ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
61, 65, 66, 67, 68, 69 e 638, della legge 28 dicembre 2015,  n.  208,
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge  di  stabilita'  2016)»,  promosso  dalla  Regione
siciliana con ricorso notificato il 29 febbraio 2016,  depositato  in
cancelleria l'8 marzo 2016 ed iscritto al n. 15 del registro  ricorsi
2016. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  maggio  2017  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi l'avvocato Beatrice Fiandaca per  la  Regione  siciliana  e
l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del  Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Regione siciliana, con  ricorso  iscritto  al  n.  15  del
registro ricorsi 2016, ha impugnato, tra gli altri, l'art.  1,  commi
61, 65, 66, 67, 68, 69, anche in combinato disposto con il comma 638,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)», per violazione degli  artt.  36  e  37  del  regio
decreto legislativo  15  maggio  1946,  n.  455  (Approvazione  dello
statuto della Regione siciliana), in relazione all'art. 2 del decreto
del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965,  n.  1074  (Norme  di
attuazione  dello  Statuto  della  Regione   siciliana   in   materia
finanziaria), nonche' del principio di leale collaborazione. 
    1.1.- Premette la ricorrente che la legge di stabilita' del  2016
imporrebbe alla Regione siciliana ulteriori sacrifici che  andrebbero
a sommarsi alle precedenti riduzioni di risorse subite dalla  Regione
negli ultimi anni. La  somma  di  tali  riduzioni  avrebbe  superato,
secondo la Regione siciliana, la soglia di legittimita' stabilita  da
questa  Corte,  in  quanto  le  suddette   manovre   avrebbero   reso
impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali. 
    Evidenzia, inoltre, che la giurisprudenza costituzionale ha  piu'
volte ammesso che la legge dello Stato puo', nell'ambito  di  manovre
di finanza pubblica, anche determinare riduzioni nella disponibilita'
finanziaria delle Regioni, purche' non sia alterato il rapporto tra i
complessivi bisogni regionali ed i mezzi finanziari per farvi  fronte
(sentenze n. 307 del 1983, n. 123 del 1992, n. 370 del 1993 e n.  138
del 1999). 
    Rammenta che al bilancio regionale  affluisce  solo  una  ridotta
parte del gettito tributario riscosso in Sicilia, come si evincerebbe
dai dati richiamati dalla Corte dei conti in  sede  di  parifica  del
rendiconto per l'esercizio finanziario 2014 (3 luglio 2015 -  sezioni
riunite in sede di controllo per la Regione siciliana -  delibera  n.
2/2015/PARI), secondo la quale «Nel corso del 2014, la  Struttura  di
gestione  dell'Agenzia  delle  entrate  ha  "trattenuto"  le  entrate
riscosse  nella  Regione  per  complessivi  585,5  milioni  di  euro,
riversandole  direttamente  al  bilancio  dello  Stato  a  titolo  di
accantonamenti tributari e, per di  piu',  in  assenza  di  qualsiasi
comunicazione formale alla Regione. Quest'ultima, in tal modo, non ha
potuto "accertare" la medesima somma in entrata  e,  conseguentemente
in uscita a titolo di concorso  alla  finanza  pubblica  atteso  che,
nell'ordinamento contabile della Regione, le  entrate  erariali  sono
accertate all'atto del versamento». Le sezioni  riunite  della  Corte
dei conti siciliana avrebbero pertanto  evidenziato  «come  l'operato
degli anzidetti  Uffici  statali,  che  hanno  posto  in  essere  una
sostanziale "compensazione per cassa", abbia realizzato una procedura
unilaterale  e  poco  trasparente,  che  non  consente  un   corretto
riscontro al livello di banca dati SIOPE e che mal si concilia con il
principio di "leale collaborazione" che deve  presidiare  i  rapporti
istituzionali tra Stato e Regione». 
