ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 106-bis del
decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in  materia  di  spese  di  giustizia  (Testo  A)»,  come  introdotto
dall'art. 1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013,  n.
147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di  stabilita'  2014)»,  promosso  dal
Tribunale ordinario di Grosseto, con ordinanza del 26 settembre 2016,
iscritta al n. 277 del registro ordinanze  2016  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  5,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  luglio  2017  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 settembre 2016 (r.o. n. 277 del 2016) il
Tribunale ordinario di Grosseto ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt.  3  e  24  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 106-bis del d.P.R. 30 maggio 2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in  materia  di  spese  di  giustizia  (Testo  A)»,  come  introdotto
dall'art. 1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013,  n.
147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)», nella  parte  in
cui dispone la riduzione  di  un  terzo  dei  compensi  spettanti  ai
consulenti di parte nominati dall'imputato ammesso  al  patrocinio  a
spese dello Stato. 
    1.1.-  Il  rimettente  riferisce  di  essere  stato  chiamato   -
all'esito del giudizio di primo grado - a liquidare l'onorario  e  le
spese sostenute dal consulente tecnico di parte nominato dalla difesa
di un imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato,  ed  espone
le ragioni per le quali ritiene che le attivita' effettuate  da  tale
consulente debbano essere liquidate secondo i criteri di cui all'art.
18  del  decreto  del  Ministro  della  giustizia  30   maggio   2002
(Adeguamento dei compensi spettanti ai  periti,  consulenti  tecnici,
interpreti e traduttori per le operazioni  eseguite  su  disposizione
dell'autorita' giudiziaria in  materia  civile  e  penale),  e  della
relativa tabella. 
    Cio' premesso, illustra la disciplina vigente in  materia  e,  in
particolare, ricorda che l'art.  49  del  d.P.R.  n.  115  del  2002,
relativamente agli ausiliari del magistrato, individua i  criteri  di
liquidazione  in  onorari  «fissi,  variabili  e  a  tempo»;  che  il
successivo art. 50 prevede che la loro misura sia stabilita  mediante
tabelle approvate  con  decreto  del  Ministro  della  giustizia,  di
concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle   finanze,   con
riferimento alle tariffe professionali esistenti; che, infine, l'art.
54  del  medesimo  d.P.R.  n.  115  del  2002  prevede  l'adeguamento
periodico (ogni tre anni) degli onorari in relazione alla  variazione
accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). 
    Secondo il giudice a quo, tale disciplina e' applicabile anche ai
consulenti tecnici nominati dalla parte  che  sia  stata  ammessa  al
patrocinio a spese dello Stato, in quanto l'art. 83 del d.P.R. n. 115
del 2002 prevede che l'onorario e le spese  spettanti  all'ausiliario
del giudice e al consulente tecnico di parte - in caso di  ammissione
al  patrocinio  -  siano  liquidati  dall'autorita'  giudiziaria  con
decreto di pagamento «secondo le norme  del  presente  testo  unico»,
dunque con rinvio anche a quelle di cui agli artt. 50 e seguenti. 
    Ritiene, tuttavia, il giudice a quo  che  tale  disciplina  sara'
applicabile solo quando  saranno  approvate  le  tabelle  di  cui  al
ricordato art. 50, e che, nel frattempo, la liquidazione dei compensi
degli ausiliari del giudice e dei consulenti  tecnici  di  parte  sia
regolata - in virtu' di quanto previsto dagli artt.  275  e  296  del
d.P.R. n. 115 del 2002 - dalle tabelle contenute nel d.m.  30  maggio
2002, le quali costituiscono un mero adeguamento, ai sensi  dell'art.
10 della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti  ai  periti,
ai consulenti tecnici, interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni
eseguite a richiesta dell'autorita'  giudiziaria),  delle  previgenti
tabelle, elaborate ai sensi dell'art.  2  della  medesima  legge.  Ne
consegue - secondo il rimettente  -  che,  per  quanto  concerne  gli
onorari  fissi  e  variabili,  e'  necessario  fare  riferimento   al
ricordato d.m. 30  maggio  2002  e,  quanto  agli  onorari  a  tempo,
all'art. 4 della legge n. 319 del 1980, come aggiornato dal  medesimo
decreto ministeriale. 
