ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
428, della legge 23  dicembre  2014,  n.  190  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita'  2015),  promosso  dalla  Regione   Veneto   con   ricorso
notificato il 27 febbraio 2015, depositato in cancelleria il 9  marzo
2015 ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 4 maggio 2016 il Giudice relatore
Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la  Regione
Veneto nonche' l'avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 27 febbraio 2015  e  depositato  il
successivo 9 marzo (reg. ric. n. 42 del 2015), la Regione  Veneto  ha
impugnato, tra l'altro, l'art. 1, comma 428, della legge 23  dicembre
2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2015),  in  riferimento
agli artt. 3, 5, 35, 97, 114, 117, terzo e quarto comma,  118  e  120
della Costituzione. 
    La disposizione impugnata, qualora il  personale  interessato  ai
processi di mobilita' non sia completamente ricollocato alla data del
31 dicembre 2016, demanda agli enti  di  area  vasta  il  compito  di
definire «criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali  a  tempo
parziale del  personale  non  dirigenziale  con  maggiore  anzianita'
contributiva»,  previo  esame   congiunto   con   le   organizzazioni
sindacali, da concludere nel termine di trenta giorni dalla  relativa
comunicazione. 
    A conclusione del processo di mobilita', nella  sola  ipotesi  in
cui il personale in soprannumero non sia integralmente assorbito,  si
applica il meccanismo del collocamento  in  disponibilita',  regolato
dall'art. 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.
165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni). 
    La  Regione   assume   che   tale   misura   sia   manifestamente
irragionevole e sia lesiva, in pari tempo, dell'art. 35 Cost. 
    La   Regione   sostiene   che   la   possibilita'   del   mancato
riassorbimento di tutto il personale in soprannumero e l'applicazione
del collocamento in disponibilita', suscettibile  di  condurre,  dopo
ventiquattro mesi, alla risoluzione del rapporto di  lavoro,  sia  in
palese contrasto con l'art. 1, comma 92, della legge 7  aprile  2014,
n. 56 (Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle
unioni e fusioni di comuni). 
    Tale previsione, difatti, nel  processo  di  riallocazione  delle
funzioni amministrative provinciali, salvaguarda i rapporti di lavoro
a tempo indeterminato in  corso  e  i  rapporti  di  lavoro  a  tempo
determinato in corso, fino alla scadenza prevista. 
    La disciplina censurata, inoltre, sarebbe  in  contrasto  con  il
diritto al lavoro, tutelato dall'art. 35 Cost.:  la  Regione  sarebbe
legittimata a far valere tale violazione, alla luce  delle  «ricadute
che il taglio del  personale  disposto  dal  legislatore  statale  ha
sull'intero sistema organizzativo delle autonomie territoriali». 
    Le disposizioni in esame, in quanto  destinate  a  completare  le
misure di taglio lineare del personale, entrerebbero in conflitto con
il canone di ragionevolezza, con il principio di buon andamento della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e di corretta  distribuzione
delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.). 
    Si tratterebbe, difatti, di una riduzione coattiva  della  pianta
organica  degli  enti  pubblici,  svincolata  da  ogni   approfondita
valutazione del personale effettivamente  necessario  per  portare  a
compimento in modo efficace l'attivita' amministrativa dell'ente e da
ogni considerazione plausibile  in  merito  alle  esigenze  organiche
degli enti di area vasta, in rapporto alla  popolazione  residente  e
alle funzioni attribuite a tali enti. 
    Tale indiscriminata riduzione  del  personale  penalizzerebbe  le
amministrazioni efficienti, favorendo quelle «ancora ipertrofiche», e
arrecherebbe un pregiudizio immediato al corretto  svolgimento  delle
funzioni fondamentali che ancora spettano agli enti di area vasta. 
    La Regione ricorrente rileva  che  i  disservizi  nelle  funzioni
amministrative provinciali si tradurranno «in altrettanti  disservizi
nelle  funzioni  amministrative  regionali  e  comunali  connesse»  e
lamenta di dover attribuire a se stessa e ai Comuni  quelle  funzioni
amministrative  che  potrebbero  essere  conservate  in   capo   alle
Province, «alla luce dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza». 
    La Regione Veneto ravvisa anche la violazione dell'art. 114 Cost. 
