l'ultima
censura, collegata allo «scarso coordinamento del testo normativo del
comma 449 e dei  successivi,  in  conseguenza  dell'applicazione  dei
commi  496  e  seguenti  della  L.  147/2013».  La  novella   avrebbe
«introdotto, in modo  contraddittorio  e  irragionevole,  una  doppia
disciplina per il  governo  della  stessa  attivita',  che  e'  stata
diversificata a seconda degli anni  di  riferimento».  Infatti,  «con
riferimento  al  2013  l'attuale   disposizione   prevede,   per   la
determinazione   del   limite   della   spesa   eurocompatibile    il
conseguimento di un'intesa  nell'ambito  della  Conferenza  Unificata
Stato - Regioni», mentre da tale intesa «il legislatore nazionale  ha
inteso prescindere predeterminando per legge il limite di  spesa  per
gli  anni   successivi».   Sarebbe   «evidente   l'irrazionalita'   e
l'irragionevolezza di una simile disposizione». 
    2.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri si  e'  costituito
in giudizio, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, con atto depositato il 4 aprile 2014, ma  le  difese  in  esso
svolte non riguardano i commi da 496 a 501 dell'art. 1 della legge n.
147 del 2013. 
    L'Avvocatura generale  dello  Stato  ha  depositato  un'ulteriore
memoria l'8 agosto 2014, ma anch'essa non ha ad oggetto le  questioni
concernenti gli impugnati commi da 496 a 501. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Puglia ha impugnato l'art. 1, commi  496,  lettere
b) e c), e 497, della legge 27 dicembre 2013,  n.  147  (Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  -  Legge  di
stabilita' 2014), articolando due ordini di censure di illegittimita'
costituzionale. 
    Il combinato disposto dei commi 496, lettere  b)  e  c),  e  497,
nella parte in cui determina unilateralmente le quote -  spettanti  a
ciascuna Regione - della complessiva dotazione di spesa assegnata  in
termini di competenza eurocompatibile al  comparto  delle  regioni  a
statuto ordinario per l'esercizio 2014, sopprimendo la previsione che
fino  all'anno  precedente   rimetteva,   ancorche'   solo   in   via
preferenziale, ad un accordo da raggiungere annualmente  in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  il  riparto  di  tale
complessiva dotazione, violerebbe  gli  artt.  117,  terzo  e  quarto
comma,  118,  primo  e  secondo  comma,  119,  primo   comma,   della
Costituzione, nonche' il principio di leale collaborazione.  Cio'  in
quanto integrerebbe  un  precetto  di  «coordinamento  della  finanza
pubblica»  non  qualificabile   come   principio   e   restringerebbe
irragionevolmente i margini di autonomia legislativa,  amministrativa
e finanziaria a disposizione delle Regioni,  senza  prevedere  alcuna
forma di leale collaborazione con le stesse. 
    Il solo comma 497 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013,  nella
parte in cui quantifica la quota  del  limite  complessivo  di  spesa
eurocompatibile spettante alla Regione Puglia  in  1.305  milioni  di
euro per il 2014 e in 1.289 milioni di euro per gli  anni  2015-2017,
violerebbe l'art. 3 Cost.,  nonche'  i  principi  di  razionalita'  e
ragionevolezza, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto  comma,
118, primo e secondo comma, e 119, primo e quinto  comma,  Cost.,  in
quanto, senza alcuna ragione giuridicamente plausibile,  riserverebbe
alla  Regione  Puglia  un  trattamento  deteriore  e  discriminatorio
rispetto a quello della  quasi  totalita'  delle  altre  regioni.  In
particolare, la quota di spesa massima  complessiva  attribuita  alla
Regione Puglia, ove valutata  in  rapporto  al  numero  di  abitanti,
sarebbe largamente inferiore  rispetto  alla  quota  attribuita  alle
regioni che presentano situazioni ed  esigenze  di  spesa  del  tutto
assimilabili a quelle della  Puglia,  come  nel  caso  della  Regione
Calabria o della Regione Campania. A cio' aggiungendosi che la  quota
di  spesa  pubblica  concretamente  attribuitale  sarebbe  del  tutto
insufficiente per esercitare in modo adeguato le funzioni regionali. 
