ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  10  della
legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in  materia  di  organizzazione
delle universita', di personale accademico  e  reclutamento,  nonche'
delega al Governo per incentivare  la  qualita'  e  l'efficienza  del
sistema  universitario),  promosso   dal   Tribunale   amministrativo
regionale per  l'Umbria,  nel  procedimento  vertente  tra  G.  F.  e
l'Universita' degli studi di Perugia, con  ordinanza  del  18  maggio
2015, iscritta al n. 166 del registro  ordinanze  2015  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  36,  prima   serie
speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2016  il  Giudice
relatore Giuliano Amato. 
    Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per  l'Umbria,
con ordinanza depositata il 18 maggio 2015, ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'art.  10  della  legge  30  dicembre
2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione  delle  universita',
di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per
incentivare la qualita' e l'efficienza  del  sistema  universitario),
nella parte in cui non prevede una  disciplina  transitoria  volta  a
regolare  i  procedimenti  disciplinari  nei  confronti  dei  docenti
universitari nel periodo compreso tra la soppressione del Collegio di
disciplina presso il Consiglio universitario  nazionale  (CUN)  e  la
costituzione dei nuovi organi disciplinari istituiti presso i singoli
atenei; 
    che viene denunciato il contrasto  della  disposizione  censurata
con gli artt. 3, 27, 97, 111 e 117, primo comma, della  Costituzione,
in riferimento all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all'art. 41, comma 1,
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,  proclamata
a Nizza il 7 dicembre 2000; 
    che  il  giudizio  a  quo  ha  per  oggetto  il   ricorso   volto
all'annullamento della  delibera  del  Consiglio  di  amministrazione
dell'ateneo del 18 dicembre 2014, con la quale e' stata  irrogata  al
ricorrente una sanzione disciplinare; 
    che il TAR riferisce che, nel  caso  in  esame,  il  procedimento
disciplinare e' iniziato il 28 dicembre 2011,  con  la  contestazione
dell'addebito da parte del Rettore, e si e' concluso il  18  dicembre
2014, con l'applicazione della sanzione da  parte  del  Consiglio  di
amministrazione;  ad  avviso  del  rimettente,   il   ritardo   nella
definizione del procedimento sarebbe dipeso dalla mancata previsione,
nella disposizione censurata, di una disciplina intertemporale  volta
a regolare i procedimenti disciplinari per il periodo compreso tra la
soppressione del Collegio di disciplina presso il CUN  e  l'effettiva
regolamentazione dei nuovi organi disciplinari decentrati; 
    che questo vuoto normativo  avrebbe  determinato  la  sospensione
sine  die  dei  procedimenti  disciplinari,  sino  all'istituzione  e
regolamentazione ex novo dei nuovi organi, senza tenere conto ne' del
diritto dell'incolpato alla definizione della propria posizione entro
un termine ragionevole, ne' dell'esigenza di continuita'  dell'azione
amministrativa; infatti, l'Universita' - in attuazione della legge n.