    La disposizione censurata, che si  inquadra  in  un  processo  di
riduzione coattiva e indiscriminata della  dotazione  organica  degli
enti di area  vasta,  comprometterebbe  la  dignita'  autonoma  delle
Province e delle Citta' metropolitane,  quali  componenti  essenziali
della Repubblica. 
    In  assenza  di   un'organica   revisione   costituzionale,   che
rappresenta  «condizione  necessaria  di  ogni  eventuale,  ulteriore
"depotenziamento" delle Province», la  disposizione  concorrerebbe  a
produrre un impatto negativo sull'erogazione dei servizi  pubblici  e
sulle funzioni  fondamentali  che  Province  e  Citta'  metropolitane
dovranno continuare a svolgere. 
    Inoltre, le disposizioni di cui all'art. 1, commi da 421  a  428,
della legge n. 190 del 2014, nell'operare  un  taglio  lineare  delle
dotazioni  organiche,  vanificherebbero  o   comunque   limiterebbero
gravemente la facolta'  delle  Regioni  di  attribuire  le  ulteriori
funzioni non fondamentali agli enti di area vasta, e alle Province in
particolare, gia' sprovviste del personale  necessario  per  svolgere
efficacemente le funzioni fondamentali. 
    Tale pregiudizio alla facolta' della Regione  configurerebbe  una
violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 
    Le disposizioni citate si porrebbero in antitesi con il principio
di leale collaborazione, consacrato dagli artt. 5 e 120 Cost.:  esse,
difatti, sarebbero disarmoniche rispetto al percorso di  riforma  del
sistema delle autonomie locali (art. 1, commi 91 e 92, della legge n.
56 del 2014 e accordo  raggiunto  l'11  settembre  2014  in  sede  di
Conferenza unificata), che manterrebbe inalterata la  potesta'  delle
Regioni  di  legiferare  in   tale   materia   e   collocherebbe   il
trasferimento del personale in un tempo successivo alla riallocazione
delle funzioni non fondamentali, cosi' da modulare tale trasferimento
in ragione delle funzioni concretamente riallocate. 
    2.- Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto di rigettare il ricorso della Regione Veneto. 
    La difesa dello  Stato  replica  che  le  misure  censurate  sono
riconducibili al «coordinamento della finanza pubblica»,  materia  di
potesta' legislativa concorrente, e possono  legittimamente  incidere
su una o piu' materie di competenza regionale. 
    Il  contenimento  della  spesa  corrente  sarebbe  preordinato  a
salvaguardare   l'equilibrio   unitario   della   finanza    pubblica
complessiva,  «in  connessione  con  il  perseguimento  di  obiettivi
nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari», in un contesto
contraddistinto  dalla  «eccezionale   gravita'»   della   situazione
finanziaria. 
    3.- In prossimita' dell'udienza, il 12 aprile  2016,  la  Regione
Veneto  ha  depositato  una  memoria  illustrativa,  nella  quale  ha
ribadito le argomentazioni gia' svolte a  sostegno  dell'accoglimento
del ricorso. 
    In  replica  alle  difese  dello  Stato,  la  Regione  Veneto  ha
osservato che  la  qualificazione  della  disciplina  in  termini  di
principio di coordinamento della finanza pubblica non vale a superare
i  denunciati  profili   di   illegittimita'   costituzionale   e   a
giustificare una riduzione indifferenziata del personale, senza alcun
riguardo alla struttura organizzativa di ciascun ente e  al  relativo
fabbisogno organico. 
    Sarebbe intrinsecamente irragionevole la scelta di  anteporre  la
riduzione  del  personale  alla  riallocazione  delle  funzioni   non
fondamentali. 
    La Regione soggiunge che la  scelta  di  dimezzare  d'imperio  la
pianta organica degli enti di area  vasta,  lesiva  della  competenza
legislativa in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa
degli enti locali, l'ha costretta ad assumersi tutti  gli  oneri  del
personale addetto alle funzioni non fondamentali, che  ha  confermato
in capo alle Province. 
    4.- All'udienza del 4 maggio 2016, le  parti  hanno  ribadito  le
conclusioni gia' rassegnate negli atti di causa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto, con ricorso depositato il 9 marzo 2015, ha
promosso  questione   di   legittimita'   costituzionale   di   varie
disposizioni della legge 23 dicembre 2014, n. 190  (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
di stabilita' 2015) e, per quanto in questa sede rileva, dell'art. 1,
comma 428, in riferimento agli artt. 3, 5, 35, 97, 114, 117, terzo  e
quarto comma, 118 e 120 della Costituzione. 