    1.1.- La Regione Veneto ha impugnato, tra le altre  disposizioni,
l'art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, della legge n. 147 del
2013, in riferimento agli artt. 117, terzo, quarto  e  quinto  comma,
119, primo comma, e 120 Cost., nonche' ai principi di  ragionevolezza
e leale collaborazione. 
    Benche' la ricorrente dichiari di impugnare l'art.  1,  commi  da
496 a 501, della citata legge, le censure da essa avanzate riguardano
in realta' solo i commi 496,  lettere  b)  e  c),  e  497;  le  altre
disposizioni non sono oggetto di censure  (i  commi  499  e  500,  in
particolare, sono inconferenti, in quanto sono rivolti alle autonomie
speciali). 
    La prima questione sollevata dalla  Regione  Veneto  corrisponde,
nel suo nucleo centrale, alla prima censura  avanzata  dalla  Regione
Puglia. In sintesi, i commi 496, lettere b) e c), e 497  dell'art.  1
della legge n. 147  del  2013  sono  impugnati  per  «violazione  del
principio  di  leale  collaborazione  di  cui  all'art.   120   della
Costituzione in relazione agli art. 117, quinto comma, e  119,  primo
comma,  della  stessa».  La  Regione   contesta   la   determinazione
legislativa unilaterale, da parte dello Stato, del limite di spesa di
ciascuna   regione,    invocando    l'assetto    precedente,    cioe'
l'individuazione del limite di spesa delle  singole  regioni  tramite
accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, poi recepito con decreto
ministeriale. 
    Con una seconda questione la Regione Veneto  evidenzia  un  vizio
procedurale delle disposizioni legislative in questione,  in  quanto,
in virtu' dell'art. 119, primo comma, e dell'art. 117, quinto  comma,
Cost., la legge n. 147 del 2013 avrebbe dovuto essere approvata,  non
previo parere della Conferenza unificata, ma previa intesa  con  essa
ai sensi dell'art. 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281 (Definizione ed  ampliamento  delle  attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e  Bolzano  ed  unificazione,  per  le
materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle
province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie
locali). 
    Con una terza questione, la Regione Veneto lamenta la  violazione
degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma,  Cost.  in
quanto le norme impugnate determinerebbero una indebita  compressione
della competenza amministrativa della Regione  tramite  l'imposizione
di un limite di spesa. 
    Infine, la ricorrente solleva  una  quarta  questione.  Le  norme
impugnate violerebbero  il  principio  di  ragionevolezza  per  avere
introdotto una doppia disciplina, diversificata a seconda degli  anni
di riferimento. Infatti,  con  riferimento  al  2013  e'  rimasto  il
modello pattizio per la determinazione  del  limite  di  spesa  delle
singole regioni,  mentre  per  gli  anni  successivi  il  legislatore
nazionale ha proceduto ad una individuazione unilaterale  del  limite
in questione. 
    2.- I ricorsi  vertono  sulle  medesime  disposizioni  e  pongono
problematiche analoghe, sicche' ne appare opportuna  la  riunione  ai
fini di una decisione congiunta. 
    2.1.- In via preliminare, si osserva che la disciplina introdotta
dall'art. 1, commi da 448 a 466, della legge 23 dicembre 2014, n. 190
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2015), ha inciso solo  parzialmente
sulle disposizioni statali oggetto di censura nel giudizio in  esame.
Poiche' i precetti impugnati sono stati rimossi  soltanto  a  partire
dal 2015, la pretesa delle regioni ricorrenti - le quali hanno ancora
motivo di dolersi della loro applicazione per l'anno 2014 - non  puo'
ritenersi pienamente soddisfatta. Non  e',  dunque,  venuta  meno  la
necessita' di una pronuncia di questa Corte. 
