ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 109
e 110, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge di stabilita'  2016)»,  promossi  con  ricorsi  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia e della Regione Puglia, notificati  il
29 febbraio 2016 ed  il  29  febbraio-4  marzo  2016,  depositati  in
cancelleria il 7 e l'8 marzo 2016 ed iscritti ai  nn.  14  e  16  del
registro ricorsi 2016. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2017 il Giudice relatore
Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia, Marcello Cecchetti per  la  Regione  Puglia  e
l'avvocato dello  Stato  Vincenzo  Nunziata  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 29 febbraio 2016 e depositato il  7
marzo  2016  (reg.  ric.  n.  14  del  2016),  la  Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,  97,
primo  comma,  117,  primo  comma,  in  relazione  all'art.  33   del
regolamento  del  Consiglio  della  Comunita'  europea  n.  1083/2006
dell'11 luglio 2006  (Disposizioni  generali  sul  Fondo  europeo  di
sviluppo  regionale,  sul  Fondo  sociale  europeo  e  sul  Fondo  di
coesione),  118,  119  e  120,  secondo  comma,  della  Costituzione,
all'art.  10  della  legge  costituzionale  10  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al titolo  V  della  parte  seconda  della  Costituzione),
all'art. 16, in combinato disposto con gli artt. 4, 5  e  6,  e  agli
artt.  48,  49,  50  e  63  dello  statuto  speciale  della   Regione
Friuli-Venezia Giulia (legge costituzionale 31 gennaio 1963,  n.  1),
al  principio  pattizio  e  al  principio  di  leale  collaborazione,
questione di legittimita' costituzionale, tra gli altri, dell'art. 1,
commi 109 e 110, della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2016)». 
    Le disposizioni censurate prevedono che: 
    «109. Entro il 31 marzo 2016 si provvede, con le procedure di cui
all'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 28  giugno  2013,  n.  76,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, alla
ricognizione delle risorse del Fondo di rotazione di cui all'articolo
5 della legge 16 aprile 1987, n. 183 , gia' destinate agli interventi
del Piano di Azione Coesione (PAC), non  ancora  oggetto  di  impegni
giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati. A tal
fine, le amministrazioni titolari di interventi  del  PAC,  approvati
alla data di entrata in  vigore  della  presente  legge,  inviano  al
sistema di monitoraggio nazionale, entro il 31 gennaio 2016,  i  dati
relativi alle risorse  impegnate  e  pagate  per  ciascuna  linea  di
intervento. 
    110. Con decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
adottato entro  il  30  aprile  2016  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze e con il Ministro del  lavoro  e  delle
politiche  sociali,  e'   determinato   l'ammontare   delle   risorse
disponibili in esito alla ricognizione di cui  al  comma  109  ed  e'
disposto  l'utilizzo  delle  stesse  per  l'estensione   dell'esonero
contributivo di cui ai commi  178  e  179  alle  assunzioni  a  tempo
indeterminato effettuate nell'anno  2017  in  favore  dei  datori  di
lavoro privati, operanti nelle  regioni  Abruzzo,  Molise,  Campania,
Basilicata, Sicilia,  Puglia,  Calabria  e  Sardegna,  alle  medesime
condizioni previste dai predetti commi, eventualmente rimodulando  la
durata temporale e l'entita' dell'esonero e comunque assicurando  una
maggiorazione della percentuale di  decontribuzione  e  del  relativo
importo massimo per l'assunzione di donne di qualsiasi eta', prive di
un impiego regolarmente retribuito da almeno  sei  mesi,  in  ragione
delle risorse che si renderanno disponibili ai sensi del  comma  109,
la cui efficacia e' subordinata all'autorizzazione della  Commissione
europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo  3,  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea.». 
    2.- La parte ricorrente,  in  via  preliminare,  ricostruisce  il
contesto in cui le disposizioni impugnate si  collocano,  individuato
nell'ambito dei fondi destinati al Piano di  Azione  Coesione  (PAC).
L'art. 1 della legge n. 208 del  2015,  in  particolare,  prevede  un
monitoraggio e una ricognizione delle risorse non ancora  oggetto  di
impegni  giuridicamente   vincolanti   rispetto   ai   cronoprogrammi
approvati  (comma  109)  e,  all'esito  di  tale  ricognizione,   una
riallocazione   delle   risorse   disponibili   per   destinarle   al
finanziamento dell'esonero  contributivo  in  favore  dei  datori  di
lavoro privati nelle Regioni Abruzzo, Molise,  Campania,  Basilicata,
Sicilia, Puglia, Calabria e  Sardegna,  con  particolare  riferimento
all'impiego femminile (comma 110). 
    La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, pertanto, ricostruisce
il Piano di Azione Coesione quale strumento di programmazione avviato
dal Governo italiano, d'intesa con la Commissione  Europea,  mediante
l'accordo  sottoscritto  il   7   novembre   2011,   per   accelerare
l'attuazione  dei  programmi  cofinanziati  dai   Fondi   strutturali
2007-2013  e  per  recuperare  i  ritardi  nell'uso  di  detti  fondi
strutturali. Il Piano definisce un'azione di cooperazione  rafforzata
tra le autorita' europee, il Governo e le amministrazioni  e  prevede
la costituzione di un "Gruppo di azione" con il compito di seguire  i
Piani di Azione Coesione, quale modalita' di cooperazione  rafforzata
tra lo Stato membro e la Commissione europea. 
    Per assicurare il pieno e  tempestivo  utilizzo  dei  fondi  PAC,
l'art. 4, comma 3, del decreto-legge 28 giugno 2013, n.  76,  recante
«Primi interventi urgenti  per  la  promozione  dell'occupazione,  in
particolare giovanile, della coesione sociale, nonche' in materia  di
Imposta  sul  valore  aggiunto  (IVA)  e  altre  misure   finanziarie
urgenti», convertito nella legge 9 agosto 2013, n.  99,  ha  previsto
che il Gruppo di azione proceda periodicamente, in collaborazione con
le  amministrazioni  interessate,  alla  verifica  dello   stato   di
avanzamento dei singoli interventi e alle  conseguenti  rimodulazioni
del Piano che si rendessero necessarie a  seguito  dell'attivita'  di
monitoraggio, anche mediante eventuali riprogrammazioni. 
    Sulla base di tali regole generali, nel 2012, la  stessa  Regione
ricorrente ha concordato con il Governo l'adesione al Piano di Azione
Coesione, confermata dal Presidente della  Regione  con  nota  del  7
dicembre 2012. 
    In seguito, la Commissione europea, in data 14  giugno  2013,  ha
acconsentito ad una modifica del Programma  Operativo  Regionale  del
Fondo Europeo  di  Sviluppo  Regionale  (POR  FESR)  a  favore  della
riprogrammazione  delle  risorse  per  le  iniziative  del  Programma
Operativo Regionale del Fondo Sociale  Europeo  (FSE)  sul  programma
esterno parallelo, richiedendo che la Regione procedesse ad  un'unica
notifica di modifica del POR FESR. 
    Il complesso degli interventi del Piano regionale  e'  stato  poi
successivamente approvato dalla Giunta regionale con delibera del  21
marzo 2014, n. 515, con l'impegno finanziario di oltre 67 milioni  di
euro, derivanti dalla riduzione della quota nazionale  del  Fondo  di
rotazione del Programma «POR FESR 2007-2013 Obiettivo  Competitivita'
regionale e occupazione Friuli-Venezia Giulia». 
    Nella ricostruzione regionale, il Piano  in  parte  proseguirebbe
iniziative  gia'  avviate  nel  quadro  del  POR   FESR,   in   parte
finanzierebbe iniziative nuove, prevedendo diverse "azioni", ciascuna
destinata  al  perseguimento  di  importanti  obiettivi  di  politica
sociale. 
    La difesa regionale sottolinea come il  finanziamento  del  Piano
sia gia' stato una  prima  volta  ridotto  dal  legislatore  statale.
Precisamente, l'art. 1, comma 122, della legge 23 dicembre  2014,  n.
190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)», come  modificato
dall'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n.  78
(Disposizioni urgenti in materia di  enti  territoriali),  convertito
nella legge 6 agosto 2015, n. 125, ha previsto una "riprogrammazione"
delle risorse del Fondo di rotazione, gia' destinate agli  interventi
del PAC, che dal  sistema  di  monitoraggio  del  Dipartimento  della
Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia  e  delle
finanze risultassero non ancora impegnate. 
