ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  comma
5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni  urgenti  per
la  stabilizzazione  finanziaria),  convertito,  con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011,  n.  111,  promosso
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione  Lazio,
nel procedimento vertente  tra  S.P.  e  l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 24 marzo  2014,  iscritta
al n. 131 del registro ordinanze 2014  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 36,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2014. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  31  maggio  2016  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Filippo Mangiapane per l'INPS e l'avvocato dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 24 marzo  2014,  iscritta  al  n.  131  del
registro ordinanze 2014, la Corte dei conti, sezione  giurisdizionale
per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, ha sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della  Costituzione,  questione
di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   18,   comma   5,   del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111. 
    La disposizione censurata prevede che «Con effetto sulle pensioni
decorrenti dal 1° gennaio 2012 l'aliquota percentuale della  pensione
a favore dei superstiti di assicurato e  pensionato  nell'ambito  del
regime  dell'assicurazione  generale  obbligatoria  e   delle   forme
esclusive o sostitutive  di  detto  regime,  nonche'  della  gestione
separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto  1995,
n. 335, e' ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante  causa
sia stato contratto ad eta' del medesimo superiori a settanta anni  e
la differenza di eta' tra i coniugi sia superiore a venti  anni,  del
10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa
mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione  di  anno  la
predetta riduzione percentuale e' proporzionalmente rideterminata. Le
disposizioni di cui al presente comma non si applicano  nei  casi  di
presenza di figli di minore eta',  studenti,  ovvero  inabili.  Resta
fermo il regime di cumulabilita' disciplinato dall'articolo 1,  comma
41, della predetta legge n. 335 del 1995». 
    1.1.- Il  giudice  rimettente  espone  di  dover  decidere  sulla
domanda di S.P.,  coniuge  superstite  di  un  titolare  di  pensione
diretta, che ha chiesto il riconoscimento del diritto di percepire la
pensione di reversibilita', senza la decurtazione percentuale sancita
dalla disposizione impugnata, e la conseguente condanna dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS) a  rideterminare  l'importo
della pensione, con interessi e rivalutazione monetaria. 
    In punto  di  rilevanza,  il  giudice  a  quo  evidenzia  che  la
disposizione censurata  si  applica  ratione  temporis  alla  vicenda
controversa e non si presta a un'interpretazione compatibile  con  il
dettato costituzionale: la parte ricorrente nel  giudizio  principale
ha sposato un uomo, che ha superato i  settant'anni,  il  divario  di
eta' tra i coniugi e' superiore a vent'anni e, pertanto, ricorrono  i
presupposti per procedere alla decurtazione di legge. 
    1.2.-  Con  riguardo  alla  non  manifesta   infondatezza   della
questione di costituzionalita', il giudice a quo disattende, in primo
luogo, gli argomenti della parte intervenuta, volti a  equiparare  il
matrimonio alla convivenza more uxorio,  che,  nel  caso  di  specie,
aveva preceduto il matrimonio. 
    Il  giudice  rimettente  assume  che  la   disciplina   impugnata
contrasti con l'art. 29 Cost., in  quanto  le  decurtazioni  previste
dalla  legge  pregiudicano  la  possibilita'  di  condurre  una  vita
dignitosa dopo la morte del coniuge e violano cosi'  la  liberta'  di
compiere scelte personali in ambito familiare. 
    Inoltre,  la  misura  restrittiva  adottata  dal  legislatore  si
porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto un  duplice  profilo:
le  decurtazioni  previste  sarebbero   innanzitutto   irragionevoli,
perche' legate  a  fattori  futuri,  incerti,  estranei  alle  regole
dell'istituto  della  pensione  di  reversibilita'  (la  durata   del
matrimonio, l'eta' del coniuge pensionato). In  secondo  luogo,  esse
sarebbero  lesive  dell'eguaglianza  tra  i  coniugi,   discriminando
arbitrariamente  -  quanto   alla   garanzia   di   continuita'   del
sostentamento - il coniuge superstite,  «apoditticamente  individuato
nel piu' giovane». 
    Ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  disciplina  in  esame,
destinata  a  tradursi  in  una  misura  sprovvista  di  ogni  limite
temporale e di ogni legame con  le  contingenti  esigenze  di  natura
finanziaria, lederebbe anche i principi consacrati dagli artt.  36  e
38 della Carta fondamentale. 
    Essa,  difatti,  determinerebbe  un'irragionevole  e   definitiva
riduzione  della  pensione,  "retribuzione   differita",   che,   nel
necessario bilanciamento con le  concrete  e  attuali  disponibilita'
delle risorse finanziarie, deve essere proporzionata alla qualita'  e
alla quantita' del lavoro prestato e deve assicurare al lavoratore  e
alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa e una  vecchiaia  nella
quale non manchino i mezzi adeguati a un dignitoso sostentamento. 
    2.- Con memoria del 6 agosto 2014, si e' costituito  in  giudizio
l'INPS, limitandosi a chiedere  di  dichiarare  inammissibile  o,  in
subordine, infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  e
riservandosi di meglio articolare in seguito deduzioni e difese. 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri, con memoria depositata il 16 settembre 2014, e  ha  chiesto
di dichiarare inammissibile o  comunque  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    La difesa dello Stato  reputa  la  questione  inammissibile,  per
difetto  di  chiarezza  e  di  univocita'  della  prospettazione:  la
disposizione  riguarderebbe  tutti   i   trattamenti   pensionistici,
pubblici e privati, e, pertanto, non sarebbe intelligibile la censura
di violazione dell'art. 3 Cost., soprattutto in considerazione  della
peculiarita' della fattispecie e della  finalita'  di  reprimere  gli
abusi ai danni delle persone anziane. 
    La questione sarebbe comunque infondata, poiche' la  liberta'  di
sposarsi  non  puo'  ritenersi  condizionata  dalla  possibilita'  di
beneficiare del trattamento di reversibilita'. 
    Sarebbero prive di pregio anche le censure  di  violazione  degli
artt. 36 e 38 Cost.. Sarebbe conforme ai principi costituzionali  una
disciplina suscettibile di incidere su trattamenti pensionistici  del
tutto eventuali, come la pensione di reversibilita', in forza di  una
disciplina dell'ammontare di tali trattamenti, rispettosa del  canone
di ragionevolezza. 
    Peraltro, l'accoglimento  della  questione  di  costituzionalita'
produrrebbe effetti negativi per la finanza, secondo quanto si evince
dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge  di  conversione
del d.l. n. 98 del 2011. 
    4.- In prossimita' dell'udienza, l'INPS ha depositato una memoria
illustrativa e ha ribadito, con argomentazioni piu' approfondite,  le
conclusioni gia' svolte. 
    L'INPS ha eccepito l'inammissibilita' della questione per difetto
di  rilevanza,  addebitando  al  giudice  rimettente  di  non   avere
adeguatamente chiarito se l'applicazione letterale  della  norma  sia
davvero in conflitto con i precetti costituzionali evocati e  se  una
pronuncia di accoglimento sia effettivamente idonea  a  «ripristinare
il bene della vita» richiesto dalla parte ricorrente. 
    La  norma  impugnata  -  argomenta  l'INPS  -  e'  successiva  al
matrimonio della ricorrente, che, pertanto, non ha visto pregiudicata
la sua liberta' di autodeterminazione. 
    Ad avviso dell'INPS, il giudice  rimettente  non  ha  specificato
come la riduzione del trattamento pensionistico, nel caso di  specie,
comprometta il diritto a condurre un'esistenza libera e dignitosa. 
    L'INPS sostiene che il  giudice  rimettente  abbia  sollevato  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  «a  tutela   non   tanto
dell'interesse specifico presuntivamente leso  dal  provvedimento  di
liquidazione della pensione, ma con il fine di far valere un generale
principio di intangibilita' del quantum delle pensioni ai  superstiti
a  beneficio  della  generalita'  dei  potenziali  percettori   delle
prestazioni». 