    3.- E' infondato il primo ordine di  censure,  con  le  quali  le
Regioni  Puglia  e  Veneto  contestano  la  natura  di  principio  di
«coordinamento della finanza pubblica» della definizione  unilaterale
- ad opera dello Stato (per l'anno 2014) - del complesso delle  spese
finali in termini di competenza eurocompatibile di ciascuna regione a
statuto ordinario, l'irragionevole restrizione dei margini della loro
autonomia legislativa, amministrativa  e  finanziaria  e  la  mancata
previsione di adeguate forme di leale collaborazione. 
    3.1.- Secondo la giurisprudenza di questa  Corte,  i  vincoli  di
coordinamento finanziario imposti dallo  Stato  possono  considerarsi
rispettosi dell'autonomia delle regioni e degli  enti  locali  quando
stabiliscono un limite complessivo che lasci agli enti  stessi  ampia
liberta'  di  allocazione  delle  risorse  fra  i  diversi  ambiti  e
obiettivi di spesa (sentenze n. 236 del 2013, n. 182 del 2011, n. 297
del 2009, n. 289 del 2008, n. 169 del 2007) e sempre alla  condizione
che la disciplina dettata dal legislatore statale non leda il  canone
generale  della  ragionevolezza  e  proporzionalita'  dell'intervento
normativo rispetto all'obiettivo prefissato (sentenze n. 236 del 2013
e n. 326 del 2010). 
    Nella specie, queste condizioni sussistono. Le  norme  censurate,
infatti, si limitano a prescrivere un limite complessivo  alla  spesa
in via transitoria ed in vista di specifici obiettivi di riequilibrio
della finanza pubblica, senza prescrivere strumenti o  modalita'  per
il loro perseguimento. 
    3.2.-  Dalle  considerazioni   appena   svolte   discende   anche
l'infondatezza  della  invocata  lesione  dei  margini  di  autonomia
legislativa, amministrativa e finanziaria delle regioni.  I  principi
fondamentali della legislazione statale in materia di  «coordinamento
della  finanza  pubblica»  sono  diretti  a  preservare  l'equilibrio
economico-finanziario del complesso delle amministrazioni  pubbliche,
in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.)
e  ai  vincoli  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione
europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.),  equilibrio  e  vincoli
che  risultano  ancor  piu'  pregnanti  alla  luce  del  primo  comma
dell'art.  97  Cost.,  che  impegna  il  complesso  delle   pubbliche
amministrazioni  ad  assicurare,  in   coerenza   con   l'ordinamento
dell'Unione europea, l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita' del
debito pubblico (sentenza n. 60 del 2013). Questa Corte ha piu' volte
ritenuto legittima  l'incidenza  dei  predetti  principi  statali  di
coordinamento,  sia  sull'autonomia  di  spesa  delle   regioni   (ex
plurimis, sentenze n. 91 del 2011, n. 27 del 2010, n. 456  e  n.  244
del 2005),  sia  su  ogni  tipo  di  potesta'  legislativa  regionale
(sentenza  n.  151  del  2012).  L'eventuale  impatto  sull'autonomia
finanziaria (art.  119  Cost.)  e  organizzativa  (artt.  117,  comma
quarto, e 118 Cost.) delle regioni si traduce in una «circostanza  di
fatto  come  tale  non  incidente  sul   piano   della   legittimita'
costituzionale» (sentenze n. 40 del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del
2004). 
    3.3.-  Sulla  prospettata  violazione  del  principio  di   leale
collaborazione, che  avrebbe  imposto  al  legislatore  ordinario  di
rimettere, ancorche' solo «in prima battuta», ad un  accordo  tra  le
parti e le regioni il riparto della complessiva dotazione di spesa in
termini di competenza eurocompatibile, si osserva  che  il  principio
stesso - effettivamente in grado di  imporre  momenti  di  necessario
coordinamento istituzionale  tra  i  livelli  di  governo  statale  e
regionale (ex plurimis, sentenze n. 179 del 2012, n. 165, n.  33  del
2011, n. 194 del 2007, n. 383, n. 62 e n. 50  del  2005,  n.  88  del
2003)  -  non  risulta  congruamente  evocato  con  riferimento  alle
fattispecie in esame. 