    Il giudice a quo ricorda, infine, che l'onorario  del  consulente
di parte cosi' determinato e' soggetto, ai  sensi  dell'art.  106-bis
del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dalla legge n. 147  del  2013,
alla riduzione di un terzo. Osserva, infatti, che la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 192 del 2015, con cui e' stata dichiarata  la
«parziale illegittimita' costituzionale» del ricordato art.  106-bis,
nella parte in cui non esclude la  diminuzione  di  un  terzo  per  i
compensi dell'ausiliario del magistrato in caso  di  applicazione  di
previsioni tariffarie non adeguate, e' specificamente  riferita  alle
sole liquidazioni degli onorari dell'ausiliario del  giudice,  e  non
degli altri soggetti indicati  dalla  disposizione,  tra  i  quali  i
consulenti tecnici di parte. 
    1.2.- Dopo aver ricordato  che  la  Corte  costituzionale,  nella
sentenza  appena  citata,  avrebbe   individuato   l'irragionevolezza
dell'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 nella circostanza che la
riduzione di  un  terzo  dei  compensi  sarebbe  stata  disposta  dal
legislatore, nel 2014, nonostante tali  compensi  non  fossero  stati
aggiornati da piu' di dieci anni, il giudice a quo ritiene  che  tale
argomentazione  ben  possa  essere  estesa  anche  ai  compensi   dei
consulenti  tecnici  delle  parti  ammesse  al  patrocinio  a  carico
dell'erario, i quali invece  ancora  subiscono  la  riduzione  di  un
terzo. 
    Pur riconoscendo che, a  differenza  del  consulente  tecnico  di
parte, l'ausiliario del giudice, in veste di pubblico ufficiale,  non
puo' rinunciare all'ufficio, il rimettente ritiene che la  differente
natura degli  incarichi  non  possa  giustificare  la  diversita'  di
trattamento   determinatasi   a   seguito    della    pronuncia    di
incostituzionalita'. Anzitutto, il  ricordato  sistema  dei  compensi
sarebbe il medesimo per l'una e per l'altra figura. In secondo luogo,
le «ricadute di  sistema»  evidenziate  dalla  Corte  costituzionale,
quali le «applicazioni strumentali o  addirittura  illegittime  delle
norme, ai fini dell'adeguamento de facto  dei  compensi  (ad  esempio
mediante   un'indebita   proliferazione   degli   incarichi   o    un
pregiudiziale  orientamento  verso  valori  tariffari  massimi)»,   o
l'allontanamento dei soggetti dotati delle migliori professionalita',
sarebbero riscontrabili anche con riferimento ai  consulenti  tecnici
di parte. Il rischio da ultimo  evidenziato  ricorrerebbe  a  maggior
ragione con riguardo ai consulenti tecnici di parte, i quali, proprio
a causa della decurtazione di un terzo dei propri onorari,  sarebbero
spinti a rifiutare gli incarichi da  parte  di  soggetti  ammessi  al
patrocinio dello Stato. Il concreto e serio rischio che questi ultimi
non  possano  attingere  alla   cerchia   dei   professionisti   piu'
qualificati determinerebbe  -  secondo  il  rimettente  -  anche  una
lesione dell'art. 24 Cost. Sul punto, il giudice a quo sottolinea che
ai consulenti tecnici di parte nominati da  un  soggetto  ammesso  al
patrocinio dello Stato e' espressamente  vietato,  dall'art.  85  del
d.P.R. n. 115 del 2002, chiedere ulteriori compensi. 
    Rileva, infine, il rimettente  che,  in  base  alla  disposizione
censurata,   solo   i   consulenti   tecnici   di   parte   subiscono
l'ingiustificata decurtazione di un terzo  dei  compensi  determinati
sulla base di tabelle non aggiornate. Tale incongruenza sarebbe stata
sanata, per gli ausiliari  del  giudice,  dalla  ricordata  pronuncia
della Corte costituzionale, mentre  per  i  difensori,  ai  quali  la
riduzione si applica, tale scelta non  supererebbe  il  limite  della
ragionevolezza, dal momento  che  i  relativi  criteri  tabellari,  a
differenza di quelli previsti per gli ausiliari del giudice e  per  i
consulenti tecnici di parte, sono stati da  ultimo  adeguati  con  il
decreto  del  Ministro  della  giustizia  10  marzo   2014,   n.   55
(Regolamento  recante  la  determinazione  dei   parametri   per   la
liquidazione dei  compensi  per  la  professione  forense,  ai  sensi
dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247). 