240 del 2010 - ha provveduto all'approvazione  dei  nuovi  statuti  e
all'adozione dei relativi regolamenti, ma cio' le avrebbe impedito di
definire  il  procedimento  nel  termine  perentorio  di  centottanta
giorni, di cui al comma 5 dello stesso art. 10, o comunque  entro  un
termine «prefissato e ragionevole»; 
    che,  d'altra  parte,  ad  avviso  del  TAR,  la   questione   di
legittimita' costituzionale  sarebbe  rilevante  anche  nel  giudizio
cautelare, non  potendo  la  potestas  iudicandi  ritenersi  esaurita
laddove, come nella specie, la concessione della misura cautelare sia
fondata,  quanto  al  «fumus  boni  iuris»,   sulla   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale; 
    che andrebbe, inoltre, disattesa l'eccezione di  inammissibilita'
del ricorso,  sollevata  dalla  difesa  statale,  in  relazione  alla
mancata tempestiva impugnazione della delibera 29 marzo 2011,  n.  5,
del Senato accademico, con la quale e' stata disposta la  sospensione
- sino all'effettivo insediamento del Collegio  di  disciplina  -  di
tutti i procedimenti ricadenti nel predetto vuoto normativo; infatti,
ad avviso del TAR, la lesione della  posizione  sostanziale  azionata
dal ricorrente si sarebbe realizzata, in  termini  di  concretezza  e
attualita', soltanto all'esito del procedimento disciplinare  con  il
relativo  provvedimento  conclusivo,  impugnato  unitamente  all'atto
deliberativo presupposto; 
    che,  inoltre,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  i   dubbi   di
compatibilita' costituzionale non potrebbero essere  risolti  in  via
interpretativa, atteso l'univoco  tenore  letterale  dell'abrogazione
espressa dell'art. 3 della legge 16 gennaio 2006, n. 18 (Riordino del
Consiglio universitario  nazionale);  inoltre,  la  mancanza  di  una
disciplina transitoria non consentirebbe di ritenere  l'ultrattivita'
del Collegio di disciplina presso il CUN, sebbene  questa  soluzione,
ad  avviso  del  TAR,  sia  pienamente  conforme  al   principio   di
continuita' dell'azione amministrativa; 
    che,  d'altra  parte,  l'intervento  additivo  invocato   sarebbe
ammissibile, in quanto la statuizione richiesta sarebbe  circoscritta
alla previsione della ultrattivita' del Collegio di disciplina presso
il CUN sino all'insediamento dei nuovi organi disciplinari,  al  fine
di garantire la necessaria continuita' dell'attivita' disciplinare  e
le indefettibili garanzie difensive dei docenti incolpati; 
    che  la  non  manifesta  infondatezza   della   questione   viene
ravvisata, in primo luogo, nel contrasto della lacuna normativa sopra
evidenziata con l'art. 3 Cost. e con il principio di  ragionevolezza,
in quanto tale carenza  determinerebbe  un'irragionevole  dilatazione
della  durata  dei  procedimenti  disciplinari,  dovendo   senz'altro
escludersi un'ipotesi generalizzata di non  punibilita'  disciplinare
per gli illeciti commessi nel periodo in questione; 
    che  il  rimettente  evidenzia,  inoltre,  il  contrasto  con  il
principio di buon andamento, di  cui  all'art.  97  Cost.  e  con  il
relativo corollario di  continuita'  dell'azione  amministrativa,  in
quanto    la     disposizione     censurata     non     consentirebbe
all'amministrazione  universitaria,  nel  periodo   transitorio,   di
sanzionare con la necessaria tempestivita' gli illeciti  disciplinari
commessi dal personale docente, se non mediante  la  sospensione  del
procedimento sino alla istituzione  dei  nuovi  organi  disciplinari,
cosi' di fatto interrompendo l'attivita' disciplinare; 
    che la disposizione censurata violerebbe anche l'art. 27, secondo
comma, Cost., attesa la valenza della presunzione di innocenza  anche
nell'ambito del procedimento disciplinare  dei  dipendenti  pubblici,
nonche' la difficolta' di esercitare il diritto di difesa a  distanza
di un rilevante periodo di tempo; 
    che,  ad  avviso  del  TAR,  sarebbe  ravvisabile,   infine,   la
violazione degli artt. 111 e 117, primo comma, Cost.,  in  quanto  la
mancata previsione di una disciplina transitoria e l'abnorme  ritardo
nella definizione dei  procedimenti  disciplinari  si  porrebbero  in
contrasto con il principio di "ragionevole durata" di cui all'art. 6,
paragrafo  1,  della  CEDU,  e  con  il  «[d]iritto  ad   una   buona
