ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
16 settembre 2015, relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art.
68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal sen.
Roberto Calderoli  nei  confronti  dell'on.  Cecile  Kyenge  Kashetu,
promosso dal Tribunale ordinario di Bergamo, con  ricorso  depositato
in cancelleria il 29 gennaio 2016 ed iscritto al n.  3  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2016, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 18  maggio  2016  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il  29  gennaio  2016,  il
Tribunale ordinario di Bergamo ha promosso conflitto di  attribuzione
tra poteri dello Stato nei confronti  del  Senato  della  Repubblica,
chiedendo a questa Corte di dichiarare che  non  spettava  al  Senato
della Repubblica di affermare, con  deliberazione  del  16  settembre
2015 (Doc. IV-ter, n. 4), che le dichiarazioni rese dal sen.  Roberto
Calderoli nei confronti dell'on. Cecile Kyenge Kashetu, all'epoca dei
fatti Ministro per l'integrazione, concernono opinioni espresse da un
membro del Parlamento nell'esercizio delle sue  funzioni,  come  tali
insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione,
e di annullare conseguentemente la predetta deliberazione del  Senato
della Repubblica; 
    che il ricorrente premette di essere investito  del  procedimento
penale nei confronti del sen. Roberto Calderoli, imputato  del  reato
previsto e punito dagli artt. 595, terzo comma, del codice penale,  e
3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122 (Misure urgenti in materia
di discriminazione razziale, etnica  e  religiosa),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993,  n.  205,  perche',  «alla
presenza di una vasta platea di circa  1.500  spettatori  durante  un
comizio tenutosi alla festa indetta dalla Lega  Nord»  il  13  luglio
2013 presso Treviglio, offendeva l'onore e il decoro del Ministro per
l'integrazione pro tempore, assimilando l'on. Kyenge a un orango; 
    che, secondo il  ricorrente,  vi  sarebbe  l'aggravante  di  aver
recato  offesa  mediante  comizio,   quale   particolare   mezzo   di
pubblicita',  e  di  aver  commesso  il  fatto   per   finalita'   di
discriminazione razziale; 
    che  le  frasi  utilizzate  dal  sen.  Calderoli,  analiticamente
riportate  nell'atto  introduttivo  del  giudizio,  sono  state   poi
ampiamente diffuse da organi di stampa a tiratura nazionale; 
    che,  con  votazioni  per  parti  separate,   il   Senato   della
Repubblica, nella  seduta  del  16  settembre  2015,  esprimeva  voto
favorevole  alla  relazione  della  Giunta  delle  elezioni  e  delle
immunita'  parlamentari  sull'insindacabilita'  del  fatto  ai  sensi
dell'art.  3  del  d.l.  n.  122   del   1993,   e   voto   contrario
sull'insindacabilita' del fatto ai sensi dell'art. 595, terzo  comma,
cod. pen.; 
    che, secondo il Tribunale ricorrente, compito  delle  Camere,  ai
sensi degli artt. 68, primo comma, Cost. e 4 della  legge  20  giugno
2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione  dell'articolo  68  della
Costituzione nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti
delle alte cariche dello Stato),  sarebbe  esclusivamente  quello  di
valutare la sussistenza o meno del nesso tra  opinioni  espresse  dal
parlamentare ed esercizio delle  relative  funzioni,  mentre  sarebbe
riservata alla giurisdizione la «qualificazione giuridica del fatto»; 
    che il Senato della Repubblica, «ritenendo la sindacabilita'  del
reato-base  e  l'insindacabilita'  della   circostanza   aggravante»,
avrebbe quindi invaso un «settore riservato alla giurisdizione»; 
    che, in ogni caso,  le  dichiarazioni  oggetto  del  procedimento
penale non sarebbero coperte dalla guarentigia di  cui  all'art.  68,
primo  comma,  Cost.  -  come,  invece,  ritenuto  dal  Senato  della
Repubblica  -  non  potendosi  individuare   uno   specifico   «nesso
funzionale» tra le dichiarazioni  rese  extra  moenia  e  l'attivita'
parlamentare,  ravvisabile  solo  quando  sussista  una  «sostanziale
identita'   di   contenuto»   tra   l'atto   parlamentare   e   detta
manifestazione di pensiero; 
    che, in particolare, le dichiarazioni extra  moenia  oggetto  del