    La questione di  legittimita'  costituzionale,  inoltre,  sarebbe
manifestamente infondata: le censure  si  appunterebbero  contro  una
disciplina adottata in una grave congiuntura di crisi finanziaria, al
precipuo   scopo   di   conseguire    l'equilibrio    di    bilancio,
costituzionalmente imposto (art. 81 Cost.). 
    Peraltro,  il  giudice   a   quo   non   avrebbe   tenuto   conto
dell'evoluzione dell'istituto della pensione di  reversibilita',  che
ha perso la connotazione alimentare e assistenziale, per acquisire la
valenza di  trattamento  integrativo  del  reddito  da  lavoro  o  da
pensione del familiare superstite. 
    Contro la fondatezza della  questione  deporrebbe  la  diversita'
delle norme gia' dichiarate incostituzionali rispetto alla disciplina
sottoposta all'odierno vaglio della Corte, che non elimina in  radice
la pensione di reversibilita', ma riduce progressivamente  l'aliquota
e prevede taluni correttivi a  fronte  di  situazioni  meritevoli  di
tutela (la presenza di figli minori, studenti o inabili). 
    L'esigenza di considerare la durata del matrimonio, alla  stregua
di quel che avviene per la pensione di reversibilita'  attribuita  al
coniuge divorziato, non  vanificherebbe  la  funzione  solidaristica,
insita nella pensione di reversibilita'. 
    Quanto al  trattamento  deteriore  del  coniuge  superstite  piu'
giovane rispetto al privilegio accordato al coniuge  superstite  piu'
anziano, l'INPS nega che le due fattispecie possano  essere  poste  a
raffronto e osserva che, nell'ipotesi marginale di sopravvivenza  del
coniuge piu' anziano, questi non potrebbe giovarsi per lungo tempo di
tale posizione di favore. 
    La disposizione impugnata, approvata allo scopo di  salvaguardare
la tenuta dei conti pubblici e di razionalizzare l'assetto  normativo
delle pensioni di reversibilita', non limiterebbe in  alcun  modo  la
liberta' di matrimonio, ma si prefiggerebbe di tutelarla da propositi
venali e fraudolenti. 
    Pertanto, la disciplina in esame, espressione  del  principio  di
solidarieta' coniugale, non  istituirebbe  arbitrarie  disparita'  di
trattamento e sarebbe immune dai vizi di legittimita'  costituzionale
denunciati dal giudice rimettente. 
    5.- All'udienza pubblica del  31  maggio  2016,  le  parti  hanno
ribadito le conclusioni gia' rassegnate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- L'art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  15
luglio  2011,  n.  111,  prevede  che  «Con  effetto  sulle  pensioni
decorrenti dal 1° gennaio 2012 l'aliquota percentuale della  pensione
a favore dei superstiti di assicurato e  pensionato  nell'ambito  del
regime  dell'assicurazione  generale  obbligatoria  e   delle   forme
esclusive o sostitutive  di  detto  regime,  nonche'  della  gestione
separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto  1995,
n. 335, e' ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante  causa
sia stato contratto ad eta' del medesimo superiori a settanta anni  e
la differenza di eta' tra i coniugi sia superiore a venti  anni,  del
10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa
mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione  di  anno  la
predetta riduzione percentuale e' proporzionalmente rideterminata. Le
disposizioni di cui al presente comma non si applicano  nei  casi  di
presenza di figli di minore eta',  studenti,  ovvero  inabili.  Resta
fermo il regime di cumulabilita' disciplinato dall'articolo 1,  comma
41, della predetta legge n. 335 del 1995». 
    La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio,
giudice   unico   delle   pensioni,   dubita    della    legittimita'
costituzionale di tale normativa, in riferimento agli artt. 3, 29, 36
e 38 della Costituzione. 
    Il giudice rimettente ravvisa un contrasto con  l'art.  3  Cost.,
sotto  il  duplice   profilo   della   violazione   del   canone   di
ragionevolezza e del principio di eguaglianza. 