amministrazione»,  di  cui  all'art.  41  della  Carta  dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea, in cui e' compreso  il  diritto  di
ogni individuo a che le questioni che lo riguardano siano trattate in
modo  imparziale,  equo  ed  «entro  un  termine  ragionevole»  dalle
istituzioni e dagli organi dell'Unione; 
    che  nel  giudizio  di  costituzionalita'   e'   intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile e comunque infondata; 
    che  in  via  preliminare,  la   difesa   statale   ha   eccepito
l'inammissibilita'  della  questione  per   carenza   del   requisito
dell'autosufficienza  dell'ordinanza  di  rimessione,  in  quanto  il
giudice a quo non avrebbe indicato in modo autonomo le ragioni per le
quali nutre  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale,  essendosi
limitato ad una riproduzione acritica  delle  deduzioni  della  parte
interessata; 
    che, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, la questione
sarebbe, inoltre, inammissibile  per  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza,  in  quanto  la  necessita'  di  fare  applicazione  della
disposizione  censurata,  ai  fini  della  definizione  del  giudizio
principale,  sarebbe  motivata  attraverso  l'utilizzo  di  una  mera
formula di stile; mancherebbe,  inoltre,  uno  sforzo  interpretativo
sull'impossibilita'    di     addivenire     a     un'interpretazione
costituzionalmente conforme della norma,  con  conseguente  manifesta
inammissibilita' della questione; 
    che, sotto un diverso profilo, l'Avvocatura generale dello  Stato
eccepisce  il  difetto  del  requisito  della  rilevanza,  anche   in
considerazione dell'autonoma impugnabilita' della delibera del Senato
accademico del 29 marzo 2011, n. 5, con la quale e' stata disposta la
sospensione dei  procedimenti  disciplinari;  si  osserva,  a  questo
riguardo, che gia' al  momento  dell'adozione  del  provvedimento  di
sospensione  vi  sarebbe  stata  la  certezza  della  necessita'   di
provvedere alla costituzione dei nuovi  organismi  di  disciplina,  e
quindi la previsione del  decorso  di  un  lungo  termine,  per  dare
concreta attuazione alla riorganizzazione statutaria e regolamentare;
la lesione  della  situazione  giuridica  soggettiva  del  ricorrente
sarebbe stata - sin da allora - concreta ed attuale, con  conseguente
autonoma impugnabilita' di tale provvedimento; 
    che, nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato evidenzia  che
l'esercizio della  funzione  disciplinare  nell'ambito  del  pubblico
impiego, della magistratura e delle libere professioni si esprime con
modalita' diverse che caratterizzano i relativi procedimenti a  volte
come amministrativi, altre volte come giurisdizionali, in rispondenza
a scelte del legislatore,  la  cui  discrezionalita'  in  materia  di
responsabilita' disciplinare spazia entro un ambito molto ampio; 
    che il nuovo regime disciplinare sarebbe rispondente ai  principi
generali  del  procedimento  amministrativo  di  cui  alla  legge   7
agosto1990,  n.  241  (Nuove  norme  in   materia   di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),
che  danno   piena   attuazione   ai   principi   costituzionali   di
imparzialita' e buon andamento dell'azione amministrativa;  a  questo
riguardo,  si  osserva  che   all'interesse   del   dipendente   alla
definizione  della  propria  posizione  disciplinare  si  contrappone
necessariamente   l'interesse    dell'istituzione    pubblica    alla
salvaguardia del prestigio e della correttezza dell'attivita' propria
e dei propri componenti; 
    che, ad avviso dell'Avvocatura generale dello  Stato,  la  scelta
legislativa della sospensione del  termine  per  la  conclusione  del
procedimento disciplinare (art. 10, comma 5, della legge n.  240  del
2010) sarebbe conseguente alla  soppressione  del  CUN,  non  essendo
possibile  prevedere  un'indeterminata  ultrattivita'  dello  stesso,
nelle more della costituzione dei  vari  Collegi  di  disciplina;  in
questo modo, sarebbe stato realizzato  un  ragionevole  bilanciamento
tra  le  contrapposte   esigenze   della   celere   conclusione   del
procedimento disciplinare e dell'esercizio del potere disciplinare da
parte degli organi degli atenei. 
