TRIBUNALE DI PALERMO Sezione lavoro Il Giudice Paola Marino nella causa iscritta al n. 7132/2015 R.G., promossa ex articoli 442 e ss. codice di procedura civile da Barbuscia Agata, rappresentata e difesa dall'Avv. Rita De Michele ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Palermo, via Francesco Paolo Di Blasi n. 16; ricorrente; Contro I.N.P.S., Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Direzione di Bagheria, sede provinciale di Palermo e sede legale di Roma; convenuto contumace; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 27 gennaio 2016. Osserva Con ricorso depositato 15 giugno 2015, la ricorrente indicata in epigrafe - previa rimessione degli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 113 legge n. 190/2014 (legge di Stabilita' 2015) per contrasto con l'art. 3, commi 1 e 2 Cost. - chiedeva dichiararsi il proprio diritto alla corresponsione della pensione anticipata n. 10095031 Cat. VO per intero, senza applicazione della riduzione percentuale applicata ex art. 24, comma 10, decreto-legge n. 201/2011, come modificato dalla legge n. 124/2011, con conseguente diritto al ricalcolo della pensione a decorrere dalla data del 1° ottobre 2014, e di conseguenza condannare l'I.N.P.S. a restituire alla ricorrente quanto illegittimamente trattenuto in applicazione della predetta riduzione percentuale, oltre interessi e rivalutazione sino al soddisfo. Ritualmente instauratosi il contraddittorio, non si costituiva in giudizio l'Istituto convenuto, benche' ritualmente e tempestivamente, citato. La causa veniva rinviata per la decisione e poi in attesa di esaminare piu' approfonditamente la normativa sulla materia, che, nelle more, veniva ulteriormente modificata dalla legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilita' 2016), che ha introdotto, all'art. 1 comma 299, la seguente disposizione: «dopo il comma 113 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e' inserito il seguente: «113-bis. Le disposizioni di cui al secondo periodo del comma 2-quater dell'art. 6 decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, come sostituito dal comma 113 del presente articolo, si applicano anche ai trattamenti pensionistici decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014. La disposizione del presente comma si applica esclusivamente con riferimento ai ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016». Parte ricorrente, quindi, nelle note conclusive depositate telematicamente in data 13 gennaio 2016, ribadiva le conclusioni gia' assunte nel merito, previa rimessione degli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 299, legge n. 208/2015, per contrasto con l'art. 3, commi 1 e 2 Cost., «per avere il legislatore riconosciuto a decorrere dal 1° gennaio 2016 i benefici introdotti dall'art. l comma 113 legge n. 190/2014 anche ai trattamenti pensionistici relativi agli anni 2012, 2013 e 2014, escludendo la ripetibilita' delle somme medio tempore illegittimamente decurtate, differentemente da quanto operato con coloro che hanno avuto accesso alla pensione anticipata a decorrere dal 1° gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2017». Preliminarmente giova delineare il quadro normativo che si e' venuto a creare in seguito alle successive modifiche apportate dal legislatore sulla materia, che e' quella del diritto a pensione in relazione all'anzianita' contributiva e all'eta' anagrafica, aumentata dall'art. 24 comma 6 del decreto-legge 201/2011 convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, e dell'accesso alla pensione anticipata, in relazione al quale il comma 10 del medesimo art. 24 cit. aveva cosi disposto: «10. A decorrere dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti la cui pensione e' liquidata a carico dell'AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonche' della gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 355, che maturano i requisiti a partire dalla medesima data l'accesso alla pensione anticipata ad eta' inferiore ai requisiti anagrafici di cui al comma 6 e' consentito esclusivamente se risulta maturata un'anzianita' contributiva di 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti nell'anno 2012. Tali requisiti contributivi sono aumentati di un ulteriore mese per l'anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dall'anno 2014. Sulla quota di trattamento relativa alle anzianita' contributive maturate antecedentemente 1° gennaio 2012, e' applicata una riduzione percentuale pari a 2 punti percentuali per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto all'eta' di 62 anni. Nel caso in cui l'eta' al pensionamento non sia intera la riduzione percentuale e' proporzionale al numero di mesi.». La norma in questione, quindi, ha penalizzato tutti coloro che a partire dal 2012, essendo in possesso dei requisiti