ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5  del
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei  reati
in materia di imposte sui redditi e  sul  valore  aggiunto,  a  norma
dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999,  n.  205),  promosso  dal
Tribunale ordinario di Catania, nel procedimento penale a  carico  di
S. M., con ordinanza del 15 settembre 2015, iscritta  al  n.  26  del
registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24  maggio  2017  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 15 settembre 2015,  il  Tribunale
ordinario di Catania ha sollevato, in riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5
del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74  (Nuova  disciplina  dei
reati in materia di imposte sui redditi  e  sul  valore  aggiunto,  a
norma dell'articolo 9 della legge 25  giugno  1999,  n.  205),  nella
parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17  settembre
2011, «punisce la condotta di chiunque, al fine di evadere le imposte
sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato,
una delle dichiarazioni  annuali  relative  a  tali  imposte,  quando
l'imposta evasa e' superiore a 77.468,53 € ma inferiore a  103.291,38
€»; 
    che il giudice a quo riferisce di essere investito  del  processo
penale nei confronti di una persona imputata del reato previsto dalla
norma censurata,  per  avere  omesso,  in  qualita'  di  titolare  di
un'impresa  individuale,  di  presentare  la  dichiarazione   annuale
relativa all'imposta sul valore aggiunto (IVA) per l'anno  2010,  per
un ammontare di imposta evasa di 87.428 euro; 
    che, recependo l'eccezione della  difesa,  il  rimettente  dubita
della legittimita' costituzionale della norma  incriminatrice,  nella
parte in cui, limitatamente ai fatti commessi sino  al  17  settembre
2011, punisce l'omessa  presentazione  della  dichiarazione  relativa
alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto anche quando l'imposta
evasa e' inferiore a 103.291,38 euro; 
    che, al riguardo, il Tribunale rileva che l'art. 4 del d.lgs.  n.
74 del 2000, prima della sua modifica ad  opera  dell'art.  2,  comma
36-vicies  semel,  lettera  f)  [recte:  lettere  d)  ed   e)],   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni,  in  legge  14  settembre  2011,  n.  148  -  modifica
applicabile  ai  soli  fatti  successivi  al  17  settembre  2011   -
prevedeva, per il delitto di dichiarazione infedele,  una  soglia  di
punibilita', riferita all'imposta evasa, di euro  103.291,38:  soglia
superiore a quella dell'omessa dichiarazione, pari all'epoca ad  euro
77.468,53; 
    che il soggetto che non avesse presentato  alcuna  dichiarazione,
omettendo di versare l'IVA - assoggettato a pena ove l'imposta  evasa
risultasse superiore a 77,468,53 euro - era trattato, quindi, in modo
deteriore  rispetto   al   soggetto   che   avesse   presentato   una
dichiarazione infedele, omettendo del pari di corrispondere l'IVA, il
quale rimaneva esente da  pena  ove  l'imposta  evasa  non  superasse
l'importo di euro 103.291,38; 
    che, ad avviso del rimettente,  tale  disparita'  di  trattamento
violerebbe il principio di  eguaglianza  di  cui  all'art.  3  Cost.,
essendo la condotta descritta dall'art. 4 del d.lgs. n. 74  del  2000
piu'  grave  di  quella  prevista  dalla  disposizione  censurata,  o
quantomeno di gravita' analoga; 
    che i reati di dichiarazione infedele e di  omessa  dichiarazione
sono, infatti, puniti con la medesima pena (reclusione da uno  a  tre
anni) e implicano entrambi, oltre all'evasione d'imposta, un ostacolo
all'accertamento tributario; 
    che  la  dichiarazione  infedele  richiede,  peraltro,  anche  la
creazione di una  «situazione  di  apparenza  falsa»  finalizzata  ad
occultare  il  debito  reale  nei  confronti   dell'erario,   tramite
l'indicazione di elementi attivi inferiori a quelli  effettivi  o  di
elementi negativi fittizi; 
    che il rimettente ritiene, quindi, costituzionalmente  necessario