    1.1.- La disposizione impugnata  si  affianca  ad  altre  misure,
volte a realizzare un taglio lineare del personale in servizio presso
Province  e  Citta'  metropolitane,  e  attiene  specificamente  alle
procedure di ricollocamento del personale  in  soprannumero  di  tali
enti territoriali. 
    Ove, il 31 dicembre 2016, il personale interessato  dai  processi
di mobilita' non sia completamente ricollocato, presso ogni  ente  di
area vasta, ivi comprese  le  citta'  metropolitane,  si  definiscono
«criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a  tempo  parziale
del personale non dirigenziale con maggiore anzianita' contributiva». 
    A tale definizione di  criteri  e  tempi  di  utilizzo  di  forme
contrattuali a tempo parziale e' prodromico un esame congiunto con le
organizzazioni sindacali, che deve concludersi «entro  trenta  giorni
dalla relativa comunicazione». 
    All'esito  del  processo  di  mobilita'  tra  enti,  disciplinato
dall'art. 1, commi da 421 a 425 della legge n. 190  del  2014,  trova
applicazione il collocamento in disponibilita' previsto dall'art. 33,
commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165  (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche), nella sola ipotesi in cui il personale in
soprannumero non sia interamente assorbito. 
    In virtu' di tali previsioni, il collocamento  in  disponibilita'
riguarda  il  personale  in  soprannumero  «che  non  sia   possibile
impiegare diversamente nell'ambito della medesima  amministrazione  e
che  non  possa  essere  ricollocato  presso  altre   amministrazioni
nell'ambito regionale, ovvero che non abbia preso servizio presso  la
diversa amministrazione secondo gli accordi di mobilita'»  (art.  33,
comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001). 
    Il collocamento in disponibilita' implica la sospensione di tutte
le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro. 
    A tale sospensione fa  riscontro  l'erogazione  di  un'indennita'
pari all'80 per cento dello stipendio e  dell'indennita'  integrativa
speciale, «con esclusione di qualsiasi altro  emolumento  retributivo
comunque denominato, per la  durata  massima  di  ventiquattro  mesi»
(art. 33, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001). 
    Ad avviso della Regione ricorrente, tale disposizione  non  tiene
in alcun conto le  funzioni  concretamente  attribuite  a  tali  enti
territoriali e le indicazioni offerte dall'art. 1,  commi  92  e  96,
della  legge  7  aprile  2014,  n.  56  (Disposizioni  sulle   citta'
metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), che
prevede il trasferimento del personale delle Province e delle  Citta'
metropolitane solo dopo il compimento del processo di riordino  e  in
vista della riallocazione delle funzioni non fondamentali. 
    1.2.- Da tali considerazioni discenderebbero i molteplici vizi di
legittimita' costituzionale denunciati con il ricorso. 
    La disposizione censurata  confliggerebbe  con  il  principio  di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) e con il diritto  al  lavoro,  tutelato
dall'art. 35 Cost., in quanto potrebbe condurre alla risoluzione  del
rapporto di lavoro e, pertanto, sarebbe incoerente con le  previsioni
dell'art.  1,  comma  92,  della  legge  n.  56  del  2014,  volto  a
salvaguardare i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso e i
rapporti di lavoro a tempo determinato, fino alla scadenza prevista. 
    Le disposizioni in esame, in quanto  destinate  a  completare  le
misure di taglio lineare del personale, sarebbero  disarmoniche,  per
altro verso, rispetto ai principi di ragionevolezza (art.  3  Cost.),
di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e di
corretta  distribuzione  delle  funzioni  amministrative  (art.   118
Cost.). 
    Esse, difatti,  condurrebbero  a  una  riduzione  coattiva  della
pianta  organica  degli  enti  pubblici,  senza  alcuna  approfondita
valutazione della consistenza del personale effettivamente necessario
per portare a compimento in modo efficace l'attivita'  amministrativa
dell'ente. 
    Il  dimezzamento  della  dotazione   organica   delle   Province,
disancorato da ogni criterio plausibile di valutazione delle esigenze
di  tali  enti,  si   risolverebbe   in   un   pregiudizio   per   le
amministrazioni  virtuose,  che  hanno   gia'   dato   impulso   alla
riorganizzazione dell'apparato amministrativo, e in un vantaggio  per
le amministrazioni «ancora ipertrofiche». 