    Tale prassi avrebbe prodotto un duplice ordine di criticita': «da
una parte non ha consentito alla Regione di  operare  in  termini  di
corretta  contabilizzazione  delle  entrate,   di   talche'   risulta
fuorviante e di difficile comprensione, attraverso il rendiconto, non
solo  la  modalita'  con  la  quale  la  Regione  ha  contribuito  al
risanamento della finanza pubblica, ma anche l'analisi  della  "serie
storica" degli accertamenti, ai fini di un confronto omogeneo  con  i
dati  degli  esercizi  precedenti;  dall'altra,  si  e'  generato  un
disallineamento tra le scritture contabili dello Stato e quelle della
Regione, atteso che la quietanza in entrata al bilancio  dello  Stato
del  31  dicembre  2014,  e'  stata  successivamente  rettificata  in
diminuzione per l'importo di  585,5  milioni,  gia'  trattenuto  alla
Regione, con effetti sul consuntivo 2014  dello  Stato,  mentre,  nel
rendiconto della Regione, le medesime entrate, restituite  nel  primo
trimestre 2015, sono state necessariamente  contabilizzate  in  conto
competenza 2015, non potendo incidere in diminuzione del disavanzo di
fine esercizio». Dal testo  della  relazione  di  parifica  del  2015
risulterebbe quindi con tutta evidenza il peso gravoso che la Regione
sarebbe costretta annualmente a sostenere  per  effetto  delle  varie
disposizioni che nel tempo si sono succedute, a partire  dalla  legge
di stabilita' 2012, e che le impongono oneri sempre  piu'  gravosi  a
vario titolo. 
    1.2.- Sulla scorta di tali premesse la Regione siciliana  impugna
l'art. 1, comma 61, della legge n. 208 del 2015, per violazione degli
artt. 36 e 37 dello statuto, nonche' dell'art. 2 delle relative norme
di attuazione in materia  finanziaria,  oltreche'  del  principio  di
leale collaborazione. 
    Espone  la  ricorrente  che  la  norma   dispone   la   riduzione
dell'aliquota  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'   produttive
(IRES) a decorrere dal 2017 (dal 27,5 per cento al 24  per  cento)  e
produce un minor gettito stimato pari a 3.970 milioni di euro l'anno,
solo parzialmente compensato da un recupero dell'imposta sul  reddito
delle persone fisiche (IRPEF) (comprensivo di addizionali) pari a 114
milioni di euro in ragione d'anno, dovuto alla maggiore imponibilita'
di dividendi e plusvalenze da partecipazioni qualificate. 
    La somma dei due  effetti  finanziari  determinerebbe  quindi,  a
regime, una minore entrata per l'erario, pari a 3.856 milioni di euro
l'anno. 
    Al riguardo, osserva la Regione che,  considerato  che  la  norma
impugnata si applica anche all'IRES riscossa in Sicilia, la  disposta
riduzione dell'aliquota violerebbe  l'assetto  finanziario  stabilito
dagli artt. 36 e 37 dello statuto, in base  ai  quali  spettano  alla
Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente
deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito
del suo territorio, dirette  o  indirette,  comunque  denominate,  ad
eccezione di quelle espressamente riservate allo Stato  e  di  quelle
che rispondano  ai  requisiti  di  cui  all'art.  2  delle  norme  di
attuazione in materia finanziaria,  per  darsi  luogo  alla  prevista
deroga. 
    Ne', secondo la ricorrente,  sarebbe  presente  una  clausola  di
salvaguardia che preveda  l'inapplicabilita'  delle  disposizioni  in
esame alle Regioni ad autonomia speciale, ove siano in contrasto  con
gli statuti e le relative norme di attuazione. 
    Osserva, inoltre, la ricorrente che tale riduzione sarebbe  stata
unilateralmente disposta in assenza di ogni intesa con lo Stato e non
sarebbe stata prevista alcuna misura compensativa idonea a bilanciare
la disposta riduzione. 
    1.3.- La Regione siciliana impugna inoltre l'art. 1, commi da  65
a 69, della legge di stabilita' 2016 «anche in combinato disposto con
il comma 638», per violazione degli artt.  36  e  37  dello  statuto,
nonche'  dell'art.  2  delle  norme  di  attuazione,  oltre  che  del
principio di leale collaborazione. 
    Espone la ricorrente che le disposizioni in  rubrica  introducono
una addizionale IRES del 3,5 per  cento  per  gli  enti  creditizi  e
finanziari. 
    In particolare, il comma  65  stabilisce  che  detta  addizionale
opera per  «gli  enti  creditizi  e  finanziari  di  cui  al  decreto
legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, e per la Banca d'Italia». 
    Il   comma   66   chiarisce   le   modalita'   di    applicazione
dell'addizionale per i soggetti che hanno optato per la tassazione di
gruppo ovvero per il regime della trasparenza. 
    Il comma 67, poi, modificando l'art. 96, comma 5-bis, del decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre  1986,  n.  917,  recante
«Approvazione del testo unico  delle  imposte  sui  redditi»  (TUIR),
rende deducibili dall'IRES  gli  interessi  passivi  sostenuti  dalle
imprese di  assicurazione  e  dalle  societa'  capogruppo  di  gruppi
assicurativi. 