allineare  la  soglia  di  punibilita'  dell'omessa  dichiarazione  a
quella, piu' elevata, prevista - quanto ai fatti commessi sino al  17
settembre 2011 - per la dichiarazione infedele; 
    che la questione sarebbe, altresi', rilevante, giacche' nel  caso
di specie l'imputato avrebbe omesso - secondo l'ipotesi accusatoria -
di presentare la dichiarazione annuale a fini IVA per l'anno 2010 per
un importo inferiore a 103.291,38 euro; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di  Catania  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 5 del  decreto  legislativo  10
marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia  di  imposte
sui redditi e sul valore aggiunto,  a  norma  dell'articolo  9  della
legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai
fatti  commessi  sino  al  17  settembre   2011,   punisce   l'omessa
presentazione  di  una  delle  dichiarazioni  annuali  relative  alle
imposte sui redditi o sul valore aggiunto quando l'imposta  evasa  e'
superiore ad euro 77.468,53, anziche' ad a euro 103.291,38; 
    che  il  rimettente  lamenta  che  la   fattispecie   dell'omessa
dichiarazione sia trattata, sotto il  profilo  considerato,  in  modo
deteriore rispetto alla  fattispecie  della  dichiarazione  infedele,
prevista dall'art. 4 del medesimo d.lgs. n.  74  del  2000  -  a  suo
avviso, di gravita' maggiore, o quantomeno analoga - denunciando,  di
conseguenza, la  violazione  del  principio  di  eguaglianza  di  cui
all'art. 3 della Costituzione; 
    che, successivamente all'ordinanza di rimessione, e'  intervenuto
il decreto legislativo 24  settembre  2015,  n.  158  (Revisione  del
sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1,  della
legge 11 marzo 2014, n. 23), i cui artt. 5 e  4  hanno  modificato  -
rispettivamente - tanto  la  disposizione  censurata,  quanto  quella
evocata dal rimettente quale tertium comparationis; 
    che la riforma ha  inciso,  anzitutto,  sulla  descrizione  delle
condotte incriminate, ma in direzioni opposte: la  sfera  applicativa
del delitto di omessa dichiarazione e' stata, infatti,  ampliata  (in
particolare, tramite l'inclusione in  essa  delle  dichiarazioni  non
annuali e delle dichiarazioni del sostituto  d'imposta);  quella  del
delitto  di  dichiarazione  infedele  e'  stata,  invece,   ristretta
(segnatamente, tramite l'esclusione  o  la  limitazione  del  rilievo
penale delle operazioni a carattere lato sensu valutativo); 
    che anche le soglie di punibilita' riferite  alle  imposte  evase
sono  state  modificate:  quella  dell'omessa  dichiarazione,   dagli
originari 77.468,53 euro - scesi medio  tempore  a  30.000  euro  per
effetto del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138  (Ulteriori  misure
urgenti per  la  stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo),
convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n.  148  -
e' stata portata a 50.000 euro; quella della  dichiarazione  infedele
e' stata innalzata in modo ben piu' marcato, passando dagli originari
103.291,38 euro - scesi  a  50.000  euro  per  effetto  della  citata
novella del 2011 - a 150.000 euro: dunque, ad una cifra  superiore  a
quella  che  il  rimettente  ha  assunto  come  parametro   ai   fini
dell'operazione di allineamento richiesta a questa Corte; 
    che, da ultimo, mentre la pena della  dichiarazione  infedele  e'
rimasta invariata (reclusione da uno a tre anni), quella  dell'omessa
dichiarazione e' stata aumentata  sia  nel  minimo  sia  nel  massimo
(reclusione da un anno e sei mesi a  quattro  anni):  il  trattamento
sanzionatorio delle due fattispecie non e', dunque, piu'  omogeneo  -
come alla  data  dell'ordinanza  di  rimessione  -  essendo  l'omessa
dichiarazione punita in modo piu' severo; 
    che va, quindi, disposta la restituzione degli atti al giudice  a
quo, per un  nuovo  esame  della  rilevanza  e  della  non  manifesta
infondatezza della questione sollevata, alla luce del  mutato  quadro
normativo. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.