    A sostegno della loro tesi le ricorrenti sembrano configurare una
sorta  di  riserva  costituzionale  di  procedimento   amministrativo
concertato, aperto alla partecipazione dei diversi livelli di governo
interessati dal coordinamento finanziario, ma a  tale  prospettazione
deve replicarsi che, ne' le norme invocate  come  parametro,  ne'  la
giurisprudenza  costituzionale  sorreggono  tale  tesi.  Invero,   il
principio di leale collaborazione e' stato richiamato da questa Corte
in ipotesi particolari, e principalmente in presenza  di  materie  di
diversa attribuzione inestricabilmente "commiste" senza  possibilita'
di rinvenirne una prevalente (ex plurimis, sentenze n. 213 e  n.  133
del 2006, n. 431, n. 231 n. 219 e n. 50 del 2005, n. 308  del  2003),
ovvero nei casi di "attrazione in sussidiarieta'" statale di funzioni
pertinenti a materie di competenza regionale residuale o  concorrente
(sentenze n. 383 del 2005 e n. 303 del 2003); nei  casi,  dunque,  di
«concorrenza di competenze» (sentenza n. 219 del 2005)  e  non  (come
avviene nel caso di specie) di competenze chiaramente distinte. 
    3.4.- La Regione Veneto invoca, in particolare,  a  sostegno  del
proprio "diritto" a una determinazione amministrativa concertata  del
limite di spesa, l'art. 119, primo comma, e l'art. 117, quinto comma,
Cost. Tali disposizioni, pero', risultano inidonee allo scopo. 
    La prima, la' dove prevede che «le Regioni  [...]  concorrono  ad
assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari  derivanti
dall'ordinamento   dell'Unione   europea»,   fa   riferimento    alla
partecipazione delle regioni alle  politiche  di  contenimento  della
spesa in  attuazione  dei  vincoli  europei,  non  a  una  necessaria
partecipazione delle regioni alle decisioni statali di  coordinamento
finanziario. 
    Quanto alla seconda, la Regione Veneto riconduce l'art. 1,  comma
449, della legge n. 228 del 2012  al  «Patto  di  stabilita'  imposto
dalla Comunita' europea» e afferma  che  l'art.  117,  quinto  comma,
attribuisce alle regioni il potere  «di  partecipare  alle  decisioni
dirette a dare attuazione ed esecuzione agli accordi  presi  in  sede
comunitaria dallo stato nazionale». Tuttavia, a parte la  genericita'
del richiamo operato  dalla  ricorrente  agli  obblighi  europei,  e'
evidente che la norma costituzionale si riferisce alla partecipazione
delle regioni «alle decisioni  dirette  alla  formazione  degli  atti
normativi comunitari» e riconosce alle regioni stesse  il  potere  di
attuare  gli  atti  dell'Unione  europea  nelle   materie   di   loro
competenza. Non si vede, dunque, come l'art. 117, quinto comma, Cost.
possa fondare la necessita' costituzionale di un  riparto  concordato
del limite di spesa. 
    4.- La seconda questione sollevata dalla Regione  Puglia,  avente
ad oggetto l'art. 1, comma 497, della  legge  n.  147  del  2013,  e'
inammissibile. 
    La Regione contesta la concreta determinazione della sua quota di
spesa, per violazione dell'art. 3  Cost.,  in  quanto  la  spesa  pro
capite ad essa concessa sarebbe  largamente  inferiore  a  quella  di
altre regioni. 