    Considerato  che  il  Tribunale  amministrativo   regionale   per
l'Umbria, con ordinanza depositata il 18 maggio  2015,  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge  30
dicembre 2010, n. 240  (Norme  in  materia  di  organizzazione  delle
universita', di personale accademico e reclutamento,  nonche'  delega
al Governo per incentivare la qualita'  e  l'efficienza  del  sistema
universitario),  nella  parte  in  cui  non  prevede  una  disciplina
transitoria  volta  a  regolare  i  procedimenti   disciplinari   nei
confronti dei  docenti  universitari  nel  periodo  compreso  tra  la
soppressione  del  Collegio  di  disciplina   presso   il   Consiglio
universitario nazionale (CUN) e  la  costituzione  dei  nuovi  organi
disciplinari istituiti presso i singoli atenei; 
    che viene denunciato il contrasto  della  disposizione  censurata
con gli artt. 3, 27, 97, 111 e 117, primo comma, della  Costituzione,
in riferimento all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all'art. 41, comma 1,
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,  proclamata
a Nizza il 7 dicembre 2000; 
    che,  in  via  preliminare,  va  rilevata  l'infondatezza   della
eccezione  di  inammissibilita'  della  questione,  per  difetto   di
motivazione sulla rilevanza, sollevata dall'Avvocatura generale dello
Stato; 
    che,  in  particolare,  la  difesa  statale   ha   eccepito   che
l'ordinanza di rimessione conterrebbe una riproduzione acritica delle
deduzioni della parte ricorrente e utilizzerebbe una mera formula  di
stile  per  affermare  la  necessita'  di  fare  applicazione   della
disposizione censurata; 
    che, al contrario, la motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione
espone in termini sufficientemente chiari le ragioni della necessita'
di fare applicazione della  disposizione  censurata,  ai  fini  della
definizione  del   giudizio   di   impugnazione   del   provvedimento
disciplinare; in particolare, il giudice a quo ha motivato in maniera
non implausibile in ordine alla rilevanza della questione,  sollevata
in  considerazione  della  mancata  previsione  di   una   disciplina
transitoria applicabile nel periodo compreso tra  la  abolizione  dei
precedenti organi disciplinari ed  il  perfezionamento  dell'iter  di
approvazione  delle  prescritte  modifiche   statutarie,   necessarie
all'insediamento dei nuovi organi; 
    che cio' appare sufficiente per respingere l'eccezione in  esame,
«[...] non potendosi procedere,  in  questa  sede,  ad  un  sindacato
(diverso dal controllo esterno) sul giudizio di  rilevanza,  espresso
dall'ordinanza di rimessione in modo non implausibile (v. per  tutte,
sentenza n. 286 del 1997) e con motivazione  tutt'altro  che  carente
(v. ordinanza n. 62 del 1997)» (sentenza n. 179 del 1999); 
    che,  inoltre,  la   difesa   statale   ha   dedotto   l'autonoma
impugnabilita' della delibera del  Senato  accademico  del  29  marzo
2011, n. 5,  con  la  quale  e'  stato  disposto  che  -  nelle  more
dell'istituzione del Collegio di  disciplina  -  il  Rettore  proceda
comunque alle eventuali contestazioni degli addebiti, contestualmente
sospendendo l'iter dei procedimenti disciplinari; 
    che, tuttavia, la richiamata delibera del  Senato  accademico  e'
stata  adottata  in  epoca  antecedente  all'avvio  del  procedimento
disciplinare  nei  confronti  dell'odierno  ricorrente;   l'atto   in
questione, quindi, non potrebbe ritenersi  autonomamente  impugnabile
ed il ricorrente, nel caso di  specie,  lo  ha  impugnato  come  atto
presupposto  di  quelli   successivi,   attinenti   il   procedimento
disciplinare che lo riguarda; 
    che, d'altra  parte,  la  questione  risulta  inammissibile,  per
difetto di rilevanza, sotto un profilo diverso da quello  evidenziato
dalla difesa statale; 
    che,  in  particolare,  il  petitum  del  rimettente  e'   volto,