contributivi richiesti dalla norma, volessero accedere alla pensione in anticipo rispetto all'eta' fissata al comma 6, con una riduzione percentuale della quota di trattamento relativa all'anzianita' contributiva effettivamente maturata prima del 2012, pari a due punti percentuali per ciascun anno di anticipo o a riduzione percentuale proporzionale in relazione ai mesi di anticipo. La norma sollevava notevoli reazioni paventandosi da piu' parti che avesse inciso sui diritti quesiti dei lavoratori, che avevano maturato e corrisposto la contribuzione intera per tutti gli anni anteriori 2012 e che, tuttavia vedevano ridurre il trattamento che avevano maturato in corrispondenza della loro anzianita' contributiva, in proporzione all'anticipo con cui richiedevano il pensionamento rispetto alla nuova piu' elevata eta' pensionabile introdotta dalla medesima norma con decorrenza 1° gennaio 2012. Il legislatore e quindi intervenuto sulla materia, modificando una prima volta la norma del comma 10 dell'art. 24 cit., con l'art. 6, comma 2-quater, secondo periodo, della legge n. 216/2011, convertito con modificazioni in legge n. 14/2012 che cosi' disponeva: «Le disposizioni dell'art. 24, comma 10, terzo e quarto periodo, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione, limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianita' contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la predetta anzianita' contributiva entro ivi prevista derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternita', per assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria.». La modifica, evidentemente, non parve sufficente, poiche' l'elencazione dei periodi contributivi esenti da decurtazione, interpretata come tassativa, manteneva la riduzione in relazione a molte casuali contributive tra cui alcune di rilievo, come la cassa integrazione straordinaria. La norma, quindi, e' stata ulteriormente modificata dalla Legge di Stabilita' 2015, legge n. 190/2014, che al suo art. 1, comma 113, ha cosi' statuito: «113. Con effetto sui trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015, il secondo periodo del comma 2-quater dell'art. 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, e successive modificazioni, e' sostituito dal seguente: «Le disposizioni di cui all'art. 24, comma 10, terzo e quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianita' contributiva entro il 31 dicembre 2017». Il legislatore, quindi, ha ritenuto opportuno abolire qualsiasi penalizzazione sui trattamenti pensionistici dei lavoratori che abbiano maturato requisiti pensionistici per la pensione anticipata sino al 31 dicembre 2017 ma solo con effetto sui trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015, in tal modo assoggettando alla decurtazione conseguente riduzione del trattamento pensionistico, tra questi, esclusivamente coloro che sono stati posti in pensione anticipata dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014. La limitazione appariva del tutto priva di alcuna ragionevole giustificazione, non potendosi nella norma appena citata rinvenire alcuna ragione di differenziare i soggetti andati in pensione anticipata negli anni dal 2012 alla fine del 2014 - che anzi avevano fatto maggiore affidamento sulla normativa in materia pensionistica vigente prima del decreto-legge n. 201/2011 rispetto a quelli andati in pensione dal 1° gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2017 e oltre, ove avessero maturato i requisiti pensionistici entro quest'ultima data. Il legislatore, mostrando di avere verosimilmente ravvisato tale manifesta e ingiustificata disparita', e' nuovamente intervenuto sulla norma in oggetto, modificandola ancora con l'introduzione dell'art. 1 comma 299, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilita' 2016), che recita: «dopo il comma 113 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e' inserito il seguente: «113-bis. Le disposizioni di cui il secondo periodo del comma 2-quater dell'art. 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011 n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, come sostituito dal comma 113 del presente articolo, si applicano anche i trattamenti pensionistici decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014. La disposizione del presente comma si applica esclusivamente con riferimento ai ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016». Orbene, cosi descritto il quadro normativo di riferimento, parte ricorrente ha rilevato che la ingiustificata disparita' di trattamento in ogni caso permane per i soggetti titolari dei trattamenti di pensione anticipata decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014 come la ricorrente, pensionata dal 1° ottobre 2014), in relazione ai ratei gia' corrisposti in misura inferiore al dovuto, in