IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA (Sezione Terza) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 2015 del 2009, proposto da: D'Errico Olga, rappresentata e difesa dall'avv. Pasquale Fornaro, con il quale elettivamente domicilia in Napoli, via Chiatamone n. 55, presso l'avv. Tommaso Perpetua; Contro: Comune di Sant'Anastasia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Antonietta Colantuoni, presso la quale elettivamente domicilia in Napoli, via Villari, n. 44; Per l'annullamento: del provvedimento n. 195 del 7 gennaio 2009 del Comune di Sant'Anastasia, di rigetto della richiesta n. 26068 del 5 dicembre 2008, per il rilascio del permesso di costruire un edificio per lo svolgimento di attivita' di artigianato, sul fondo sito nel Comune di Sant'Anastasia, alla via Santa Chiara, riportato in catasto al foglio 4, particella 1398, di mq. 32.586; di ogni altro atto, presupposto, conseguente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sant'Anastasia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2015 il dott. Gianmario Palliggiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. - La ricorrente e' proprietaria di un fondo sito nel Comune di Sant'Anastasia, via Santa Chiara, riportato in catasto al foglio 4, particella 1398 (ex 72) di mq 32.586 In data 5 dicembre 2008, aveva presentato richiesta - acquisita al prot. n. 26068 del comune - per ottenere il permesso di costruire un edificio, da adibire ad attivita' artigianali. L'Amministrazione comunale - con nota prot. n. 26703 del 12 dicembre 2008 - notificava preavviso di rigetto, in quanto "la volumetria prevista in progetto eccede notevolmente quella realizzabile nel predetto fondo ricadente in zona divenuta bianca per il decorso dei cinque anni dall'approvazione del PRG, ai sensi dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/01". 2. - Con provvedimento n. 195 del 7 gennaio 2009, il comune rigettava la richiesta. D'Errico Olga ha impugnato il predetto provvedimento con l'odierno ricorso, notificato il 12 marzo 2009 e depositato il successivo 10 aprile. Si e' costituita in giudizio l'amministrazione comunale con atto depositato il 23 giugno 2011. Con memoria difensiva depositata il 20 aprile 2015, ha chiesto il rigetto del ricorso. Alla camera di consiglio del 23 giugno 2011, la ricorrente ha rinunciato alla richiesta di sospensione cautelare. Alla pubblica udienza del 25 maggio 2015, la causa e' stata introitata per la decisione. 3. - Va premesso che, sotto il profilo urbanistico, la particella - secondo il vigente Piano regolatore generale del comune di Sant'Anastasia - e' inserita in zona F1, Zone di uso pubblico. Per il decorso dei cinque anni dall'approvazione del P.R.G., le prescrizioni indicate dal suddetto strumento urbanistico hanno perso efficacia, con la conseguenza che la predetta zona F1 e' attualmente classificabile come "zona bianca" e, pertanto, soggetta alle prescrizioni di legge, in particolare dell'art. 9, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (Testo unico dell'edilizia-TUE), norma che cosi' recita: "Salvi i piu' restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densita' massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non puo' comunque superare un decimo dell'area di proprieta'". 4. - Con l'odierno ricorso, la ricorrente rileva essenzialmente che il diniego opposto dall'amministrazione comunale di Sant'Anastasia si fondi sull'erroneo presupposto che, per realizzare un edificio destinato ad attivita' artigianale insistente in zona bianca, viga il doppio limite - di superficie e di volume - prescritto dal menzionato art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. In sintesi, ed anticipando quanto piu' approfonditamente verra' illustrato in seguito, la ricorrente deduce censure volte a dimostrare, nell'ordine: la non applicabilita' dell'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, posto che la regola di riferimento, nel caso di specie, andrebbe correttamente individuata nell'art. 9 della legge regionale Campania 11 agosto 2005, n. 15 che prescrive una norma piu' restrittiva di quella statale; in subordine, nel caso si ritenesse al contrario applicabile l'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, questo andrebbe correttamente letto nel senso della non vigenza del doppio limite; in ulteriore subordine, nel caso di applicazione dell'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, interpretato secondo la regola del doppio limite, la norma presenterebbe, per piu' profili, profili di illegittimita' costituzionale. 5. - Cio' premesso, puo' passarsi ai singoli motivi di doglianza, il cui esame e' pregiudiziale al giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza delle prospettate questioni di costituzionalita'. 