    La  parte  ricorrente  pone  in  evidenza,   dunque,   la   nuova
riprogrammazione dei fondi realizzata dalle  disposizioni  impugnate,
che sarebbe preordinata alla revoca di fondi  gestiti  dalla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia per gli interventi  previsti  dal  PAC
nelle materie di sua competenza.  Precisamente,  la  riduzione  delle
risorse del PAC sarebbe prevista dal  comma  110  dell'art.  1  della
legge n. 208 del 2015, ma gli stessi obblighi di comunicazione  e  il
relativo monitoraggio  di  cui  al  comma  l09  sarebbero  funzionali
all'operazione di cui al comma  successivo,  ponendosi  in  posizione
accessoria e servente rispetto al comma 110. 
    Le disposizioni impugnate, dunque, sarebbero collegate e nel loro
insieme lesive delle competenze della Regione e, quindi, illegittime. 
    2.1.- In primo luogo, la Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia
deduce la violazione dell'autonomia finanziaria garantita dagli artt.
48, 49 e 50 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia e dall'art.  119
Cost., la violazione del principio pattizio,  e,  in  subordine,  del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120, secondo  comma
Cost. 
    Il PAC, infatti, frutto di uno specifico accordo tra il Governo e
la Regione,  costituirebbe  una  forma  di  finanziamento  regionale,
pienamente rientrante nel quadro previsto dagli artt.  48,  49  e  50
dello statuto di autonomia e  dall'art.  119  Cost.,  in  particolare
nella  parte  in  cui  si  prevede  che,  per  provvedere   a   scopi
determinati, che non rientrano nelle funzioni normali della  Regione,
e per l'esecuzione di programmi organici di sviluppo, lo Stato  possa
assegnare alla stessa speciali contributi (art. 50). 
    Il finanziamento del PAC, quindi, una volta deciso, entrerebbe  a
far parte della complessiva finanza  regionale  e  l'accordo  tra  il
Governo  e  la   Regione   per   tale   finanziamento   costituirebbe
applicazione del principio pattizio  che  regge  i  rapporti  tra  il
Friuli-Venezia Giulia, quale Regione ad autonomia differenziata, e lo
Stato. Tale principio, fondato su una pluralita' di  regole  previste
dallo statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, tra le quali  la  procedura
concordata per la revisione delle regole  del  Titolo  IV  (art.  63,
quinto comma) e la procedura prevista  per  le  norme  di  attuazione
(art. 65),  troverebbe  piena  affermazione  nella  legislazione,  in
particolare nell'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega  al
Governo in materia di federalismo fiscale,  in  attuazione  dell'art.
119 della Costituzione), nonche' nella giurisprudenza  costituzionale
(sono citate le sentenze n. 155 e n. 19 del 2015). 
    La revoca  unilaterale  del  finanziamento,  quindi,  sarebbe  in
contraddizione con il suddetto principio e, in ogni caso, lesiva  del
principio di leale collaborazione,  in  collegamento  con  l'art.  50
dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, il quale  non  prevede  che
l'assegnazione di fondi alla Regione possa essere revocata ad  nutum,
in assenza di qualunque forma di interlocuzione. 
    2.2.- In secondo luogo, la parte ricorrente  deduce  la  lesione:
dell'art. 3 Cost., per violazione del  principio  di  ragionevolezza,
dell'affidamento e di  certezza  del  diritto;  dell'art.  97,  primo
comma, Cost., per contrasto con il principio di buon andamento  e  di
programmazione   delle   risorse   finanziarie    e    dell'attivita'
amministrativa;  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  sempre   per
violazione del principio di certezza del diritto, radicato anche  nel
diritto europeo. 
    La sottrazione dei finanziamenti PAC - il quale e'  il  risultato
di un'azione combinata tra Unione europea, Stato, Regione e comunita'
locali -  alla  propria  destinazione  e  alla  comunita'  regionale,
infatti, sarebbe irragionevole e in contraddizione con  il  principio
di  programmazione,  componente  essenziale  del  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione. 
    La norma lederebbe poi il principio  dell'affidamento,  anch'esso
radicato nell'art. 3 Cost., perche' la Regione  e  la  sua  comunita'
territoriale sarebbero privati di risorse sulle quali  esse  potevano
legittimamente   contare,   interrompendo   in    settori    delicati
l'esercizio, gia' in corso, di funzioni amministrative e di azioni di
politica sociale. Il che renderebbe priva di  razionalita'  anche  la
parte gia' svolta, frustrando la complessiva azione  regionale  e  la
generale produttivita' della spesa. 
    Il difetto di ragionevolezza sarebbe ulteriormente rafforzato dal
fatto che l'utilizzo delle risorse a cui dare nuova destinazione  non
risulterebbe neppure certo, dato che la stessa disposizione impugnata
conclude  stabilendo   che   la   sua   efficacia   «e'   subordinata
all'autorizzazione della Commissione europea ai  sensi  dell'articolo
l08,  paragrafo  3,  del  Trattato  sul   funzionamento   dell'Unione
europea». 
    La previsione colliderebbe anche con il principio di certezza del
diritto, radicato sia nell'art. 3  Cost.  sia  nel  diritto  europeo,
vincolante ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., trattandosi di
fattispecie  condizionata  dagli  obblighi  europei,   in   relazione
all'intervenuto  accordo  con  la  Commissione  europea  sulla  nuova
destinazione dei fondi e alle regole sulla riprogrammazione contenute
nell'art. 33 del regolamento CE n.  1083/2006,  in  attuazione  degli
artt. 176  e  177  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
(TFUE). 
    Il contrasto delle  norme  impugnate  con  i  predetti  parametri
costituzionali    ridonderebbe    sull'esercizio    di     competenze
costituzionali della  Regione,  perche'  condizionerebbe  l'esercizio
delle funzioni amministrative della ricorrente nelle materie ad  essa
attribuite dallo statuto reg.  Friuli-Venezia  Giulia  (art.  16,  in
combinato con gli  artt.  4,  5  e  6)  o  dall'art.  118  Cost.,  in
combinazione con l'art. 10  della  legge  cost.  n.  3  del  2001,  e
segnatamente nelle materie  interessate  dagli  interventi  del  PAC,
quali: l'organizzazione regionale, l'urbanistica, i trasporti locali,
il sostegno alle imprese e all'occupazione, i porti.  Tale  contrasto
violerebbe,  di  conseguenza,  anche  l'autonomia  finanziaria  della
Regione. 
    La difesa regionale precisa, altresi', che la disposizione di cui
all'impugnato comma 109, nella parte in cui si  riferisce  a  risorse
«non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto  ai
cronoprogrammi approvati», potrebbe anche interpretarsi nel senso  di
imporre la revoca dei soli fondi per i quali vi sia ritardo  rispetto
al cronoprogramma. Nondimeno, anche accedendo a tale interpretazione,
la disposizione determinerebbe la revoca del  finanziamento  in  modo
generalizzato e  senza  una  valutazione  specifica  in  ordine  alla
responsabilita'  e  gravita'  del  ritardo,   nonche'   all'interesse
pubblico alla prosecuzione del programma, in relazione al  suo  stato
di avanzamento e al suo rilievo. 
    3.-  Con  ricorso  notificato  il  29  febbraio-4  marzo  2016  e
depositato l'8 marzo 2016 (reg. ric. n.  16  del  2016),  la  Regione
Puglia ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma,
Cost., in relazione all'art. 33  del  regolamento  CE  n.  1083/2006,
nonche' all'art. 117, terzo e quarto  comma,  118,  primo  e  secondo
comma,  e  119,  primo  comma,  Cost.,  questioni   di   legittimita'
costituzionale del solo comma 110 dell'art. 1 della legge n. 208  del
2015. 
    3.1.-   Nello    specifico,    l'illegittimita'    costituzionale
conseguirebbe alla violazione  dell'intesa  tra  Governo  italiano  e
Commissione europea del 7 novembre 2011, con  la  quale  si  e'  dato
avvio, congiuntamente e simultaneamente, alla revisione dei programmi
operativi riferiti ai fondi  strutturali  2007-2013  e  al  PAC,  con
conseguente lesione dell'art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006, che
disciplina la revisione dei programmi operativi, nella cui cornice si
collocherebbe l'intesa. 
