TRIBUNALE DI VITERBO Il Giudice dell'Esecuzione Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 Nel procedimento R.E. n. 1161/2014 promosso da Saccaria Caffe' S.r.l. - creditore procedente, contro Mosella Francesca - debitrice. Letti gli atti della procedura esecutiva di cui alla epigrafe - sciogliendo la riserva presa alla udienza del 18 marzo 2015; Rilevato che Saccaria Caffe' S.r.l. ha intimato a Mosella Francesca, il pagamento di € 6.469,70, sulla base della sentenza del Giudice di pace di Senigallia n. 166/2013 del 15 ottobre 2013 oltre le spese della procedura esecutiva; Rilevato che terzi pignorati hanno entrambi reso dichiarazione parzialmente positiva in data 14 gennaio 2015: il sig. Mosella Calogero ha dichiarato di essere titolare di un ristorante e di essere altresi' il genitore della debitrice, dalla sua dichiarazione risulta che la sig.ra Mosella Francesca lavora «a chiamata» presso il ristorante e percepisce circa 150/200,00 euro al mese, in base alle ore effettivamente lavorate; il sig. Mosella ha riferito che, a causa della crisi, il ristorante non puo' permettersi dipendenti fissi e che resta aperto a seconda delle giornate. il sig. Bartolino Rossano ha dichiarato di essere stato titolare di un negozio in Viterbo Via Igino Garbini n. 81, locale che ha chiuso a seguito della crisi economica, nel mese di ottobre 2014. Dalla sua dichiarazione risulta che la sig.ra Mosella Francesca svolgeva alcune ore al mese di lavoro, in sostituzione del titolare, come commessa nel negozio; a seguito del pignoramento ha lavorato nei mesi di agosto e settembre 2014 con una retribuzione di 130,00 - 150,00 euro ciascun mese. Dopo la chiusura del negozio non vi era stata piu' alcuna prestazione lavorativa. alla udienza dell'11 marzo 2015 il creditore chiedeva l'assegnazione, nel limite di legge, di 1/5 dello stipendio percepito dalla debitrice. Nella fattispecie 1/5 dello stipendio di € 130,00 + 150,00 mensili per due mesi, erogato dal Bartolino Rossano, aumenta ad € 56,00 complessivi; mentre 1/5 del successivo stipendio erogato dal sig. Mosella Calogero ammonta ad € 40 mensili a decorrere dal mese di settembre 2014. Rilevato che deve applicarsi il regime di pignorabilita' degli stipendi ed altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro; Rilevato che in base all'art. 545 c.p.c. «Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» Ritenuto che si debba tenere conto dell'ulteriore limite imposto dall'art. 2 comma 2 e dall'art. 68 decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950 n. 180 per cui, in caso di concorso tra cessioni volontarie e successivi pignoramenti, la pignorabilita' della quota residua e' soggetta al solo limite della meta' ivi stabilito, che non sempre e' idoneo a garantire un minimo vitale; Ritenuto che da tali disposizioni si ricava che lo stipendio e' pignorabile fino ad 1/5, tolto un quinto dello stipendio alla debitrice resterebbero € 160,00 al mese per i mesi successivi al settembre 2014 e euro 97,5 per il mese di agosto nonche' € 112,5 per il mese di settembre 2014; Rilevato che nel decreto-legge n. 16/2012 (cd. «decreto Semplificazioni») convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, in materia di pignoramento presso terzi disposto dall'agente della riscossione per i tributi dovuti allo Stato (in tema di pignoramenti Equitalia) l'art. 72-ter, recante il titolo «Limiti di pignorabilita'», secondo il quale: «Le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall'agente della riscossione: a) in misura pari ad 1/10 per importi fino a 2.500,00 euro; b) In misura pari ad 1/7 per importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro». «Resta ferma la misura di cui all'art. 545, comma 4, c.p.c., se le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano i' cinquemila euro». Rilevato che, la somma di euro 160,00 che resterebbe alla debitrice, dedotto un quinto del suo stipendio, appare al di sotto del minimo indispensabile ad un essere umano che lavora per sostentarsi, tenuto conto anche del fatto che quello stesso essere umano, per produrre quel reddito deve comunque sostenere delle spese (per mangiare, vestirsi, recarsi sul luogo di lavoro etc.), per cui e' impensabile che, senza un reddito minimo, il lavoratore possa comunque prestare la sua opera; - rilevato che, nella ipotesi di pignoramento della pensione, la Corte costituzionale con la nota sentenza 4 dicembre 2002, n. 506 in merito alla questione di legittimita' costituzionale sollevata relativamente all'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153, afferma la pignorabilita' per ogni credito, nei modi e nei limiti stabiliti dall'art. 545 c.p.c., solo di quella parte della pensione che non sia necessaria a garantire al pensionato i «mezzi