5.1. - La ricorrente, con il primo motivo di censura, deduce la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2 e 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001; dell'art. 9 legge regionale Campania 11 agosto 2005, n. 15; degli articoli 76 e 117 Cost.; l'eccesso di potere per sviamento. A suo avviso, l'amministrazione comunale fonda il provvedimento di diniego sull'erroneo presupposto dell'applicabilita' al caso di specie dell'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. In cio', l'amministrazione cadrebbe in errore perche' non considera affatto che la norma statale in parola contiene una precisa clausola di cedevolezza, la quale subordina espressamente la propria efficacia all'inesistenza di norme regionali contenenti limiti piu' restrittivi. Come sopra illustrato, il menzionato art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, al comma 1, lettera b) - con riferimento ai comuni sprovvisti di strumenti urbanistici - consente, al di fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densita' massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; qualora sia prevista la costruzione di un'opera a destinazione produttiva, la superficie coperta non puo' comunque superare un decimo dell'area di proprieta'. La norma fa comunque salvi i piu' restrittivi limiti eventualmente fissati dalle leggi regionali (e sempre nel rispetto delle norme previste dal d.lgs. n. 490/1999). La Regione Campania - allo scopo di adeguarsi alle prescrizioni della legge statale - ha emanato la legge regionale 11 agosto 2005 n. 15, il cui art. 9, comma 2, ha sostituito l'art. 4, comma 2, della legge regionale 20 marzo 1982 n. 17; ne e' nata la seguente disposizione: "le superfici coperte di complessi produttivi, all'esterno dei centri abitati definiti ai sensi dell'art. 3 [legge reg. n. 18/1982], non possono superare un sedicesimo dell'area di proprieta'" . Orbene, la nuova previsione della legge regionale dettata in materia se, da un lato, appare piu' restrittiva di quella statale perche', rispetto a questa, riduce da un ottavo ad un sedicesimo, il limite della superficie massima realizzabile di copertura rispetto all'area disponibile (contro un decimo del limite statale), dall'altro non detta alcuna prescrizione in ordine al cumulo dei due limiti che, anzi, sembrano viaggiare disgiunti. Da cio' discende che l'amministrazione comunale, in virtu' della clausola di cedevolezza, avrebbe dovuto fare riferimento a tale nuova previsione, con la conseguenza che l'unico limite da osservare, nell'analisi della richiesta, sarebbe stato quello del sedicesimo della superficie di copertura, non anche quello relativo al volume, posto che la norma regionale - riguardo all'edificazione a scopi produttivi - non fissa, al contrario di quella statale, alcuna prescrizione in merito al limite di densita' massima fondiaria. Ad ulteriore conforto delle tesi esposte, la ricorrente richiama anche l'art. 2 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, secondo cui: "le disposizioni anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi". 5.2. - La censura non e' condivisibile. Occorre infatti considerare che la regola restrittiva introdotta dalla disciplina legislativa regionale riguarda solo lo sviluppo massimo della superficie di copertura; ne consegue che, in assenza di diversa regola piu' restrittiva anche sul limite di cubatura, continua ad applicarsi, esclusivamente per questo, l'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. Ed invero, la condizione di restrittivita', in virtu' della quale trova applicazione la clausola di cedevolezza della normativa statale in favore di quella regionale, per avere una sua logica attuazione, richiede che il confronto tra le due norme venga condotto singolarmente per ciascuna delle prescrizioni, attinenti di volta in volta al limite di copertura della superficie ed a quello del volume. Diversamente, ove si ritenesse che, ai fini del realizzarsi della condizione di restrittivita' e, quindi, dell'applicazione integrale della norma regionale in luogo di quella statale, sia sufficiente che la prima disponga una misura piu' penalizzante con riferimento ad uno solo dei due limiti, omettendo del tutto l'altro - o anche fissando per questo parametri ampliativi rispetto a quelli introdotti dalla norma statale - si arriverebbe, in definitiva, al paradosso di applicare una norma con regole nel complesso maggiormente concessive, in palese contrasto con la lettera e la ratio dell'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. E' del tutto evidente, infatti, il carattere in astratto piu' favorevole di una norma che, pur riducendo le possibilita' di sviluppo della superficie di copertura, lasci libero quello della cubatura o viceversa. Alla luce di quanto sopra il motivo e' infondato; lo stesso, in quanto infondato, si palesa peraltro inammissibile perche', ove si applicasse, nei termini sopra descritti, l'invocata norma regionale, questa finirebbe per essere contrastante con l'interesse della stessa ricorrente. 