    Il comma 68 ne dispone la deducibilita' anche a fini dell'imposta
regionale sulle attivita' produttive (IRAP). 
    Il comma 69  dispone  l'applicazione  delle  norme  introdotte  a
decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in  corso  al  31
dicembre 2016. 
    Sostiene inoltre la ricorrente che il maggior  gettito  derivante
dalle  norme  introdotte  sarebbe  destinato   ad   incrementare   il
rifinanziamento, previsto al comma  638,  del  Fondo  per  interventi
strutturali di politica economica (FISPE),  istituito  dall'art.  10,
comma 5, del decreto-legge 29 novembre  2004,  n.  282  (Disposizioni
urgenti in materia fiscale e di finanza  pubblica),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307. 
    La destinazione di  tale  maggior  gettito  tributario  al  FISPE
risulterebbe dalla relazione tecnica al Senato - Atti Senato 2111-B -
allegata alla legge n. 208 del 2015. 
    Rammenta al riguardo la Regione siciliana, che  questa  Corte  ha
piu' volte precisato che  «L'evocato  art.  36,  primo  comma,  dello
statuto, in combinato disposto con l'art. 2, primo comma, del  d.P.R.
n. 1074 del 1965, indica le seguenti tre condizioni per l'eccezionale
riserva allo Stato del gettito delle entrate erariali: a)  la  natura
tributaria dell'entrata;  b)  la  novita'  di  tale  entrata;  c)  la
destinazione del gettito "con apposite leggi alla copertura di  oneri
diretti a soddisfare particolari finalita' contingenti o continuative
dello Stato  specificate  nelle  leggi  medesime"»  (sono  citate  le
sentenze n. 273 del 2015, n. 176 del 2015, n. 145 del 2014 e  n.  241
del 2012). 
    Obietta la ricorrente che, pur non essendo  contestabile  ne'  la
natura tributaria ne' la novita' dell'entrata in  questione,  sarebbe
invece carente il requisito della specificita' della destinazione che
«non si riscontra [...]  per  finalita'  contingenti  o  continuative
dello Stato» e che non sarebbe integrato dalla sola destinazione  del
maggior gettito al FISPE (e' richiamata la sentenza n. 246 del 2015). 
    Inoltre, prosegue la Regione, l'art. 1, comma 67, laddove prevede
l'integrale deducibilita' dall'IRES degli interessi passivi in favore
dei  soggetti  destinatari  della  maggiorazione  IRES,   inciderebbe
ulteriormente sul bilancio regionale in quanto verrebbe  a  sottrarre
gettito tributario alla Regione, in assenza dei presupposti  previsti
dalle  norme  in  rubrica.  Anche  tale   riduzione   sarebbe   stata
unilateralmente disposta in assenza di ogni intesa con lo Stato e non
sarebbe stata prevista alcuna misura compensativa idonea a bilanciare
la disposta riduzione del gettito in favore della ricorrente. 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, deducendo l'inammissibilita'  e  comunque  l'infondatezza  del
ricorso. 
    Ad avviso del resistente  la  reiterata  doglianza  svolta  dalla
Regione in  ordine  al  grave  vulnus  arrecato  all'esercizio  delle
proprie funzioni a  seguito  della  carenza  di  risorse  finanziarie
derivante dalla norme impugnate dovrebbe ritenersi inammissibile,  in
quanto  la  ricorrente  non  avrebbe   assolto   l'onere   probatorio
concernente la dimostrazione dell'effettiva incidenza negativa  delle
norme in questione - che peraltro trovano  applicazione  dal  2017  -
bensi' si sarebbe limitata ad allegarla apoditticamente alla  stregua
di un fatto notorio. 
    Rammenta la difesa statale che, come spesso  ribadito  da  questa
Corte (di recente dalla sentenza  n.  26  del  2014),  a  seguito  di
manovre  di  finanza  pubblica,  ben  possono   anche   «determinarsi
riduzioni nella disponibilita'  finanziaria  delle  Regioni,  purche'
esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le
complessive esigenze di spesa regionale  e,  in  definitiva,  rendano
insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione stessa  dispone
per l'adempimento dei propri compiti (sentenze n. 97 del 2013, n. 241
del 2012, n. 298 del 2009 e n. 256 del 2007)». 