    La disciplina del trattamento di reversibilita',  introdotta  nel
2011,  stabilirebbe  decurtazioni  «irrazionali   e   irragionevoli»,
«collegate a meri fattori futuri, incerti e sicuramente estranei alle
regole proprie dell'istituto "pensione di  reversibilita'"  quali  la
durata del matrimonio e l'eta' del coniuge pensionato, in assoluto  e
relativamente a quella dell'altro coniuge». 
    Inoltre, la disciplina  sottoposta  al  vaglio  di  questa  Corte
sarebbe lesiva del principio di eguaglianza tra i coniugi,  «operando
nei confronti del coniuge superstite (apoditticamente individuato nel
piu' giovane) un palese "vulnus" del suo diritto a quella garanzia di
continuita' nel sostentamento ai superstiti, riconosciuta dalla Corte
nella sentenza n. 286/1987». 
    Il giudice  rimettente  ritiene  che  la  disposizione  impugnata
confligga  con  l'art.  29  Cost.:  sarebbe  limitata  «la   liberta'
dell'individuo ad operare le scelte piu'  intime  e  personali  della
propria esistenza», in virtu' dell'introduzione di «elementi  esterni
fortemente  incidenti   sulla   sua   capacita'   di   determinazione
familiare». 
    In   particolare,   l'individuo   sarebbe   posto    di    fronte
all'alternativa «di formare un nucleo familiare secondo la piu' ampia
accezione di liberta' oppure non accedervi nella consapevolezza che a
quel nucleo non potra', di fronte all'evento  morte,  assicurare  una
vita dignitosa a causa delle decurtazioni volute dalla disciplina  in
esame». 
    Il giudice rimettente prospetta anche la violazione  degli  artt.
36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.: la decurtazione  imposta
dalla legge, suscettibile di configurare  una  misura  sprovvista  di
ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di
natura  finanziaria,  determinerebbe  un'irragionevole  e  definitiva
riduzione della pensione,  che  si  caratterizza  come  "retribuzione
differita", pur nell'indispensabile bilanciamento con le  concrete  e
attuali disponibilita' delle risorse finanziarie. 
    La disposizione  censurata  contrasterebbe  con  i  principi  che
sanciscono la proporzione del trattamento pensionistico alla qualita'
e alla quantita' del lavoro prestato e  l'idoneita'  a  garantire  al
lavoratore e alla famiglia un'esistenza  libera  e  dignitosa  e  una
vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un  altrettanto
dignitoso sostentamento. 
    2.- La questione, posta dalla Corte dei conti,  si  sottrae  alle
eccezioni  di  inammissibilita',   formulate   in   via   preliminare
dall'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS)  e  dalla
difesa dello Stato. 
    2.1.- Quanto al difetto di rilevanza, eccepito dall'INPS,  e'  la
stessa  difesa  dell'ente  previdenziale   a   riconoscere   che   la
disposizione impugnata si  applica  al  caso  di  specie,  in  quanto
riguarda pensioni di reversibilita' che decorrono dal 1° gennaio 2012
e il diritto della ricorrente e' sorto in data successiva. 
    L'applicabilita' della disposizione  al  giudizio  principale  e'
sufficiente a radicare la rilevanza della questione, che non  postula
un sindacato piu'  incisivo  sul  concreto  pregiudizio  ai  principi
costituzionali coinvolti. 
    La questione di costituzionalita' non puo' dirsi irrilevante, sul
presupposto  che,  nella  vicenda  specifica,  l'applicazione   della
disposizione impugnata non abbia  messo  a  repentaglio  la  liberta'
matrimoniale,  poiche'  il  matrimonio  e'  stato   celebrato   prima
dell'entrata in vigore  della  legge  del  2011,  o  non  pregiudichi
l'adeguatezza  della  tutela  previdenziale  accordata   al   coniuge
superstite, gia' provvisto di  mezzi  sufficienti.  Tali  valutazioni
esulano dal sindacato sulla rilevanza richiesto a questa Corte. 
    2.2.- Anche le eccezioni  mosse  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  relative  alla  carente  illustrazione  della  non  manifesta
infondatezza, devono essere disattese. 