    2.- E'  intervenuto  in  giudizio,  con  atto  depositato  il  21
febbraio  2017,   il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,  comunque,
non fondata. 
    Assume, anzitutto, la difesa statale che sarebbe inammissibile la
questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  in  riferimento
all'art. 24 Cost., in quanto l'atto introduttivo non  chiarirebbe  se
la disposizione censurata sia lesiva  del  diritto  di  difesa  della
parte sostanziale del processo ovvero del consulente di parte istante
nel processo incidentale di liquidazione. 
    Quanto al merito delle censure, l'Avvocatura generale dello Stato
ritiene che il diritto di difesa, garantito anche  ai  non  abbienti,
non sarebbe direttamente compresso dalla norma che limita il  quantum
del compenso a favore di un consulente di parte. 
    Non sarebbe fondata neppure la  censura  relativa  alla  presunta
lesione dell'art. 3  Cost.,  poiche'  la  disparita'  di  trattamento
asseritamente derivante dalla sentenza della Corte costituzionale  n.
192 del 2015 sarebbe  pienamente  giustificata  dalla  disomogeneita'
delle due situazioni. Come rilevato anche dalla Corte  costituzionale
nella citata pronuncia, l'ausiliario del giudice,  a  differenza  del
consulente tecnico di parte, svolge «prestazioni tendenzialmente  non
ricusabili» e, «in  quanto  pubblico  ufficiale,  e'  obbligato  alla
fedele   e   diligente   esecuzione    delle    proprie    competenze
professionali». Dalla diversita' intercorrente tra le due  figure  e,
in particolare, dalla possibilita', per  il  consulente  tecnico,  di
declinare l'incarico, discenderebbe «la piena legittimita', e anzi la
doverosita'», del regime differenziato. 
    Cio', del resto, sarebbe coerente con la costante  giurisprudenza
della  Corte  costituzionale  che,  da  un   lato,   avrebbe   sempre
sottolineato  l'eterogeneita'  delle  figure   processuali   che   il
rimettente accomuna al consulente tecnico di parte  (sono  citate  le
sentenze n. 192 del 2015 e n. 287 del 2008,  nonche'  l'ordinanza  n.
195 del 2009) e, dall'altro, avrebbe spesso evidenziato la differenza
tra (mera) prestazione lavorativa e adempimento del pubblico  ufficio
(sono richiamate le sentenze n. 41 del 1996 e 88 del 1970). 
    Inconferente sarebbe, poi - secondo l'Avvocatura  generale  dello
Stato - il richiamo all'art. 85 del d.P.R. n. 115 del  2002,  poiche'
sarebbe pacifico che la disciplina applicabile al patrocinio dei  non
abbienti e' connotata da «peculiari  connotati  pubblicistici»  (sono
menzionate le ordinanze n. 270 del 2012 e n. 387 del 2004).  In  tale
contesto,  sarebbe  perfettamente  logico  che  il  consulente  abbia
diritto ad un compenso in misura ridotta e non  possa  rivalersi  sul
cliente. 
    Altrettanto  inconferente  sarebbe  l'avvenuto  adeguamento   dei
criteri tabellari relativi  ai  difensori  (d.m.  n.  55  del  2014),
circostanza   da    cui    deriverebbe    l'asserita    irragionevole
differenziazione  di  trattamento  riservata  dall'art.  106-bis  del
d.P.R. n. 115 del 2002 ai consulenti tecnici  e  agli  ausiliari  del
giudice. L'Avvocatura generale dello Stato osserva che, a prescindere
dalla differenza dei ruoli professionali, la Corte costituzionale  ha
affermato che, «ove il sistema di  liquidazione  e'  imposto  da  una
norma di legge», esso «puo' legittimamente derogare anche  ai  minimi
tariffari» (sono richiamate le sentenze n. 243 del  2014  e  157  del
2014 e l'ordinanza n. 122 del 2016). 
    Quanto, infine, al rischio di allontanamento dei soggetti  dotati
delle migliori professionalita' dai procedimenti relativi a  soggetti
ammessi al patrocinio a spese dello  Stato,  si  tratterebbe  di  una
doglianza inammissibile, in  quanto  il  rimettente  lamenterebbe  un
inconveniente di mero fatto (sono citate la sentenza n. 122 del  2016
e l'ordinanza n. 270 del 2012). 