adeguati alle sue esigenze di vita»; Rilevato che in relazione alle pensioni la soglia minima pignorabile non e' stata definita dal legislatore ma e' stata individuata dalla giurisprudenza che ha ritenuto trattarsi di questione di merito rimessa alla valutazione del Giudice della esecuzione (cfr. Cassazione n. 6548/11 confermata, da Cassazione III civ. 18755/2013 «le soluzioni che si rifanno alle normative la cui utilizzabilita' diretta era gia' stata esclusa dalla sentenza della Corte costituzionale, ed in particolare quella che si rifa' alla pensione sociale, nonche' la soluzione che applica direttamente il trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38, commi 1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art. 39, comma 8, presentano margini di opinabilita', poiche' i relativi presupposti paiono tutti orientati esclusivamente alle specifiche finalita' previdenziali o assistenziali dei singoli istituti e non sono suscettibili, se non altro in via immediata, di adeguata generalizzazione: sicche' non solo il trattamento minimo ma neppure l'importo della pensione sociale corrispondono necessariamente al minimo indispensabile per la sussistenza in vita in condizioni dignitose. Il principio di diritto che si intende confermare allora non puo' che essere quello di cui alla sentenza appena citata, per il quale l'indagine circa le sussistenza o l'entita' della pane di pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, e come tale legittimamente assoggettabile al regime di assoluta impignorabilita' - con le sole eccezioni, tassativamente indicate, di erediti qualificati e' rimessa, in difetto di interventi del legislatore al riguardo, alla valutazione infetto del giudice dell'esecuzione ed e incensurabile in cassazione se logicamente e congruamente motivata.» Rilevato che tale limite, costituente garanzia di un minimo assolutamente impignorabile e' stato determinato dalla giurisprudenza con riferimento prevalente ai parametri della pensione sociale o del trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38, commi 1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art. 39, comma 8. Rilevato che gli importi di tali trattamenti pensionistici (utilizzati come parametri costanti dalla giurisprudenza di merito per individuare la soglia del trattamento pensionistico minimo non pignorabile) sono entrambi ben superiori allo stipendio percepito dalla debitrice, per una prestazione lavorativa che, comunque, la impegna quotidianamente e che tale stipendio appare ai limiti della mera sussistenza; Rilevato che il pensionato, essendo ritirato dai lavoro non deve farsi carico delle spese necessarie a produrre il proprio reddito, mentre il lavoratore si presuppone che debba recarsi con mezzi propri sul luogo di lavoro, vestirsi in modo adeguato alla funzione svolta, utilizzare energie anche fisiche che richiedono una alimentazione piu' ricca di chi e' a riposo, e quindi sostenere delle spese indispensabili alla produzione di un reddito, oltre a quelle necessarie per la mera sopravvivenza (nutrirsi, coprirsi, riscaldarsi, assicurarsi un alloggio etc); Ritenuto che anche per il lavoratore debba essere individuato un minimo vitale indispensabile e non pignorabile, che non possa essere distolto dalla funzione primaria del salario, che e' quella appunto di consentire la sopravvivenza e l'utilizzo delle proprie capacita' lavorative a chi abbia come sola risorsa il proprio lavoro; Ritenuto che, se la retribuzione venisse ridotta al di sotto di quel minimo vitale indispensabile alla sopravvivenza, oltre a determinarsi effetti negativi per tutto il tessuto sociale (ad es. il lavoratore sarebbe spinto ad orientarsi verso il mercato del lavoro irregolare, non potrebbe far fronte ai propri obblighi nei confronti della famiglia, sarebbe spinto a comportamenti illegali etc), ne risulterebbe violato il precetto costituzionale di cui all'art. 36 Cost. che prevede che la retribuzione debba essere «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera e dignitosa», oltre ai precetti di cui agli articoli 1, 2, 3, 4 Cost. Rilevato che in detta sentenza 4 dicembre 2002, n. 506 la Corte ha ritenuto di confermare il precedente orientamento espresso, secondo cui aveva sempre respinto la questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 36 cost., dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede l'impignorabilita' della quota di retribuzione necessaria al mantenimento del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del 1968; sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974; sentenza n. 209 del 1975; ordinanza n. 12 del 1977; ordinanza n. 260 del 1987; ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997); che in tale sentenza si e' ritenuto che l'art. 