TRIBUNALE DI BERGAMO 
                           Sezione Lavoro 
 
 
                             IL GIUDICE 
 
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 16 settembre 2016,
pronuncia la seguente ordinanza. 
    Premesso che con ricorso ex artt. 28 D.  Lgs  150/2011  e  44  TU
Immigrazione depositato in data 22 gennaio 2015  Mikic  Vasilije,  di
nazionalita' serba, ha esposto che: 1) in data 15 aprile  2014  aveva
presentato domanda  di  assegno  sociale,  essendo  in  possesso  dei
requisiti di eta' e di reddito  ed  essendo  vissuto  stabilmente  in
Italia per quasi vent'anni; 2) l'INPS aveva respinto la  sua  domanda
per la mancanza del  permesso  di  soggiorno  di  lungo  periodo;  il
ricorrente, evidenziata la contraddittorieta'  fra  la  natura  della
provvidenza in questione, volta  a  tutelare  situazioni  di  vera  e
propria indigenza, con la necessita' del  permesso  di  soggiorno  di
lungo periodo, che presuppone un requisito  reddituale  minimo  (pari
proprio all'importo annuo  dell'assegno  sociale),  ha  convenuto  in
giudizio  l'INPS  chiedendo  il  riconoscimento   del   suo   diritto
all'assegno sociale o in subordire chiedendo che fosse  rimessa  alla
Corte costituzionale la questione della legittimita' degli artt. 3 l.
335/95 e 80 e. 19 l. 388/2000, che disciplinano la materia. 
    L'INPS si e' costituito sostenendo che non sarebbe  irragionevole
subordinare  la  concessione  dell'assegno  sociale  a   un   maggior
radicamento sul territorio  nazionale  attraverso  la  richiesta  del
permesso di soggiorno di lungo periodo, ed evidenziando le differenze
fra l'assegno sociale e le provvidenze in materia  di  invalidita'  e
inabilita',  per  cui  la  Corte  costituzionale  ha,   con   diversi
interventi anche recenti, dichiarato l'incostituzionalita'  dell'art.
80 c. 19 1. 388/2000; l'INPS ha inoltre contestato che il  ricorrente
fosse in possesso degli altri requisiti, primo fra  tutti  quello  di
aver soggiornato legalmente, in via continuativa,  per  almeno  dieci
anni nel territorio nazionale. 
    All'esito dell'istruttoria svolta e'  risultato  provato  che  il
ricorrente e' in possesso di  tutti  gli  altri  requisiti  (compreso
quello del soggiorno legale continuativo in Italia per  almeno  dieci
anni) richiesti per  beneficiare  dell'assegno  sociale,  escluso  il
permesso di soggiorno di lunga durata. 
    Nelle more in un  caso  analogo  il  Tribunale  di  Bologna,  con
ordinanza  in  data  23  marzo  2015,  ha  sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale sull'art. 80 c. 19 1. 388/200G. 
    La Corte costituzionale, con ordinanza n. 180 del 15 luglio  2016
ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione in quanto «il
giudice rimettente ha mostrata di non essersi posto il problema della
eventuale  applicabilita',  anche   solo   per   escluderla»,   della
disciplina dettata dall'art. 20 c. 10 DL 112/2008 convertito con mod.
dalla l. 133/2008 (v. anche ord. Corte cost. n. 197/2013). 
    L'assegno sociale e' stato istituito dall'art. 3 e. 6 1. 335/1995
per i cittadini italiani, poi esteso agli  stranieri  extracomunitari
prima con il solo limite della titolarita' del permesso di  soggiorno
di almeno un anno (art. 41 T.U. Immigrazione) e  poi  con  il  limite
della  titolarita'  della  carta  di  soggiorna  -  ora  permesso  di
soggiorno di lungo periodo - (art. 80 o. 19 1. 1. 388/2000). 
    Avevano quindi diritto all'assegno sociale, per  quanto  riguarda
gli stranieri, solo quelli che, oltre al requisito  reddituale  e  di
eta', erano in possesso appunto del permesso di  soggiorno  di  lungo
periodo, 
    Successivamente l'art. 20 c. 10 DL 112/2008 conv. con  mod  dalla
1. 133/2008  ha  previsto  che  «a  decorrere  dal  1°  gennaio  2009
l'assegno sociale di cui all'art. 3 o. 6 1. 335/1995  e'  corrisposto
agli aventi diritto a condizione che abbiano  soggiornato  legalmente
in  via  continuativa  (per  almeno  dieci   anni)   nel   territorio
nazionale». 
    Tale requisito (richiesto  sia  per  gli  italiani  che  per  gli
stranieri) e' ulteriore, in quanto si aggiunge a tutti gli altri gia'
richiesti per avere diritto  alla  prestazione,  come  risulta  dalla
lettera della norma. 
    Anche nella presente causa  sia  il  ricorrente  che  l'INPS  (v.
circolare n. 105 del 2 dicembre 2008) hanno mostrato di  interpretare
in tal senso il requisito de quo (cioe' come aggiuntivo  rispetto  al
permesso di soggiorno di lunga durata). 
    Al ricorrente certamente si applica l'art. 20 c. 10  1.  133/2008
e, poiche' lo stesso e' in possesso del relativo requisito (come gia'
detto sul punta e' stata  svolta  attivita'  istruttoria  che  lo  ha
confermato), ne deriva che l'unico requisito di cui e' privo (per cui
d'altra parte l'INPS ha respinto la sua domanda) e'  il  permesso  di
soggiorno di lungo periodo. 