    L'Avvocatura  generale   dello   Stato   osserva,   infine,   che
l'intervento legislativo della cui  legittimita'  si  dubita  sarebbe
coerente  con  il  margine  di  ampia  discrezionalita'  di  cui   il
legislatore gode nel dettare le norme  processuali,  nel  cui  novero
sarebbero comprese anche quelle in materia di spese di giustizia. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 settembre 2016, il  Tribunale  ordinario
di  Grosseto  solleva,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
106-bis del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia (Testo A)», introdotto dall'art. 1, comma 606, lettera  b),
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2014)», nella parte in cui  dispone  la  riduzione  di  un
terzo dei compensi spettanti ai consulenti tecnici di parte, nominati
dall'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata  si  porrebbe
in contrasto con l'art. 3 Cost., poiche', in virtu' della sentenza di
questa Corte n. 192 del 2015, la riduzione di un terzo  dei  compensi
penalizzerebbe  irragionevolmente  il  consulente  tecnico  di  parte
rispetto all'ausiliario del magistrato. Con tale decisione,  infatti,
l'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 e'  gia'  stato  dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per irragionevolezza, nella parte  in
cui non  esclude  -  ma  solo  con  riferimento  agli  ausiliari  del
magistrato - che la diminuzione di un terzo sia operata  in  caso  di
applicazione di tariffe non adeguate, quali sono  quelle  attualmente
contenute nel decreto del Ministro della  giustizia  30  maggio  2002
(Adeguamento dei compensi spettanti ai  periti,  consulenti  tecnici,
interpreti e traduttori per le operazioni  eseguite  su  disposizione
dell'autorita' giudiziaria in materia civile e penale). 
    L'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 e' censurato anche  per
violazione dell'art. 24 Cost.,  poiche'  la  riduzione  del  compenso
pregiudicherebbe il diritto di difesa  delle  parti,  allontanando  i
consulenti tecnici dotati delle migliori  professionalita'.  Infatti,
questi ultimi, proprio a causa della decurtazione dei propri onorari,
sarebbero indotti a rifiutare gli  incarichi  conferiti  da  soggetti
ammessi al patrocinio dello Stato. 
    2.- La  questione  e'  fondata,  in  riferimento  ad  entrambi  i
parametri evocati. 
    2.1.- Osserva correttamente il rimettente  che,  nell'ambito  del
d.P.R. n. 115 del 2002, recante il testo unico in materia di spese di
giustizia, la disciplina contenuta agli artt. 50 e 54, relativa  alla
misura dei compensi  spettanti  agli  ausiliari  del  magistrato,  si
applica - in virtu' del rinvio contenuto  all'art.  83  dello  stesso
testo normativo - anche al consulente tecnico di parte, nominato  dal
soggetto ammesso, nel processo penale, al patrocinio  a  spese  dello
Stato. 
    Sotto il profilo della misura dei compensi liquidabili, a  fronte
delle prestazioni rese nel  processo,  ausiliario  del  magistrato  e
consulente di parte si trovano percio' nella medesima condizione. 
    In particolare, l'art. 50 del d.P.R. n. 115 del 2002 prevede  che
l'entita' di tali onorari sia stabilita  mediante  tabelle  approvate
con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, mentre l'art. 54 stabilisce che  «[l]a
misura degli onorari fissi, variabili e a tempo e' adeguata ogni  tre
anni in relazione alla variazione, accertata dall'ISTAT,  dell'indice
dei prezzi al  consumo  per  le  famiglie  di  operai  ed  impiegati,
verificatasi nel triennio precedente, con  decreto  dirigenziale  del
Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia
e delle finanze». 
    Sta di fatto che le tabelle cui fa riferimento il citato art.  50
del d.P.R. n. 115 del 2002 sono state approvate con  il  decreto  del
Ministro della giustizia 30 maggio  2002  (Adeguamento  dei  compensi
spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori  per
le operazioni eseguite su disposizione dell'autorita' giudiziaria  in
materia civile e penale), e da allora non risultano essere mai  state
aggiornate, come invece richiesto dal successivo art. 54. 