    Tale riduzione coattiva e indiscriminata della dotazione organica
degli enti  di  area  vasta,  suscettibile  di  produrre  un  impatto
negativo  sull'erogazione  dei  servizi  pubblici  e  sulle  funzioni
fondamentali che Province e Citta' metropolitane dovranno  continuare
a svolgere, comprometterebbe la dignita' autonoma  delle  Province  e
delle  Citta'  metropolitane,  quali  componenti   essenziali   della
Repubblica  con  conseguente  violazione  dell'art.  114   Cost.,   e
svilirebbe l'importanza di tali  enti,  in  difetto  di  un  organico
procedimento di revisione costituzionale,  che  «continua  ad  essere
condizione necessaria di ogni eventuale, ulteriore  "depotenziamento"
delle Province». 
    Inoltre, le disposizioni di cui all'art. 1, commi da 421  a  428,
della legge n. 190 del 2014, nell'operare  un  taglio  lineare  delle
dotazioni organiche, violerebbero anche l'art. 117,  terzo  e  quarto
comma, Cost., in quanto  vanificherebbero  o  comunque  limiterebbero
gravemente la facolta'  delle  Regioni  di  attribuire  le  ulteriori
funzioni non fondamentali agli enti di area vasta, e alle Province in
particolare, gia' sprovviste del personale  necessario  per  svolgere
efficacemente le funzioni fondamentali. 
    Le disposizioni citate sarebbero lesive del  principio  di  leale
collaborazione, consacrato dagli artt.  5  e  120  Cost.,  in  quanto
antitetiche rispetto  a  quel  percorso  concordato  di  riforma  del
sistema delle autonomie locali tracciato dall'art. 1, commi 91 e  92,
della legge n. 56 del 2014 e dall'accordo  raggiunto  l'11  settembre
2014 in sede di Conferenza unificata. 
    Il descritto percorso di riforma, confermando la  potesta'  delle
Regioni di legiferare in tale materia, collocherebbe il trasferimento
del  personale  in  un  tempo  successivo  alla  riallocazione  delle
funzioni non fondamentali, cosi'  da  modulare  il  trasferimento  in
ragione delle funzioni concretamente riallocate. 
    1.3.-  Agli  argomenti  della  Regione  la  difesa  dello   Stato
contrappone il rilievo che le misure censurate si inseriscono  in  un
intervento di «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  materia  di
potesta' legislativa concorrente, e possono  legittimamente  incidere
su una o piu' materie di competenza regionale. 
    Il contenimento della spesa corrente perseguirebbe l'obiettivo di
salvaguardare   l'equilibrio   unitario   della   finanza    pubblica
complessiva,  «in  connessione  con  il  perseguimento  di  obiettivi
nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari», in un contesto
contraddistinto  dalla  «eccezionale   gravita'»   della   situazione
finanziaria. 
    2.- Resta riservata a separate pronunce la decisione delle  altre
questioni, promosse con il ricorso della Regione Veneto. 
    3.- Si deve dichiarare, preliminarmente, l'inammissibilita' delle
censure svolte in riferimento  agli  artt.  3  e  35  Cost.,  evocati
congiuntamente sul presupposto che  la  procedura  di  mobilita'  del
personale  degli  enti  di  area   vasta   e   il   collocamento   in
disponibilita' possano condurre  alla  risoluzione  dei  rapporti  di
lavoro, in contrasto con la disciplina dell'art. 1, comma  92,  della
legge n. 56 del 2014, che salvaguarda i rapporti di  lavoro  a  tempo
indeterminato e i rapporti di lavoro a tempo determinato,  fino  alla
loro scadenza. 
    La Regione Veneto lamenta che la lesione del  diritto  al  lavoro
arrechi un vulnus  anche  alle  sue  attribuzioni  costituzionalmente
garantite, «considerate le  ricadute  che  il  taglio  del  personale
disposto dal legislatore statale ha sull'intero sistema organizzativo
delle autonomie territoriali». 
    Tale argomentazione non appare sufficiente a superare  il  vaglio
di ammissibilita' delle censure, incentrate su parametri  estranei  a
quelli che presiedono al riparto delle competenze legislative tra  lo
Stato e le Regioni (sentenza n. 117 del 2016). 