    L'intesa del 7  novembre  2011,  infatti,  avrebbe  definito  una
revisione dei programmi cofinanziati dai  fondi  strutturali  europei
2007-2013, al fine di far fronte al ritardo che gravava  sull'impiego
di tali fondi. Il PAC, quindi, sarebbe stato  istituito  appunto  per
l'utilizzazione delle somme risultanti dalla rimodulazione al ribasso
del cofinanziamento statale ai programmi operativi. 
    L'accordo stipulato il 3  novembre  2011  tra  il  Governo  e  le
Regioni destinatarie del PAC, inoltre, avrebbe previsto la  revisione
del  tasso  di  cofinanziamento  comunitario  a  condizione  che   le
risultanti risorse nazionali  fossero  vincolate  al  riutilizzo  nel
rispetto del principio di territorialita',  in  condivisione  tra  il
Governo italiano e la Commissione europea. 
    Da ultimo, l'art. 23, comma 4, della legge 12 novembre  2011,  n.
183 recante «Disposizioni per la formazione del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilita'  2012)»,  ai  sensi  del
quale  le  risorse   derivanti   dalla   riduzione   del   tasso   di
cofinanziamento  nazionale  dei  programmi  dei   fondi   strutturali
2007-2013  vengono  destinate  alla   realizzazione   di   interventi
«concordati tra  le  Autorita'  italiane  e  la  Commissione  europea
nell'ambito  del  processo  di  revisione  dei  predetti  programmi»,
confermerebbe  tale  centralita'  del  concerto  con  le  Istituzioni
europee. 
    Dunque,  se  la  revisione  dei   Programmi   Operativi   sarebbe
consentita, ai sensi  del  citato  art.  33  del  regolamento  CE  n.
1083/2006, solo alle condizioni individuate  di  concerto  tra  Stato
membro  e  Commissione,  tali  condizioni   assumerebbero   carattere
vincolante. Cosi', qualunque atto che disponesse in senso  contrario,
dando un'altra destinazione alle risorse in questione, violerebbe  la
citata intesa e la normativa europea, con conseguente  lesione  degli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost.; il che e' quanto  avverrebbe  nel
caso di specie, poiche' il d.P.C.m. previsto dal comma 110  dell'art.
1 della legge n. 208 del 2015 disporrebbe  l'utilizzo  delle  risorse
gia' destinate al PAC e non oggetto  di  obbligazioni  giuridicamente
vincolanti per finalita' diverse da quelle che caratterizzerebbero lo
stesso PAC. 
    3.2.- La violazione delle disposizioni richiamate  dalla  Regione
Puglia ridonderebbe sull'autonomia  finanziaria  regionale,  ledendo,
dunque, anche l'art. 119 Cost., poiche', a  seguito  dell'entrata  in
vigore delle disposizioni impugnate e del venir  meno  delle  risorse
che lo Stato  aveva  gia'  destinato  al  PAC,  la  Regione  dovrebbe
necessariamente procedere ad una significativa modifica  del  proprio
bilancio, con  riferimento  sia  alle  entrate  sia  alle  spese.  In
conseguenza di cio', la Regione ricorrente vedrebbe  compressa  anche
la propria autonomia amministrativa, tutelata dall'art. 118, primo  e
secondo comma, Cost., che in base al quadro normativo previgente  era
destinata ad esplicarsi in ambiti materiali -  quelli  connessi  agli
interventi  compresi  nella  programmazione  di  utilizzo  dei  fondi
erogati dall'Unione europea - affidati alla sua potesta'  legislativa
concorrente o residuale, ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  e  quarto
comma, Cost. 
    4.- Con due atti depositati rispettivamente il 7  aprile  2016  e
l'8 aprile 2016 si e' costituito in entrambi i giudizi il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  sia  dichiarata  l'infondatezza
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate   dalle
Regioni ricorrenti. 
    4.1.- In via preliminare,  in  riferimento  al  ricorso  promosso
dalla Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  la  difesa  statale
sottolinea l'assoluta carenza d'interesse a ricorrere, non risultando
in alcun modo allegati ne' gli specifici progetti da finanziare con i
fondi di cui all'art. 1, comma 110, della legge n. 208 del 2015,  ne'
la precisa entita' delle risorse che verrebbero in tal modo sottratte
alla Regione ricorrente. 
    L'Avvocatura generale evidenzia, altresi', che  l'art.  1,  comma
992, della legge impugnata prevede espressamente che «le disposizioni
della  presente  legge  sono  applicabili  nelle  regioni  a  statuto
speciale  e   nelle   province   autonome   di   Trento   e   Bolzano
compatibilmente con le  disposizioni  dei  rispettivi  statuti  e  le
relative norme  di  attuazione,  anche  con  riferimento  alla  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3», la qual cosa farebbe,  di  per
se', escludere la fondatezza delle censure prospettate dalla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    4.2.- Nel merito  delle  specifiche  contestazioni,  l'Avvocatura
generale dello Stato ricostruisce l'evoluzione del PAC, sottolineando
che lo stesso nasce per effetto degli impegni assunti dall'Italia nei
confronti dell'Unione europea in virtu'  del  sostegno  ricevuto  per
rivedere i programmi relativi ai fondi  strutturali,  ridefinendo  le
priorita' dei progetti e  concentrando  l'attenzione  su  istruzione,
occupazione,  agenda  digitale,  ferrovie  e  reti,  allo  scopo   di
migliorare le  condizioni  per  un  rafforzamento  della  crescita  e
affrontare  il  divario  regionale.   Successivamente,   le   Regioni
meridionali hanno sottoscritto  l'Accordo  che  ha  dato  avvio  alla
revisione  dei  Programmi  cofinanziati  con  i   fondi   strutturali
comunitari, con l'introduzione del PAC, nel quale  far  confluire  le
risorse riprogrammate, che sarebbero quota parte del  cofinanziamento
nazionale ai Programmi Operativi e  riguarderebbero  specificatamente
le risorse del Fondo di Rotazione di cui alla legge 16  aprile  1987,
n. 183  (Coordinamento  delle  politiche  riguardanti  l'appartenenza
dell'Italia alle Comunita' europee  ed  adeguamento  dell'ordinamento
interno agli atti normativi comunitari). Il 7 novembre 2011,  dunque,
e'  intervenuto  l'accordo  sottoscritto  tra  il  Ministro  italiano
pro-tempore per i rapporti con le Regioni e la coesione  territoriale
e il Commissario alla coesione della UE,  con  il  quale  sono  stati
fissati gli obiettivi programmatici del PAC e sono state previste  le
modalita'  di  programmazione  e  riprogrammazione,  monitoraggio   e
sorveglianza, attraverso l'intervento di un Gruppo di  azione  a  cui
partecipa la Commissione Europea. Tale Gruppo di azione, istituito  a
Roma, presso il Dipartimento  per  lo  sviluppo  e  la  coesione  del
Ministero dello sviluppo economico, ora Agenzia per  la  coesione,  a
cui partecipano, ratione  materiae,  i  rappresentanti  dei  soggetti
titolari delle singole linee di azione del PAC, di cui sono  titolari
le diverse amministrazioni da cui provengono le dotazioni  a  seguito
della rimodulazione dei Programmi Operativi, avrebbe  il  compito  di
fissare termini  stringenti  per  l'attuazione  dei  programmi  e  ne
verificherebbe  il  rispetto  attraverso  i  sistemi  informativi  di
monitoraggio. 
    Dunque, secondo la  difesa  statale,  le  risorse  del  Fondo  di
Rotazione, inizialmente affidate alle Regioni nei Programmi Operativi
per garantirne il necessario cofinanziamento, con il trasferimento al
PAC sarebbero rientrate nella titolarita' nazionale. Ne conseguirebbe
che, accertata dai sistemi nazionali  di  monitoraggio  l'incapacita'
del PAC di dare impulso agli investimenti con la necessaria efficacia
nonche' al fine di rispettare gli impegni assunti con la  Commissione
e con il Consiglio Europeo, il legislatore avrebbe operato una scelta
programmatoria ancora piu' incisiva, destinando  risorse  all'esonero
contributivo di cui ai commi 178 e  179  della  legge  di  stabilita'
2016. 