36 Cost. - indica parametri ai quali deve conformarsi l'entita' della retribuzione, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, senza che ne scaturisca, quindi, vincolo alcuno per terzi estranei a tale rapporto, oltre quello - frutto di razionale «contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio» (sentenze n. 20 del 1968 e 38 del 1970) - del limite del quinto della retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento. che tale pronuncia nel riportarsi alle precedenti, si pone in un contesto economico e sociale nonche' normative ben diverso da quello attuale, sia per quanto riguarda le modifiche normative introdotte sul regime delle pensioni e dei contratti di lavoro, sia per i mutamenti della giurisprudenza che sempre piu' e' andata nel senso di riconoscere identita' di funzioni allo stipendio ed alla pensione, sia per i dati fattuali relativi alle potenzialita' di lavorare e di produrre reddito a cui una persona puo' aspirare, dato che la nostra societa' sta attraversando una crisi economica senza precedenti, ritenuta da molti esperti anche peggiore della grande crisi del 1929, situazione che determina un generalizzato impoverimento dei lavoratori dovuto alla esiguita' degli stipendi, ai mancati adeguamenti alla inflazione, alla perdita di potere di acquisto dei salari e degli stipendi in generale, alla precarieta' del lavoro, alle formule del part time, etc. che tali mutati fattori economici fanno si che, anche nel caso di specie, in mancanza di prova contraria, si debba ritenere che l'unico reddito su cui il debitore possa far conto per la sua sopravvivenza (a parte la solidarieta' familiare, quando esiste) sia quello modestissimo sottoposto a pignoramento. che, nel tempo, la sostanziale identita' di funzione della pensione e della retribuzione o salario e' stata riconosciuta sempre piu' spesso dalla giurisprudenza, anche in applicazione di norme internazionali ed europee, per cui appare necessario un ripensamento del complesso contesto normativa nell'ambito del quale si e' affermata la suddetta giurisprudenza, anche alla luce della nuova normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari dello Stato (decreto-legge n. 16/2012 cd. «decreto Semplificazioni» convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 l'art. 72-ter, recante il titolo «Limiti di pignorabilita'»; che nel contesto economico-sociale attuale, con i livelli di disoccupazione ormai raggiunti in Italia, con la crisi, economica che si e' determinata negli ultimi anni, le retribuzioni ed i salari minimi (per lavori spesso precari o part time con orari ridottissimi) come quello percepito dalla debitrice sono gia' ai limiti della sussistenza e non appare piu' frutto di un razionale «contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio» consentire il pignoramento della retribuzione, seppure nel limite di un quinto, destinata in modo essenziale ed imprescindibile a garantire la sopravvivenza fisica del lavoratore e la sua possibilita' di svolgere le sue prestazioni lavorative sopportando i costi necessari a produrre la sua forza lavoro. che in caso di applicazione alla fattispecie oggetto del presente giudizio del limite indicato dall'art. 72-ter decreto del Presidente della Repubblica 602/1973, introdotto con decreto-legge n. 16/2012 (cd. «decreto Semplificazioni») convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, essendo la somma dovuta a titolo di stipendio inferiore ad Euro 2500,00 mensili, la stessa sarebbe pignorabile nel limite di un decima e non di un quinto; che lo stesso legislatore che e' intervenuto nella materia dei pignoramenti per crediti tributari ha avuto presente ed ha tenuto in considerazione l'attuale congiuntura economica ed il diverso contesto normativo. Osserva Che sussistono seri dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 545 comma 4 cpc, nella parte in cui con riferimento alle «somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel comma 2, prevede che: «Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» e un prevede invece un minimo impignorabile necessario a garantire al lavoratore «mezzi adeguati alle sue esigenze di vita», ed una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera e dignitosa» con particolare riferimento alle esigenze di un reddito minimo che gli consenta di sostenere le spese minime necessarie al suo stesso sostentamento in vita ed in condizioni di vita adeguate a consentirgli la stessa produzione del reddito. E, in subordine, che sussistono seri dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 545 comma 4 cpc, nella parte in cui con riferimento alle «somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel II comma, prevede che: «Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» e