    2.1.- Nel merito, il Presidente del  Consiglio  ritiene  comunque
che  tutte  le  censure  proposte  dalla  Regione   Siciliana   siano
palesemente infondate. 
    Con riferimento all'impugnazione dell'art.  1,  comma  61,  della
legge 208 del 2015 lo Stato, nell'esercizio delle  proprie  facolta',
avrebbe  legittimamente  e  correttamente  operato  su  tributi   che
appartengono alla propria competenza esclusiva,  ai  sensi  dell'art.
117, secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  e  che  consentirebbe  al
legislatore  statale  di  variarne  la  disciplina  incidendo   sulle
aliquote, e persino di sopprimerli (e' richiamata la sentenza  n.  97
del 2013). 
    Quindi, nella  modulazione  del  prelievo  fiscale  non  potrebbe
ritenersi che ogni intervento  su  un  tributo  che,  in  ragione  di
siffatta modificazione, comporti un minor  gettito  per  le  Regioni,
debba «essere accompagnato da  misure  compensative  per  la  finanza
regionale, la quale - diversamente - verrebbe ad essere  depauperata»
(sentenza n. 431 del 2004). Cio' in quanto, come ribadito dalla Corte
nella citata sentenza n. 26 del 2014, deve escludersi  «da  un  lato,
che possa essere effettuata una atomistica considerazione di  isolate
disposizioni incidenti sul tributo, senza valutare nel suo  complesso
la manovra fiscale entro la  quale  esse  trovano  collocazione,  ben
potendosi  verificare  che,  per  effetto  di  plurime   disposizioni
contenute nella stessa legge oggetto di impugnazione principale, o in
altre leggi dirette a governare la medesima manovra  finanziaria,  il
gettito complessivo destinato  alla  finanza  regionale  non  subisca
riduzioni (sentenze n. 298 del 2009, n. 155 del 2006  e  n.  431  del
2004)»; e, dall'altro lato,  che  dalla  previsione  statutaria  «sia
desumibile un principio di invarianza del gettito per la  Regione  in
caso di modifica di tributi erariali, che si traduca  in  una  rigida
garanzia "quantitativa" di disponibilita' di entrate  tributarie  non
inferiori a quelle ottenute in passato (sentenza n. 241 del 2012)». 
    Identiche considerazioni, secondo la difesa  statale,  dovrebbero
valere  anche  con  riferimento  alle   eccezioni   sollevate   dalla
ricorrente avverso la disposizione del comma  67  dell'art.  1  della
legge n. 208 del 2015, il quale dispone  che  gli  interessi  passivi
sostenuti dalle imprese di assicurazione e dalle societa'  capogruppo
di gruppi assicurativi sono deducibili nei limiti del  96  per  cento
del loro ammontare. 
    Relativamente all'impugnazione dell'art. 1, commi 65, 66, 68 e 69
della legge n. 208 del 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri
evidenzia che ne' le disposizioni impugnate, ne' le altre norme della
legge di stabilita' per il 2016, stabilirebbero  la  destinazione  al
FISPE delle maggiori entrate derivanti dalle norme censurate, per cui
dovrebbe escludersi che si tratti di una riserva statale,  in  quanto
non vi sarebbe, in sostanza, alcun dato testuale che possa suffragare
le lamentate lesioni alle prerogative regionali. 
    Infine, secondo la difesa statale, parimenti infondato sarebbe il
correlato profilo di  doglianza  riguardante  la  dedotta  violazione
della norma in ragione del mancato raggiungimento di un'intesa con lo
Stato. Rammenta, al riguardo, che questa Corte avrebbe  ripetutamente
e costantemente escluso (da ultimo con la citata sentenza n.  26  del
2014) che le procedure collaborative fra Stato e Regioni  (salvo  che
l'osservanza delle stesse sia imposta direttamente  o  indirettamente
da  norme   costituzionali)   trovino   applicazione   nell'attivita'
legislativa esclusiva dello Stato, per la quale non vi e' concorso di
competenze diversamente allocate, ne' ricorrono i presupposti per  la
chiamata in sussidiarieta' (sono richiamate le sentenze n. 121 e n. 8
del 2013 e n. 207 del 2011). 