applicazione della riduzione percentuale di cui all'art. 24, comma 10, decreto-legge n. 201/2011 sino al 31 dicembre 2015, ratei che rimangono decurtati nella misura prevista da quest'ultima norma, poiche' la riduzione viene meno solo con riferimento ai ratei di pensione decorrenti dal 1° gennaio 2016. I soggetti, come la ricorrente, che sono andati in pensione dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014, pertanto, continuano a venire penalizzati in modo ingiustificato rispetto a coloro che sono andati in pensione anticipata, al pari dei primi, ma con decorrenza dal 1° gennaio 2015 che non hanno subito alcuna decurtazione percentuale del loro trattamento pensionistico in virtu' dell'art. 1, comma 113, n. 190/2014. Orbene, la questione sollevata dalla ricorrente appare non manifestamente infondata. Ed invero, dall'evoluzione normativa sopra descritta non emerge alcuna ragione giustificatrice della evidenziata disparita' di trattamento, che appare violare il principio costituzionale di eguaglianza, di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 3 Cost. poiche' non e' ravvisabile alcuna diversita' nella posizione di coloro che hanno acceduto alla pensione anticipata nel 2012, 2013 o 2014 rispetto a coloro che vi hanno acceduto a partire dal 1° gennaio 2015, se non che i primi hanno maturato i requisiti contributivi utili per il diritto a pensione e quindi diritto alla pensione anticipata in un momento anteriore rispetto a questi ultimi. Tale circostanza, tuttavia, non sembra potere in alcun modo giustificare trattamento deteriore dei primi rispetto ai secondi; questi ultimi hanno in ogni caso avuto accesso alla pensione prima dell'eta' pensionabile stabilita dall'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011, norma che aveva imposto la riduzione percentuale proporzionale al numero degli anni di anticipo. La assoluta identita' della posizione dei soggetti che hanno acceduto alla pensione anticipata con decorrenza successiva al 1° gennaio 2015 rispetto a quella dei soggetti che vi hanno acceduto dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014 porta quindi a ritenere la disparita' del loro trattamento pensionistico assolutamente priva di alcuna razionale giustificazione, che non sia quella che le decurtazioni erano gia' state di fatto operate e che l'INPS avrebbe dovuto in caso diverso pagare ai soggetti posti in pensione anticipata dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014 gli importi non corrisposti in virtu' della riduzione operata. Orbene, tale esigenza di risparmio di spesa da parte dell'Istituto previdenziale non sembra potere assurgere a unica ragione dell'operata evidente disparita' di trattamento sopra evidenziata, poiche' l'attuazione di una norma costituzionale quale quella dell'art. 81 Cost. non puo' essere posta a fondamento della violazione dei principi fondamentali della Carta costituzionale, bensi' posta a raffronto e contemperata con altri valori di rilevanza costituzionale collocati nelle altre successive parti della Costituzione Repubblicana, che hanno fra loro pari importanza e dignita'. L'art. 3, comma 2 della Costituzione, inoltre, e' sempre stato utilizzato dalla Corte costituzionale come generale parametro di ragionevolezza, mediante il quale valutare la conformita' a Costituzione delle norme di legge, risultando cosi' la sua violazione non rapportabile al sacrificio di altri valori, sia pure di rilevanza costituzionale, che devono essere tutelati e contemperati tra di loro, ma nel rispetto del generale principio di parita' di trattamento e di non discriminazione, principi contenuti anche nell'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. In proposito va infatti ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. Corte costituzionale n. 223/2012, se «l'eccezionalita' della situazione economica che lo Stato deve affrontare e', infatti suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti i cittadini necessitano. Tuttavia e' compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non e' indifferente alla realta' economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non puo' consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale e' fondato l'ordinamento costituzionale...». «Il principio di uguaglianza e' violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 15 del 1960), «poiche' l'art. 3 Cost vieta disparita' di trattamento di situazioni simili e discriminazioni irragionevoli» (Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 1980). Quindi «si ha violazione dell'art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversita' di disciplina corrispondono situazioni non sostanzialmente identiche» (Corte costituzionale, sentenza 340 del 2004). L'art. 3 Cost. dice: «Tutti i cittadini ... sono uguali davanti alla legge», ma la Corte