    In tale contesto, e' intervenuto l'art. 1, comma 606, lettera b),
della legge n. 147 del 2013, che ha inserito nel d.P.R.  n.  115  del
2002 la disposizione qui censurata (art. 106-bis),  la  quale  impone
che siano ridotti di un terzo gli  importi  spettanti  al  difensore,
all'ausiliario del magistrato,  al  consulente  tecnico  di  parte  e
all'investigatore privato autorizzato, nominati in un processo penale
in cui la parte sia ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 
    2.2.- Nella sentenza n. 192 del 2015, investita  della  questione
di legittimita' costituzionale del medesimo art. 106-bis  del  d.P.R.
n. 115 del 2002, con riferimento a un caso in cui veniva  in  rilievo
l'entita'  dei  compensi  spettanti  all'ausiliario  del  magistrato,
questa Corte  ha  accertato  l'irragionevolezza  della  disposizione,
poiche' il significativo  e  drastico  intervento  di  riduzione  dei
compensi si innestava su tariffe ormai gia' seriamente sproporzionate
per difetto, in virtu' di un  adeguamento  non  piu'  intervenuto  da
oltre un  decennio.  Sicche'  il  ricordato  art.  106-bis  e'  stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo  nella  parte  in  cui  non
escludeva che la diminuzione di  un  terzo  degli  importi  spettanti
all'ausiliario del magistrato fosse operata in caso  di  applicazione
di previsioni tariffarie non aggiornate  a  norma  dell'art.  54  del
d.P.R. n. 115 del 2002. 
    Tale dichiarazione d'illegittimita' costituzionale, peraltro, non
ha censurato direttamente l'obbiettivo di  contenimento  della  spesa
pubblica insito nella riduzione di un terzo dei compensi.  Ha  invece
evidenziato la sua irragionevolezza, nella misura in cui la riduzione
interviene su tabelle ormai non piu' aggiornate da lungo  tempo  e  i
cui valori di partenza - rispetto alle comuni tariffe professionali -
gia' scontano la diminuzione  derivante  dalla  natura  pubblicistica
della prestazione richiesta all'ausiliario  del  magistrato.  Il  che
equivale a riconoscere che tale riduzione tornerebbe ad applicarsi se
le tariffe venissero aggiornate a norma del  ricordato  art.  54  del
d.P.R. n. 115 del 2002. 
    Questa essendo la ratio decidendi della sentenza, essa  non  puo'
che estendersi agli onorari del consulente tecnico di parte,  di  cui
e' questione nel giudizio  a  quo.  Anche  con  riferimento  ai  suoi
compensi va confermata  la  valutazione  di  irragionevolezza  di  un
intervento legislativo che non ha tenuto conto del contesto normativo
nel quale e' stato  disposto,  e  delle  condizioni  che,  di  fatto,
caratterizzano  la  materia  e  il  settore  sui  quali  e'   operato
l'intervento stesso. 
    Non rilevano, in tale contesto, le pur  evidenti  differenze  che
caratterizzano le figure dell'ausiliario del magistrato, da un  lato,
e del consulente tecnico di parte, dall'altro.  Rileva,  invece  -  e
sollecita il necessario intervento correttivo - il  diverso  compenso
previsto per le prestazioni da essi rese nel  processo,  pur  essendo
tale compenso sempre determinabile sulla base delle medesime  tabelle
contenute nel d.m. 30 maggio 2002: una differenza dovuta  ai  confini
entro i  quali  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 pote' essere pronunciata
con la sentenza n. 192 del 2015. 
    Non rileva, in senso contrario, la giurisprudenza di questa Corte
nella quale e' frequente il riferimento  al  generale  obbiettivo  di
contenere in  giusti  limiti  le  spese  giudiziali  nell'ambito  del
patrocinio a spese dello Stato (ex plurimis,  ordinanze  n.  374  del
2003, n. 299 del 2002, n. 391 del 1988) ed e', talvolta, sottolineato
il particolare scopo di contenere tali spese entro  opportuni  limiti
soprattutto nei confronti delle parti private  (sentenza  n.  88  del
1970 e ordinanza n. 69 del 1979): giacche' si ragiona  qui  di  spese
sostenute per consulenze tecniche di parte ammesse alla liquidazione,
e che percio' il giudice ha ritenuto ne' irrilevanti ne' superflue ai
fini della prova nel processo penale (art. 106, comma  2,  d.P.R.  n.
115 del 2002). 
    Ne risulta l'illegittimita' costituzionale  per  irragionevolezza
della disposizione censurata,  negli  stessi  termini  esposti  dalla
sentenza n. 192 del 2015, anche in riferimento agli importi spettanti
ai consulenti tecnici di parte. 