    2.2.- Con successiva memoria, presentata  in  vista  dell'udienza
pubblica, il Presidente del Consiglio ha rammentato che questa Corte,
anche con la recente sentenza  n.  280  del  2016,  ha  ulteriormente
confermato il proprio costante orientamento  in  ragione  del  quale,
dalla prevista spettanza alla  Regione  di  quote  fisse  di  entrate
tributarie erariali riscosse nel territorio della stessa, non sarebbe
desumibile un principio di invarianza  del  gettito  per  la  Regione
medesima in caso di modifica di tributi erariali, che si  traduca  in
una  rigida  garanzia  quantitativa  di  disponibilita'  di   entrate
tributarie non inferiori a quelle ottenute in passato. 
    Relativamente all'impugnazione dell'art. 1, commi 65,  66,  68  e
69, della legge n. 208 del 2015, evidenzia ulteriormente che  ne'  le
disposizioni impugnate, ne' le altre norme della legge di  stabilita'
per il 2016, stabiliscono la destinazione delle maggiori  entrate  al
FISPE, dovendosi quindi  escludere  che  si  tratti  di  una  riserva
statale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso indicato in epigrafe la Regione  siciliana  ha
impugnato, tra gli altri, l'art. 1, commi 61, 65, 66, 67,  68  e  69,
«anche in combinato disposto  con  il  comma  638»,  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)»,  in  riferimento  agli  artt.  36  e  37  del  regio  decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto  della
Regione  siciliana),  in  relazione  all'art.  2  del   decreto   del
Presidente della  Repubblica  26  luglio  1965,  n.  1074  (Norme  di
attuazione  dello  Statuto  della  Regione   siciliana   in   materia
finanziaria), nonche' al principio di leale collaborazione. 
    1.1.-  Va  riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle
questioni vertenti sulle altre disposizioni contenute nella legge  n.
208 del 2015  impugnate  dalla  Regione  siciliana  con  il  medesimo
ricorso. 
    1.2.- L'art. 1, comma 61, della legge n. 208 del 2015 dispone una
riduzione  dell'aliquota  dell'imposta  regionale   sulle   attivita'
produttive (IRES) dal 27,5 per cento al 24 per cento, a decorrere dal
1º gennaio 2017, con effetto per i  periodi  d'imposta  successivi  a
quello in corso al 31  dicembre  2016;  l'art.  1,  comma  67,  della
medesima legge modifica l'art.  96,  comma  5-bis,  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  22  dicembre  1986,  n.  917,  recante
«Approvazione del testo unico  delle  imposte  sui  redditi»  (TUIR),
disponendo  la  deducibilita'  dall'IRES  degli   interessi   passivi
sostenuti dalle imprese di assicurazione e dalle societa'  capogruppo
di gruppi assicurativi. 
    Successivamente alla proposizione del ricorso,  l'art.  1,  comma
49, lettera b),  della  legge  11  dicembre  2016,  n.  232,  recante
«Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2017  e
bilancio  pluriennale  per  il  triennio  2017-2019»,  ha  esteso  la
predetta deducibilita' anche alle «societa'  di  gestione  dei  fondi
comuni d'investimento di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998,
n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia  di  intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della  legge  6  febbraio
1996, n. 52)». 
    1.3.-  Secondo  la  Regione  siciliana  tali  disposizioni,   non
previamente concertate con la medesima, produrrebbero delle riduzioni
di entrata destinate a ripercuotersi negativamente anche sul bilancio
della ricorrente, in ragione della sua compartecipazione  al  gettito
dei tributi erariali, prevista dagli artt. 36 e 37 dello  statuto  di
autonomia e dall'art. 2 delle relative disposizioni di attuazione  in
materia finanziaria, considerato anche che lo Stato  non  avrebbe  al
contempo  previsto  adeguate  misure  compensative  in  favore  della
Regione. 
    La ricorrente evidenzia che tali previsioni andrebbero a  sommare
i propri  effetti  negativi  a  quelli  recati  da  altre  precedenti
riduzioni di risorse subite dalla Regione negli ultimi anni, rendendo
impossibile lo svolgimento delle funzioni ad essa affidate. A riprova
di cio' richiama alcuni dati esposti dalla Corte dei  conti,  sezioni
riunite in sede di controllo per la Regione  siciliana,  in  sede  di
giudizio di parifica del rendiconto per l'esercizio finanziario 2014,
laddove si darebbe conto del fatto che lo Stato trattiene a titolo di
accantonamenti  parte  delle  entrate  di  competenza  della  Regione
medesima. 