presente conflitto non potrebbero ritenersi funzionalmente  collegate
ai due atti di sindacato ispettivo richiamati nella  relazione  della
Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari (atto n. 4-00166
del 14 maggio 2013 e atto n. 4-00324 del 6 giugno 2013), nei quali si
contestava   la   definizione   operata   dall'on.    Kyenge    della
clandestinita'  come  «non  reato»,  qualificandola  piuttosto   come
«un'istigazione a delinquere  in  nome  della  rivendicazione  di  un
diritto inesistente»; 
    che «l'assimilazione di una signora di colore ad un orango» da un
lato giustificherebbe  in  astratto  la  contestazione  della  natura
razzista dell'insulto e dall'altro  ne  escluderebbe  ogni  possibile
collegamento con qualsiasi attivita' parlamentare; 
    che le dichiarazioni  in  discussione  non  potrebbero  ritenersi
neppure vagamente attinenti ad un contesto politico, dovendo in  ogni
caso  la  cognizione  in  merito  alla  loro  effettiva  idoneita'  a
integrare o meno il delitto in contestazione essere riservata,  anche
in forza di precetti  costituzionali  (artt.  27,  101  e  102  della
Costituzione), all'autorita' giudiziaria ordinaria; 
    che, infine, sussisterebbero sia  i  presupposti  soggettivi  del
conflitto - essendo il Tribunale competente a decidere  sull'asserita
illiceita' delle condotte oggetto di contestazione in sede  penale  -
sia i presupposti oggettivi,  lamentando  il  ricorrente  la  lesione
della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita, in
conseguenza della deliberazione del Senato della Repubblica. 
    Considerato che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'
chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), a delibare, senza contraddittorio,  in  ordine
all'ammissibilita' del conflitto di attribuzione,  sotto  il  profilo
della ricorrenza della «materia di un conflitto  la  cui  risoluzione
spetti  alla  sua  competenza»  e  della  sussistenza  dei  requisiti
soggettivo  ed  oggettivo,  restando  impregiudicata  ogni  ulteriore
questione, anche in punto di ammissibilita'; 
    che, a tale fine, non rileva la  forma  dell'ordinanza  rivestita
dall'atto  introduttivo,  bensi'  la  sua  rispondenza  ai  contenuti
richiesti dall'art. 37 della legge n. 87 del  1953  e  dall'art.  24,
comma 1, delle norme integrative per i  giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale (ex plurimis: sentenza n. 315 del 2006;  ordinanze  n.
91 del 2016, n. 271 e 161 del 2014, n. 296 e 151 del 2013); 
    che, sotto il profilo del requisito soggettivo,  va  riconosciuta
la legittimazione del Tribunale ordinario  di  Bergamo  a  promuovere
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,  in  quanto  organo
giurisdizionale,  in  posizione  di  indipendenza  costituzionalmente
garantita, competente a dichiarare definitivamente  la  volonta'  del
potere cui appartiene nell'esercizio delle funzioni attribuitegli; 
    che, allo stesso modo, deve essere riconosciuta la legittimazione
del Senato della Repubblica ad essere parte del  presente  conflitto,
quale organo competente a dichiarare in modo  definitivo  la  propria
volonta' in ordine  all'applicabilita'  dell'art.  68,  primo  comma,
della Costituzione; 
    che, per quanto  attiene  al  profilo  oggettivo,  il  ricorrente
lamenta l'invasione della propria sfera di competenza, in  quanto  il
Senato della  Repubblica  avrebbe  proceduto  ad  una  qualificazione
giuridica del fatto, «ritenendo la sindacabilita'  del  reato-base  e
l'insindacabilita' della circostanza aggravante»; 
    che, sempre con riguardo  al  profilo  oggettivo,  il  ricorrente
lamenta, altresi', la lesione della propria  sfera  di  attribuzione,
costituzionalmente garantita, in conseguenza di un esercizio ritenuto
illegittimo, per inesistenza dei  relativi  presupposti,  del  potere
spettante al Senato della Repubblica di dichiarare l'insindacabilita'
delle opinioni espresse da un membro di quel ramo del  Parlamento  ai
sensi dell'art. 68, primo comma, Cost.; 
    che, dunque, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione
spetta alla competenza di questa Corte (da ultimo,  ordinanze  n.  91
del 2016, n. 286, 161, 150 e 53 del 2014).