non prevede invece, conformemente a quanto previsto dal decreto-legge n. 16/2012 cd. «decreto Semplificazioni» convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 l'art. 72-ter, recante il titolo «Limiti di pignorabilita'», che le soglie di pignorabilita' siano le medesime di quelle indicate dalla legge in materia di tributi e che qui debbano essere graduate a seconda dell'ammontare della retribuzione come indicato dall'art. 72-ter decreto del Presidente della Repubblica 602/73 come recentemente modificato: a) in misura pari ad 1/10 per importi fino a 2.500,00 euro; b) in misura pari ad 1/7 per importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro». «Resta ferma la misura di cui all'art. 545, comma 4, c.p.c., se le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano i cinquemila euro». Ovvero la illegittimita' costituzionale dello stesso art. 3, comma 5 del decreto-legge n. 16/2012 cd. «decreto Semplificazioni» convertito in legge n. 44/2012, nella parte in cui non prevede che le soglie di pignorabilita' siano per tutti i crediti (di regola - salvo le eccezioni gia' previste in materia di crediti alimentari) le medesime di quelle indicate dalla legge in materia di tributi: dette disposizioni si pongono in contrasto con gli articoli 1, 2, 3 e 36, della Costituzione; in relazione all'art. 1 della Carta Costituzionale che afferma che la Repubblica e' «fondata sul lavoro», all'art. 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale, all'art. 3 che sancisce il principio di eguaglianza formale e sostanziale ed il principio di ragionevolezza, all'art. 4 che riconosce e garantisce il diritto al lavoro e il dovere di ogni cittadino di svolgere una attivita' o funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della societa', all'art. 36 che prevede che la retribuzione deve essere non solo commisurata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, ma anche che deve essere «in ogni caso sufficente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera a dignitosa». Al cittadino lavoratore deve essere garantito che frutto del suo lavoro, cioe' il suo stipendio o salario, sia destinato almeno nei limiti del minimo indispensabile, al soddisfacimento delle esigenze primarie di sopravvivenza sue e della famiglia, diversamente ne risulterebbe violata sia la dignita' del lavoro come fondamento stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare puo' diventare economicamente non conveniente), sia il diritto a che la retribuzione percepita sia «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera a dignitosa». Il principio di uguaglianza o di ragionevolezza (art. 3) risulta violato in relazione ai diverso trattamento che riguarda il pensionato, il quale, non prestando piu' attivita' lavorativa riceve una tutela della propria pensione (che puo' essere vista anche come una retribuzione differita) diversa e maggiore di quella che riceve un lavoratore attivo, il quale ha ancora piu' necessita' di vedere tutelato un limite vitale di sopravvivenza oltre il quale il suo stipendio non puo' essere assoggettato a pignoramento. Tale differenza, avuto riguardo ai cambiamenti intervenuti nel contesto normativo, nella giurisprudenza, nel tessuto sociale, nella economia, non appare piu' giustificata da alcun principio di ragionevolezza. Il principio di uguaglianza risulta anche violato in relazione al diverse trattamento che riceve il debitore a seconda del credito per cui si procede. Se il credito e' erariale, paradossalmente il debitore risulta maggiormente tutelato, quando invece le ragioni di interesse pubblico e di quadro normativo di riferimento dovrebbero giustificare al contrario un miglior trattamento dei crediti erariali rispetto a quelli comuni. Questo remittente non ignora le precedenti pronunce della Corte costituzionale ma ritiene che i profili sollevati in motivazione in relazione alla prima questione: riguardante la impignorabilita' assoluta di un minimo vitale dello stipendio, rivestano carattere di novita'; e' nuova la questione relativa al diverso e deterioro trattamento dei crediti erariali (regolati dall'art. 72-ter decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973) rispetto ai crediti comuni, inoltre il quadro normativo e quello socio economico di riferimento, sono talmente cambiati da rivestire caratteri di novita' e differenza rispetto alle questioni gia' sottoposte al vaglio della Corte. La questione e' rilevante nel giudizio in corso ai fini della decisione - adattabile anche ex officio - sulla impignorabilita' assoluta delle somme pignorate o sulla quantificazione dell'importo che puo' essere assegnato al creditore (1/5 o 1/10). Questo G.E. ha gia' rimesso a Codesta Corte analoga questione (procedimento n. 572/14).