    Le  risorse,  argomenta   altresi'   la   resistente,   sarebbero
esclusivamente quelle per le quali era  previsto  dai  cronoprogrammi
approvati un impegno giuridicamente vincolante  ad  una  certa  data,
oramai trascorsa, laddove  l'impegno  giuridicamente  vincolante  non
risulti dai dati comunicati secondo la procedura di cui  all'art.  1,
comma  109,  della  legge  n.  208  del  2015.  Conseguentemente,  il
riferimento ad interventi per i quali sia venuto meno il rispetto dei
cronoprogrammi   da   parte   delle   amministrazioni    responsabili
legittimerebbe lo  Stato  all'esercizio  di  un  potere  sostitutivo,
secondo  il  principio  di   sussidiarieta'   verticale,   ai   sensi
dell'articolo 120, secondo comma, Cost., al  fine  di  assicurare  la
competitivita', la coesione e l'unita' economica del Paese. 
    4.3.-  Dunque,  secondo  la  difesa  statale,   le   disposizioni
impugnate non violerebbero ne' il principio del legittimo affidamento
ne' il principio di ragionevolezza e di  certezza  del  diritto,  ne'
tantomeno quello di buon andamento  della  pubblica  amministrazione;
infatti, lo spirito della norma sarebbe quello del  riutilizzo  delle
risorse,  relative  all'ormai  trascorso  periodo  di  programmazione
2007-2013, non spese in tempi  ragionevolmente  stabiliti,  principio
posto alla base della politica di coesione territoriale  dell'UE.  Le
stesse disposizioni, inoltre, troverebbero ulteriore  giustificazione
nell'esigenza  di  tutelare  principi,  diritti  e  beni  di  rilievo
costituzionale, essendo finalizzate  non  ad  un  mero  risparmio  di
spesa, ma  alla  promozione  di  forme  di  occupazione  stabile.  La
previsione non colliderebbe nemmeno con il principio  della  certezza
del diritto, in quanto il PAC non sarebbe  soggetto  alla  disciplina
dettata dall'art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006 per la revisione
dei Programmi operativi. 
    In tal senso,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  richiama  la
giurisprudenza costituzionale  secondo  cui  la  legge  statale  puo'
«nell'ambito  di  manovre  di  finanza  pubblica,  anche  determinare
riduzioni nella disponibilita'  finanziaria  delle  Regioni,  purche'
[...] non tali  da  produrre  uno  squilibrio  incompatibile  con  le
esigenze complessive della spesa regionale» (ex multis,  sentenza  n.
138 del 1999). Situazione che, nel caso di specie, non sarebbe  stata
in alcun modo prospettata dalle ricorrenti. 
    Inoltre, con specifico  riferimento  al  ricorso  proposto  dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la difesa statale  sottolinea
come, sebbene rispetto ai principi  di  coordinamento  della  finanza
pubblica recati dalla legislazione statale debba essere  privilegiata
la via dell'accordo con gli  enti  ad  autonomia  speciale,  in  casi
particolari sarebbero pur sempre  ammissibili  deroghe  al  principio
pattizio da parte del legislatore statale (in tal senso  si  richiama
la sentenza n. 77 del 2015). 
    Da  ultimo,  neppure  potrebbe  postularsi  l'assenza  di   forme
d'interlocuzione con le Regioni, dato il rinvio, da parte  del  comma
109 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2005, alle  modalita'  di  cui
all'art.  4,  comma  3,  del  decreto-legge  n.  76  del   2013;   la
concertazione con le  amministrazioni  interessate,  dunque,  sarebbe
garantita dalla stessa norma per finalita' di riprogrammazione. 
    5.- Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia ha risposto alle difese  svolte  dalla
Presidenza del Consiglio  dei  ministri  nell'atto  di  costituzione,
dando conto, altresi', delle vicende normative ed attuative che hanno
interessato direttamente o indirettamente le disposizioni oggetto  di
impugnazione. 
    5.1.- Innanzi  tutto,  la  Regione  si  sofferma  sulla  mancanza
d'interesse a ricorrere, eccepita dal Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, alla luce della mancata indicazione delle risorse sottratte
alla Regione. In particolare, la ricorrente argomenta come  gia'  dal
ricorso  sarebbe  evidente  il  coinvolgimento  della  Regione  negli
effetti della revoca delle risorse attribuitele nell'ambito del  PAC,
dal momento che  essa  e'  una  delle  «amministrazioni  titolari  di
interventi del PAC», ai sensi dell'art. 1, comma 109, della legge  n.
208 del 2015. 
    Ne',  argomenta  ancora  la  Regione,  l'interesse  a   ricorrere
verrebbe meno qualora l'applicazione dei due commi impugnati  dovesse
ritenersi esclusa per effetto della clausola di salvaguardia  sancita
dall'art. l, comma 992, della legge n. 208  de  2015.  In  tal  caso,
anzi, l'interpretazione delle norme dovrebbe  ritenersi  satisfattiva
dell'interesse fatto valere con il ricorso.  Interpretazione  che,  a
detta  della  ricorrente,  non  sarebbe  pero'  effettivamente  fatta
propria dalla difesa statale. 
    5.2.- Cio' premesso, la Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia
ripercorre lo stato di avanzamento  delle  singole  azioni  del  PAC,
compiutamente   descritto   nella   Relazione   sintetica    annuale,
predisposta nel  marzo  2017  dal  Dipartimento  delle  politiche  di
coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base  dei
dati presenti nella Banca Dati  Unitaria  del  Sistema  nazionale  di
monitoraggio al 31 dicembre 2016. Ivi,  infatti,  e'  rinvenibile  il
piano della Regione, da cui si registrerebbero impegni effettivi  per
30.621.627,62 euro e pagamenti controllati  per  18.365.421,85  euro,
corrispondenti rispettivamente al 61 per cento e al 36,59  per  cento
del  piano  finanziario.  La  Regione  allega  una  piu'  dettagliata
relazione sugli interventi da cui emergerebbe, in  sintesi,  che  gli
interventi relativi a «Misure di politica attiva», a  sostegno  della
occupazione, vedrebbero una copertura pressoche' totale a livello  di
impegno (97,19 per cento) e molto avanzata anche per i pagamenti  (72
per cento). Considerazioni in parte analoghe varrebbero per le azioni
della  «Archeologia  industriale»,  mentre  gli  impegni   di   spesa
sarebbero ridotti per  ulteriori  azioni,  quali  quella  relativa  a
«Trasporti-Reti» e alla «Progettazione  integrata  per  uno  sviluppo
territoriale sostenibile». Ritardi che, in ogni caso,  non  sarebbero
imputabili alla Regione, perche' dovuti a ragioni  estrinseche,  come
ad esempio, ai procedimenti  giurisdizionali  relativi  agli  appalti
degli interventi o a ritardi di  altri  soggetti  pubblici  (come  lo
stesso Stato) o privati (come gli aggiudicatari). 
    In via generale, in ogni caso, la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia afferma l'impossibilita'  di  quantificare  con  esattezza  le
risorse che le saranno sottratte, perche' il decreto che  dispone  la
revoca dei fondi non risulterebbe essere  stato  ancora  adottato,  o
comunque non le sarebbe stato comunicato. 
    5.3.-   La   Regione   ricorrente,   quindi,    asserisce    che,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Presidenza del Consiglio  dei
ministri,  le  norme  impugnate  non  sarebbero  giustificabili  come
esercizio di potere sostitutivo, fondato sull'art. 120, secondo comma
Cost., che anzi sarebbe proprio uno dei parametri violati. 
    Nel  presente  caso,  infatti,  il  potere  sostitutivo   sarebbe
esercitato per sottrarre risorse alla Regione e  quindi  in  funzione
sostanzialmente sanzionatoria, peraltro senza rispetto  dei  principi
di proporzionalita' e  di  leale  collaborazione,  che  governano  lo
stesso potere sostitutivo. Il ritardo rispetto al cronoprogramma  non
giustificherebbe, di per se',  una  sostituzione  o  una  conseguenza
sanzionatoria, visto che esso potrebbe essere causato da  fattori  su
cui la Regione non ha alcun controllo, come nel caso di  specie.  Ne'
il meccanismo contestato potrebbe giustificarsi in base al "principio
di riutilizzo delle risorse", che starebbe alla base  della  politica
di coesione dell'Unione Europea, perche'  non  si  vedrebbe  come  le
risorse recuperate mediante la riprogrammazione dei Fondi strutturali
potrebbero legittimamente essere poi unilateralmente  distolte  dalle
loro nuove finalita' concordate con la Commissione europea. 