    Il giudice rimettente si sofferma, con argomentazioni  esaustive,
sulle  ragioni  del  contrasto  della  disciplina  censurata  con  il
principio di eguaglianza  e  con  il  canone  di  ragionevolezza.  E'
ininfluente  che  la  disciplina   riguardi   tutti   i   trattamenti
pensionistici e si riprometta di contrastare taluni abusi, in  quanto
il giudice a quo coglie la violazione del principio di eguaglianza  e
del canone di ragionevolezza sotto profili differenti. 
    3.- La questione e' fondata. 
    3.1.- L'ordinamento configura la pensione di reversibilita'  come
«una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il
perseguimento dell'interesse della collettivita' alla liberazione  di
ogni  cittadino  dal  bisogno  ed  alla  garanzia  di  quelle  minime
condizioni economiche e sociali che consentono l'effettivo  godimento
dei  diritti  civili  e  politici  (art.  3,  secondo  comma,   della
Costituzione) con una  riserva,  costituzionalmente  riconosciuta,  a
favore del lavoratore, di  un  trattamento  preferenziale  (art.  38,
secondo comma, della  Costituzione)  rispetto  alla  generalita'  dei
cittadini (art. 38, primo comma, della  Costituzione)»  (sentenza  n.
286 del 1987, punto 3.2. del Considerato in diritto). 
    In virtu' di tale connotazione previdenziale, il  trattamento  di
reversibilita' si colloca nell'alveo degli artt. 36, primo  comma,  e
38,  secondo  comma,  della  Carta  fondamentale,   che   prescrivono
l'adeguatezza  della  pensione   quale   retribuzione   differita   e
l'idoneita' della stessa a garantire un'esistenza libera e dignitosa. 
    3.2.-  Nella  pensione  di  reversibilita'  erogata  al   coniuge
superstite, la finalita' previdenziale si  raccorda  a  un  peculiare
fondamento solidaristico. 
    Tale prestazione, difatti, mira a  tutelare  la  continuita'  del
sostentamento (sentenza n. 777 del 1988, punto 2. del Considerato  in
diritto) e a prevenire lo stato di bisogno che  puo'  derivare  dalla
morte del coniuge (sentenze n. 18 del 1998, punto 5. del  Considerato
in diritto, e n. 926 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto). 
    Il perdurare del vincolo di solidarieta' coniugale, che  proietta
la sua forza cogente anche nel tempo successivo  alla  morte,  assume
queste  precise  caratteristiche,  avallate   da   plurimi   principi
costituzionali (sentenze n. 419 del 1999, punto 2.1. del  Considerato
in diritto, e n. 70 del 1999, punto 3. del Considerato in diritto). 
    Lo  stesso  fondamento  solidaristico,  che  il  legislatore   e'
chiamato a specificare  e  a  modulare  nelle  multiformi  situazioni
meritevoli di tutela, in modo coerente con i principi di  eguaglianza
e ragionevolezza, permea l'istituto anche nelle sue applicazioni piu'
recenti  alle  unioni  civili,  in  forza  della  clausola   generale
dell'art.  1,  comma  20,  della  legge  20  maggio   2016,   n.   76
(Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso  sesso
e disciplina delle convivenze). 
    In un ambito  che  interseca  scelte  eminentemente  personali  e
liberta' intangibili, i  principi  di  eguaglianza  e  ragionevolezza
rivestono  un  ruolo   cruciale   nell'orientare   l'intervento   del
legislatore. Quest'ultimo, vincolato a garantire  un'adeguata  tutela
previdenziale,  per  un   verso   non   deve   interferire   con   le
determinazioni dei singoli che, anche in eta' avanzata, ricercano una
piena realizzazione della propria sfera affettiva e, per altro verso,
e' chiamato a realizzare un equilibrato contemperamento di molteplici
fattori rilevanti, allo scopo  di  garantire  l'assetto  del  sistema
previdenziale globalmente inteso. 