6. - Col secondo ordine di censure la ricorrente deduce, in subordine, sotto altro profilo, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2 e 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001; dell'art. 9 legge regionale Campania 11 agosto 2005, n. 15; degli articoli 76 e 117 Cost.; nonche' l'eccesso di potere per sviamento. 6.1. - Pur volendo ammettere che, nel caso in esame, trovi applicazione l'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, la norma statale e' stata tuttavia erroneamente interpretata nel punto in cui l'amministrazione comunale - trattandosi di intervento edilizio a destinazione produttiva - ha considerato di dovere cumulare i due limiti, relativi alla cubatura ed superficie di copertura, in essa previsti. A suo avviso, invece, per le zone sprovviste di strumenti urbanistici generali, fuori del perimetro dei centri abitati, occorre comunque distinguere tra costruzioni a vario scopo (tra cui quello residenziale), per le quali e' fissato l'indice massimo dello sviluppo di cubatura (metri cubi 0,03, per metro quadrato di area edificabile), e costruzioni a destinazione produttiva, per le quali le superfici coperte non possono superare un decimo dell'area di proprieta'. La ricorrente supporta la sua tesi con un'analisi letterale della norma, peraltro gia' sostenuta da risalente giurisprudenza, anche di questo tribunale amministrativo regionale (cfr. Sez. II, 21 dicembre 2004, n. 19574). Osserva, a questo riguardo, la non rilevanza: della struttura letterale della disposizione che riunisce, nell'unica lettera b), i due limiti di edificazione previsti al di fuori dei centri abitati per gli interventi di qualsiasi genere e per quelli aventi specifica destinazione produttiva; dell'utilizzo di un punto e virgola, in luogo del punto, fra il periodo che disciplina in generale gli interventi di nuova edificazione e quello che disciplina in particolare gli interventi aventi destinazione produttiva; infine, dell'utilizzo, in tale secondo periodo, della congiunzione "comunque" prima dell'indicazione dei limiti di superficie previsti. Rammenta che questa linea interpretativa sarebbe avvalorata dall'analisi, fornita da giurisprudenza costante, in merito all'abrogato art. 4 (Caratteristiche della concessione), ultimo comma, lettera a) e c), legge 28 gennaio 1977, n. 10, che distingue tra limiti di cubatura e limiti di copertura, a seconda che si tratti, rispettivamente, di edificazione residenziale ovvero di quella produttiva. 6.2. - Anche questo assunto non e' condivisibile. In primo luogo, il tenore letterale dell'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e' visibilmente diverso da quello contenuto all'art. 4 legge n. 10/1977. Invero quest'ultima norma prescriveva che: "A decorrere dal 1° gennaio 1979, ...(omissis)..., nei comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali e in mancanza di norme regionali e fino all'entrata in vigore di queste, la concessione deve osservare i seguenti limiti: a) fuori del perimetro dei centri abitati definito ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, l'edificazione a scopo residenziale non puo' superare l'indice di metri cubi 0,03, per metro quadrato di area edificabile; b) ...(omissis)... c) le superfici coperte degli edifici o dei complessi produttivi non possono superare un decimo dell'area di proprieta'.". Il fatto che l'art. 4 legge n. 10/1977 disciplinasse con due distinte lettere - a) e c) - rispettivamente, le edificazioni a scopo residenziale e quelle a scopo produttivo, poneva una plastica e chiara separazione tra i due casi, per ognuno dei quali vigeva una regola specifica. Pertanto, le soluzioni interpretative adottate dalla giurisprudenza riguardo al menzionato art. 4 legge 10/1977 non sono esportabili per l'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. 6.3. - Cio' chiarito, per risolvere il problema circa l'esatto contenuto di quest'ultima norma, va in primo luogo individuato il principio al quale deve conformarsi la corretta esegesi di una disposizione, quale quella oggetto del presente scrutinio. Tale principio si rinviene nell'art. 