    Da ultimo, neppure  la  destinazione  dei  fondi  sottratti  alla
Regione al finanziamento di incentivi all'occupazione e  quindi  alla
tutela di beni di interesse costituzionale basterebbe a  giustificare
il tutto. A prescindere  dal  fatto  che  il  perseguimento  di  fini
legittimi o persino doverosi non esonererebbe il legislatore  statale
dal rispetto delle altre norme  costituzionali,  tale  finalizzazione
sarebbe solo eventuale, essendo subordinata all'autorizzazione  della
Commissione europea. 
    5.4.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia   Giulia   richiama,
inoltre, la sentenza n. 155 del 2016, con  cui  questa  Corte  si  e'
pronunciata, successivamente alla proposizione del ricorso in  esame,
sull'art. l, comma 122, della legge n. 190 del 2014, che prevedeva un
meccanismo di revoca di risorse non impegnate del PAC, dichiarando la
non fondatezza delle questioni poste in riferimento agli artt. 3,  97
e 120 Cost. 
    Ad  avviso  della  Regione  ricorrente,  tuttavia,  vi  sarebbero
ragioni per distinguere il caso in esame  da  quello  deciso  con  la
predetta sentenza. Ivi, infatti, si argomentava la legittimita' della
disposizione allora in questione - che finanziava  incentivi  per  le
assunzioni  con  la  riprogrammazione  delle  risorse  del  Fondo  di
rotazione di cui all'articolo 5 della legge n.  183  del  1987,  gia'
destinate agli interventi del Piano  di  azione  coesione,  ai  sensi
dell'articolo 23, comma 4, della legge n. 183 del  2011,  non  ancora
impegnate alla data di entrata in vigore della  legge  -  poiche'  le
risorse del Fondo di rotazione sarebbero somme ancora  legittimamente
programmabili dallo Stato. 
    Nondimeno, osserva la difesa regionale, la norma della  legge  n.
190  del  2014  prevedeva   una   generale   riprogrammazione   degli
interventi, gia' a livello statale,  dall'interno  del  sistema  PAC,
poiche' si prevedeva che  il  Gruppo  di  azione  avrebbe  provveduto
all'individuazione delle specifiche linee di  intervento  oggetto  di
riprogrammazione. Operazione che avrebbe trovato corrispondenza anche
nella Regione ricorrente, che ha riveduto la propria  programmazione,
intervenendo sul proprio PAC all'esito della riduzione effettuata con
decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 5 agosto 2015
(impugnato dalla Regione avanti al Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio). 
    Nel caso di specie, invece, secondo  la  ricorrente  l'operazione
sottrattiva  contestata  non  si  legherebbe   ad   una   complessiva
riprogrammazione del sistema PAC,  ma  sarebbe  un  mero  taglio  del
finanziamento, tale  da  costringere  la  Regione  ad  abbandonare  i
programmi in corso, salvo reperire  aliunde  risorse,  che  sarebbero
comunque sottratte ad altre funzioni pubbliche. 
    In ogni caso,  pur  ritenendo  l'oggetto  del  ricorso  in  esame
analogo a  quello  deciso  con  la  sentenza  n.  155  del  2016,  le
disposizioni impugnate dovrebbero, se non  altro,  essere  lette  nel
modo piu' ristretto, escludendo quindi la revocabilita'  delle  somme
non  ancora  oggetto  di  impegno  vincolante,  ma   rispettose   del
cronoprogramma. 
    Le norme sarebbero comunque irragionevoli, se esaminate  in  base
alle circostanze di  fatto  documentate  dalla  stessa  Regione,  che
dimostrerebbero   come   il   ritardo   dell'impegno   rispetto    al
cronoprogramma  sia  nella  parte  sostanziale   dovuto   a   ragioni
estrinseche e non imputabili alla Regione. In tal  senso,  la  difesa
regionale richiama la sentenza n. 13  del  2017,  che  ha  dichiarato
illegittima, limitatamente alla Regione Umbria ricorrente,  la  norma
dell'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78  del  2015,  che
fissava   il   termine   di   riferimento   della    operazione    di
riprogrammazione e sottrazione del Fondo di  rotazione  da  riversare
nel PAC regolata dal citato art. l, comma 122, della legge n. 190 del
2014, perche' irragionevole riguardo  a  quella  Regione  (che  aveva
successivamente aderito al PAC). 
    La mancata considerazione da parte della  disposizione  impugnata
dei motivi concreti di ritardo dell'impegno  rispetto  all'originario
cronoprogramma rileverebbe anche sotto il profilo della  lesione  del
principio  di  leale  collaborazione,  prospettato  nel  ricorso  per
l'assenza, nella decisione  sulla  revoca  delle  risorse,  di  forme
d'interlocuzione  con  la  Regione  circa  i  possibili   motivi   di
discrepanza tra cronoprogramma ed impegno di spesa. Rimarrebbe ferma,
infatti, la violazione dell'autonomia  finanziaria  e  del  principio
pattizio, perche' della finanza regionale farebbero parte,  ai  sensi
dell'art. 50 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, anche i  fondi
assegnati alla Regione  per  programmi  di  sviluppo.  Sul  punto  la
ricorrente segnala la sentenza n. 83 del 2016, ove -  in  materia  di
competenza statale riguardo a risorse da  tempo  inutilizzate  e  per
interventi non ancora in atto - si sarebbe  affermata  la  necessita'
del coinvolgimento della Regione sull'adozione dell'atto  di  revoca.
Il che dovrebbe valere ancor di  piu',  a  detta  della  Regione,  in
materie come quella in esame. 
    6.- Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza la Regione
Puglia ha insistito sulle conclusioni rassegnate nel  ricorso  n.  16
del 2016, rispondendo, altresi', alle difese svolte dalla  Presidenza
del Consiglio dei ministri nell'atto di costituzione. 
    6.1.- In primo luogo, la difesa regionale  richiama  la  predetta
sentenza n. 13 del 2017, poiche' la norma ivi censurata, allo  stesso
modo di quella oggetto d'esame, aveva l'effetto di  far  venir  meno,
destinandole a scopi diversi, le  risorse  originariamente  stanziate
per gli interventi afferenti al  PAC,  determinando  la  perdita  del
finanziamento,  con  conseguente  violazione  dell'art.  119   Cost.,
nonche' della sfera di autonomia amministrativa  regionale,  tutelata
dall'art. 118 Cost. Tali vizi di  legittimita'  non  sarebbero  stati
esclusi dalla citata pronuncia, bensi' soltanto dichiarati assorbiti. 
    6.2.-  In  secondo  luogo,  a  detta  della  ricorrente,  sarebbe
incontestabile la necessaria  destinazione  delle  risorse  derivanti
dalla riduzione della quota di cofinanziamento nazionale  alle  linee
di intervento del Piano di Azione  Coesione.  Il  Gruppo  di  azione,
infatti, non potrebbe indirizzare le risorse che, con  l'approvazione
della Commissione Europea, sono  confluite  nel  PAC  per  realizzare
interventi ricadenti nelle Linee di intervento  del  medesimo,  verso
interventi alle stesse non riconducibili. Ne' a  diverse  conclusioni
potrebbe giungersi  anche  a  voler  ammettere  che  l'intesa  del  7
novembre 2011 abbia attribuito al Gruppo  di  azione  il  compito  di
procedere  alla  definizione   e   alla   revisione   dei   programmi
cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013,  cosi'  istituendo  una
deroga alla procedura di  cui  all'art.  33  del  regolamento  CE  n.
1083/2006. Nel caso di specie,  infatti,  le  disposizioni  impugnate
attribuirebbero al  Gruppo  di  Azione  la  mera  ricognizione  delle
risorse del Fondo di rotazione, gia' destinate agli  interventi  PAC,
non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti  rispetto  ai
cronoprogrammi approvati, mentre l'effettiva nuova destinazione delle
risorse sarebbe adottata unilateralmente dallo Stato con il ricordato
d.P.C.m. 