    3.- L'illegittimita' costituzionale per  irragionevolezza  appena
accertata illumina altresi' la lesione, da parte  della  disposizione
censurata, dell'art. 24 Cost., che garantisce il diritto  inviolabile
di difesa e che  impone  allo  Stato  di  assicurarlo  anche  ai  non
abbienti. 
    3.1.- Nella giurisprudenza  di  questa  Corte,  per  il  soggetto
ammesso al patrocinio a spese dello Stato  nel  processo  penale,  la
possibilita' di nominare un consulente tecnico di  parte  costituisce
un aspetto essenziale del diritto di  difesa  (sentenza  n.  149  del
1983), anche nel caso  in  cui  il  giudice  non  abbia  disposto  un
incarico peritale (sentenza n. 33 del 1999). Del resto, la consulenza
extraperitale e'  suscettibile  di  assumere  valore  ai  fini  della
formazione del libero convincimento del giudice, anche in assenza  di
perizia disposta dallo stesso organo giudicante. 
    In tale contesto, non implausibilmente osserva il giudice  a  quo
che,  tra  le  ricadute  di   sistema   prodotte   dall'irragionevole
decurtazione censurata, potrebbe esservi  quella  dell'allontanamento
dei soggetti dotati delle migliori professionalita', tanto piu'  che,
come evidenziato dalla sentenza n. 192 del 2015, mentre  l'ausiliario
del magistrato rende prestazioni non rifiutabili (art. 221 codice  di
procedura penale), sul consulente di parte non grava tale obbligo. 
    Ma anche a prescindere da cio', decisiva e'  la  circostanza  per
cui, a differenza degli onorari del consulente della  parte  privata,
quelli del consulente nominato dal pubblico ministero  non  subiscono
la riduzione di un terzo prevista dalla disposizione censurata. Cio',
non solo in ragione della fase  in  cui  la  consulenza  e'  disposta
(l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato durante  le  indagini
preliminari e' accadimento meno frequente rispetto a  quanto  avviene
nelle fasi successive), ma  per  l'assorbente  motivo  che  tutte  le
disposizioni del  testo  unico  in  materia  di  spese  di  giustizia
riferite all'ausiliario del magistrato vanno intese come  comprensive
dei consulenti della parte pubblica (secondo la definizione contenuta
nell'art. 3, comma 1, lettera a, del d.P.R. n. 115 del 2002). 
    Se, dunque, il  pubblico  ministero  puo'  scegliere  il  proprio
consulente tecnico senza che costui possa rifiutare l'incarico  (art.
359 cod. proc. pen.) ne' subire la decurtazione qui  in  discussione,
ne  consegue,  nell'ambito  di  un  rito  di  tipo  accusatorio,  una
percepibile disparita'  di  condizione  tra  le  parti  del  processo
penale, nei procedimenti nei quali siano coinvolte persone sprovviste
di mezzi e ammesse al patrocinio a spese dello Stato: l'una, la parte
pubblica, che puo' avvalersi di esperti  nei  piu'  svariati  settori
della scienza e della tecnica,  senza  la  censurata  limitazione  in
ordine agli onorari; l'altra, la parte  privata,  che  puo'  sentirsi
opporre  un  rifiuto,  motivato  dalla  prevedibile   esiguita'   del
compenso. 
    Si tratta, all'evidenza, di  una  disparita'  di  condizione  che
finisce per ledere il diritto di difesa. 
    A tali complessive considerazioni non potrebbe opporsi che si  e'
in presenza di circostanze di  mero  fatto,  non  suscettibili,  come
tali,  di  incidere  sulla   legittimita'   costituzionale   di   una
disposizione di legge: giacche', in realta', la disparita' di cui  si
discorre, idonea a pregiudicare la  piena  garanzia  del  diritto  di
difesa, discende direttamente dal  ricordato  contesto  normativo  in
tema di spese di giustizia. 
    4.- In definitiva, l'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del  2002  va
dichiarato costituzionalmente illegittimo  nella  parte  in  cui  non
esclude che la diminuzione di un terzo  degli  importi  spettanti  ai
consulenti tecnici di parte sia operata in caso  di  applicazione  di
previsioni tariffarie non adeguate a norma dell'art. 54 del d.P.R. n.
115 del 2002.