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi), il quale, con valenza vincolante per l'interprete, prescrive che alla norma deve attribuirsi il senso fatto palese dalle parole usate dal legislatore, secondo la loro connessione, e che resta, dunque, preclusa ogni interpretazione che conduca all'attribuzione di un significato diverso da quello rivelato dalle espressioni testuali contenute nella disposizione. Questa regola - riassunta nel noto brocardo in claris non fit interpretatio - ha dunque valore generale e prioritario, nel senso che la stessa costituisce il primo canone nel processo interpretativo della norma laddove gli altri criteri - che si fondano, in successione, sulla ricerca dell'intenzione del legislatore, sull'indagine logica del significato del precetto e sulla sua armonizzazione sistematica - sono sussidiari e recessivi; utilizzabili, in altri termini, solo nelle ipotesi in cui il criterio letterale si riveli, di per se', insufficiente (in quanto, ad esempio, il dato testuale resti ambiguo ed equivoco). In coerenza con la regola appena illustrata, e' agevole rilevare che la formulazione testuale della disposizione di cui all'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/20001 induce a leggerla nel senso del concorso e non della natura alternativa tra i due limiti descritti al comma 1, lettera b). L'uso del punto e virgola tra la prima e la seconda frase della disposizione indica, in particolare, in maniera chiara, che l'ipotesi contemplata nella seconda parte (e, cioe', il caso di interventi a destinazione produttiva) rinviene una frazione della sua regolamentazione nella disciplina contenuta nella frase precedente il segno di interpunzione (altrimenti le due frasi sarebbero state staccate da un punto). Decisivo e' poi l'avverbio "comunque", il cui uso non e' casuale ma rivela che il secondo limite e' stabilito in aggiunta, e non in sostituzione, al primo parametro; diversamente il suo utilizzo sarebbe del tutto privo di senso. 6.3. - L'analisi del dato testuale della disposizione rivela, in definitiva, la soggezione degli interventi produttivi sia al limite (generale) prescritto dalla prima frase per tutti gli interventi, sia a quello (speciale) riferito, nella seconda frase, ai soli insediamenti della specie; questi ultimi, pertanto, oltre a dovere rispettare l'indice volumetrico, non possono, in ogni caso, eccedere l'ulteriore vincolo dell'utilizzo di una superficie superiore a un decimo dell'area di proprieta'. D'altronde, riguardo a quest'ultima norma, la giurisprudenza ormai costante considera cumulabili i due limiti in essa rinvenibili, nonostante non siano mancate, in passato, differenti conclusioni. Questo tribunale amministrativo regionale - con la citata sentenza n. 19574/2004 - andando di contrario avviso ad un suo precedente (cfr., Sez. IV, 23 dicembre 2003, n. 15535) aveva ritenuto applicabile, in caso di attivita' edilizia per fini produttivi, il solo limite di copertura superficiaria, non anche quello di cubatura, ricollegandosi proprio all'art. 4, legge n. 10/1977. Sennonche', in riforma della citata sentenza, il Consiglio di Stato (Sez. IV, 22 giugno 2006 n. 3872) - nel contestare il metodo interpretativo seguito dall'appellata sentenza del TAR, tutto orientato a superare il dato testuale e privilegiare l'analisi sistematica e della ratio della disposizione in esame - ha, di contro, ritenuto conforme al tenore letterale della disposizione l'applicazione congiunta del limite di superficie e di volumetria. Il diritto vivente, espresso nelle decisioni del giudice amministrativo di appello, ha successivamente ribadito "la legittimita' del diniego del permesso di costruire, richiesto per la realizzazione di un insediamento produttivo in 'zona bianca' e fuori dal perimetro del centro abitato, che non rispetti il doppio limite previsto dalla citata disposizione, riferito sia alla soglia di cubatura consentita, sia alla misura massima della superficie coperta realizzabile ... " (cfr., Cons. St., sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1461). Per quanto sopra, il secondo ordine di censure si palesa infondato. 7. - La reiezione dell'istanza presentata dalla ricorrente e' essenzialmente imputabile all'applicazione dei suddetti limiti di legge. Va quindi disattesa anche la censura, formulata col quarto motivo di ricorso, che per ragioni di ordine argomentativo riceve precedenza nello scrutinio, relativa al difetto di motivazione. Al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, la determinazione impugnata e' sufficientemente ed adeguatamente sorretta dalla enunciazione dei presupposti di fatto e di diritto ostativi al rilascio del richiesto permesso di costruire; la stessa e', per giunta, in linea con gli arresti giurisprudenziali registrati in merito all'interpretazione dell'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (cfr. Cons. St., sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2616). 