    6.3.- Secondo la Regione Puglia non sarebbe decisivo  l'argomento
della difesa statale per  cui  verrebbero  interessate  solamente  le
risorse «non ancora  oggetto  di  impegni  giuridicamente  vincolanti
rispetto ai cronoprogrammi approvati», trattandosi di risorse  ancora
disponibili in ragione di un inadempimento della Regione  rispetto  a
tali cronoprogrammi, che legittimerebbe lo  Stato  all'esercizio  del
potere sostitutivo. Infatti, il fatto che le risorse, alla  data  del
31  gennaio  2016,  non  fossero  tra  quelle  oggetto   di   impegni
giuridicamente vincolanti rispetto ai  cronoprogrammi  approvati  ne'
tra quelle impegnate e pagate per ciascuna  linea  d'intervento,  non
significherebbe che le medesime non siano state impegnate (seppur non
pagate) o che non siano state impegnate a causa del mancato  rispetto
dei cronoprogrammi. 
    In ogni caso, anche laddove il mancato impegno e pagamento  delle
risorse fosse  riconducibile  a  ritardi  attuativi  imputabili  alla
Regione, e' evidente che l'art. 1, comma 110, della legge n. 208  del
2015 non potrebbe essere considerato frutto  di  legittimo  esercizio
del potere sostitutivo di cui  all'art.  120,  secondo  comma,  Cost.
Infatti, non ci si troverebbe dinanzi alla sostituzione, da parte del
Governo, di organi regionali, bensi' ad una  disposizione,  approvata
dal  Parlamento,  che  non  puo'  dirsi  sostitutiva  dell'inerzia  o
dell'inadempimento da parte degli organi regionali, dal  momento  che
la stessa disposizione prevedrebbe un intervento  diverso  da  quello
che tali organi  avrebbero  dovuto  portare  a  compimento.  Inoltre,
mancherebbe  del  tutto  il   rispetto   del   principio   di   leale
collaborazione, non soddisfatto dall'intervento del Gruppo di Azione,
che avrebbe solo un ruolo marginale  nell'attivita'  di  ricognizione
delle risorse. 
    7.-  Con  due   diverse   memorie   depositate   in   prossimita'
dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  ha  insistito  sulle
conclusioni rassegnate negli  atti  di  costituzione  in  giudizio  e
ribadito  l'infondatezza   delle   censure   proposte   dalle   parti
ricorrenti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg.  ric.  n.  14
del 2016) e la Regione Puglia  (reg.  ric.  n.  16  del  2016)  hanno
promosso  questioni  di  legittimita'   costituzionale   di   diverse
disposizioni  della  legge  28  dicembre  2015,   n.   208,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2016)». 
    L'esame di questa Corte e' qui limitato alle  questioni  relative
ai commi 109 e 110 dell'art. 1 di detta legge, restando  riservata  a
separate pronunce la decisione sulle altre questioni  promosse  dalle
ricorrenti. 
    In particolare, l'art. 1 e' impugnato, con riguardo ai commi  109
e 110, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e,  con  riguardo
al solo comma 110, dalla Regione Puglia. 
    L'art. 1, comma 109, della legge n. 208  del  2005,  prevede  una
procedura di ricognizione, da effettuarsi secondo le modalita' di cui
all'art. 4, comma 3, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante
«Primi interventi urgenti  per  la  promozione  dell'occupazione,  in
particolare giovanile, della coesione sociale, nonche' in materia  di
Imposta  sul  valore  aggiunto  (IVA)  e  altre  misure   finanziarie
urgenti», convertito, con modificazioni, dalla legge 9  agosto  2013,
n. 99, al fine d'individuare le risorse del Fondo di rotazione di cui
all'art. 5 della legge 16 aprile 1987, n.  183  (Coordinamento  delle
politiche  riguardanti  l'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli  atti  normativi
comunitari), gia' destinate  agli  interventi  del  Piano  di  Azione
Coesione  (PAC),  non  ancora  oggetto  di   impegni   giuridicamente
vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati. Il successivo  comma
110 stabilisce la destinazione delle risorse disponibili in  esito  a
tale ricognizione per l'estensione dell'esonero contributivo (di  cui
ai commi 178 e 179  della  stessa  legge)  alle  assunzioni  a  tempo
indeterminato, effettuate nell'anno 2017, in  favore  dei  datori  di
lavoro privati, operanti nelle  regioni  Abruzzo,  Molise,  Campania,
Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria  e  Sardegna,  con  particolare
attenzione all'impiego femminile (per cui e'  prevista  una  maggiore
decontribuzione). Tale nuova destinazione,  determinata  con  decreto
del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in  ogni   caso   e'
subordinata all'autorizzazione della  Commissione  europea  ai  sensi
dell'articolo  108,  paragrafo  3,  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea. 
    2.-  In  considerazione  della  parziale  identita'  delle  norme
denunciate e delle  censure  proposte,  i  due  giudizi,  come  sopra
delimitati, devono essere riuniti per essere trattati  congiuntamente
e decisi con un'unica pronuncia. 
    3.- Un primo gruppo  di  censure  e'  prospettato  dalla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia in relazione agli artt. 48, 49,  50  e
63 dello  statuto  speciale  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia (legge costituzionale 31 gennaio 1963,  n.  1),  all'art.  119
della Costituzione,  al  principio  pattizio,  e,  in  subordine,  al
principio di leale  collaborazione,  di  cui  all'art.  120,  secondo
comma, Cost. 
    La revoca unilaterale del finanziamento previsto con il Piano  di
Azione  Coesione,  che  sarebbe  parte  della   complessiva   finanza
regionale, in assenza di qualunque forma  di  interlocuzione  con  la
Regione, si risolverebbe,  infatti,  in  una  lesione  del  principio
pattizio, che  regola  i  rapporti  in  materia  finanziaria  tra  il
Friuli-Venezia Giulia, quale Regione ad autonomia differenziata, e lo
Stato; principio che  troverebbe  fondamento  in  una  pluralita'  di
regole previste dallo statuto  reg.  Friuli-Venezia  Giulia,  nonche'
nella stessa legislazione  ordinaria,  in  particolare  nell'art.  27
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di
federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione). 
    4.- Un secondo gruppo di censure e' formulato dalla ricorrente in
riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, e 117, primo comma, Cost.,
in  relazione  all'art.  33  del  regolamento  del  Consiglio   della
Comunita' europea n.  1083/2006  dell'11  luglio  2006  (Disposizioni
generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul  Fondo  sociale
europeo   e   sul   Fondo   di   coesione),   nonche'   all'autonomia
amministrativa della Regione, nelle funzioni ad essa attribuite dallo
statuto reg. Friuli-Venezia Giulia (art. 16,  in  combinato  con  gli
artt. 4, 5 e 6) o dall'art. 118 Cost., in combinazione con l'art.  10
della legge costituzionale 10 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione). 
    La sottrazione dei finanziamenti PAC - i  quali  sono  frutto  di
un'azione combinata tra Unione europea, Stato,  Regione  e  comunita'
locali -  alla  propria  destinazione  e  alla  comunita'  regionale,
infatti, pregiudicherebbe: il principio di programmazione, componente
essenziale  del  principio   di   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione;    il    principio    dell'affidamento,     portando
all'interruzione di funzioni amministrative e di azioni  di  politica
sociale, rendendo priva di razionalita' anche la parte  gia'  svolta;
il principio della certezza del diritto,  radicato  sia  nell'art.  3
Cost. sia nel diritto europeo, vincolante  ai  sensi  dell'art.  117,
primo comma, Cost., trattandosi  di  fattispecie  condizionata  dagli
obblighi europei. 
    La revoca sarebbe irragionevole, altresi', anche se  riferita  ai
soli fondi per i quali vi sia  ritardo  rispetto  al  cronoprogramma,
perche'  non  terrebbe  contro  delle  circostanze   di   fatto   che
renderebbero i ritardi non imputabili alla Regione, nonche' in quanto
l'utilizzo delle risorse a cui dare nuova  destinazione  non  sarebbe
neppure   certo,   poiche'   subordinato   all'autorizzazione   della
Commissione europea ai sensi dell'art. 108, paragrafo 3, del Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). 
    Il contrasto delle  norme  impugnate  con  i  predetti  parametri
costituzionali    ridonderebbe    sull'esercizio    di     competenze
costituzionali della  Regione,  perche'  condizionerebbe  l'esercizio
delle  funzioni  amministrative  attribuite  alla  ricorrente   dallo
statuto reg. Friuli-Venezia Giulia o dalla Costituzione nelle materie
interessate dagli interventi del PAC. 