    La Regione siciliana impugna altresi' l'art. 1, commi da 65 a 69,
della  legge  n.  208  del  2015.   Tali   disposizioni   introducono
un'addizionale all'IRES del 3,5 per cento per gli  enti  creditizi  e
finanziari di cui al decreto  legislativo  27  gennaio  1992,  n.  87
(Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE, relativa ai conti  annuali
ed  ai  conti  consolidati  delle  banche  e  degli  altri   istituti
finanziari, e della direttiva n. 89/117/CEE, relativa  agli  obblighi
in materia di pubblicita' dei documenti contabili  delle  succursali,
stabilite  in  uno  Stato  membro,  di  enti  creditizi  ed  istituti
finanziari con sede sociale fuori di tale  Stato  membro)  e  per  la
Banca d'Italia, dettandone la disciplina specifica. 
    Successivamente alla proposizione del ricorso,  l'art.  1,  comma
49,  lettera  a),  della  legge  n.  232   del   2016,   ha   escluso
dall'applicabilita' della predetta  addizionale  all'IRES  le  «[...]
societa' di gestione dei fondi comuni d'investimento di cui al d.lgs.
n. 58 del 1998». 
    La ricorrente sostiene che - come sarebbe riscontrabile anche dal
successivo art. 1, comma 638, della medesima legge n. 208 del 2015  -
tale maggior gettito sarebbe stato riservato  allo  Stato  in  quanto
destinato ad incrementare il finanziamento del Fondo  per  interventi
strutturali di politica economica (FISPE),  istituito  dall'art.  10,
comma 5, del decreto-legge 29 novembre  2004,  n.  282  (Disposizioni
urgenti in materia fiscale e di finanza  pubblica),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307. 
    Al riguardo,  la  ricorrente  deduce  l'illegittimita'  di  detta
riserva, in  quanto  difetterebbe  la  previsione  di  una  specifica
destinazione con apposita  legge  del  maggior  gettito  «[...]  alla
copertura  di  oneri  diretti  a  soddisfare  particolari   finalita'
contingenti  o  continuative  dello  Stato  specificate  nelle  leggi
medesime», secondo quanto disposto dall'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del
1965. 
    2.- Le modifiche recate, successivamente  alla  proposizione  del
ricorso, dall'art. 1, comma 49, lett. a) e b), della l.  n.  232  del
2016, ai commi 65 e 67 della l. n. 208 del 2015, variando  unicamente
la platea dei  destinatari  delle  misure  fiscali,  hanno  contenuto
marginale, non alterano il portato precettivo rilevante ai  fini  del
decidere,  lasciano  immutato  il  loro  orientamento  in  senso  non
satisfattivo alle richieste della ricorrente e quindi  consentono  il
trasferimento delle questioni  sul  nuovo  testo  delle  disposizioni
impugnate. 
    2.1.-  Deve  essere  preliminarmente  disattesa  l'eccezione  del
Presidente del Consiglio dei ministri  in  ordine  all'ammissibilita'
delle questioni di legittimita' costituzionale proposte dalla Regione
siciliana nei confronti dell'art. 1, commi 61 e 67,  della  legge  n.
208 del 2015, in riferimento agli artt. 36  e  37  dello  statuto  di
autonomia, nonche' all'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965. Secondo il
resistente, sussisterebbe carenza di interesse  della  ricorrente  ad
ottenere la caducazione di tali disposizioni. Al contrario, non  v'e'
dubbio, sul piano astratto, che  le  disposizioni  impugnate  possano
produrre, seppur  con  decorrenza  dall'anno  2017,  una  complessiva
riduzione del gettito di  determinati  tributi  erariali  e  cio'  e'
sufficiente  per  riconoscere,  nella  prospettazione  regionale,  la
potenzialita' di un effetto lesivo di dette previsioni  sul  bilancio
regionale, in ragione della compartecipazione al gettito controverso,
inerente  ad  un  tributo  contemplato  dalle  previsioni  statutarie
(sentenze n. 97 del 2013 e n. 241 del 2012). 
    3.- Nel merito, tuttavia, le suddette questioni non sono fondate. 
    In ordine alle leggi produttive di una riduzione del  gettito  di
tributi erariali di competenza regionale, questa Corte  ha  affermato
che lo Stato puo' legittimamente variare la  disciplina  dei  tributi
erariali, incidere sulle aliquote e persino  sopprimerli,  in  quanto
essi rientrano nell'ambito della sua sfera di  competenza  esclusiva,
secondo quanto previsto dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  e),
Cost. (ex multis, sentenze n. 29 del 2016, n. 89 del 2015, n. 97  del
2013, n. 241 del 2012 e  n.  298  del  2009).  Occorre  in  proposito
ribadire che «lo statuto  di  autonomia  non  assicura  alla  Regione
Siciliana  una  garanzia  quantitativa  di  entrate,   cosicche'   il
legislatore statale  puo'  sempre  modificare,  diminuire  o  persino
sopprimere i tributi erariali, senza che cio' comporti una violazione
dell'autonomia finanziaria regionale» (sentenza n. 97 del 2013). 