    La Regione Veneto non ha fornito elementi atti a dimostrare  come
dalle  misure  introdotte  dalla  disposizione  impugnata,   peraltro
efficaci solo a far data dal 31 dicembre  2016,  derivi  una  lesione
della competenza organizzativa delle autonomie territoriali. 
    4.- Le altre questioni, poste con il ricorso della Regione Veneto
con riguardo all'art. 1, comma 428, non sono fondate. 
    4.1.- La disposizione censurata e' parte integrante di un assetto
piu' ampio (art. 1, commi da 421 a 427, della legge n. 190 del 2014),
che contempla una cospicua riduzione della dotazione  organica  delle
Province e delle Citta' metropolitane  (rispettivamente  del  50  per
cento e del 30  per  cento)  e  la  definizione  di  un  procedimento
finalizzato a favorire la mobilita'  del  personale  in  soprannumero
verso Regioni, Comuni e altre pubbliche amministrazioni. 
    La previsione impugnata e' uno snodo cruciale del  percorso,  che
ha scandito il riordino delle funzioni amministrative  locali,  e  si
atteggia come norma di chiusura, chiamata a  regolamentare  l'ipotesi
residuale di un mancato riassorbimento del personale in  soprannumero
entro il 31 dicembre  2016,  senza  escludere  l'operare,  in  ultima
battuta, del collocamento in disponibilita'. 
    Nell'ipotesi in cui, alla data del 31 dicembre 2016, il personale
in soprannumero non sia stato utilmente ricollocato, la disciplina in
esame sancisce, per il personale non dirigenziale di tutti  gli  enti
di area vasta, il ricorso a contratti a tempo parziale, improntati  a
una logica solidaristica. 
    Tale ricorso, che riguarda «tutto il  personale  e  non  solo  il
contingente dei sovrannumerari», «deve avvenire nel limite necessario
per il riassorbimento dell'onere  finanziario  relativo  alle  unita'
soprannumerarie»  (circolare  della  Presidenza  del  Consiglio   dei
ministri del 29 gennaio 2015, n. 1). 
    4.2.- Quanto alle questioni, attinenti  all'art.  1,  comma  428,
della legge di stabilita' per  l'anno  2015,  la  Regione  ricorrente
puntualizza, nella memoria  illustrativa  del  12  aprile  2016,  che
l'illegittimita' costituzionale della disciplina del collocamento  in
disponibilita' discende dall'illegittimita' costituzionale  dell'art.
1, comma 421, chiamato a  disciplinare  la  riduzione  del  personale
degli enti di area vasta, presupposto  indefettibile  dei  successivi
processi di mobilita'. 
    Questa Corte, con la sentenza n. 159 del 2016, ha gia' scrutinato
e dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale,
sollevate dalla Regione Veneto con riguardo all'art.  1,  comma  421,
della legge n. 190 del 2014, inscindibilmente connesso, nella  stessa
prospettiva della Regione ricorrente, con la  disposizione  impugnata
nel presente giudizio. 
    L'asse portante delle  censure,  per  entrambe  le  disposizioni,
ruota intorno al fatto che la legge di  stabilita'  per  l'anno  2015
abbia proceduto a una  riduzione  indistinta  del  personale,  avulsa
dalla  considerazione  delle  peculiarita'  delle   singole   realta'
coinvolte e pregiudizievole per l'efficiente esercizio delle funzioni
fondamentali. 
    Inoltre, invertendo il percorso tracciato dalla legge n.  56  del
2014 e dall'accordo dell'11 settembre 2014,  il  legislatore  avrebbe
ridotto il personale prima dell'effettivo riordino delle funzioni. 
    4.2.1.- Quanto all'arbitraria  e  indifferenziata  riduzione  del
personale, che contrasterebbe  con  il  principio  di  ragionevolezza
(art. 3 Cost.) e  inciderebbe  sulla  necessaria  corrispondenza  tra
funzioni e risorse (art. 118 Cost.),  con  pregiudizio  per  il  buon
andamento  dell'azione  amministrativa  (art.  97  Cost.)  e  per  la
dignita' autonoma  di  Province  e  Citta'  metropolitane  (art.  114
Cost.), occorre evidenziare che l'intervento del legislatore statale,
attuato con la disposizione impugnata, e' in linea  con  il  riordino
delle Province e delle Citta' metropolitane, disegnato dalla legge n.
56 del 2014, di cui questa Corte  ha  gia'  ravvisato  l'armonia  con
l'architettura costituzionale (sentenza n. 50 del 2015). 