    5.- Un ultimo gruppo di censure e' formulato dalla Regione Puglia
in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in  relazione
all'art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006, nonche' agli artt.  117,
terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo comma,
Cost. 
    L'utilizzo delle risorse gia' destinate al PAC e non  oggetto  di
obbligazioni  giuridicamente  vincolanti  per  finalita'  diverse  da
quelle che caratterizzano  il  PAC  stesso  si  risolverebbe  in  una
violazione dell'intesa tra Governo italiano e Commissione europea del
7 novembre 2011, con la quale si  e'  dato  avvio,  congiuntamente  e
simultaneamente, alla revisione dei programmi operativi  riferiti  ai
fondi strutturali 2007-2013  e  al  PAC,  nonche'  nella  conseguente
violazione dell'art. 33 del regolamento CE n.  1083/2006,  nella  cui
cornice si  collocherebbe  l'intesa.  Le  condizioni  individuate  di
concerto  tra  Stato  membro  e  Commissione,  quindi,  assumerebbero
carattere  vincolante  e  qualunque  atto  che  disponesse  in  senso
contrario, dando un'altra destinazione  alle  risorse  in  questione,
sarebbe illegittimo. 
    Siffatta illegittimita' ridonderebbe: sull'autonomia  finanziaria
regionale, poiche' a seguito del venir  meno  delle  risorse  che  lo
Stato  aveva   gia'   destinato   al   PAC,   la   Regione   dovrebbe
necessariamente procedere ad una significativa modifica  del  proprio
bilancio;  sull'autonomia  amministrativa,  che  in  base  al  quadro
normativo previgente era destinata ad esplicarsi in  ambiti  affidati
alla sua potesta' legislativa concorrente o residuale. 
    6.- Preliminarmente deve  essere  respinta  l'eccezione  avanzata
dall'Avvocatura generale dello  Stato  in  riferimento  alla  carenza
d'interesse   a   ricorrere   da   parte   della   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia. Come  questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di
osservare, infatti, quando la norma censurata e' tale  da  comportare
minori entrate alle Regioni, come nel  caso  di  specie,  essendo  la
ricorrente  destinataria  di  risorse  del   PAC,   si   giustificano
l'interesse processuale al ricorso ed il rigetto dell'eccezione  (tra
le tante, sentenze n. 97 del 2013 e n. 241 del 2012). 
    7.- Le questioni di legittimita'  costituzionale  promosse  dalla
Regione Puglia riguardo all'art. 1, comma 110, della legge n. 208 del
2015, in riferimento agli artt. 11 e  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006,  nonche'  agli
artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma,  e  119,
primo comma, Cost., non sono fondate. 
    7.1.- La rimodulazione delle risorse statali stanziate in seguito
all'introduzione del PAC e' stata gia' oggetto d'intervento ad  opera
dell'art. 1, comma 122, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)», come modificato dall'art. 7,
comma 9-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni
urgenti in materia di enti territoriali), convertito  nella  legge  6
agosto  2015,  n.  125.  Anche  in  tal   caso   si   stabiliva   una
riprogrammazione delle risorse gia'  destinate  agli  interventi  del
PAC,  prevedendo  una  nuova  destinazione  per  le  somme  che   non
risultassero ancora impegnate. 
    Come  gia'  affermato  da  questa  Corte  riguardo   a   siffatte
disposizioni (sentenza n. 155 del 2016),  le  risorse  del  Fondo  di
Rotazione,  inizialmente  affidate   alle   Regioni   nei   Programmi
Operativi,  con  il  trasferimento  al  PAC  sono   rientrate   nella
titolarita'  dello  Stato,  il  quale,  dunque,  ha  la  facolta'  di
riprogrammarne la destinazione ove non gia' impegnate  dalle  Regioni
interessate. 
    Il  PAC,  infatti,  non  e'  soggetto  alla  disciplina   dettata
dall'art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006  per  la  revisione  dei
Programmi operativi, mentre il comma 109 dell'art. 1 della  legge  n.
208 del 2005, richiamando le modalita' di cui all'art.  4,  comma  3,
del d.l. n. 76 del 2013, prevede  il  coinvolgimento  del  Gruppo  di
azione nel monitoraggio delle risorse al fine di riprogrammazione. 
    Le risorse del Fondo di  rotazione,  in  definitiva,  sono  somme
ancora legittimamente programmabili dallo Stato e,  soprattutto,  non
necessariamente destinate ad essere utilizzate dalle Regioni. 
    La disposizione impugnata,  quindi,  e'  tesa  al  riutilizzo  di
risorse,  rientrate  nella  disponibilita'  dello   Stato,   relative
all'ormai  trascorso  periodo  di   programmazione   2007/2013,   non
impegnate in tempi ragionevolmente stabiliti,  secondo  un  principio
posto alla base della politica di coesione territoriale dell'UE. 
    Da quanto detto, pertanto, deriva l'inesistenza della  violazione
degli artt. 11 e 117 Cost. e, di conseguenza, degli artt. 117,  terzo
e quarto comma, 118, primo e  secondo  comma,  e  119,  primo  comma,
Cost., che sono richiamati solo in relazione alla presunta violazione
dei parametri di diritto europeo. 
    8.- Non sono fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, commi 109 e 110, della legge n. 208 del  2015,  promosse
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in relazione agli  artt.
48, 49, 50 e 63 dello statuto reg.  Friuli-Venezia  Giulia,  all'art.
119 Cost., al principio pattizio, e, in subordine,  al  principio  di
leale collaborazione, di cui all'art. 120, secondo comma, Cost. 
    8.1.- Come gia' precisato nella sentenza n. 155 del 2016, nonche'
nei precedenti paragrafi, le risorse  del  Fondo  di  rotazione  sono
somme ancora legittimamente  programmabili  dallo  Stato  quando  non
risultino gia' impegnate dalle Regioni. 
    Con precipuo riferimento  alle  Regioni  ad  autonomia  speciale,
sebbene questa Corte  abbia  in  altre  occasioni  sottolineato  che,
relativamente  alle  stesse,  debba  essere   privilegiata   la   via
dell'accordo, espressione di un principio generale, desumibile  anche
dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009 (sentenze n. 46 e n. 155  del
2015, n. 193 e n. 118 del 2012), e'  anche  vero,  tuttavia,  che  il
principio  pattizio,  proprio  in  quanto  non  rispondente  ad   una
finalita' costituzionalmente vincolata, puo' essere derogato in  casi
particolari dal legislatore statale (sentenze n. 46 del 2015,  n.  23
del 2014 e n. 193 del 2012). 
    Quanto affermato, quindi,  rende  inapplicabile  la  clausola  di
salvaguardia, prevista dall'art. 1, comma 992, della legge n. 208 del
2015. L'evidente sussistenza della competenza statale a  disciplinare
il fondo nei termini suddetti, infatti, fa si' che non si  incida  su
alcuna competenza della Regione. 
    Anzi, altresi' inapplicabile, nel caso di specie,  e'  lo  stesso
principio di leale collaborazione (cosi' gia' le sentenze n. 155  del
2016, n. 196 del 2015, n. 273 del 2013 e n. 297 del  2012).  Infatti,
«[n]e' la sfera  di  competenze  costituzionalmente  garantita  delle
Regioni, ne' il principio di leale collaborazione  risultano  violati
da una norma che  prende  atto  dell'inattivita'  di  alcune  Regioni
nell'utilizzare risorse poste a loro disposizione nel bilancio  dello
Stato» (sentenza n. 83 del  2016).  In  caso  di  revoca  di  risorse
assegnate alle Regioni e da tempo inutilizzate, dunque,  le  esigenze
di  leale  collaborazione  possono   essere   considerate   recessive
(sentenza n. 105 del 2007). 
    Non possono quindi essere accolte le argomentazioni della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, secondo cui il PAC  rientrerebbe  nel
quadro  previsto  dagli  artt.  48,  49  e  50  dello  statuto   reg.
Friuli-Venezia  Giulia  e  dall'art.  119   Cost.   e,   dunque,   il
finanziamento sarebbe ormai  parte  della  finanza  regionale  e  non
potrebbe essere revocato  dallo  Stato  se  non  nel  rispetto  delle
procedure pattizie statutariamente previste e desumibili dall'art. 27
della legge n. 42 del 2009. 