    Cio', tuttavia, non deve comportare una riduzione di entita' tale
da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali  o  da
produrre uno squilibrio incompatibile  con  le  esigenze  complessive
della spesa regionale (sentenze n. 241 del 2012, n. 298 del 2009,  n.
256 del 2007, n. 155 del 2006, n. 138 del 1999). 
    In tema di federalismo fiscale  e'  stato  peraltro  rilevato  il
ritardo del legislatore nell'assicurare «"un sistema di finanziamento
che non e' mai stato interamente e organicamente  coordinato  con  il
riparto delle funzioni, cosi' da far corrispondere il piu' possibile,
come sarebbe necessario,  esercizio  di  funzioni  e  relativi  oneri
finanziari da un lato,  disponibilita'  di  risorse,  in  termini  di
potesta'  impositiva  (correlata   alla   capacita'   fiscale   della
collettivita' regionale), o di devoluzione di gettito  tributario,  o
di altri meccanismi di finanziamento, dall'altro"  (sentenza  n.  138
del 1999, nonche', da ultimo, sentenza n. 241 del 2012)» (sentenza n.
97 del 2013). 
    Pertanto,  se  lo  Stato  esercita  legittimamente  una   propria
prerogativa esclusiva che, come tale, sfugge anche alle procedure  di
leale  collaborazione,  la  dimostrazione   della   lesivita'   delle
rimodulazioni delle entrate tributarie rimane a carico della  Regione
ricorrente. Quest'ultima deve fornirne prova in concreto,  attraverso
l'analisi globale delle componenti del proprio bilancio. Nel caso  in
esame, la ricorrente non ha dimostrato che la riduzione delle risorse
fiscali introdotte dalla novella statale e la loro interrelazione con
misure di contenimento della spesa abbiano gravemente pregiudicato lo
svolgimento delle proprie funzioni. 
    Non sono sufficienti a tal fine le osservazioni  contenute  nella
pronuncia della Corte dei conti, sezioni riunite in sede di  giudizio
di parifica del  rendiconto  per  l'esercizio  finanziario  2014,  in
quanto tale atto si riferisce ad un periodo ben antecedente  (di  tre
anni) rispetto a quello  di  entrata  in  vigore  delle  disposizioni
impugnate e, per di piu', riguarda la gestione  degli  accantonamenti
da parte dello Stato, ascrivibile piuttosto  ad  opinabili  modalita'
esecutive che ad  un  effetto  congiunto  delle  manovre  finanziarie
recenti. 
    E' vero che in precedente  fattispecie  relativa  al  contenzioso
tributario tra  Stato  e  autonomie  speciali  -  nell'occasione,  la
Regione Friuli-Venezia Giulia - questa Corte  aveva  ritenuto  idonea
fonte probatoria della lesione agli equilibri del bilancio  regionale
gli accertamenti compiuti dalla Corte dei conti, sezione regionale di
controllo in sede di  parifica  del  relativo  rendiconto  regionale.
Tuttavia, in quel  caso  tali  accertamenti  valevano  a  provare  la
lesione, avendo rilevato anomalie nei  meccanismi  di  accreditamento
delle entrate tributarie della Regione e sottolineato  «il  perdurare
(rispetto  all'esercizio  2013  egualmente  inciso)  "di   'variabili
ingovernabili dalla  Regione'  dipendenti  dalle  misure  di  finanza
pubblica  statale  che,  con  contenuti   finanziari   talvolta   non
immediatamente   quantificabili,    producevano    effetti    diretti
sull'ammontare delle compartecipazioni  regionali,  condizionando  la
programmazione   [nonche'   l'esistenza   di]   ulteriori   variabili
ingovernabili, o  quanto  meno  imprevedibili,  connesse  al  sistema
normativo di quantificazione e  riscossione  del  gettito  tributario
spettante alla Regione  [...].  Per  tale  motivo  anche  le  vicende
connesse al tempo e al luogo del mero versamento  delle  imposte  (ad
es. anticipi delle scadenze di pagamento, mobilita' dei  contribuenti
versanti) influiscono direttamente sulla quantificazione del  gettito
annuale spettante alla Regione" (delibera n. 95 del 2015)»  (sentenza
n. 188 del 2016). 