8. - Deve quindi pervenirsi all'esame del terzo motivo di ricorso, col quale la ricorrente prospetta molteplici profili di illegittimita' costituzionale della disposizione in questione, con riferimento agli articoli 3, 41, 42, 76, 117 della Costituzione. 8.1. - In particolare, ad avviso della ricorrente, l'applicazione congiunta dei due limiti, infatti, violerebbe il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), nonche' il diritto di proprieta' e di iniziativa economica (articoli 41 e 42 Cost.), in quanto limiterebbe, eccessivamente, lo ius edificandi, per finalita' produttive. La stessa clausola di cedevolezza, di cui al primo periodo del primo comma (salvi i piu' restrittivi limiti, fissati dalle leggi regionali), violerebbe l'art. 117 Cost., in quanto, da un lato, comprimerebbe la potesta' legislativa spettante alla Regioni, alla luce della riforma del Titolo V, e, dall'altro, eluderebbe il generale divieto, per lo Stato, di dettare norme specifiche o di dettaglio, nelle materie di competenza concorrente, tra cui rientra il governo del territorio. Ad essere violato sarebbe altresi' l'art. 76 Cost.. Sul punto, il decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e' stato emanato in attuazione dell'art. 7 legge 8 marzo 1999, n. 50 il quale ha disposto il riordino delle norme legislative e regolamentari che disciplinano le fattispecie elencate nell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (tra le quali rientrano il rilascio di concessioni edilizie e del certificato di agibilita'), mediante l'emanazione di testi unici, con cui il Governo deve procedere al coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche necessarie, per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa. Trattandosi di un testo unico di riordino, il Governo non avrebbe potuto introdurre limiti ulteriori, rispetto a quelli gia' previsti, in particolare dall'art. 4, legge n. 10/1977, che prevede per l'edilizia con finalita' produttiva, il solo limite di copertura della superficie. 8.2. - Il Collegio evidenzia in via preliminare la rilevanza dell'incidente di costituzionalita' - con riferimento all'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (recante il "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. Testo A"), nonche' del corrispondente art. 9 del decreto legislativo 6 luglio 2001, n. 378 (recante "Disposizioni legislative in materia edilizia. Testo B") - ai fini della decisione del ricorso in epigrafe. L'eventuale accoglimento dell'incidente di costituzionalita', infatti, comporterebbe un esito positivo del giudizio, considerando il tenore delle censure avanzate; per contro, l'infondatezza delle eccezioni determinerebbe la reiezione dell'impugnativa proposta. Pertanto, una volta respinte tutte le altre censure, quella che solleva il dubbio di conformita' costituzionale del richiamato art. 9 diventa decisivo per la soluzione della controversia. 8.3. - Cio' premesso, i rilevati profili di illegittimita' costituzionale non si palesano nel complesso manifestamente infondati. 8.3.1. - Riguardo alla violazione dell'art. 76 Cost., si osserva che, con la legge n. 50/1999, il legislatore statale ha rimesso al Governo la redazione di testi unici, in apposite materie, tra cui quella dell'edilizia, con la finalita' di coordinare le disposizioni vigente, apportando eventuali modifiche solo se strettamente necessarie a garantire coerenza logica e sistematica alla normativa. Tra le disposizioni da prendere in considerazione - ai fini del riscontro di non palese infondatezza della questione - rientra, certamente, il menzionato art. 4, legge n. 10/1977, il quale, all'ultimo comma, detta i limiti delle concessioni di edificazione. Nello specifico, come sopra piu' ampiamente illustrato, la disposizione individua, alla lettera a), il limite di cubatura (0.03 mq per area edificabile), per l'edificazione residenziale, e, alla lettera c), il limite di copertura (1/10 dell'area di proprieta'), per l'edificazione produttiva. Per come e' concepita la norma, ormai abrogata, non sussistono quindi dubbi circa l'applicabilita' in via alternativa dei due limiti. Al contrario, l'art. 9, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, consente, alla lettera b), gli interventi di nuova edificazione, nel limite della densita' massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non puo' comunque superare un decimo dell'area di proprieta', imponendo, come detto, l'applicabilita' congiunta dei limiti, per l'edificazione produttiva. La diversita' di prescrizione vincolante tra le due disposizioni sembra porsi in contrasto con le finalita' di mero riordino normativo, di cui all'art. 7, legge n. 50/1999, perche', di fatto, introduce - rispetto ai limiti fissati in via