    Le disposizioni impugnate, infatti, rientrano tra  le  competenze
statali  in  materia  di  perequazione  finanziaria,  poiche',   come
chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (in  particolare  dalla
sentenza n. 16 del 2010), fondi come quello in esame  sono  istituiti
dallo Stato a tutela di peculiari esigenze e  finalita'  di  coesione
economica e sociale. Si tratta, infatti,  di  fondi  recanti  risorse
aggiuntive  rispetto  a  quelle  necessarie  per  l'esercizio   delle
ordinarie funzioni regionali, i quali possono, quindi, essere oggetto
di una nuova programmazione, alla luce di  valutazioni  di  interesse
strategico nazionale. 
    9.- Lo scrutinio di questa Corte deve incentrarsi sulle questioni
promosse  dalla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia   riguardo
all'art. 1, commi 109  e  110,  della  legge  n.  208  del  2015,  in
rifemento agli artt. 3, 97, primo comma, e 117, primo comma Cost., in
relazione all'art.  33  del  regolamento  CE  n.  1083/2006,  nonche'
all'autonomia finanziaria e sull'autonomia amministrativa  regionale,
nelle funzioni ad essa attribuite dallo statuto  reg.  Friuli-Venezia
Giulia (art. 16, in combinato con gli artt. 4, 5 e 6) o dall'art. 118
Cost., in combinazione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    Anche tali questioni non sono fondate. 
    9.1.- Va precisato che in questa sede non  appare  pertinente  il
richiamo alla declaratoria d'illegittimita'  costituzionale,  di  cui
alla sentenza n.  13  del  2017,  relativa  alla  modifica  apportata
all'art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014 dall'art. 7, comma
9-sexies, del d.l. n. 78 del 2015; tale disposizione  differiva  alla
«data di entrata in vigore della presente legge» (1°  gennaio  2015),
il termine, originariamente previsto per il 30  settembre  2014,  per
valutare come non impegnate le risorse oggetto  di  riprogrammazione.
Cio', in effetti, creava un difetto di ragionevolezza  nei  confronti
della  Regione  Umbria,  poiche'  l'inclusione  (intervenuta  il   22
dicembre 2014) fra le risorse del PAC dei fondi di spettanza di  tale
Regione era successiva al 30 settembre 2014. Lo spostamento in avanti
del termine, quindi, rendeva  impossibile  alla  Regione  evitare  la
perdita del finanziamento mediante l'impegno delle risorse stesse. Il
profilo   d'illegittimita'   costituzionale,   pertanto,   concerneva
esclusivamente la tempistica  nei  confronti  della  Regione  Umbria,
effettivamente irragionevole, senza  intervenire  sulla  possibilita'
per lo Stato di provvedere alla distrazione delle risorse. 
    9.2.- Nel caso in esame sono impugnati due commi,  il  primo  dei
quali  (comma  109)  disciplina  la  ricognizione,  ad  opera   delle
amministrazioni titolari di interventi PAC, delle risorse non  ancora
oggetto   di   impegni   giuridicamente   vincolanti   rispetto    ai
cronoprogrammi approvati. A tal fine, la disposizione  richiede  alle
amministrazioni predette di inviare  al  sistema  di  monitoraggio  i
«dati relativi alle risorse impegnate e  pagate  per  ciascuna  linea
d'intervento». Il secondo dei due commi  (comma  110)  affida  ad  un
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  la  determinazione
delle risorse disponibili in esito a  tale  ricognizione  e  la  loro
nuova destinazione. 
    Il riferimento alle risorse non gia' soltanto impegnate, ma anche
«pagate», puo' avere rilievo ai soli  fini  del  monitoraggio  e  non
anche per la determinazione delle  risorse  disponibili,  poiche'  e'
fuor di dubbio che e' gia' l'impegno a renderle indisponibili. 
    La questione  qui  posta,  quindi,  verte  sull'estensione  delle
risorse da ritenere impegnate, poiche',  come  teste'  ricordato,  il
comma 109 si riferisce espressamente a quelle «non ancora oggetto  di
impegni  giuridicamente   vincolanti   rispetto   ai   cronoprogrammi
approvati». 
    Proprio  il  richiamo  di  questi  ultimi  fa  ritenere  che   la
disposizione censurata si riferisca ad una fase successiva alla  mera
programmazione,  ma  che  non  necessariamente  debba  essersi   gia'
perfezionato l'impegno di spesa propriamente  detto.  Il  comma  109,
infatti,  sembra  definire   una   nozione   d'impegno   in   realta'
riconducibile alla "prenotazione d'impegno"  (o  "pre-impegno"),  ben
espressa dai principi contabili di  cui  al  decreto  legislativo  23
giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia  di  armonizzazione  dei
sistemi contabili e degli schemi di  bilancio  delle  Regioni,  degli
enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2  della
legge 5 maggio 2009, n. 42) e, piu' in generale, dalla disciplina  di
contabilita'  pubblica.  Riguardo,   in   particolare,   alle   spese
d'investimento, ad esempio, si  pensi  all'art.  183,  comma  3,  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali), che  fa  esplicito  riferimento,
all'interno della nozione d'impegno di spesa, agli impegni  prenotati
e cioe' relativi alle procedure in via di espletamento. 
    Da quanto detto consegue che non  saranno  disponibili,  ai  fini
della nuova destinazione prevista dal comma 110, le risorse vincolate
al completamento dell'intervento come  scandito  dal  cronoprogramma;
cosi', ad esempio, per le somme necessarie al  collaudo  di  un'opera
programmata  e  gia'  in  fase  realizzativa,  sebbene   ancora   non
definitivamente impegnate,  e  comunque  per  tutte  le  obbligazioni
perfezionate. 
    Nei limiti indicati l'intervento  statale,  dunque,  non  risulta
irragionevole ne' lesivo dei principi di affidamento  e  di  certezza
del diritto. Ne'  rileva  l'obiezione  che  la  nuova  programmazione
sarebbe subordinata all'autorizzazione della Commissione  europea  ai
sensi dell'art. 108, paragrafo 3, del TFUE, trattandosi di  una  mera
condizione di efficacia del nuovo utilizzo delle  risorse  alla  luce
dei profili di compatibilita' con la disciplina degli aiuti di Stato. 
    Tenuto presente che si tratta di  fondi  su  cui  lo  Stato  puo'
legittimamente   agire,   in   conclusione,    l'assenza    d'impegni
giuridicamente vincolanti sulle risorse in questione rende  legittima
la sottrazione delle stesse alle Regioni e  la  loro  destinazione  a
finalita' d'interesse generale. 
    9.3.- Cio'  precisato,  le  disposizioni  impugnate  non  possono
ritenersi in  contrasto  con  l'autonomia  amministrativa  regionale,
poiche', come e' noto,  «la  semplice  circostanza  della  riduzione,
disposta con legge statale, delle  disponibilita'  finanziarie  messe
dallo  Stato  a  disposizione  delle  Regioni  non  e'  di  per   se'
sufficiente ad integrare una  violazione  dell'autonomia  finanziaria
regionale,  costituzionalmente  garantita,  se  non   sia   tale   da
comportare uno squilibrio incompatibile con le  esigenze  complessive
della spesa  regionale»  (ex  multis,  sentenza  n.  437  del  2001);
infatti, la legge statale puo' «nell'ambito  di  manovre  di  finanza
pubblica,   anche   determinare   riduzioni   nella    disponibilita'
finanziaria delle Regioni, purche', appunto, non tali da produrre uno
squilibrio incompatibile con  le  esigenze  complessive  della  spesa
regionale» (ex multis, sentenza n. 138 del 1999). 
    Siffatto  squilibrio  non  emerge  dalla   prospettazione   della
ricorrente, che, anzi, riconosce l'impossibilita' di determinarne  la
portata concreta in assenza del d.P.C.m. previsto dal comma 110,  non
raggiungendosi   quindi   quella   sufficiente   dimostrazione    del
pregiudizio arrecato alle funzioni regionali richiesto dalla costante
giurisprudenza costituzionale (tra le tante, sentenze n. 29 del 2016,
n. 239 del 2015, n. 26 del 2014, n. 97 del 2013, n. 241 del 2012,  n.
145 del 2008, n. 256 del 2007, n. 437 del 2001).