    In quel caso dalla decisione di parifica  e'  stato  assunto  che
«l'accertamento delle entrate non opera in conformita'  alla  nozione
giuridica propria della contabilita' finanziaria, bensi'  esprime  le
'somme finalizzate' e cioe' l'importo  dell'effettivo  accredito  sul
conto di tesoreria  della  Regione  delle  somme  ripartite  e  cioe'
incassate». Inoltre, «dagli stessi  dati  comunicati  dall'Avvocatura
generale dello Stato, in ottemperanza alla richiesta  istruttoria  di
questa  Corte,  appare  una  progressiva  espansione   nel   triennio
2012-2014  degli  accantonamenti  a  carico  della   Regione   [...].
Indipendentemente  dalle  plurime  variabili  che  incidono  su  tali
quantificazioni,   la   progressione    degli    incrementi    appare
inequivocabile  sintomo  dell'accentuata  contrazione  delle  risorse
fiscali  a  disposizione  della  Regione  in  assenza  di   qualsiasi
meccanismo compensativo fondato su  accertamenti  in  contraddittorio
con lo Stato» (sentenza n. 188 del 2016). 
    In definitiva nel richiamato precedente era  stato  accertato  il
diniego statale «di un consapevole  contraddittorio,  finalizzato  ad
assicurare la cura  di  interessi  generali  quali  l'equilibrio  dei
reciproci bilanci,  la  corretta  definizione  delle  responsabilita'
politiche dei vari livelli di governo in relazione alle scelte e alle
risorse effettivamente assegnate e la sostenibilita' degli interventi
pubblici in relazione alle possibili utilizzazioni alternative  delle
risorse contestate, nel tessuto organizzativo  delle  amministrazioni
concretamente interessate al riparto del gettito  fiscale»  (sentenza
n. 188 del 2016). 
    Tali elementi non  sono  presenti  nella  fattispecie  in  esame,
caratterizzata da un'asserita riduzione del  gettito  di  un  singolo
tributo  e  dall'assenza  di  qualsiasi  riscontro  probatorio  circa
l'impatto della pretesa  riduzione  sull'equilibrio  complessivo  del
bilancio regionale. E' utile a tal proposito ribadire che le  manovre
statali sulla disciplina dei tributi il cui gettito sia di  spettanza
regionale possono incidere in modo costituzionalmente rilevante sugli
equilibri del bilancio delle autonomie territoriali. Detta  incidenza
tuttavia deve essere dimostrata attraverso un raffronto  complessivo,
su  base  quantitativa  e  temporalmente  adeguata,  tra  le  risorse
disponibili ed il fabbisogno di copertura delle passivita', che vanno
in scadenza nei pertinenti esercizi. 
    4.-  Parimenti  non  fondata,  per  erroneita'  del   presupposto
interpretativo,  e'  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, commi da 65 a 69, in combinato  disposto  con  il  comma
638, della legge n. 208 del 2015, proposta in riferimento ai medesimi
parametri. 
    Al riguardo, giova  rammentare  che  secondo  il  Presidente  del
Consiglio dei  ministri  tale  normativa  non  realizza  una  riserva
erariale di gettito tributario. 
    L'assunto deve essere condiviso; invero, ne' l'art. 1,  commi  da
65  a  69,   dispone   in   merito   alla   spettanza   del   gettito
dell'addizionale prevista, ne' una particolare destinazione di  detto
gettito e'  prevista  espressamente  dall'art.  1,  comma  638,  pure
richiamato dalla ricorrente, dato che esso si limita  a  variare  per
gli anni 2016 e 2017 la complessiva consistenza del FISPE. 
    D'altra parte, la ricorrente non chiarisce in alcun modo i motivi
del suo convincimento, ma si  limita  a  richiamare  un  passo  della
relazione tecnica al disegno di  legge  AS  2111  B,  che  non  trova
riscontro nel testo normativo. 
    Si deve pertanto concludere che  le  disposizioni  impugnate  non
introducono in favore dello Stato una specifica riserva  del  maggior
gettito spettante alla Regione  siciliana  per  effetto  dell'aumento
dell'aliquota IRES del 3,5 per cento. Tale maggior  gettito,  quindi,
andra' utilmente computato ai fini della quota spettante alla Regione
siciliana a titolo di compartecipazione ai tributi erariali,  secondo
le previsioni statutarie.