    Cio' rende rilevante, al fine  della  decisione  della  causa  la
questione della possibile illegittimita' costituzionale dell'art.  80
c. 19 1. 388/2008. 
    Ne'  -  sempre  in  punto  rilevanza  -  e'  possibile   ritenere
sussistente  il  diritto  del  ricorrente,  come  pure  dallo  stesso
richiesto, in applicazione della direttiva 2011/98 UE,  che  all'art.
12 (non recapito nel nostro ordinamento nonostante  l'emanazione  del
D. Lgs 40/2014 di recepimento, ma  applicabile  incondizionatamente),
impone la parita' di trattamento fra i  «lavoratori»  stranieri  e  i
cittadini dello Stato europeo che li ospita per  quanto  riguarda  il
settore della sicurezza sociale. 
    Per quanto il paragrafo l lett. b e  c  della  stessa  direttiva,
richiamato dall'art.  12,  qualifichi  come  «lavoratori»,  oltre  ai
«cittadini dei Paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro
a fini lavorativi», anche i «cittadini dei Paesi terzi che sono stati
ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall'attivita'  lavorativa
ai quali  e'  consentito  lavorare»,  anticipando  la  tutela  a  una
situazione di potenzialita' (cioe' estendendola ai cittadini di Paesi
terzi che abbiano anche solo la possibilita'  di  svolgere  attivita'
lavorativa), e per  quanto  il  ricorrente  sia  in  possesso  di  un
permesso  di  soggiorno  per  motivi  familiari,  che   gli   avrebbe
consentito di lavorare,  nel  caso  di  specie  lo  stesso  che,  pur
avendone avuto la possibilita', non ha  mai  lavorato  per  tutta  la
durata della  sua  vita  lavorativa,  non  puo'  in  concreto  essere
qualificato come un «lavoratore» e  beneficiare  della  tutela  della
direttiva de qua. 
    Non vi e'  ragione  infatti  di  valorizzare  una  situazione  di
potenziante, che e' contraddetta, a posteriori,  dal  fatto  positivo
che lo stesso, nel ventennio circa in cui ha stabilmente  soggiornato
in Italia, non ha mai lavorato. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza si osserva che  l'art.  80
c. 19 1. 388/2000,  nella  parte  in  cui  subordina  la  concessione
dell'assegno sociale agli stranieri extracomunitari al  possesso  del
permesso di soggiorno di lungo  periodo,  pare  contrastare  in  modo
insanabile con l'art. 10, c. 1 Cost., dal momento che  tra  le  norme
del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle
che, nel garantire  i  diritti  inviolabili  indipendentemente  dalle
appartenenze   a   determinate   entita'   politiche,   vietano    la
discriminazione  nei  confronti   degli   stranieri,   legittimamente
soggiornanti nel territorio dello Stato, poiche'  al  legislatore  e'
consentito dettare norme non palesemente irragionevoli, che  regolino
l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia, ma una volta
che il diritto a soggiornare non sia in discussione, non  si  possono
discriminare  gli  stranieri,   stabilendo,   nei   loro   confronti,
particolari limitazioni per il  godimento  dei  diritti  fondamentali
della persona. 
    Lo stesso articolo contrasta altresi' con l'art. 117 c.  1  Cost.
in relazione all'art. 14 Convenzione per la Salvaguardia dei  Diritti
dell'Uomo e delle Liberta' Fondamentali, in quanto l'assegno  sociale
e' comunque subordinato sia allo stato di bisogno del  richiedente  e
della sua famiglia, che  allo  stabile  soggiorno  ultradecennale  in
Italia, sicche' l'ulteriore requisito del possesso  del  permesso  di
soggiorno di lungo periodo (ineliminabile in  via  interpretativa  ad
avviso  di  questo  giudice)  e'  ridondante  e  quindi  ancor   piu'
discriminatorio in quanto richiesto per i soli stranieri. 
    Infine ad avviso di questo giudice l'assegno sociale,  pur  nelle
evidenti  diversita'  rispetto  alle  provvidenze   in   materia   di
invalidita' e inabilita' (per cui la  Corte  costituzionale  e'  gia'
ripetutamente intervenuta dichiarando incostituzionale l'art.  80  c.
19 1.  388/2000),  non  appare  immune  da  censure,  stante  il  suo
carattere di prestazione essenziale, comunque volto  a  sopperire  ad
una necessita' di base, seppure di natura economica. 
    Sul punto quindi non appare condivisibile il recente orientamento
della Corte di  cassazione  (non  ancora  consolidato  e  quindi  non
qualificabile come «diritto vivente»), che con la sentenza 22261/2015
ha ritenuto non irragionevole subordinare il  godimento  dell'assegno
sociale per gli stranieri alla titolarita' del permesso di  soggiorno
di lungo periodo. 
    L'irragionevolezza insanabile, e quindi il  contrasto  anche  con
l'art. 3 Cost., infatti risiede nel  subordinare  la  prestazione  al
possesso di un requisito che  presuppone  l'esistenza  di  un  minimo
reddituale,  alla  cui  mancanza  la  prestazione   stessa   dovrebbe
sopperire. 
    La questione quindi appare sia rilevante che  non  manifestamente
infondata.