    La ricorrente argomenta in modo sufficiente la ridondanza di tale
vizio sulle sue competenze costituzionali. Infatti,  osserva  che  la
quota di spesa individuata dall'impugnato art. 1, comma 497,  «incide
profondamente, senz'altro riducendoli, sugli spazi di  autonomia  che
dovrebbero caratterizzare l'esercizio» delle  funzioni  regionali  e,
dunque, la violazione dell'art. 3 Cost. «si trasforma automaticamente
in  un  grave  vulnus  a  carico  delle  norme   costituzionali   che
riconoscono tali funzioni, ossia  agli  artt.  117,  terzo  e  quarto
comma, e 118, primo e secondo comma,  Cost.,  nonche'  alla  relativa
autonomia finanziaria garantita dall'art. 119 Cost.». 
    La questione,  tuttavia,  risulta  inammissibile  in  quanto  non
adeguatamente argomentata sotto un altro profilo. La Regione contesta
il carattere «discriminatorio» della  norma  impugnata  valutando  la
quota di spesa ad essa riservata in proporzione alla popolazione  ivi
residente  e  osservando,  sia  nel   ricorso   che   nella   memoria
integrativa, che tale «disparita' di trattamento»  non  trova  alcuna
ragionevole  giustificazione.  Il  riferimento  al   criterio   della
ripartizione della spesa  sulla  base  della  popolazione  residente,
tuttavia, non e' sorretto da alcuna indicazione di elementi o ragioni
per  i  quali  si  dovrebbe  ritenere  che  quello  sia  il  criterio
utilizzato  dal  legislatore  ne'  del  resto  la  stessa  ricorrente
considera  altri  aspetti   della   scelta   operata   dallo   stesso
legislatore,  che  potrebbero  giustificare  l'attribuzione  di   una
disponibilita' di spesa  pro  capite  differenziata  tra  le  diverse
regioni. Ad esempio, lo stesso art. 1, comma 449, della legge n.  228
del 2012  prevede,  nell'ultimo  periodo,  per  il  caso  di  mancata
deliberazione della Conferenza Stato-regioni, un criterio diverso  da
quello della popolazione residente al fine del riparto tra le regioni
dell'obiettivo complessivo di spesa. 
    L'argomentazione   contenuta   nel   ricorso,   dunque,   risulta
insufficiente perche' afferma la violazione dell'art. 3 Cost. su  una
base del tutto ipotetica. 
    5.- La  seconda  questione  sollevata  dalla  Regione  Veneto  e'
infondata. 
    La Regione contesta un vizio procedurale delle norme  legislative
impugnate, attinente al fatto che esse  sono  state  adottate  previo
parere della Conferenza unificata anziche' previa intesa con essa, ai
sensi dell'art. 9, comma 2, lettera c) del d.lgs. n. 281 del 1997. Il
riferimento a quest'ultima disposizione e' inconferente, dato che  il
coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nel procedimento  di
formazione  della  legge  di  stabilita'  e'  espressamente  regolato
dall'art. 9, comma 2,  lettera  a),  numero  1).  In  ogni  caso,  la
giurisprudenza  costituzionale   e'   costante   nel   ritenere   che
«l'esercizio dell'attivita'  legislativa  sfugge  alle  procedure  di
leale collaborazione» (sentenze n. 112 del 2010, n. 249 del 2009,  n.
159  del  2008).  Meccanismi  cooperativi  potrebbero  applicarsi  ai
procedimenti legislativi solo in  quanto  la  loro  osservanza  fosse
prevista da una  fonte  costituzionale,  in  grado  di  vincolare  il
legislatore statale, evenienza che qui certamente non ricorre. 
    6.- La terza e la quarta questione sollevate dalla Regione Veneto
sono inammissibili. 
    Infatti, esse sono state svolte  solo  nel  ricorso  introduttivo
senza che a loro  sostegno  sussista  la  volonta'  della  Giunta  di
promuoverle, in quanto la delibera con la  quale  l'organo  esecutivo
della Regione ha disposto la proposizione del ricorso  non  fa  cenno
alle questioni stesse (ex plurimis, sentenze n.  309  e  n.  220  del
2013, n. 27 del 2008 e n. 275 del 2007).