    Nel contesto di tali  fattori,  alla  direttrice  gia'  tracciata
dalla disciplina di cui all'art. 1, comma 41, della  legge  8  agosto
1995, n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico  obbligatorio  e
complementare),   che   riduce   percentualmente   l'ammontare    del
trattamento  di  reversibilita'  nell'ipotesi  di  concorso  di  piu'
beneficiari e di  cumulo  dei  redditi,  si  potrebbe  affiancare  il
complementare criterio selettivo dell'eta' del coniuge  beneficiario,
sperimentato in altri ordinamenti, anche allo scopo  di  contenimento
delle erogazioni previdenziali, come si evince dalle note informative
sintetiche  elaborate,  nel   corso   del   dibattito   parlamentare,
dall'Ufficio legislazione straniera  del  Servizio  Biblioteca  della
Camera dei deputati (XVI Legislatura, Atto Camera n. 1847 e abb.). 
    4.-  Nonostante  i  temperamenti  che  il  sistema  previdenziale
predispone, la disposizione impugnata si rivela disarmonica  rispetto
ai principi costituzionali enunciati. 
    4.1.- L'art. 18, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011 si inquadra  in
una manovra  di  stabilizzazione  finanziaria  che  include  svariati
provvedimenti di contenimento  della  spesa  previdenziale,  come  il
progressivo  innalzamento  dell'eta'  pensionabile  delle  donne  nel
settore privato, le modifiche del meccanismo di indicizzazione  delle
pensioni, il contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici
piu' cospicui, le misure di riduzione del contenzioso in  materia  di
invalidita' civile mediante forme di accertamento tecnico  preventivo
obbligatorio. 
    La disposizione, adottata sotto l'incalzare di  una  «particolare
congiuntura economica internazionale», che ha precluso  l'esame  piu'
approfondito delle «spesso assai delicate e complesse questioni poste
dall'articolato»  (parere  espresso  il  14  luglio  2011   dalla   I
Commissione permanente della  Camera,  Affari  costituzionali,  della
Presidenza del Consiglio e interni), mutua numerosi  elementi  da  un
disegno di legge gia' in discussione al Parlamento (XVI  Legislatura,
Atto Camera n. 4150, proposta di legge presentata l'8 marzo 2011). 
    Il disegno  di  legge  escludeva  il  diritto  alla  pensione  di
reversibilita' nell'ipotesi di  eta'  avanzata  di  uno  dei  coniugi
(settant'anni),  di  elevata  differenza  di  eta'  tra  i   coniugi,
superiore a vent'anni, e di durata del  matrimonio  inferiore  a  tre
anni. Nella  relazione  di  accompagnamento,  si  stigmatizzava  come
"malcostume"  l'attribuzione  delle  pensioni  di  reversibilita'  «a
persone che non ne avrebbero, sul piano morale, diritto» e si  poneva
in risalto l'obiettivo di arginare  il  fenomeno  dei  matrimoni  "di
comodo". 
    La    disposizione    censurata    nell'odierno    giudizio    di
costituzionalita' tempera  l'assolutezza  della  previsione  di  tale
disegno di legge con alcuni correttivi: la pensione di reversibilita'
non e' eliminata in radice, ma e' ridotta in una misura modulata  del
«10 per cento in ragione di ogni anno  di  matrimonio  con  il  dante
causa mancante rispetto al numero di  10».  La  riduzione  non  opera
quando vi siano figli minori, studenti o inabili. 
    4.2.- La ratio della misura restrittiva risiede nella presunzione
che i matrimoni contratti da chi abbia piu' di settant'anni  con  una
persona di vent'anni piu' giovane traggano  origine  dall'intento  di
frodare le ragioni dell'erario, quando non  vi  siano  figli  minori,
studenti o inabili. 
    Si tratta di una presunzione di frode alla  legge,  connotata  in
termini assoluti, che preclude ogni prova  contraria.  La  sua  ampia
valenza  lascia  trasparire   l'intrinseca   irragionevolezza   della
disposizione impugnata. Pur di accentuare la repressione di illeciti,
gia' sanzionati dall'ordinamento con previsioni mirate  (sentenze  n.