attraverso la invocata  ultrattivita'  della  precedente  disciplina,
alla  temporanea  riattribuzione  della  funzione   disciplinare   al
Collegio di disciplina istituito presso il CUN; 
    che, tuttavia, tale diversa  distribuzione  delle  competenze  in
materia disciplinare - ancorche' astrattamente idonea  a  determinare
l'annullamento dell'atto per incompetenza dell'autorita'  che  lo  ha
adottato - appare estranea all'oggetto del giudizio a quo, in cui non
e' stato denunciato alcun vizio dell'atto attinente  alla  competenza
dell'autorita' che lo ha emanato,  essendo  viceversa  contestata  la
carenza di potere di tale autorita',  in  quanto  la  stessa  sarebbe
decaduta  dal  potere  di  esercitare  l'azione   disciplinare,   per
l'intervenuto decorso del termine di estinzione del procedimento; 
    che, inoltre, il petitum formulato dal rimettente determinerebbe,
paradossalmente, un  prolungamento  del  procedimento,  che  dovrebbe
essere rinnovato con la  riattivazione  del  Collegio  di  disciplina
istituito presso il CUN, in un contesto procedimentale caratterizzato
da gravi incertezze operative,  sia  perche'  destinato  a  svolgersi
dinanzi ad un organo che ha perduto da tempo tale  attribuzione,  sia
perche'  si  determinerebbe  la  temporanea   coesistenza   di   fasi
procedimentali regolate  dalla  legge  n.  240  del  2010,  ed  altre
disciplinate dalla precedente legge 16 gennaio 2006, n. 18  (Riordino
del Consiglio universitario nazionale),  in  evidente  contraddizione
con  le  finalita'  di  ripristino  della  legalita'   costituzionale
dichiaratamente perseguite dall'ordinanza di rimessione; 
    che  tale  contraddittorieta'  del   petitum   appare   tale   da
determinare  l'inammissibilita'  della  questione   di   legittimita'
costituzionale; 
    che va, infine, rilevato che l'Universita' resistente ha ritenuto
di ovviare alla carenza di una disciplina transitoria nella legge  n.
240 del  2010  mediante  un'interpretazione  estensiva  dell'istituto
della sospensione del termine di estinzione del procedimento, di  cui
al comma 5 dello stesso art.  10;  tale  disposizione  -  dopo  avere
stabilito che  il  procedimento  disciplinare  si  estingue,  ove  la
decisione non intervenga nel termine di centottanta giorni dalla data
di avvio del procedimento stesso - prevede la possibilita' che  detto
termine sia sospeso; 
    che l'ambito applicativo della sospensione viene  delimitato  sul
piano temporale «fino alla ricostituzione del collegio di  disciplina
ovvero del consiglio di amministrazione» e sul piano  oggettivo,  con
riferimento al «caso in cui siano in corso le operazioni  preordinate
alla  formazione  dello  stesso  che  ne  impediscono   il   regolare
funzionamento»; 
    che,  anche  a  prescindere  dalla   legittimita'   del   ricorso
all'interpretazione analogica, tenuto conto del carattere derogatorio
della previsione  della  sospensione,  va  rilevato  che,  in  questa
prospettiva, la denunciata lesione del diritto dell'incolpato  a  una
pronuncia entro tempi certi e  ragionevoli  non  discenderebbe  dalla
denunciata   assenza   di   una   disciplina   transitoria,    bensi'
dall'estensione dell'ambito applicativo della  sospensione;  infatti,
la garanzia del diritto dell'incolpato alla sollecita definizione del
procedimento e' affidata proprio alla previsione di termini certi; 
    che, pertanto, le censure del  rimettente  non  avrebbero  dovuto
appuntarsi  sulla  mancanza  della  disciplina  transitoria,   bensi'
sull'estensione delle cause di sospensione  del  termine  di  cui  al
comma 5 dell'art. 10 della legge n. 240 del 2010; 
    che la inesatta individuazione della disposizione da sottoporre a
scrutinio di costituzionalita' costituisce  un  ulteriore  motivo  di
inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  avanti  alla
Corte costituzionale.