alternativa dal citato art. 4, legge n. 10/1977 - una sostanziale novella normativa che, da un lato, non trova alcuna giustificazione in chiave di coerenza logica e sistematica e, dall'altro, non e' ammissibile, atteso che la legge delega n. 50/1999 non reca sul punto i criteri direttivi e principi, indispensabili per autorizzare il Governo ad esercitare, in una data materia, il potere legislativo delegato di modifica ed integrazione. Alla luce di quanto illustrato, si prospetta il dubbio di eccesso di delega della disposizione di legge in esame, con possibile contrasto con l'art. 76 Cost. 8.3.2. - Riguardo alla violazione dell'art. 117 Cost., l'art. 4, legge n. 10/1977 prevede l'applicazione dei limiti individuati al rilascio del certificato di edificabilita', in mancanza di norme regionali e fino all'entrata in vigore di queste. Il Collegio osserva che anche il tenore della clausola di cedevolezza e' stato modificato dall'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, il quale fa ora salva, non piu' una diversa normativa regionale, ma solo "i piu' restrittivi limiti, fissati dalle leggi regionali". La piu' rigida clausola di cedevolezza appena citata appare quindi contrastante con l'art. 117, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui limita il potere legislativo delle Regioni, in merito al governo del territorio, materia di competenza concorrente. Piu' in particolare, l'art. 117, 3 comma, Cost., elenca in via tassativa le materie di competenza concorrente e affida alle Regioni la potesta' legislativa generale, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Coerentemente con la norma costituzionale appena indicata, lo stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, all'art. 2, comma 3, dispone, in sostanziale antitesi con quanto previsto dall'art. 9 in parola, che le disposizioni anche di dettaglio del testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi. La Regione Campania, in materia, e' intervenuta in due occasioni dopo l'entrata in vigore del testo unico dell'edilizia. Piu' precisamente, l'art. 38, comma 3, legge regionale 22 dicembre 2004 n. 16 dispone che, a seguito della scadenza dei vincoli di cui al comma 1 (termine quinquennale di efficacia delle previsioni PUC, che prevedono limiti edificatori), si applicano i limiti di edificabilita' previsti dalla legge regionale 20 marzo 1982, n. 17. Quest'ultima, all'art. 4, comma 1, lettera b), statuisce un limite di cubatura, pari a 0.03 mc per ogni metro quadro, per l'edificazione per scopi residenziali, mentre, al comma 2, un limite di copertura superficiaria (un ottavo dell'area di proprieta'), per i complessi produttivi. L'art. 9 della legge regionale n. 15 del 2005 ha poi inciso in senso peggiorativo su tale limite di copertura, riducendolo ad un sedicesimo. Come gia' sopra ampiamente illustrato, la legislazione regionale contempla, dunque, per gli interventi a destinazione produttiva, un limite di copertura superficiaria attualmente piu' restrittivo di quello previsto dall'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, ma alcun limite riguardo alla cubatura, quindi per questo singolo aspetto la legge regionale sarebbe piu' favorevole. Orbene, per effetto della clausola di cedevolezza che l'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 restringe alle sole norme regionali piu' restrittive, resterebbe comunque applicabile la regola del doppio limite, imposto dal legislatore statale, con violazione delle prerogative regionali. In altri termini, continuerebbero a trovare applicazione norme di dettaglio statali, in una materia concorrente, qual e' il governo del territorio, benche' la regione abbia provveduto ad emanare proprie norme. Per questo, si pongono problemi di conformita' della normativa statale al dettato di cui all'art. 117, comma 3, Cost. 8.3.3. - L'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 sembra infine violare il principio di ragionevolezza, il cui addentellato costituzionale si individua nell'art. 3 della Costituzione nonche' le garanzie previste per il diritto di proprieta' e l'iniziativa economica privata, di cui agli articoli 41 e 42 della Costituzione. Riguardo alla violazione del principio di ragionevolezza, l'applicazione congiunta dei limiti di cubatura e di superficie, infatti, sembra penalizzare oltre modo l'attivita' di produzione e di scambio di beni e servizi, perche' di fatto finisce col richiedere la disponibilita' di un'area molto estesa per consentire la costruzione di edifici dotati di una cubatura minima, idonea per svolgere qualsiasi tipo di attivita' economica. Come ben evidenziato dalla ricorrente, l'applicazione congiunta dei limiti in parola ad una superficie, ad esempio, di 1000 mq consentirebbe di realizzare un edificio, con riferimento alla superficie, di 10 metri di base e 10 metri di profondita' ma, con riferimento al volume, di soli 30 cm di altezza . La conclusione e' all'evidenza irragionevole e tale da non consentire alcuna proficua utilizzazione, in senso produttivo, dell'immobile. 