245 del 2011, punto 3.1. del Considerato in diritto,  e  n.  123  del
1990, punto 2. del Considerato in diritto), si enfatizza la patologia
del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi  immancabilmente
fraudolenta del matrimonio tardivo. 
    Si tratta, a ben vedere, di un  presupposto  di  valore,  sotteso
anche a  precedenti  discipline  restrittive,  fortemente  dissonante
rispetto all'evoluzione del  costume  sociale.  Il  non  trascurabile
cambiamento di abitudini e propensioni collegate a  scelte  personali
emerge nitidamente dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che
prende in esame disposizioni dal contenuto affine, volte a negare  il
diritto alla pensione di reversibilita'  nell'ipotesi  di  matrimonio
durato meno di due anni, celebrato dopo la cessazione dal servizio  e
dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta'  (sentenza  n.
123 del 1990) o di matrimonio celebrato  dopo  il  sessantacinquesimo
anno di eta',  a  fronte  di  una  differenza  di  eta'  superiore  a
vent'anni (sentenza n. 587 del 1988). 
    4.3.- Nell'attribuire rilievo all'eta' del  coniuge  titolare  di
trattamento pensionistico diretto al momento del  matrimonio  e  alla
differenza di eta' tra i coniugi, la disposizione in esame  introduce
una regolamentazione  irragionevole,  incoerente  con  il  fondamento
solidaristico della pensione di reversibilita', che ne  determina  la
finalita' previdenziale, presidiata dagli  artt.  36  e  38  Cost.  e
ancorata  dal  legislatore   a   presupposti   rigorosi.   Una   tale
irragionevolezza diviene ancora  piu'  marcata,  se  si  tiene  conto
dell'ormai riscontrato allungamento dell'aspettativa di vita. 
    La disposizione opera a danno del solo  coniuge  superstite  piu'
giovane e si applica esclusivamente nell'ipotesi di una considerevole
differenza di eta' tra i coniugi. Si conferisce, in tal modo, rilievo
a restrizioni «a mero fondamento naturalistico» (sentenza n. 587  del
1988, punto 2. del Considerato in diritto), che la giurisprudenza  di
questa Corte ha gia' ritenuto estranee «all'essenza  e  ai  fini  del
vincolo coniugale», con  peculiare  riguardo  all'eta'  avanzata  del
contraente e alla durata del matrimonio (sentenza n.  110  del  1999,
punto 2. del Considerato in diritto). 
    L'esclusione dell'operativita' delle norme che,  in  presenza  di
figli, limitano l'erogazione della pensione  di  reversibilita',  non
attenua i profili di contrasto con i principi  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza. Difatti, essa non  e'  valsa  a  fugare  i  dubbi  di
legittimita' costituzionale in altri casi gia' scrutinati  da  questa
Corte, con riguardo  alla  disciplina  delle  pensioni  erogate  alle
vedove di guerra (sentenze n. 162 del 1994 e n. 450  del  1991),  che
condizionava il diritto alla durata annuale  del  matrimonio  o  alla
presenza di prole, ancorche' postuma. 
    Il vulnus ai diritti previdenziali del coniuge superstite  appare
ancor piu' evidente in una normativa che subordina tali diritti  alla
circostanza,  del  tutto  accidentale  ed  eccentrica  rispetto  alla
primaria finalita' di protezione del  coniuge,  che  vi  siano  figli
minori, studenti o inabili all'epoca  del  sorgere  del  diritto  del
coniuge. Per i figli,  peraltro,  la  disciplina  delle  pensioni  di
reversibilita' appresta una tutela autonoma, che interagisce  con  la
normativa indirizzata ai  coniugi  ai  limitati  effetti  della  gia'
citata disciplina  del  "cumulo".  Questo  dato  serve  a  confermare
l'equilibrato intento solidaristico che ha, gia'  da  qualche  tempo,
ispirato il legislatore. 