    La citata legge ha  ridefinito  le  funzioni  fondamentali  delle
Province,  in  un'ottica  di  ridimensionamento  delle   stesse,   e,
conseguentemente, la  legge  di  stabilita'  2015  ha  delimitato  le
risorse finanziarie e umane necessarie a  consentire  l'esercizio  di
tali funzioni. 
    La  riduzione  del  personale,  contemplata  dalla   disposizione
censurata, rientra, pertanto, nel  richiamato  progetto  di  riordino
complessivo degli enti territoriali  infraregionali  e  prescinde  da
ogni considerazione relativa al comportamento virtuoso o  meno  delle
Regioni in merito  al  processo  di  riorganizzazione  amministrativa
(sentenza n. 159 del 2016, punto 7.5. del Considerato in diritto). 
    Si  deve  escludere,  alla  luce  del  richiamato   processo   di
ridimensionamento di tali  funzioni,  il  paventato  pregiudizio  per
l'esercizio delle funzioni fondamentali,  corrispondenti  ai  servizi
essenziali. 
    Peraltro, la Regione ricorrente non ha indicato elementi idonei a
dimostrare che il taglio del  personale  pregiudichi  l'esercizio  di
tali  servizi  anche  da  parte  degli  enti  regionali  e   comunali
subentranti (sentenza n. 159 del 2016, punto 7.3. del Considerato  in
diritto). 
    Inoltre, con riguardo alla lesione dei principi di sussidiarieta'
e adeguatezza nella riallocazione delle  funzioni  non  fondamentali,
connessa alla riduzione della dotazione  organica,  questa  Corte  ha
gia' affermato che alle Regioni non e' precluso,  a  conclusione  del
processo di ridistribuzione del personale, affidare le  funzioni  non
fondamentali alle Citta' metropolitane, alle Province  e  agli  altri
enti  locali  tramite  apposite  deleghe  e  convenzioni,  disponendo
contestualmente l'assegnazione del relativo personale. 
    Cio', tuttavia, deve avvenire  tenendo  conto  dell'obiettivo  di
riordino e ridimensionamento  delle  funzioni  delle  Province  e  di
delimitazione dei compiti delle Citta' metropolitane, delineato dalla
citata legge n. 56 del 2014, che mira ad evitare che,  in  capo  agli
enti intermedi, sia conservata una porzione notevole  delle  funzioni
non  fondamentali  (sentenza  n.  159  del  2016,  punto  7.4.1.  del
Considerato in diritto). 
    4.2.2.- Quanto al fatto che la riduzione del personale preceda la
riallocazione  delle  funzioni  non   fondamentali,   in   violazione
dell'art. 117, terzo  e  quarto  comma,  e  del  principio  di  leale
collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), questa Corte ha  osservato  che
la  disciplina  statale  non  esautora  le  Regioni  dal  potere   di
individuare e riallocare le funzioni non fondamentali  all'esito  del
processo di ridistribuzione del personale. 
    Tale riallocazione,  tuttavia,  deve  rispettare  i  principi  di
sussidiarieta'  e  adeguatezza  di  cui  all'art.  118  Cost.  e   la
necessita' di assicurare  che  l'esercizio  delle  predette  funzioni
amministrative sia svolto in coerenza con gli obiettivi del  riordino
fissati dal legislatore statale, destinati inevitabilmente a incidere
sull'allocazione delle funzioni e sulla «distribuzione del  personale
e della relativa spesa» (sentenza n. 159 del 2016, punto  7.1.2.  del
Considerato in diritto). 
    Non si ravvisa, inoltre, la violazione  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    Anche a volere ritenere che le disposizioni impugnate  precludano
«la libera attribuzione di funzioni provinciali non fondamentali»  da
parte delle Regioni, «concordata tra Stato e Regioni anche in sede di
Accordo raggiunto nella Conferenza Unificata dell'11 settembre 2014»,
il principio di leale collaborazione non potrebbe dirsi  violato,  in
quanto un accordo non puo' condizionare  l'esercizio  della  funzione
legislativa (sentenze n. 160 del 2009 e n. 437 del 2001). 
    5.- Dalle considerazioni svolte, discende il rigetto del  ricorso
proposto contro l'art. 1, comma 428, della legge n. 190 del 2014,  in
riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, terzo e quarto comma,  118
e 120 Cost.