8.3.4. - Anche per questo, la norma statale sembra comprimere indirettamente, ma comunque in modo significativo e non razionale, la liberta' di iniziativa economica di cui all'art. 41, comma 1, Cost., tanto piu' perche' prevede il cumulo dei limiti esclusivamente per gli edifici aventi destinazione produttiva. In tal senso, la concreta impossibilita' di realizzare una costruzione adatta allo svolgimento di un'attivita' produttiva, per effetto di restrittive previsioni legislative, rende di fatto piu' complicato lo svolgimento di iniziative imprenditoriali. 8.3.5. - Da ultimo, ma non meno rilevanti, si pongono i dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 con riferimento all'art. 42 Cost., in particolare commi 2 e 3, a fronte della significativa limitazione che si impone allo ius aedificandi connesso al diritto di proprieta'. Giova osservare che, nel caso di specie, non si versa nell'ipotesi di assenza totale di un qualsiasi strumento urbanistico ma in quella del decorso dei cinque anni dall'approvazione del PRG, senza che le prescrizioni in esso contenute abbiano trovato concreta attuazione, con la conseguenza che le stesse hanno perso efficacia, sicche' la zona nella quale ricadrebbe l'intervento (F1 - zone di uso pubblico) deve essere considerata "zona bianca" ed in quanto tale soggetta alle prescrizioni di cui all'art. 9 menzionato. E' utile sul punto ricondursi alla nota sentenza 29 maggio 1968 n. 55, con la quale la Corte costituzionale dichiaro' illegittimi gli articoli 7 e 40 della legge urbanistica (legge 17 agosto 1942, n. 1150), nel punto in cui consentivano all'autorita' urbanistica d'imporre, a tempo indeterminato, vincoli d'inedificabilita' (definitiva e in vista di una possibile futura espropriazione), senza che ai proprietari fosse dovuto alcun indennizzo. Per porre riparo alla situazione determinatasi per effetto della pronuncia della Consulta, la legge 19 novembre 1968, n. 1187 fisso' un limite di durata di cinque anni per i vincoli di piano regolatore generale (art. 2, comma 1: "Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilita', perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli predetti non puo' essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione). Ne' la situazione e' mutata, l'indomani dell'entrata in vigore della legge n. 28 gennaio 1977 n. 10 sull'edificabilita' dei suoli. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 5 del 1980, fu chiara nell'affermare che detta nuova legge continuava a riconoscere al proprietario lo ius aedificandi. Di conseguenza, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che, anche dopo la menzionata legge n. 10/1977, rimanesse in vigore il citato art. 2, comma 1, legge n. 1187/1968 (cfr., ad es., Sez. V, 30 aprile 1997 n. 411); al riguardo ha affermato che "L'inutile decorso del termine quinquennale di cui all'art. 2 della legge 19 novembre 1968 n. 1187, comporta non la reviviscenza della previgente disciplina urbanistica interessante l'area, ma l'applicazione degli standards contemplati dall'art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977 n. 10" (Sez. IV, 8 maggio 1990, n. 351). Si pone allora il dubbio se il doppio limite all'edificabilita', introdotto dal legislatore statale, abbia effetti di eccessiva compressione sulle concrete possibilita' realizzative dello ius aedificandi in spregio alle conclusioni alle quali la Corte costituzionale e' pervenuta, volte a preservare uno dei contenuti fondamentali del diritto dominicale, in quanto tali non surrettiziamente espropriabili. 9. - Alla luce di quanto sopra, attesa la rilevanza, ai fini della definizione del ricorso in epigrafe e la sua non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene necessario sottoporre alla Corte costituzionale le questioni incidentali di legittimita' costituzionale, sollevate in merito all'art. 9, comma 1, lettera b), d.lgs. n. 378/2001 e decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ai sensi dell'art. 134 Cost. e dell'art. 1, legge Cost. n. 1 del 1948. Ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge 11 marzo 1953 n. 87, il giudizio e' sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. Ai sensi dell'art. 23, comma 4, legge 11 marzo 1953 n. 87, la presente ordinanza sara' notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Appare opportuno regolare il regime delle spese processuali alla definizione del presente giudizio.