    Neppure la peculiarita' del meccanismo congegnato nel  2011,  che
commisura l'ammontare della pensione di  reversibilita'  alla  durata
del matrimonio, senza escludere in radice il diritto a beneficiare di
tale  prestazione,   rappresenta   un   significativo   elemento   di
discontinuita'  tra  la  misura  censurata  e  le  disposizioni  gia'
dichiarate incostituzionali da questa Corte, dapprima sulla scorta di
un'analisi puntuale della disparita' di trattamento  tra  le  diverse
categorie dei beneficiari (sentenze n. 15 del 1980 e n. 139 del 1979)
e, nell'evoluzione successiva, sul presupposto della  «ingiustificata
irrazionalita'» di discipline  restrittive  ancorate  a  elementi  di
matrice naturalistica (sentenza n. 587 del 1988, battistrada  di  una
giurisprudenza costante, rappresentata  dalle  sentenze  n.  447  del
2001, n. 187 del 2000, n. 110 del 1999, n. 162 del  1994,  n.  1  del
1992, n. 450 e n. 189 del 1991, e n. 123 del 1990). 
    Quando la  durata  del  matrimonio  sia  inferiore  all'anno,  la
correlazione tra l'ammontare della pensione di  reversibilita'  e  la
durata  del  matrimonio  azzera  il  trattamento  previdenziale:   il
meccanismo  di  riduzione,  concepito   in   termini   graduali   dal
legislatore, si  risolve  in  una  esclusione  pura  e  semplice  del
diritto, che non differisce dalle ipotesi sottoposte alla disamina di
questa Corte nelle pronunce appena ricordate. 
    L'antitesi con i principi di eguaglianza e ragionevolezza non  e'
meno stridente, quando la durata del matrimonio valga a proporzionare
il trattamento di reversibilita' corrisposto  al  coniuge,  e  non  a
disconoscerlo del tutto. La pregnanza  del  vincolo  di  solidarieta'
coniugale, fondamento della pensione di reversibilita',  e'  graduata
in rapporto all'elemento, contingente ed estrinseco, della durata del
matrimonio. 
    Peraltro, il nesso tra durata del matrimonio  e  ammontare  della
pensione di reversibilita' non si correla a una previsione generale e
astratta,  eventualmente  incentrata  su  un  requisito   minimo   di
convivenza, valido per tutte le ipotesi. 
    Tale nesso, articolato nei termini singolari  di  un  progressivo
incremento dell'importo della pensione al protrarsi  del  matrimonio,
riguarda la sola ipotesi in cui il matrimonio sia scelto  da  chi  ha
gia' compiuto i settant'anni di eta' e la differenza di  eta'  tra  i
coniugi travalichi i vent'anni. 
    Il rilievo peculiare della  durata  del  matrimonio,  nella  sola
ipotesi regolata dalla disciplina in esame, ne palesa -  da  altra  e
ugualmente pregnante angolazione - il contrasto  gia'  segnalato  con
l'art. 3 Cost. 
    Non puo' essere invocata, in chiave  comparativa,  la  disciplina
dell'attribuzione  della  pensione  di  reversibilita'   ai   coniugi
divorziati (art. 9 della legge 1°  dicembre  1970,  n.  898,  recante
«Disciplina dei casi di scioglimento  del  matrimonio»  e  successive
modificazioni). 
    In tale fattispecie, la durata non rileva  in  senso  assoluto  e
astratto, ma come ragionevole criterio per suddividere la pensione di
reversibilita'  tra  il  coniuge  divorziato,  titolare  del  diritto
all'assegno divorzile a carico del coniuge scomparso, e altri coniugi
superstiti. La durata  del  matrimonio,  infatti,  non  si  riverbera
sull'ammontare della  pensione  di  reversibilita',  complessivamente
attribuito,  ma  viene  in  rilievo   soltanto   nella   ripartizione
dell'intero tra una pluralita' di aventi diritto. 
    5.- Dalle considerazioni svolte,  discende  la  fondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
3, 36 e 38 Cost. 
    Sono assorbite le censure incentrate sulla  violazione  dell'art.
29 Cost. e, in  particolare,  sulla  limitazione  della  liberta'  di
contrarre matrimonio.