ha sempre ritenuto che il principio di uguaglianza operi anche nei confronti dello straniero «allorche' si tratti alla tutela dei diritti inviolabili dell'uomo garantiti allo straniero anche in conformita' dell'ordinamento internazionale» (Corte costituzionale, sentenza n. 104 del 1969). Per il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, stabilito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione, le distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali possono essere assunte dal legislatore quali criteri validi per l'adozione di una diversa disciplina. La norma dell'art. 1, comma 299, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilita 2016), che recita: «dopo il comma 113 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e' inserito il seguente: «113-bis. Le disposizioni di cui al secondo periodo del comma 2-quater dell'art. 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, come sostituito dal comma 113 del presente articolo, si applicano anche ai trattamenti pensionistici decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014. La disposizione del presente comma si applica esclusivamente con riferimento ai ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1º gennaio 2016», appare quindi censurabile anzitutto per la violazione dell'art. 3, commi 1 e 2, Cost., nella parte in cui prevede che «La disposizione del presente comma si applica esclusivamente con riferimento ai ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016.», attuando questa parte della norma la irragionevole disparita' di trattamento sopra esposta. Nella medesima parte la norma appare censurabile anche in relazione altre norme della Costituzione ed in particolare: a) Il principio di cui all'art. 36, comma 1, Cost., poiche' la decurtazione del trattamento pensionistico relativo all'anzianita' contributiva effettivamente maturata dal lavoratore viola il principio di proporzionalita' tra pensione (che costituisce prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzioni goduta durante l'attivita' lavorativa; b) Il principio derivante dal combinato disposto degli articoli 36, 38, 2, 3 Cost., perche' la decurtazione del trattamento pensionistico spettante al lavoratore in relazione alla contribuzione maturata, violando il principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il meccanismo del principio solidaristico e il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno solo di alcuni pensionati, casualmente andati in pensione anticipata nel periodo dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014, invece che prima o dopo detto periodo; La Corte costituzionale, nella sentenza n. 70/2015, con cui ha dichiarato l'incostituzionalita' di altro comma (il 25) del medesimo art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 in tema di perequazione delle pensioni, ha avuto modo di osservare che: «L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, e' teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalita' del trattamento di quiescenza inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest'ultimo e' da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma Cost.». Orbene, la riduzione del trattamento pensionistico effettuata solo nei confronti di alcuni soggetti e collegata in modo arbitrario alla mera circostanza che costoro siano andati in pensione anticipata in tre particolari anni (2012, 2013 e 2014), pur versando nelle medesime condizioni di tutti coloro che prima e soprattutto dopo tali anni sono stati posti in pensione anticipata, appare espressione di una irragionevole discriminazione nei confronti dei destinatari della declinazione, in violazione dei principi di uguaglianza formale (art 3, comma 1, Cost.) e sostanziale (art. 3, comma. 2, Cost.), oltre che un sacrificio irragionevole del diritto proprio di costoro a ricevere un trattamento previdenziale proporzionato al lavoro e alla contribuzione per esso versata (art. 36, comma 1, Cost.) adeguato (art. 38, comma 2, Cost.), in attuazione del principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost. e del medesimo principio di eguaglianza sostanziale di cui al citato art. 3, comma 2 Cost.. La rilevanza della questione emerge chiaramente dagli atti e documenti del giudizio, poiche' la ricorrente ha percepito una pensione inferiore a quella che avrebbe dovuto percepire senza l'applicazione della decurtazione, nel periodo dal 1° ottobre 2014, in cui ando' in pensione anticipata, e sino al 31 dicembre 2015, nella misura di circa € 263,63 al mese (pari a una decurtazione dei 1,24%) somme alla cui corresponsione avrebbe pacificamente diritto ove venisse meno la parte di norma sulla quale si solleva questione di legittimita' costituzionale e al cui pagamento, oltre accessori, ha chiesto l'I.N.P.S. sia condannato in proprio favore.